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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Diritto processuale penale, Rifiuti Numero: 13731 | Data di udienza: 12 Gennaio 2016

RIFIUTI – Deposito incontrollato di rifiuti – Condotta e configurabilità del reato – Necessità di diritti dominicali – Esclusione – Sufficiente la disponibilità dell’area – Svolgimento professionale o imprenditoriale dell’autore – Esclusione – Art. 255 d.lgs. 152/2006 – Art. 6, c.1, lett. a), L. 201/2008 – Legislazione emergenziale nel settore dei rifiuti – Natura di norma eccezionale e temporanea – Art. 2, comma 5, cod. pen. – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Ricorso in Cassazione – Mancata rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale – Limiti – Circostanze attenuanti generiche – Riconoscimento o diniego – Potere discrezionale del giudice di merito – Motivazione – Art. 133 cod. pen..


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 6 Aprile 2016
Numero: 13731
Data di udienza: 12 Gennaio 2016
Presidente: AMORESANO
Estensore: Liberati


Premassima

RIFIUTI – Deposito incontrollato di rifiuti – Condotta e configurabilità del reato – Necessità di diritti dominicali – Esclusione – Sufficiente la disponibilità dell’area – Svolgimento professionale o imprenditoriale dell’autore – Esclusione – Art. 255 d.lgs. 152/2006 – Art. 6, c.1, lett. a), L. 201/2008 – Legislazione emergenziale nel settore dei rifiuti – Natura di norma eccezionale e temporanea – Art. 2, comma 5, cod. pen. – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Ricorso in Cassazione – Mancata rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale – Limiti – Circostanze attenuanti generiche – Riconoscimento o diniego – Potere discrezionale del giudice di merito – Motivazione – Art. 133 cod. pen..



Massima

 

 

CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez.3^ 6/04/2016 (Ud. 12/01/2016) Sentenza n.13731



RIFIUTI – Deposito incontrollato di rifiuti – Condotta e configurabilità del reato – Necessità di diritti dominicali – Esclusione – Sufficiente la disponibilità dell’area – Svolgimento professionale o imprenditoriale dell’autore – Esclusione Art. 255 d.lgs. 152/2006 – Art. 6, c.1, lett. a), L. 201/2008.
 
L’art. 6, comma 1, lett. a), L. 201/2008, punisce la condotta di “chiunque in modo incontrollato o presso siti non autorizzati abbandona, scarica, deposita sul suolo o nel sottosuolo o immette nelle acque superficiali o sotterranee rifiuti”, escludendo, di conseguenza, sia la necessità di diritti dominicali o di altro genere sull’area nella quale sia stato realizzato un deposito incontrollato di rifiuti, essendo sufficiente la disponibilità, anche in via di mero fatto o per tolleranza, dell’area stessa da parte dell’autore della violazione; sia una veste professionale o imprenditoriale dell’autore essendo sufficiente il solo svolgimento della attività vietata. 
 
 
RIFIUTI – Legislazione emergenziale nel settore dei rifiuti – Natura di norma eccezionale e temporanea – Art. 2, comma 5, cod. pen. – D.lgs. 152/2006.
 
La previsione incriminatrice di cui all’art. 6, comma 1, lett. a), d.l. 172 del  2008, convertito in L. 210 del 2008, avendo natura di norma eccezionale e temporanea (come si ricava dal tenore e dalle finalità delle disposizioni stesse, applicabili a determinate condotte poste in essere in un determinato ambito territoriale interessato dallo stato di emergenza nel settore dei rifiuti, con la previsione di misure straordinarie temporanee, tra cui una disciplina sanzionatoria che contempla pene sensibilmente più afflittive rispetto a fattispecie analoghe contemplate dal d.lgs. 152 del 2006, la trasformazione di violazioni di natura contravvenzionale in delitti o la previsione di sanzioni penali per condotte altrimenti non aventi rilevanza penale, come riconosciuto espressamente anche dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 83 del 5 marzo 2010), è assoggettata alla disciplina di cui all’art. 2, comma 5, cod. pen. e, di conseguenza, si applica ai fatti commessi durante il suo periodo di vigenza, anche se, come nel caso di specie, sono giudicati quando è cessata la situazione emergenziale da essa presupposta.
 

DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Ricorso in Cassazione – Mancata rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale – Limiti.
 
