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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Diritto urbanistico - edilizia Numero: 41 | Data di udienza: 12 Luglio 2016

* DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Sottotetti qualificati come vani tecnici non abitabili – Rilascio del titolo edilizio – Obbligo di sottoscrivere e trascrivere un vincolo di inedificabilità, a garanzia della permanenza della destinazione a vano tecnico  –  Illegittimità.


Provvedimento: Sentenza
Sezione:
Regione: Valle d'Aosta
Città: Aosta
Data di pubblicazione: 30 Settembre 2016
Numero: 41
Data di udienza: 12 Luglio 2016
Presidente: Flaim
Estensore: Flaim


Premassima

* DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Sottotetti qualificati come vani tecnici non abitabili – Rilascio del titolo edilizio – Obbligo di sottoscrivere e trascrivere un vincolo di inedificabilità, a garanzia della permanenza della destinazione a vano tecnico  –  Illegittimità.



Massima

 

TAR VALLE D’AOSTA – 30 settembre 2016, n. 41


DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Sottotetti qualificati come vani tecnici non abitabili – Rilascio del titolo edilizio – Obbligo di sottoscrivere e trascrivere un vincolo di inedificabilità, a garanzia della permanenza della destinazione a vano tecnico  –  Illegittimità.

E’ illegittima la delibera  che, per i sottotetti qualificati come “vani tecnici non abitabili”, in sede di rilascio del titolo abilitativo edilizio (nella specie, in sanatoria),  prevede l’obbligo di sottoscrivere e trascrivere uno specifico “vincolo” di inedificabilità, finalizzato a garantire la permanenza della destinazione (solo) a vano tecnico. Non solo, infatti, nessuna fonte di rango primario contempla la possibilità di creare un simile vincolo/limite, a carico della proprietà, sotto forma di asservimento in favore dell’ente pubblico, ma l’amministrazione è altresì tenuta a valutare il progetto edilizio così come in concreto posto in essere, nella sua attualità, strutturazione e compatibilità con il Piano urbanistico, restando esclusa l’imposizione di vincoli “pro futuro”, riferiti ad utilizzi che “potrebbero” essere apportati e modificati in epoca successiva.

Pres. f.f. ed Est. Flaim – K. S.a.s. (avv.ti Macri’ e Cassella) c. Comune di Gressoney-La-Trinitè (avv. Saracco)


Allegato


Titolo Completo

TAR VALLE D’AOSTA – 30 settembre 2016, n. 41

SENTENZA

 

TAR VALLE D’AOSTA – 30 settembre 2016, n. 41

Pubblicato il 30/09/2016

N. 00041/2016 REG.PROV.COLL.
N. 00028/2014 REG.RIC
.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Valle D’Aosta

(Sezione Unica)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 28 del 2014, proposto da:
KNUBEL S.a.s. di Marta Squinobal & C., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati Mariacristina Macri’ C.F. MCRMCR66B66L219M, Fabrizio Cassella C.F. CSSFRZ63T29L219K, domiciliato ex art. 25 cpa presso Valle D’Aosta Segreteria T.A.R. in Aosta, via Cesare Battisti, 1;


contro

COMUNE DI GRESSONEY-LA-TRINITE’, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’avvocato Gianni Maria Saracco C.F. SRCGNM61C21F902W, domiciliato ex art. 25 cpa presso Valle D’Aosta Segreteria T.A.R. in Aosta, via Cesare Battisti, 1;

per l’annullamento

-del provvedimento protocollo n. 506, in data 3 febbraio 2014, a firma del Responsabile dell’Ufficio tecnico comunale, di RIGETTO DELLA DOMANDA DI CONCESSIONE EDILIZIA IN SANATORIA presentata il 10.6.2013;

– della deliberazione del Consiglio comunale di Gressoney -La Trinité n. 32 del 25 ottobre 2013, limitatamente ai punti 3 e 4, cioè nelle parti in cui richiede un “atto di vincolo” registrato e trascritto per vani sottotetto non abitabili (vani tecnici);

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Gressoney-La-Trinite’;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 12 luglio 2016 la dott.ssa Grazia Flaim e uditi per le parti i difensori avv.ti Cassella e Macrì per la società ricorrente e Saracco per il Comune di Gressoney-La-Trinité.

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

La controversia in esame si riferisce alla legittimità della costruzione di un “Rifugio di alta montagna”, denominato Oreste Hutte, collocato a 2.600 metri di altezza alle falde del Monte Rosa, realizzato secondo la tipica Architettura Walser (tutelata da legge regionale: L.R. 19/08/1998, n. 47

“Salvaguardia delle caratteristiche e tradizioni linguistiche e culturali delle popolazioni walser della valle del Lys”), in forza di concessione edilizia rilasciata originariamente nel 2004 e successiva variante del 2006 dal Comune di Gressoney-La-Trinité (d’ora in poi Gressoney o più semplicemente Comune).

In epoca più recente, nell’aprile e novembre 2009, sono seguite due Denunzie di Avvenuta Esecuzione di Opere.

In forza di tali titoli (nel loro complesso) la ricorrente ha potuto ottenere l’ “agibilità” parziale di tutti i piani del rifugio (2 oltre al seminterrato) , ad eccezione del sottotetto (la cui destinazione ed utilizzo è oggetto di preminente discussione e contestazione).

Peraltro si evidenzia, fin d’ora, che la realizzazione del “sottotetto”, nelle sue caratteristiche strutturali, risulta presente in tutti i titoli abilitativi. Il sottotetto è stato, cioè, realizzato in totale conformità. La questione si pone in ordine alla sua “destinazione” ed in particolare al suo eventuale e/o potenziale utilizzo abitativo (dormitorio).

La sanatoria, oggetto della controversia, richiesta dalla società nel 2013, ha per oggetto talune opere modificative apportate in corso d’opera e suscettibili di valutazione proprio in sede di “accertamento di conformità” (compatibilità sostanziale alle previsioni edilizie-urbanistiche).

In particolare la ricorrente avendo realizzato alcune modifiche rispetto al progetto approvato, ha provveduto a presentare (nel 2013) istanza per ottenere la concessione in sanatoria al fine di vedersi riconosciuta la conformità integrale delle opere così come eseguite.

La domanda di concessione in sanatoria presentata per le opere in parziale difformità realizzate nel Rifugio è stata però rigettata dal Comune, nel 2014, con il provvedimento impugnato, previo parere negativo della Commissione edilizia.

Le motivazioni poste a base del provvedimento negativo sono molteplici (6):

A)mancanza di un “atto di vincolo” trascritto a favore del Comune che attesti la destinazione “non abitabile” del SOTTOTETTO, con sua cristallizzazione (pro futuro) come “vano tecnico”, sebbene superiore, in altezza, al limite di 1.80, in applicazione della delibera del C.C. n. 32/2013;

B)il piano SEMINTERRATO non sarebbe tale, in considerazione della sussistente sporgenza fuori terra oltre il limite di altezza massimo ( 1 metro, all’intradosso della soletta di copertura);

C) l’ ACCESSO a vista carrabile del SEMINTERRATO non rispetterebbe il limite massimo di larghezza di 4 metri;

D) il SEMINTERRATO non potrebbe ospitare locali di tipo “A1” (dormitori);

E)LA BARACCA E LA TELEFERICA sono opere da smantellare in quanto correlate ad esigenze temporanee di cantiere;

F)mancata produzione della TITOLARITÀ per alcune aree ove sono state realizzate parte delle opere, anche ai fini della verifica del rispetto delle distanze dai confini.

La CEC riteneva, invece, conformi i due seguenti profili:

^il locale accessorio (deposito) rispetta le distanze in quanto realizzato in aderenza;

^risulta ininfluente l’adozione della variante generale, in quanto la domanda di sanatoria è stata presentata antecedentemente.

Dunque le contestazioni dell’Amministrazione si riferiscono, per quanto riguarda la costruzione principale, essenzialmente, all’esistenza di un “sottotetto” e di un “seminterrato” ritenuti non rispettosi di misure e di utilizzi (destinazioni).

I due piani (principali) sono stati invece ritenuti ammissibili e conformi dalla stessa Amministrazione comunale (in precedenza anche questi erano stati coinvolti, in particolare in sede di procedimento penale che era stato aperto per violazione delle norme edilizie).

^^^

Con ricorso notificato e depositato nell’aprile-maggio 2014 la società Knubel impugnava il provvedimento negativo (rigetto di sanatoria/accertamento di conformità), formulando le seguenti censure:

1)incoerenza, contraddittorietà delle valutazioni, violazione di legge per le parti a contenuto vincolato del provvedimento; eccesso di potere per le altre parti, incoerenza con le già rilasciate concessioni e con l’esito positivo delle verifiche svolte, erronea valutazione dei fatti presupposti, contraddittorietà dell’azione amministrativa e sviamento di potere;

2)violazione dell’art. 60 bis comma 3 della LR n. 11/1998 – omesso rispetto del termine di 20 giorni per la comunicazione al privato del responsabile del procedimento e della formulazione delle richieste alle altre Amministrazioni (nel caso di specie la ASL), scaduto l’1.7.2013; l’atto, pur se datato 1 luglio, è stato consegnato solo il giorno successivo, il 2.7;

3)rigetto della domanda di sanatoria anziché richiesta di integrazione documentale – l’onere che impone la delibera del C.C. (atto di vincolo), per il sottotetto (per garantire la futura inabitabilità), non è previsto da alcuna disposizione legislativa ed è eccessivamente oneroso oltre che inutile – adempimento richiesto ma privo di supporto normativo – il sottotetto è solo un <volume tecnico>, privo di autonomia funzionale e destinato esclusivamente a contenere impianti – atto vincolato e dovuto della concessione in sanatoria;

4) i lavori di costruzione del seminterrato sono avvenuti in conformità al progetto approvato e sono stati realizzati sulla scorta della concessione edilizia; la struttura del Rifugio, nello stato di fatto in cui si trova, è stata già oggetto di accertamento in sede penale conclusosi con la sentenza di assoluzione 1/4/2014 del Tribunale di Aosta – lo spigolo del seminterrato risulta scoperto per un’altezza inferiore ad 1,00 metro rispetto all’intradosso della soletta per cui rientra nei limiti previsti dall’art. 25 come modificato nel 2004 (non essendo più applicabile il pregresso inferiore limite di 60 cm.);

5) il seminterrato presenta delle aperture verso l’esterno che rispecchiano quanto presentato nei titoli concessori sopra menzionati, soprattutto per quanto attiene l’ampiezza del fronte – inapplicabilità dell’ art. 25 lettera F paragrafo 16 delle Norme Edilizie, essendo la costruzione raggiungibile solo tramite sentieri (e non tramite strade carrabili) – disciplina della larghezza del “passo carrabile” non applicabile per una struttura che non è accessibile da automezzi ordinari – apertura realizzata come da progetto approvato – un passo carrabile, in senso classico, non può, nel caso di specie, oggettivamente esistere;

6) il seminterrato può ospitare locali di tipo A1 (dormitori) in considerazione del vigente Regolamento Regionale n. 2 del 21 marzo 1997 che non preclude l’uso del seminterrato per la sistemazioni di locali-dormitori, purché nel rispetto delle norme igienico sanitarie ivi stabilite – la disposizione che l’Amministrazione intende applicare al caso di specie, l’art. 66 delle Norme edilizie, rinvia alla classificazione dei locali di abitazione di cui all’art. 55: i locali A1 (di cui l’art. 66 vieta l’inclusione nei seminterrati) sono le “camere per soggiorno, pranzo e letto, cucine, posti in <edifici di abitazione>, sia individuale che collettiva” – la disposizione fa quindi evidente riferimento alle <civili abitazioni ed agli alberghi> e non è applicabile ai Rifugi alpini– inoltre l’art. 25 paragrafo 11 delle stesse Norme contraddice il disposto dell’art. 66 in quanto prevede il conteggio nei seminterrati, ai fini dei volumi edificabili, “di tutto il volume lordo relativo alle sole parti eventualmente contenenti locali di tipo A1 …” – il Rifugio, con le relative destinazioni d’uso, comunque, è stato sottoposto a verifica delle condizioni igienico sanitarie da parte del servizio sanitario regionale con esito positivo – inoltre la presenza delle stanze destinate a rifugio invernale nel seminterrato era già nota all’Amministrazione dal 2004 – in sostanza la destinazione del seminterrato (dormitorio) è ammessa in considerazione della specifica “natura” della struttura – la L.R. n. 11/1996 recante la disciplina delle strutture ricettive “extra-alberghiere”, all’art. 9 lett. g) individua, tra i requisiti tecnici che i <rifugi alpini> “devono avere”, “un locale invernale con sommaria attrezzatura per cucina ad uso autonomo” – e tale ricovero deve essere <liberamente accessibile dall’esterno> (distinti quindi dagli ordinari accessi al corpo di fabbrica principale) tutti i giorni dell’anno (cioè indipendentemente dalla presenza dei gestori/proprietari in loco) – assoluta peculiarietà della struttura “Rifugio alpino” rispetto alle ordinarie costruzioni abitative e/o alberghiere o pseudo alberghiere;

7) le opere di cantiere sono provvisorie o funzionali ad esso e non hanno carattere permanente (la baracca era destinata al ricovero delle attrezzature di cantiere e del personale addetto alla costruzione del Rifugio) e, come tali, sono state realizzate solo per esigenze transitorie – sono state mantenute per l’esigenza di proseguire con alcune attività edilizie necessarie al miglioramento/completamento della fruibilità del Rifugio (interventi riguardanti il sottotetto, il seminterrato nonché il locale accessorio destinato a deposito) – al termine e a conclusione dei lavori tutte le opere (baracca di cantiere e teleferica) saranno rimosse così come concordato anche con il Servizio Tutela del Paesaggio dell’Assessorato regionale Istruzione e Cultura – del resto queste opere non erano oggetto di richiesta di concessione edilizia sia iniziale che in sanatoria, in quanto facenti parte delle opere provvisorie necessarie solo per la costruzione del Rifugio – non essendo mai stata rivolta istanza di sanatoria al Comune in merito a queste opere di cantiere, qualsiasi considerazione relativa contenuta nel provvedimento di diniego impugnato è ininfluente, in quanto non pertinente rispetto all’istanza, e quindi non può entrare a far parte di idonea motivazione a sostegno del pronunciato diniego;

8) la ricorrente ha la disponibilità di tutte le aree da parte dell’allora proprietario, Sig. Fabrizio Martinengo, con l’accordo di provvedere in un secondo tempo al trasferimento della proprietà (cfr. testimonianza in sede penale di Martinengo) – il lotto di terreno è di diversi ettari – il frazionamento è stato compiuto dopo la costruzione – in ogni caso il 18 marzo 2014 gli interessati, con atto del Notaio Favre Giovanni di Donnas, hanno provveduto a regolarizzare sia gli aspetti di proprietà, sia quelli di deroga dalle distanze dai rispettivi confini;

9) per quanto concerne la centralina idroelettrica, il Rifugio è alimentato da un impianto costituito da uno sbarramento con relativo pozzetto di carico, da una condotta forzata e da una centralina realizzata all’interno di un vano tecnico, non abitabile, situato alla distanza di circa 250 metri a valle del Rifugio – tutto l’impianto era già stato inserito nell’ambito della concessione edilizia originale del 2004 e poi ribadito nella variante del 2006, come risulta dalla nota del Segretario comunale prot. n.7489 del 14 dicembre 2010 – l’impianto è funzionante dal 2008 ed è ammissibile ai sensi del P.R.G.C. e del relativo regolamento edilizio; la realizzazione dell’impianto è stata, inoltre, considerata compatibile con le esigenze di Tutela ambientale e paesaggistica – il fabbricato destinato a contenere la centralina non è stato completamente interrato (allo stato necessita solo di ricoprimento con terra) – la verifica di concedibilità della sanatoria deve essere svolta in riferimento allo stato di fatto risultante all’atto della relativa richiesta: non rileva pertanto se sia o meno ultimata – così come è, risulta l’opera risulta conforme agli strumenti urbanistici ed edilizi vigenti;

10)contraddittorietà del provvedimento che ritiene, da un lato, non sanabili le modifiche e, dall’altro, ritiene invece la costruzione (per altri aspetti) legittima.