La mancata rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale può essere censurata in sede di legittimità allorquando si dimostri l’esistenza, nella motivazione della decisione impugnata, di lacune o manifeste illogicità, ricavabili dal testo del medesimo provvedimento e concernenti punti di decisiva rilevanza, le quali sarebbero state presumibilmente evitate provvedendosi all’assunzione o alla riassunzione di determinate prove in appello (Cass. Sez. 6, n. 1400 del 22/10/2014; conf. Sez. 2, n. 48630 del 15/09/2015, Pircher).
 

DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Circostanze attenuanti generiche – Riconoscimento o diniego – Potere discrezionale del giudice di merito – Motivazione – Art. 133 cod. pen..
 
Il riconoscimento o il diniego delle circostanze attenuanti generiche è rimesso al potere discrezionale del giudice di merito, il cui esercizio deve essere motivato nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente il pensiero del decidente circa l’adeguamento della pena in concreto inflitta alla gravità effettiva del reato e alla personalità del reo; pertanto nella determinazione della sanzione ben possono essere presi in esame uno o alcuni soltanto degli elementi indicati dall’art. 133 cod. pen., purché della scelta decisoria adottata si dia adeguatamente conto in motivazione.
 
 
(conferma sentenza del 12/12/2014 della Corte d’appello di Palermo) Pres. AMORESANO, Rel. LIBERATI, Ric. Torretta

Allegato


Titolo Completo

CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez.3^ 6/04/2016 (Ud. 12/01/2016) Sentenza n.13731

SENTENZA

 

 
 
 
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez.3^ 6/04/2016 (Ud. 12/01/2016) Sentenza n.13731
 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
 
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
 
omissis
 
ha pronunciato la seguente
 
SENTENZA
 
– sul ricorso proposto da Torretta Giuseppe, nato a Prizzi 1’8/1/1935
– avverso la sentenza del 12/12/2014 della Corte d’appello di Palermo visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
– udita la relazione svolta dal Consigliere Giovanni Liberati;
– udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Pasquale Fimiani, che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio quanto alla confisca ed allo smaltimento dei materiali in sequestro e la dichiarazione di inammissibilità del ricorso nel resto.
 
RITENUTO IN FATTO
 
1. Con sentenza del 12 dicembre 2014 la Corte d’appello di Palermo ha respinto l’impugnazione proposta da Giuseppe Torretta nei confronti della sentenza del 5 febbraio 2013 del Tribunale di Termini Imerese, che lo aveva condannato alla pena di mesi sei di reclusione per il reato di cui all’art. 6, comma 1, lett. a), L. 210/2008 (per avere depositato in un’area nella sua disponibilità ed in assenza della prescritta autorizzazione rifiuti speciali pericolosi costituiti da veicoli, clii esausti, parti di motori, pneumatici, materiali vari in ferro, plastica e cemento, accertato il 21 gennaio 2009).
 
La Corte d’appello, nel confermare il giudizio di responsabilità formulato dal primo giudice, ha ribadito la riconducibilità all’imputato del deposito di rifiuti, prossimo alla sua abitazione, recintato da un muro e chiuso da un cancello, di cui l’imputato aveva la piena disponibilità, ed anche la natura di rifiuti dei veicoli e materiali ivi depositati, in considerazione del loro evidente stato di abbandono, che ne precludeva la possibilità di riparazione e recupero prospettata dall’imputato. La Corte ha anche condiviso l’esclusione della concessione delle circostanze attenuanti generiche e la misura della pena quale determinata dal primo giudice.
 
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso l’imputato, mediante il suo difensore, affidandolo a dieci motivi, così riassunti entro i limiti previsti dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
 
2.1. Con il primo motivo ha denunciato violazione di legge penale, in relazione agli artt. 6 l. 210/2008 e 255 d.lgs. 152/2006, affermando che la Corte d’appello avrebbe dovuto qualificare il fatto contestato come illecito amministrativo ai sensi dell’art. 255 d.lgs. 152/2006, in quanto alla data della pronuncia della sentenza di secondo grado era cessato lo stato di necessità che costituiva il presupposto per poter applicare l’art. 6 della L. 210/2008.
 
2.2. Con il secondo motivo ha dedotto violazione di legge penale e vizio motivazionale, per la mancata verifica della natura incontrollata del deposito e della inutilizzabilità dei beni qualificati come rifiuti, trattandosi di beni strumentali all’agricoltura.
 