In ricorso è stata inoltre formulata in ricorso richiesta di risarcimento per i danni procurati alla ricorrente con l’emanazione di provvedimenti (illegittimi) impugnati, nella misura da liquidarsi in via equitativa, comunque non inferiore ad € 10.000,00, a ristoro dei disagi che ha comportato affrontare la situazione causata dall’illegittima e perseverante adozione dei provvedimenti avversati.

Si è costituito il Comune chiedendo il rigetto del ricorso che ha gravato il provvedimento di rigetto della sanatoria, ritenendo fondati tutti gli elementi fattuali-progettuali individuati in sede di disconoscimento della conformità. La difesa comunale ha anche sollevato eccezione di inammissibilità dell’impugnazione in relazione alla delibera del C.C. 32/2013 , di natura meramente “interpretativa” della norma regolamentare, per ritenuta carenza di interesse.

E’ stata prodotta dalle parti ampia documentazione di tipo tecnico-amministrativo, nonché memorie, repliche e contro-repliche.

La causa è stata esaminata in 5 diverse udienze, essendo emerse ulteriori necessità istruttorie di natura tecnica, con imprescindibile acquisizione di verificazioni per l’acquisizione di misure nonché descrizione della conformazione dei locali così come effettivamente realizzati e destinazione ad essi impressa.

Conseguentemente sono state emesse dal Tar 4 Ordinanze Collegiali Istruttorie, per la rilevazione dello stato di fatto e per l’esecuzione di specifiche misurazioni, con verificazioni estese a diverse parti della costruzione, in contraddittorio fra le parti.

A causa della iniziale insufficienza dell’attività resa (da parte del tecnico comunale) con la prima disposta rilevazione/verificazione, il Collegio ha rinnovato e precisato le richieste istruttorie.

In sintesi:

-la prima OCI, n. 75 del 13.11.2014, è stata emessa per acquisire documenti e una relazione in ordine alla conformità dell’immobile alla concessione edilizia n. 1829 del 10.6.2004 e successiva variante n. 2034 del 9.5.2006;

-la seconda, n. 57 del 8.8.2015, per la rinnovazione della richiesta relazione, con particolare riguardo alla misurazione dell’altezza del seminterrato;

-la terza, n. 99 del 16.12.2015, ha disposto l’ assegnazione di un nuovo termine di 30 giorni per consentire l’ultimazione delle misurazioni ritenute necessarie con la precedente OCI;

-la quarta, n. 21 del 10/05/2016, ha ribadito sostanzialmente la necessità di acquisire anche le misure interne (con rigetto dell’istanza di “revoca”, avanzata dalla difesa della ricorrente, dell’ordinanza collegiale n. 99/2015, con conferma degli incombenti disposti con tale OCI ).

In sostanza in adempimento degli incombenti richiesti, una prima relazione è stata depositata dall’Amministrazione il 12.1.2015; ma questa è stata ritenuta dal giudice (nella seconda ordinanza) non rispondente e non sufficiente rispetto agli elementi richiesti con la prima OCI 75/2014.

E’ stata quindi disposta, con la seconda OCI 57/2015, l’acquisizione di una nuova “Relazione integrativa”, ribadendo la necessità di effettuare la misurazione dell’altezza del seminterrato rispetto al piano di campagna (fuori terra).

Tale misurazione (sporgenza seminterrato) è stata compiuta da uno specialista esterno (al quale il Comune e la parte ricorrente hanno affidato l’incombente –a causa della mancanza di un tecnico interno comunale disponibile-)

Conclusivamente è stata redatta e depositata, il 10.6.2016, “Relazione finale” a cura del tecnico comunale, ove si sostiene, in sintesi, che:

-la sanatoria presentata risulta pressoché uguale al rilievo effettuato;

-per la CONCESSIONE ORIGINARIA del 1829/2004 il “SOTTOTETTO” è così costituito: per una parte esso costituisce un soppalco per ogni camera, per consentire il ricavo di un terzo posto letto (complessivamente le camere sono 6, a tre posti); per altra parte è costituito da una camera a 3 letti; ad uso comune è stato realizzato un bagno e un locale per armadietti; infine vi è poi un altro locale privo di destinazione d’uso;

-sempre per la CONCESSIONE ORIGINARIA n. 1829 del 2004 nel SEMINTERRATO venivano previste 2 camerate da 6 posti oltre che bagni, lavanderia ed altri accessori;

-con la concessione edilizia in variante n. 2034 del 2006 sono state essenzialmente ammesse alcune piccole modifiche delle superfici, in ampliamento.

Per quanto riguarda le modifiche rilevate (rispetto alla concessione e variante) il tecnico incaricato (con evidenziazione in rosso) ha rilevato, per quanto riguarda i profili qui contestati, che:

°)le 6 camere realizzate al piano superiore (cioè 1° piano) hanno ora 2 posti anziché 3 (con riduzione per un totale di 12 posti anziché 18), con eliminazione dei correlati soppalchi nel sottotetto;

°)AL PIANO SOTTOTETTO NON RISULTANO INDICATE LE PREVISTE CAMERE della variante, né i servizi igienici né il locale armadietti; negli allegati alla domanda di sanatoria non risultano indicate le destinazioni del sottotetto;

°)per il SEMINTERRATO, oltre ad alcune rilevazioni di superfici lievemente maggiori per lavanderia e deposito e altri accessori, è stata rilevata UN’ ALTRA CAMERA E UNA SALA COMUNE; intorno i muri perimetrali ingrandimento di un deposito già previsto e realizzazione di uno nuovo;

°) l’ ACCESSO per i mezzi sgombraneve, già previsto in concessione edilizia, risulta ampliato (da 8.20 a 10.27).

Sono seguite considerazioni da parte delle rispettive contrapposte difese.

All’udienza del 12 luglio 2016 la causa è stata trattenuta in discussione.

DIRITTO

Si premette che in ordine ai fatti di causa (presunte violazioni edilizie) i due committenti (Marta ed Emil Squinobal, soci della Società Knubel a.s., odierna ricorrente), il progettista nonchè l’esecutore dei lavori sono stati tutti assolti dal Tribunale di Aosta con sentenza penale del 1.4.2014 (imputati per violazioni art. 44 lett. c) DPR 380/2001 e art. 181 d.lgs. 42/2004), successivamente all’emanazione del provvedimento di rigetto qui impugnato (del 3 febbraio 2014).

Erano state, in quella sede, loro contestate le seguenti violazioni urbanistiche:

-richiesta di rilascio del permesso di costruire in mancanza di titolo di proprietà;

-avvio dei lavori oltre l’anno dal permesso di costruire;

-realizzazione di quattro piani in luogo dei due previsti dal progetto;

-realizzazione di un fabbricato in legno non previsto dal progetto (baracca attrezzi);

-installazione di una teleferica, pannelli solari e realizzazione di uno sbarramento.

Il procedimento penale si è concluso perché il fatto non costituisce reato in relazione alle irregolarità emerse ai piani seminterrato e sottotetto, e perché il fatto non sussiste con riferimento alle restanti censure.

In particolare il Tribunale penale di Aosta:

-ha assolto gli imputati perché il fatto non costituisce reato in relazione alle irregolarità contestate inerenti i piani seminterrato e sottotetto;

-ha accertato che il fatto non sussiste in riferimento alle restanti censure;

-ha dichiarato il non doversi procedere nei confronti degli imputati per intervenuto accertamento di compatibilità paesaggistica delle opere eseguite, in relazione all’art. 181 D.Lgs. 42/2004.

A tale conclusione il Tribunale perveniva dopo aver disposto e acquisito specifiche rilevazioni e misurazioni, alla luce, cioè, della concreta analisi dello stato di fatto (vedasi Relazione del tecnico comunale per la Procura).

Risulta, inoltre, che in riferimento al rilascio della concessione in sanatoria hanno dato parere favorevole al:

– nel 2011 la Direzione foreste della Regione;

– nel 2013 la Direzione tutela beni paesaggistici della Regione.

Tali elementi (sentenza penale, benchè la difesa del Comune affermi essere stata oggetto di appello) era opportuno ed utile richiamare per fornire un quadro d’insieme della vicenda edilizia e delineare complessivamente gli effetti che si sono maturati a seguito della realizzazione del Rifugio alpino.

In questa sede di giudizio amministrativo, le questioni si concentrano, principalmente, nella verifica di ammissibilità della sanatoria per il “sottotetto” e per il “seminterrato” (essendo, per il resto, i profili sollevati inidonei, come si vedrà, a sostenere il rigetto della sanatoria).

Infatti teleferica e baracca attrezzi non costituivano neppure oggetto di sanatoria, trattandosi di opere, come ammesso dalla stessa parte ricorrente, provvisorie e funzionali all’esistenza del cantiere di costruzione del Rifugio alpino (la prima indispensabile e necessaria per poter accedere con i materiali in alta montagna); opere che dunque non permarranno e verranno pacificamente smantellate. In ogni caso si evidenzia che queste non sono contemplate nel procedimento de quo, con conseguente assoluta irrilevanza giuridica, non essendo per queste stata richiesta una legittimazione alla conservazione duratura, pro futuro.

L’oggetto del contendere va quindi delimitato, in ordine alla sussistenza dei presupposti per poter riconoscere l’ <accertamento di conformità>, alla parte delle opere effettivamente realizzata (sostanzialmente e principalmente riferite al “sottotetto” e “seminterrato”) in modo integrato e stabilizzato nella costruzione, e che sono poste ad oggetto della specifica istanza di sanatoria.

La finalità del privato costruttore è, dunque, quella di legittimare, con titolo, le modifiche apportate in sede costruttiva (variazione alla concessione edilizia-permesso di costruire), mantenendole e conservandole.

La procedura in esame si svolge, cioè, nell’ambito della peculiare disciplina prevista dall’art. 13 della L. 28.2.1985 n. 47, poi confluito nell’art. 36 d.P.R. 6.6.2001 n. 380, finalizzata a <sanare> le opere che sono solo “formalmente” abusive, in quanto eseguite senza il previo rilascio del titolo, ma che debbono essere conformi, nella sostanza, alla disciplina urbanistica applicabile e vigente sia al momento della loro realizzazione che al momento della presentazione dell’istanza di sanatoria (c.d. doppia conformità).

Il Comune di Gressoney le ha ritenute non compatibili, in quanto considerate non conformi al proprio strumento urbanistico, il quale, peraltro, non risulta essere stato adeguato al Regolamento regionale n. 2/1997 (che lo imponeva entro 3 anni), contenente, tra gli altri, i “Requisiti minimi igienico-sanitari dei Rifugi alpini”, in applicazione della LR 29 maggio 1996, n. 11, riferita alla Disciplina delle strutture <ricettive extralberghiere>, art. 30.

***

La controversia inerisce alla realizzazione di un Rifugio di alta montagna, ritenuto, per alcune parti (sottotetto e seminterrato), non compatibile con la disciplina urbanistica.

E’ stata rilasciata la concessione n. 1829 del 10.6.2004 e variante n. 2034 del 9.5.2006 con destinazione “Rifugio alpino” in loc. Z’Indren (Monte Rosa), ad oltre 2.600 metri di altezza, in Comune Gressoney-La Trinité.

Ancor prima la G.R. aveva espresso, il 2.2.2004, il parere favorevole di compatibilità ambientale.

Verifica positiva, in termini di VIA, è stata espressa dal Comune.

Erano stati stabiliti 60 mesi per la costruzione dell’opera (12 per il suo inizio).

E’ stata realizzata da Knubel una costruzione, tipicamente alpina, nel rispetto della tradizione dell’architettura “Walser” (peculiare della zona), finalizzata ad ospitare gli alpinisti che svolgono escursioni di media ed alta quota, in un luogo dove non vi sono vie di accesso (si afferma in atti che la realizzazione di una eventuale strada sarebbe stata ritenuta soluzione non congrua , dovendosi privilegiare l’accesso tramite elicottero).

I materiali impiegati (in prevalenza legno) sono stati utilizzati nel rispetto della concessione e delle caratteristiche del posto, in considerazione della peculiare localizzazione, nel rispetto della natura e con autosufficienza energetica (pannelli solari).

Si afferma in ricorso che l’ attività per la realizzazione del Rifugio ha richiesto 3 anni di lavoro, (con accesso tramite sentieri, ex itinerari di alpeggio), direttamente compiuta dalla famiglia Squinobal; la costruzione è stata poi dedicato alla memoria di Oreste Squinobal (importante scalatore).

Il Rifugio si compone in un fabbricato “principale”, dedicato all’attività ricettiva, strutturato su più piani (2 piani fuori terra):

piano terra e piano primo; sottotetto e seminterrato; nonché locale deposito.

Sono state inoltre realizzate le opere impiantistiche pertinenziali (centralina idroelettrica, situata a 250 m. dal rifugio, pannelli solari, locale tecnico,…) necessarie per rendere concretamente realizzabile, fruibile ed agibile il Rifugio.

La consistenza, tipologia e destinazione dell’opera edilizia, nel suo complesso (parte legittima e parte da legittimare), oggetto dell’accertamento di conformità, è la seguente:

* al piano terra: sala pranzo, office, cucina, dispensa, terrazzo;

* al primo piano: 6 camere con bagno, 2 camerate, 2 servizi, deposito;

* al piano interrato: 3 camere, 2 bagni, spogliatoio, vano caldaia, lavanderia, dispensa;

*sottotetto: vano tecnico.

In ordine alla realizzazione, in concreto, del piano terra e del primo piano non sussistono contestazioni (stante la conformità con i titolo abilitativi rilasciati).

Nel 2009 è stata rilasciata dal Comune l’agibilità parziale (cfr. doc. 7 Comune) con riconoscimento, per quella parte ritenuta coerente, della conformità della struttura.

Le contestazioni, che hanno rappresentato elementi impeditivi, si concentrano nella conformazione e destinazione del sottotetto e del seminterrato.

***

Si ritiene, innanzitutto, di poter prescindere dall’analisi degli aspetti tipicamente procedimentali sollevati inizialmente in giudizio (tempistica nella comunicazione del soggetto Responsabile del procedimento entro 20 gg., con effettiva e reale conoscenza della parte privata entro il termine ordinatorio, oggetto del primo motivo di ricorso), essendo il ricorso fondato nel merito.

Priorità occorre dare, quindi, in questo specifico contesto alla disamina delle censure sostanziali, in quanto solo il loro accoglimento garantiscono alla ricorrente il conseguimento reale del bene della vita (legittimazione del fabbricato alpino così come effettivamente realizzato).

La situazione di fatto è stata descritta dal tecnico verificatore incaricato dal Tar, con redazione della Relazione finale e produzione di abbondante documentazione fotografica, depositata in giudizio il 10 giugno 2016, in prossimità dell’udienza di merito.

Il succedersi degli atti e provvedimenti è il seguente.

Le opere sono state eseguite dalla società costruttrice, per limitate parti, in “parziale difformità”.

La ricorrente presentava quindi domanda di concessione edilizia in sanatoria il 10.6.2013.

Il Comune, istruita la pratica, dopo i rilievi mossi dalla Commissione edilizia il 30.1.2014, decideva di rigettarla con il provvedimento del 3.2.2014.

Le questioni oggetto del provvedimento di diniego di sanatoria sono essenzialmente e sinteticamente le seguenti (le altre minime difformità rilevate non sono state ritenute ostative):

A)SOTTOTETTO, in particolare in riferimento alla “garanzia” della sua destinazione come “non abitabile”, con richiesta di specifico <atto di vincolo> contenente l’ impegno alla futura inedificabilità trascritto in favore del Comune;

B)SEMINTERRATO nei suoi tre profili: B1 emergenza dal terreno; B2 apertura verso l’esterno; B3 destinazione parziale a dormitori per ricovero invernale (locali di tipo A1); l’ utilizzo abitativo non consentirebbe di qualificarlo e considerarlo come seminterrato;

C)APPRESTAMENTI DI CANTIERE da smantellare (baracca in legno e teleferica);

D)DISPONIBILITA’ DEL TERRENO (titolarità di altri soggetti di aree sulle quali si è edificato);

E)realizzazione di una CENTRALINA IDROELETTRICA.