2.3. Con il terzo motivo ha prospettato ulteriore violazione di legge penale e vizio di motivazione, non essendosi verificato l’inquinamento dell’area nella quale si trovavano depositati i beni erroneamente qualificati come rifiuti nelle due sentenze di merito, trattandosi di tubi in ferro (da utilizzare per la conduzione dell’acqua a scopi agricoli di un impianto che doveva essere completato), ceste in plastica, reti metalliche, un camion Fiat a tre assi ancora targato, un camion Mercedes targato e funzionante, un camion con rimorchio perfettamente funzionante, un aratro solo in parte arrugginito, un rimorchio poggiato su assi, un container poggiato su assali utilizzato come magazzino, un furgone Mercedes, mezzi ed attrezzature vari, non costituenti rifiuti, nel senso di beni abbandonati, ma strumenti agricoli.
 
2.4. Con il quarto motivo ha dedotto ulteriore violazione di legge penale e vizio di motivazione in relazione alla disposta confisca e smaltimento dei materiali sequestrati, trattandosi di misure accessorie non contemplate dall’art. 6, comma 1, lett. a), della L. 210/2008, applicabili solo alla diversa ipotesi di cui all’art. 6, comma 1, lett. e), della medesima L. 210/2008.
 
2.5. Con il quinto motivo ha denunciato vizio motivazionale nuovamente in relazione alla disposta confisca dei beni ed alla condanna al loro smaltimento, per l’insufficienza della motivazione in ordine alla ritenuta natura di rifiuti di tutti i beni sequestrati.
 
2.6. Con il sesto motivo ha denunciato vizio motivazionale in relazione alla affermazione della sua responsabilità in ordine alla realizzazione del deposito di rifiuti, non essendo proprietario dell’area e non essendo stata accertata la titolarità dei beni sequestrati.
 
2.7. Con il settimo motivo ha lamentato erronea applicazione di legge penale per la affermazione della sua responsabilità in mancanza di elementi dai quali ricavare una sua compartecipazione alla realizzazione dell’illecito deposito di rifiuti.
 
2.8. Con l’ottavo motivo ha denunciato violazione di legge penale in relazione al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche ed alla mancata considerazione della sua età e delle sue condizioni di salute, essendo affetto da neoplasia prostatica ed inabile al 100%.
 
2.9. Con il nono motivo ha lamentato violazione di legge penale e processuale, mancata assunzione di una prova decisiva e vizio di motivazione, per l’omessa assunzione della prova a discolpa richiesta con l’atto d’appello, in ordine alla quale la Corte d’appello aveva motivato il diniego in modo insufficiente e contraddittorio.
 
2.10. Con il decimo motivo ha dedotto vizio motivazionale in ordine alla mancata rinnovazione della istruttoria dibattimentale, richiesta espressamente con l’atto d’appello ed a proposito della quale la Corte territoriale non aveva motivato il diniego alla consulenza tecnica richiesta allo scopo di dimostrare la natura di beni riutilizzabili di quanto sequestrato e classificato come rifiuti.
 
CONSIDERATO IN DIRITTO
 
Il ricorso è infondato.
 
1. Per quanto riguarda il primo motivo, mediante il quale è stata denunciata violazione di legge per l’erronea applicazione dell’art. 6 L. 210/2008, per essere venuto meno, a decorrere dal 31 dicembre 2013, lo stato di necessità costituente il presupposto per poter applicare tale disciplina sanzionatoria, occorre ribadire che la previsione incriminatrice di cui all’art. 6, comma 1, lett. a), d.l. 172 del 2008, convertito in L. 210 del 2008, avendo natura di norma eccezionale e temporanea (come si ricava dal tenore e dalle finalità delle disposizioni stesse, applicabili a determinate condotte poste in essere in un determinato ambito territoriale interessato dallo stato di emergenza nel settore dei rifiuti, con la previsione di misure straordinarie temporanee, tra cui una disciplina sanzionatoria che contempla pene sensibilmente più afflittive rispetto a fattispecie analoghe contemplate dal d.lgs. 152 del 2006, la trasformazione di violazioni di natura contravvenzionale in delitti o la previsione di sanzioni penali per condotte altrimenti non aventi rilevanza penale, come riconosciuto espressamente anche dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 83 del 5 marzo 2010), è assoggettata alla disciplina di cui all’art. 2, comma 5, cod. pen. e, di conseguenza, si applica ai fatti commessi durante il suo periodo di vigenza, anche se, come nel caso di specie, sono giudicati quando è cessata la situazione emergenziale da essa presupposta (Sez. 3, n. 3718 del 08/01/2014, Matei, Rv. 258318).
 