Assumono rilevanza essenziale, come si vedrà, i primi due profili (A-B) inerenti, da un lato, alla “destinazione” del <sottotetto> e, dall’altro, le caratterizzazioni nonché le modalità di utilizzo del <seminterrato>.

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A)SOTTOTETTO.

Per la disciplina urbanistica (art. 25) i sottotetti sono da considerarsi neutri se “non abitabili”; i sottotetti “abitabili” fanno volume se superiori di altezza alla soletta o puntone di 1.80.

La prima contestazione (inerente il SOTTOTETTO) verte essenzialmente sulla applicazione della delibera del Consiglio comunale di Gressoney n. 32/2013 (anch’essa impugnata) di “interpretazione autentica” dell’art. 25 delle Norme edilizie – regolamento edilizio comunale rubricato “Applicazione degli indici e parametri urbanistici”, nella parte in cui richiede alla ricorrente la sottoscrizione di un ATTO DI VINCOLO DEL SOTTOTETTO , REGISTRATO E TRASCRITTO nel pubblico registro a cura del Comune e spese dei proprietari dell’immobile.

Tale vincolo dovrebbe garantire la sostanziale “inabitabilità” dei locali posti all’ultimo piano dell’edificio, con mantenimento attuale e futura della destinazione a “vano tecnico” (dello spazio sottotetto avente una altezza maggiore di 1.80).

Parte ricorrente ritiene che tale “onere” –che condizionerebbe il rilascio della concessione, qui in sanatoria- non essendo previsto da alcuna disposizione legislativa ed essendo irragionevolmente oneroso (oltre che inutile rispetto a finalità che non sarebbero state individuate nella delibera istitutiva) andrebbe considerato illegittimo e non suscettibile di applicazione.

In sostanza l’Amministrazione comunale ha accertato, da un lato, che lo stato di fatto delle caratteristiche del “sottotetto” è effettivamente tale da qualificarlo come mero <volume tecnico> (interpretazione autentica che il Consiglio comunale ha fornito dell’art. 25 lett. D punti 8, 10 e 11 e lett. F punto 15 delle Norme edilizie). Ma, dall’altro, ha ritenuto che il rilascio della sanatoria non potrebbe avvenire se non previa sottoscrizione di un “atto di vincolo”, per assicurare, anche per il futuro, la “non abitabilità” dei locali posti all’ultimo piano (sottotetto).

Parte ricorrente sostiene, invece, che il sottotetto sarebbe già privo, allo stato attuale, di propria autonomia funzionale (anche per effetto della geometria del tetto); e tale caratterizzazione verrebbe conservata anche pro futuro; tale parte dell’edificio può e potrà essere esclusivamente destinata a contenere impianti serventi alla costruzione principale (senza altre potenzialità, in particolare abitative).

In risposta alle contrapposte tesi formulate va, preliminarmente, respinta l’eccezione di inammissibilità, per carenza di interesse, sollevata dalla difesa del Comune per quanto concerne l’ impugnazione rivolta contro la delibera del CC 32/2013 di “interpretazione autentica” della norma regolamentare di Piano comunale. Sussiste, infatti, pieno interesse in capo alla ricorrente a veder disconosciuta l’applicabilità e l’efficacia della disposizione generale (rispetto alla quale il rigetto assume valenza applicativa), che ha individuato, quale elemento necessario ed imprescindibile, avente ruolo di <garanzia> (specie pro futuro), l’obbligo di sottoscrivere e trascrivere uno specifico “vincolo” di inedificabilità del sottotetto, finalizzato a garantire la permanenza della sua destinazione (solo) a “vano tecnico”.

Il Collegio sul punto ritiene, in primo luogo, che:

-nella domanda di sanatoria (a differenza delle precedenti concessioni) NON è prevista la realizzazione di camere nel sottotetto (cfr. relazione espletata dal tecnico in base ad OCI);

– è stato posto a carico della ricorrente un onere (atto di vincolo limitativo della proprietà) NON previsto da alcuna disposizione legislativa.

In secondo luogo va evidenziato che la delibera del C.C. n. 32/2013, di mera “interpretazione autentica”, prevede (per la prima volta, e, in realtà, ad “integrazione” delle disposizioni comunali) che, per i sottotetti qualificati come “vani TECNICI non abitabili”, debba essere costituito un “atto di vincolo, trascritto”, in favore del Comune.

L’onere imposto dalla delibera impugnata del 2013 viene stabilito a carico degli interessati (esplicitamente) in termini di “opportunità” e in sede “interpretativa”, con una previsione che ne condiziona però il rilascio della concessione (in questo caso in sanatoria).

Ma nessuna “fonte” di rango primario contempla la possibilità di creare un simile vincolo/limite, a carico della proprietà, sotto forma di asservimento in favore dell’ente pubblico. Il Comune lo ha definito, in via generale, nel 2013, in sede di “interpretazione autentica” dell’art. 25 NTA (in realtà apportando nella sostanza una vera e propria integrazione), ritenendo tale passaggio <opportuno> per garantire, sostanzialmente, e pro futuro, il mantenimento del sottotetto come “vano tecnico” non abitabile.

Ma l’Amministrazione, in sede di rilascio del titolo abilitativo, è tenuta a valutare il progetto edilizio (e nel caso di specie quello che riporta le modifiche, avvenute in corso d’opera ed effettivamente realizzate, rispetto a concessione e variante) così come in concreto posto in essere, nella sua strutturazione e compatibilità con il Piano urbanistico. Il parametro di riferimento deve essere, dunque, l’analisi dell’opera “attuale”, con dimensioni e destinazioni.

Non è legittimo applicare (e a monte disporre) un adempimento “aggiuntivo”, benchè in via interpretativa (ma in realtà con valenza palesemente “integrativa”) e non emergente dalle disposizioni pianificatorie comunali (e tanto meno dalle disposizioni di legge).

L’analisi di compatibilità deve esplicarsi in base alla normativa, che nel caso di specie, <ammette> espressamente la possibile esistenza di “vani tecnici-sottotetti” anche con altezza maggiore di 1.80, senza che sia necessario acquisire un vincolo sulla proprietà.

L’immobile non può subire modificazioni e/o pesi giuridici “creati” dall’ente, vincolanti sotto l’aspetto petitorio, e privi dei necessari supporti normativi.

Non possono essere imposti dal Comune vincoli “pro futuro”, riferiti ad utilizzi che “potrebbero” essere apportati e modificati in epoca successiva.

E la mancanza di tale “peso” non può costituire “ostacolo” alla legittimazione di quanto realizzato ed effettivamente riscontrabile nel presente.

La verifica della sussistenza dei presupposti per il rilascio della sanatoria deve dunque rapportarsi e correlarsi allo stato di fatto descritto nel progetto (finalizzato ad ottenere l’ accertamento di conformità) e che rappresenta e rispecchia le effettive opere edilizie realizzate.

In sostanza, ed in conclusione in ordine a tale primo profilo, trattandosi di prescrizione “ideata” da parte del Comune in sede di valutazione, in termini esplicitati di mera <opportunità>, (al fine di creare una forma di “stabilità”, anche futura, della destinazione, con conservazione del “vano tecnico”), il vincolo imposto dalla delibera C.C. interpretativa n. 32/2013 ( riferito all’art. 25 delle NTA), nonchè dal provvedimento di rigetto di sanatoria impugnato, che ne ha recepito la valenza facendone espressa applicazione, va qualificato illegittimo e non conforme alla normativa.

Con esso il Comune pone a carico dell’interessato un onere che espande i propri effetti in modo invasivo e che richiede un’ azione non correlata allo “stato di fatto, attuale”, dell’immobile (così come oggetto di esame della sanatoria), ma coinvolge comportamenti/adempimenti/inadempimenti “futuri” che “potrebbero” essere assunti in via del tutto eventuale.

Il mantenimento della destinazione a “vano tecnico”–intrasformabilità ad uso abitativo del sottotetto, anche senza opere, non può essere vincolata/sanzionata dall’Amministrazione in via anticipata, limitando e comprimendo azioni allo stato non compiute.

Il Comune è, quindi, tenuto, in sede di accertamento di conformità, ad analizzare la presenza di tutti i presupposti per ritenere se quanto è stato “effettivamente realizzato” (così come descritto nel progetto di sanatoria) sia conforme o meno allo strumento urbanistico.