Ora, poiché, nel caso di specie, i fatti sono stati accertati il 21 gennaio 2009, correttamente è stata ritenuta applicabile la disciplina emergenziale menzionata, rimanendo irrilevante, per le ragioni esposte, la pronuncia da parte della Corte d’appello in data (12 dicembre 2014) successiva alla cessazione dello stato di necessità (venuto meno a decorrere dal 31 dicembre 2013), con la conseguente infondatezza del motivo in esame.
 
2. Il secondo, il terzo, il sesto ed il settimo motivo di ricorso, mediante i quali sono state denunciate violazione di legge (in relazione agli artt. 6, comma 1, lett. a, d.l. 172/2008, convertito in I. 210 del 2008, e 40, 42 e 43 cod. pen.) e vizio di motivazione, in ordine alla qualificabilità come rifiuti dei beni depositati nell’area nella disponibilità dell’imputato ed alla affermazione della sua responsabilità pur non essendo proprietario dell’area e non avendo agito come titolare di una attività d’impresa, sono inammissibili, in quanto con essi il ricorrente tende a conseguire una diversa ricostruzione della vicenda in linea di fatto in assenza di vizi di manifesta illogicità o contraddittorietà della motivazione.
 
2.1. Riguardo alla natura di rifiuti dei beni depositati nell’area recintata nella disponibilità del ricorrente, la Corte d’appello, richiamando la sentenza di primo grado (nella quale, sulla base di quanto risultante dalle testimonianze degli agenti di polizia giudiziaria, dal verbale di sequestro e dalle riproduzioni fotografiche, i beni ed i materiali descritti nella imputazione erano indicati come in totale stato di abbandono), nonché le fotografie dell’area e dei beni ed il verbale di sequestro, ha dato atto dell’evidente stato di abbandono dei veicoli e degli altri oggetti presenti nell’area, in quanto arrugginiti e deteriorati, difficilmente recuperabili ed accatastati in modo confuso, in guisa tale da poter essere considerati rifiuti.
 
A fronte di tale accertamento il ricorrente ha ribadito l’insussistenza di un abbandono incontrollato dei beni rinvenuti nell’area nella sua disponibilità e la loro natura di rifiuti, trattandosi di beni funzionanti e destinati ad essere utilizzati nell’agricoltura, diffondendosi in una dettagliata analisi circa le loro caratteristiche, la loro funzione e la loro utilizzabilità, senza individuare carenze, manifeste illogicità o contraddizioni della motivazione della sentenza impugnata, ma censurando il suddetto accertamento in punto di fatto in ordine alla natura di rifiuti dei beni oggetto del deposito incontrollato ed alla disponibilità dell’area da parte dell’imputato, che, qualora (come nel caso di specie) sia correttamente e congruamente motivato, è insuscettibile di censure in sede di legittimità, con la conseguente inammissibilità della doglianza.
 
2.2. Manifestamente infondati risultano, poi, i rilievi relativi alla assenza di diritti dell’imputato sull’area nella quale era stato realizzato il deposito di rifiuti ed anche della inesistenza di una attività di impresa in relazione a tale attività, in quanto l’art. 6, comma 1, lett. a), L. 201/2008 citata, di cui è stata ravvisata la violazione da parte del ricorrente, punisce la condotta di “chiunque in modo incontrollato o presso siti non autorizzati abbandona, scarica, deposita sul suolo o nel sottosuolo o immette nelle acque superficiali o sotterranee rifiuti”, escludendo, di conseguenza, sia la necessità di diritti dominicali o di altro genere sull’area nella quale sia stato realizzato un deposito incontrollato di rifiuti, essendo sufficiente la disponibilità, anche in via di mero fatto o per tolleranza, dell’area stessa da parte dell’autore della violazione (cfr., in tal senso, Sez. 3, n.15593 del 24/03/2011, Sirolesi, Rv. 250150); sia una veste professionale o imprenditoriale dell’autore (cfr., a proposito della attività di trasporto, Sez. 3, n.79 del 28/10/2009, Guglielmo, Rv. 245709), essendo sufficiente il solo svolgimento della attività vietata. 
 