Con valutazione dello “stato attuale” (e non ipotesi future, del tutto eventuali), senza poter imporre ulteriori adempimenti/limiti, trattandosi, quello della doppia conformità, di un procedimento volto alla legittimazione di quanto effettivamente (già) compiuto e realizzato, sulla base dei titoli abilitativi ( concessione edilizia originaria, variante, denunzie), nonché delle ulteriori modifiche apportate in corso d’opera.

Tale vincolo, richiesto dal Comune, è stato concepito (in autonomia, senza alcuno specifico supporto normativo) come elemento limitativo pro futuro dell’attività del costruttore-proprietario-gestore; ma tale “peso/onere”, che peraltro si riferisce ad attività del tutto eventuali e solo ipotizzate, incide in modo illegittimo sulla proprietà, richiedendo la creazione di un rapporto obbligatorio senza termine, propter rem.

E’ stato imposto dal C.C. in sede di mera “interpretazione autentica” delle NTA, le quali non contengono alcuna previsione di tale impronta:

non sussiste nelle norme tecniche, costituente “fonte” della disciplina edilizia (con l’adozione della specifica e peculiare procedura e sviluppo) la possibilità di vincolare “pro futuro” la costruzione realizzata tecnicamente come “sottotetto non abitabile” (non avente cioè destinazione abitativa), esplicante solamente funzioni tecniche/pertinenziali.

Come si evince dalla relazione-verificazione (depositata nel giugno 2016, disposta in questo giudizio con OCI) in riferimento alla “richiesta di sanatoria”, al piano sottotetto NON risultano indicate né le camere, né i servizi igienici né il locale armadietti (che invece erano stati previsti dai titoli abilitativi). Ne consegue che gli spazi ricavati nel sottotetto non sono stati previsti con destinazione dormitori, ma queste superfici sono (e verranno realizzati) meri “vani tecnici” (come ampiamente ammesso e affermato in giudizio), dunque non utilizzabili a fini abitativi.

La società ha, dunque, titolo per vedersi legittimata questa parte della costruzione (sottotetto) come vano tecnico.

Permane in capo alla proprietà, solo qualora la futura disciplina urbanistica venisse variata, di ammettere e consentire eventuali utilizzi diversi (possibilità/potenzialità). Tale elemento, invece, risulterebbe precluso in caso di stipulazione di un atto di vincolo (indefinito nel tempo).

Legittimamente parte ricorrente ha insistito nel non voler sottoporsi alla richiesta imposta dal Comune (trascrizione di un vincolo), concernente limitazioni attinenti attività “future” (e non attuali).

Con un parallelismo di tipologie sarebbe come l’Amministrazione richiedesse l’impegno, nell’ambito di una costruzione a due piani, di non realizzare un terzo piano (in una zona dove sono ammesse solo costruzioni bilivelli).

La concessione sarebbe condizionata e subordinata, secondo la P.A., ad un vincolo (a non realizzare un terzo piano, in quel momento non ammesso dal PRG) che sarebbe ingiustificato e improprio. Anche perché, qualora vi fosse una successiva modifica ampliativa del Regolamento comunale, tale da consentire la realizzazione di un nuovo (terzo) piano, la proprietà non dovrebbe subìre effetti limitativi o escludenti a causa dell’imposto vincolo, sussistendo, invece, la possibilità (nuova) di sviluppo in altezza, con la facoltà di realizzare un ulteriore piano.

In definitiva, in relazione a questo secondo aspetto, con la delibera del CC 32/2013, reputata erroneamente interpretativa (e attuata con il provvedimento di rigetto impugnato), è stato in realtà introdotto un elemento assolutamente nuovo, impeditivo al rilascio del titolo.

Nessun vincolo poteva essere richiesto per limitare le future attività (inerenti la destinazione ed utilizzo dello spazio sottotetto).

Infine, per completezza, merita effettuare un cenno ed un richiamo all’importante Relazione, del 30.7.2012, che fu predisposta (nell’ambito dell’indagine penale) dal tecnico comunale incaricato a suo tempo al rilievo di fatto (arch. Carrano, cfr. doc. depositato dalla difesa della ricorrente il 18.9.2015); in tale relazione, a pag. 3, si evidenzia un particolare (difforme rispetto ad altri rilievi e valutazioni/misurazioni compiute) inerente l’ altezza del sottotetto (così come riscontrate : 2.12 sotto trave di colmo; 2.65 sotto tavolato; 1.05 estremità laterali), meritevole di considerazione, e così attestato:

“dunque L’ALTEZZA MEDIA INTERNA NON RAGGIUNGE LA MISURA MINIMA NECESSARIA PER ESSERE CONSIDERATO LOCALE ABITABILE, contrariamente a quanto invece concessionato con C.E.”.

Tale attestazione è contenuta nel “verbale di sopralluogo-costatazione difformità ed irregolarità – rilievi dello stato di fatto” redatta dall’Arch. Carrano in adempimento al provvedimento di Nomina di persona idonea ai sensi dell’art. 348 comma 4° del c.p.p. in relazione al procedimento penale n. 2012/321 Procura di Aosta”.

Le misure vengono riproposte, poi, similarmente (2.11 e 2.67) nella Relazione finale (acquisita da questo Tar in questo processo), depositata in giudizio in via conclusiva, il 10.6.2016.

Tale elemento rafforza ulteriormente l’inidoneità oggettiva del sottotetto (anche sotto questo ulteriore aspetto) ad essere utilizzato come abitazione/dormitorio, con conseguente conferma della sua destinazione, anche pro futuro, come “vano tecnico” (con esclusione di altri utilizzi).

Sulla base di tali elementi rilevati dai verificatori parrebbe che, così come realizzato, il sottotetto non rispetterebbe neppure i limiti minimi imposti sia dal Comune che dal Regolamento regionale (2/1997) per l’utilizzazione a “dormitorio”. Ove, al punto 3 dell’art. 3, è stato previsto come ammissibili che le camere-dormitorio abbiano, nei locali con copertura inclinata, l’ altezza media m 1,80.

L’individuazione della “media ponderale”, tramite l’applicazione della formula matematica concernente (altezza 1 + altezza 2; x lato 1 x lato 2; diviso 2; dato da suddividere infine con la somma dei due lati) evidenzia un dato che si pone in contrasto con il suo stesso presupposto.

Nella specie, secondo i dati forniti, sembrerebbe che il sottotetto non abbia neppure la possibilità di essere “convertito” .

I dati sono i seguenti:

2.12+1.05 = 3.17 x 17 x 17.75 = 956,54 pari al volume; diviso 2 = 478,27; a sua volta diviso 301,75, corrispondente alla somma dei due lati; con l’effetto di ottenere, effettivamente (come segnalato dal tecnico per la Procura) una altezza media (1.58) inferiore al limite.

Peraltro si segnala anche che tale dato scaturisce dall’applicazione dell’altezza massima del locale sottotetto misurata “sotto trave di colmo” (2.12).

Tale dato finale è influenzato, ed è diverso, se la misurazione dell’altezza massima è invece quella (diversa) “sotto tavolato in prossimità del colmo” (individuata da Carrano in 2.65 e da Noascone in 2.67, cfr. Relazioni tecniche), con definizione di una altezza media di 1,84.

Sul punto questo giudice ritiene peraltro di non dover disporre una verificazione/perizia (che sarebbe l’ennesima) in ordine al criterio tecnico da utilizzare (“sotto trave” o “sotto colmo”), nella disciplina specifica locale.

Come è stato già posto in luce, la richiesta di “accertamento di conformità” (a differenza della concessione originaria) , non prevede che nel sottotetto, “vano tecnico”, siano allocate anche stanze-dormitorio.

E rispetto a tale decisione l’Amministrazione deve valutare la compatibilità attuale del sottotetto (realizzazione e utilizzo) alla normativa urbanistica.

La legittimazione del sottotetto, concepito funzionalmente come vano (solo) accessorio, doveva essere riconosciuta, senza la necessità di produzione di alcun atto di vincolo, proiettato a garantire attività future, in quanto richiesta priva di adeguato aggancio normativo.

Il sottotetto rimane vano tecnico e non necessita di ulteriori “impegni” pro futuro da parte della proprietà.

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B)SEMINTERRATO.

I lavori di costruzione del seminterrato sono avvenuti in conformità al progetto approvato e sono stati realizzati sulla scorta della concessione edilizia rilasciata dal Comune.

La struttura del Rifugio, nello stato di fatto in cui si trova, è stata anche oggetto di accertamento in sede penale conclusosi con la sentenza di assoluzione 1/4/2014 del Tribunale di Aosta.

Le questioni inerenti il seminterrato si articolano in 3 aspetti e profili:

emergenza, ampiezza esterna dell’ apertura carrabile e parziale destinazione abitativa del seminterrato. I profili verranno esaminati separatamente nei prossimi 3 punti (B1-B2-B3).

B1 EMERGENZA).

Lo spigolo del seminterrato, di cui era stata rilevata la potenziale emergenza rispetto al piano sistemato, risulta SCOPERTO per un’altezza INFERIORE ad 1,00 m. rispetto all’intradosso della soletta, per cui rientra nei limiti previsti dalle Norme edilizie comunali (cfr. art. 25 lett. F paragrafo 15) così come modificato nella Delibera del Consiglio Comunale n. 21 del 10.06.2004.

Inizialmente la contestazione era stata formulata con l’applicazione del limite dei 60 cm., in quanto i tecnici, in un primo tempo, non avevano considerato la successiva delibera 21/2004 che ha elevato il limite di emergenza da m. 0,60 a m. 1,00.

Sotto il profilo strutturale il SEMINTERRATO è risultato che sporge (fuori terra) meno di 1 metro, limite massimo riportato nelle norme edilizie comunali (art. 25 lett. F paragrafo 15, come modificato dalla delibera CC n. 21 del 10.6.2004, che ha elevato il limite di emergenza da 0,60 a 1 m.).

Nella specie si richiama la relazione/verificazione effettuata, con misurazioni in loco (dai tecnici esterni Carrera-Guidoccio-Lacchio-Andorno, in accordo Comune-Knubel, per l’esecuzione dell’OCI 57/2015) il 15.9.2015, e dalla quale risulta che l’emergenza è, in due punti, di soli cm. 0,57 e 0,36 (punto 102 e punto 103).

La relazione, datata 2.10.2015, e depositata in giudizio il 12.11.2015, ha, quindi, l’effetto di stemperare e far perdere ogni consistenza questo profilo contestato dal Comune (superamento dell’ emergenza fuori limite massimo) con il provvedimento impugnato (CEC).

Ne consegue che il rigetto per questo motivo, inerente la sporgenza fuori terra del seminterrato, si rivela anch’esso infondato, alla luce della concreta rilevazione dello stato dei luoghi, come accertata dal verificatore incaricato dal TAR.

L’assenza della sporgenza era stata anche accertata in sede penale ed è stata posta a fondamento della sentenza di assoluzione (pagina 3 della sentenza 1/4/2014 del Tribunale di Aosta, ancorchè, in quella sede, sotto forma di carenza di prova; in questa sede, invece, adeguatamente accertata).

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B2 LARGHEZZA PASSO CARRAIO-APERTURA FRONTE ESTERNO).

Per quanto attiene poi l’ “apertura del fronte” del seminterrato, che si sostiene da parte del Comune essere stata ampliata in modo non compatibile alle norme tecniche (limite di 4 m.), va considerata, come sostenuto dalla ricorrente, l’inapplicabilità dell’art. 25 lettera F paragrafo 16 delle Norme Edilizie ad un’apertura che “passo carrabile” non può oggettivamente essere, in quanto, nella specificità della situazione, l’accessibilità al Rifugio avviene solo tramite sentieri (nel seminterrato trovano ricovero i mezzi sgombraneve).

Con l’effetto che a questo tipo di seminterrato non possono essere applicate le norme ordinarie (passi carrai), ben potendo il fronte avere aperture più ampie (fronte esterno), tali da poter consentire il passaggio degli ingombranti e peculiari mezzi cingolati (c.d. gatto delle nevi), non destinati a transitare su strada, ma su pista.

L’ampiezza maggiore era quindi giustificata e doveva essere considerata compatibile con la tipologia di struttura.

Oltretutto risulta che l’apertura fosse ben nota all’Amministrazione in quanto già contemplata nella concessione del 2004, sulla base della quale sono state realizzate le opere.

Il Comune l’aveva già riscontrata nel progetto concessionato, rilevata di una ampiezza (già oltre il limite di 4 m.) di 6,73.

Nella verificazione disposta con OCI in questo processo, l’ accesso per i mezzi sgombraneve, previsto in concessione edilizia, è risultato ampliato (da 8.20 a 10.27).

Tale allargamento non può essere sanzionato con il rigetto della sanatoria. L’applicazione di parametri “ordinari” e non peculiari per le caratteristiche intrinseche e proprie del passo nell’ambito di un “Rifugio Alpino”, non accessibile da mezzi se non quelli speciali sgombraneve, non è esperibile.

Non possono, cioè, essere considerate vincolanti le norme relative ai passi carrai ordinari, correlati alla circolazione di mezzi a motore destinati all’accesso alle strade pubbliche propriamente carrabili.

Nel caso di specie va considerata, infatti, la peculiare, e diversa, funzionalità e tipologia della struttura/apertura, finalizzata a consentire l’entrata e l’uscita dei mezzi cingolati sgombraneve, anche di notevoli dimensioni (gatto delle nevi), con conseguente evidente necessità di maggiorata ampiezza dell’apertura.

Il Comune non poteva quindi considerare applicabili i limiti dimensionali “ordinari” per l’apertura dei “passi carrai”, concepiti solitamente per soddisfare propriamente funzioni inerenti la <circolazione>, e non dotati di peculiari caratterizzazioni, che sono, invece, rinvenibili nella fattispecie “Rifugio” , di cui l’Amministrazione deve tener conto.

Sussiste dunque la necessità, per il Comune, di valutare ed individuare la disciplina più appropriata, correlata alla specifica tipologia di opera edilizia.

Anche sotto tale profilo il provvedimento impugnato è quindi illegittimo, con conseguente fondatezza del ricorso.

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B3 DESTINAZIONE ANCHE ABITATIVA DEL SEMINTERRATO)

Altro elemento “clou” della controversia inerisce alle modalità di UTILIZZO del SEMINTERRATO. Sul punto vanno considerati una pluralità di elementi.

Innanzitutto va evidenziato che il seminterrato, così come è stato realizzato, svolge una duplice funzione:

-in parte accoglie tutti gli impianti, con conseguente connotazione tipica di “vano tecnico;

-in parte sono state in esso previste 3 camere, cucina ed una sala comune.

In ordine alla sua possibile o meno “destinazione abitativa”, va considerato (come risulta dalla relazione-verificazione del tecnico, acquisita con OCI in questo processo), che 2 delle CAMERATE (di cui una con 6 posti letto) erano GIÀ PREVISTE NEL SEMINTERRATO nella concessione originaria del 2004.

Il tecnico ha rilevato, infatti, nel seminterrato, oltre ad alcune superfici lievemente maggiori (per lavanderia e deposito e altri accessori), l’esistenza di <UN’ALTRA CAMERA e di UNA SALA COMUNE>.Il tecnico incaricato Noascone non individua però le due superfici e le rispettive consistenze, e tanto meno emerge il numero dei posti letto “aggiuntivi” che sono stati previsti nella terza camera predisposta ad accogliere gli alpinisti, anche in inverno (con struttura chiusa). Tale “integrazione” (con aumento di alcuni posti letto), deriva comunque solo da una <diversa distribuzione> degli spazi interni (senza cioè implicare alcun aumento di volumetria dell’immobile). Non si dimentichi che quest’ampliamento della capacità ricettiva (con utilizzo di parte del seminterrato) fa da contraltare all’eliminazione (in sede di accertamento di conformità) di alcuni posti letto che erano stati ricavati nel sottotetto (come soppalchi delle camere, per l’alloggiamento, in ciascuna, di un terzo letto).

Parte ricorrente evidenzia che, stante la peculiare natura della costruzione (di “Rifugio Alpino”), era necessario allestire dei posti letto nel seminterrato (di tipo “A1”, ex art. 25 comma 11 NT PRG) <accessibili, dall’esterno>, per consentire l’accesso agli alpinisti anche in inverno quando la struttura è chiusa.