3. Il nono ed il decimo motivo, mediante i quali sono state denunciate violazione degli artt. 190 e 192 cod. proc. pen. e vizio di motivazione, per l’omessa rinnovazione dell’istruttoria richiesta con l’atto d’appello e l’insufficienza della motivazione al riguardo, risultano inammissibili, giacché la mancata rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale può essere censurata in sede di legittimità allorquando si dimostri l’esistenza, nella motivazione della decisione impugnata, di lacune o manifeste illogicità, ricavabili dal testo del medesimo provvedimento e concernenti punti di decisiva rilevanza, le quali sarebbero state presumibilmente evitate provvedendosi all’assunzione o alla riassunzione di determinate prove in appello (Sez. 6, n. 1400 del 22/10/2014, Pr., Rv. 261799; conf. Sez. 2, n. 48630 del 15/09/2015, Pircher Rv. 265323).
 
Nella decisione impugnata la Corte territoriale ha illustrato le ragioni poste a fondamento della qualificazione come rifiuti dei beni depositati in modo incontrollato nel terreno nella disponibilità dell’imputato (recintato ed adiacente alla sua abitazione), poste a fondamento della affermazione della sua responsabilità, con la conseguenza che non sussistono, né sono state evidenziati dal ricorrente, vizi della motivazione al riguardo, che avrebbero potuto essere evitati mediante la perizia richiesta dal ricorrente (sulla natura di rifiuti dei beni depositati), con la conseguente evidente insussistenza dei presupposti per disporre la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale in appello, che determina l’inammissibilità dei motivi in esame.
 
4. L’ottavo motivo, mediante il quale è stata prospettata violazione di legge penale per l’omesso riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche nonostante l’età e le condizioni di salute del ricorrente (invalido civile al 100%), risulta inammissibile.
 
Il riconoscimento o il diniego delle circostanze attenuanti generiche è rimesso al potere discrezionale del giudice di merito, il cui esercizio deve essere motivato nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente il pensiero del decidente circa l’adeguamento della pena in concreto inflitta alla gravità effettiva del reato e alla personalità del reo; pertanto nella determinazione della sanzione ben possono essere presi in esame uno o alcuni soltanto degli elementi indicati dall’art. 133 cod. pen., purché della scelta decisoria adottata si dia adeguatamente conto in motivazione (Sez. 4, 15.2.2007, Usala)
 
Nel caso in esame la Corte territoriale ha preso in considerazione la condizione di pluripregiudicato dell’imputato e la gravità dei suoi precedenti, ritenendoli ostacolo insuperabile al riconoscimento delle attenuanti generiche, in assenza di elementi positivi nella condotta dello stesso idonei a controbilanciare i suddetti elementi riconducibili ai parametri previsti dall’art. 133 cod. pen. Tale motivazione risulta adeguata e non è, dunque, sindacabile sul piano del merito.
 
5. Il quarto ed il quinto motivo, mediante i quali sono state denunciate violazione di legge e difetto di motivazione in relazione alla disposta confisca ed al correlativo ordine di smaltimento dei materiali in sequestro a cura e spese dell’imputato, sulla base del rilievo che si tratta di disposizioni accessorie non contemplate dall’art. 6, comma 1, lett. a), I. 201/2008, risultano inammissibili, in quanto la confisca in questione è stata disposta dal primo giudice ai sensi dell’art. 240 cod. pen. ed al riguardo la Corte d’appello, nel confermare tale statuizione ha evidenziato trattarsi di rifiuti e dunque di beni non riutilizzabili.
 
Tali affermazioni, sia della sentenza di primo grado sia di quella d’appello, non sono state oggetto di censura da parte del ricorrente, con la conseguenza che la doglianza risulta inammissibile per difetto della necessaria specificità, essendo estranea alla ratio decidendi, essendo state disposte la confisca e lo smaltimento dei materiali in sequestro sulla base di disciplina diversa di quella di cui il ricorrente ha lamentato la violazione e per motivi diversi rispetto a quelli in relazione ai quali ha prospettato il vizio di motivazione, con la conseguente mancanza di concludenza della doglianza ed inammissibilità della stessa.
 
In conclusione il ricorso in esame deve essere integralmente respinto ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.
 
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
 
Così deciso il 12/1/2016
 

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