E le stanze ricavate nel seminterrato avrebbero, anche, questa specifica funzione.

In ogni caso, profilo che si rivela dirimente e fondamentale, risulta che le camere sono state realizzate in conformità e nel rispetto dello specifico Regolamento regionale 21 marzo 1997, n. 2 recante l’ “Applicazione dell’art. 30 della legge regionale 29 maggio 1996, n. 11 (Disciplina delle strutture ricettive <extralberghiere>). Definizione dei <REQUISITI IGIENICO-SANITARI>, ivi compresi quelli relativi all’approvvigionamento idro-potabile ed agli scarichi, nonché dei requisiti di sicurezza”. In particolare rilevano, in questa fattispecie, peculiari limiti definiti all’art. 3 proprio per le stanze-dormitorio (altezze minime, rapporto aeroilluminante, …), con definizione di parametri (come è ovvio) attenuati, inerenti le strutture alpine.

In materia di definizione, inquadramento e limiti minimi applicabili ai “ RIFUGI ALPINI” il legislatore regionale Aostano ha ritenuto, abilmente, di definire differenziati parametri e limiti minimi di riferimento per la realizzazione di queste peculiari strutture edilizie, che svolgono –non va dimenticato-, anche, una funzione tipicamente pubblica di “servizio” in quota (ove, cioè, non vi sono alternative concorrenziali). Per contro stupisce che un Comune di montagna, quale è Gressoney abbia tralasciato di valutare la fattispecie, ritenendo di non considerare le peculiarità del proprio territorio e di, neppure, recepire la disciplina già confezionata a livello di Regione.

Ciò ha creato, oltretutto, come in questo caso, difficoltà interpretative, che si sono rivelate rilevanti anche a livello penale (vedasi la relazione Carrano, per la Procura, di cui si dirà, ad es. in materia di rapporto aeroilluminante dei locali-dormitori) .

La legge regionale 29 maggio 1996, n. 11 “Disciplina delle strutture ricettive extralberghiere.

Accesso esclusivamente da sentiero e da mulattiera”, contiene al Capo IV una disciplina <speciale> dedicata ai “RIFUGI ALPINI E BIVACCHI FISSI”.

Il legislatore ha, così, riconosciuto la necessità di una <peculiare>ed <appropriata> normativa per queste strutture; come è ovvio, meno rigorosa rispetto a quella ordinaria (strutture propriamente alberghiere).

All’art. 8 la LR fornisce la seguente definizione di <rifugio alpino>:

“Sono rifugi alpini le strutture ricettive ubicate in luoghi favorevoli ad ascensioni ed escursioni, idonee ad offrire ospitalità e ristoro ad alpinisti ed escursionisti in zone isolate di montagna raggiungibili attraverso mulattiere, sentieri, ghiacciai, morene o anche con strade non aperte al pubblico transito veicolare o mediante impianti a fune”.

Al successivo art. 9 1° comma lett. g) della L.R. la norma prevede che “i rifugi alpini devono possedere requisiti idonei per il ricovero ed il pernottamento degli ospiti. In particolare, devono avere un <LOCALE INVERNALE> con sommaria attrezzatura per cucina ad uso autonomo”.

Ciò significa che il rifugio deve essere dotato, per legge, anche di spazi comunque accessibili agli alpinisti anche quando la struttura è chiusa. Nel caso di specie la proprietà ha individuato nel seminterrato gli spazi (cucina e dormitorio) di cui gli alpinisti possono liberamente fruire (soprattutto in inverno), quando il rifugio è chiuso.

In chiusura l’art. 30 della L.R. prevede l’adozione, da parte del Consiglio regionale, di un Regolamento applicativo, disponendo che:“ Alla definizione dei REQUISITI IGIENICO-SANITARI, ivi compresi quelli relativi all’approvvigionamento idro-potabile e agli scarichi, nonché di sicurezza delle strutture ricettive disciplinate dalla presente legge si provvede con apposito regolamento, da approvarsi da parte del Consiglio regionale entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge”.

L’ individuazione dei <requisiti igienico-sanitari>, per i Rifugi alpini, è concretamente avvenuta l’anno successivo con l’emanazione del “Regolamento regionale 21 marzo 1997, n. 2 – Applicazione dell’art. 30 della legge regionale 29 maggio 1996, n. 11 (Disciplina delle strutture ricettive extralberghiere) -Definizione dei requisiti igienico-sanitari, ivi compresi quelli relativi all’approvvigionamento idro-potabile ed agli scarichi, nonché dei requisiti di sicurezza”.

All’ art. 3 questo Regolamento del 1997 individua i “REQUISITI MINIMI IGIENICO-SANITARI dei rifugi alpini” nel seguente modo:

“1. Ai fini dell’individuazione dei requisiti minimi igienico-sanitari, i rifugi alpini, come definiti dall’art. 8 della l.r. 11/1996, vengono suddivisi, ai sensi dell’art. 23 del decreto del Ministro dell’interno del 9 aprile 1994 (Approvazione della regola tecnica di prevenzione incendi per la costruzione e l’esercizio delle attività ricettive turistico-alberghiere) a seconda che siano:

a) raggiungibili con strada rotabile, non aperta al pubblico transito veicolare;

b) raggiungibili con mezzi meccanici di risalita quali funivie e seggiovie, ad esclusione delle sciovie;

c) raggiungibili solo attraverso sentieri o vie alpinistiche.

2. Le strutture di cui al comma 1, lett. a) e b), devono possedere i seguenti requisiti minimi igienico-sanitari:

a) 4 mc di aria per persona in locali tipo camera-dormitorio;

b) altezza dei locali:

1) ristoro-cucina: m 2,20;

2) camere-dormitorio con soffitto piano: m 2,20;

3) camere-dormitorio con copertura inclinata: altezza media m 1,80;

c) areazione-illuminazione: il rapporto superficie finestrata/pavimento deve essere pari a 1/32;

d) servizi igienici:

1) un WC con lavabo solo per il personale di cucina;

2) un WC ogni 15 posti letto;

3) un lavabo ogni 10 posti letto;

4) una doccia ogni 20 posti letto”.

Si può riscontrare che sussiste, per i Rifugi alpini, nel complesso, una disciplina assolutamente meno rigorosa.

I dormitori debbono soddisfare, per quanto qui interessa, i seguenti requisiti:

– la necessità/sufficienza di 2.20 di altezza (limite minimo);

– 4 mc. d’aria per persona in camerata,

– il rispetto di un rapporto aerazione/illuminazione individuato nel rapporto tra superficie finestrata e superficie pavimento di 1/32”.

E le previsioni qui contenute avrebbero dovuto essere recepite entro 3 anni in sede di strumenti urbanistici comunali; cosa che per il Comune di Gressoney (pacificamente) non è avvenuta.

In applicazione del principio di gerarchia delle fonti, ed in particolare in relazione al rapporto vigente fra atti regolamentari ed applicativi, il Regolamento speciale regionale, contenente previsioni peculiari e appropriate per i “Rifugi alpini”, deve essere considerato e utilizzato, in questo processo, come parametro di riferimento per la valutazione sia della tipologia edilizia che della destinazione realizzata nel seminterrato.

Le misurazioni compiute dal verificatore (cfr. Relazione Noascone del 2016) nominato con le OO.CC.II nonché quelle contenute nella precedente Relazione Carrano del 30.7.2012, redatta dal tecnico comunale su nomina della Procura, nell’ambito del procedimento penale, consentono di definire con chiarezza e certezza il quadro.

Si procede compiendo una sorta di combinato disposto fra le 2 Relazioni (2016 e 2012).

Esaminando nel dettaglio tali rapporti si evince che nel seminterrato:

-2 camere erano GIÀ CONTEMPLATE dalla concessione edilizia (Noascone);

-“l’altezza netta riscontrata è di 2,43 in tutto il piano seminterrato” (Carrano);

-per il rapporto aeroilluminante il tecnico Carrano lo ha verificato e stimato, quantificandolo; ma ha erroneamente applicato il rapporto (ordinario), 1/8, anzichè quello specifico e “proprio” per i dormitori nei Rifugi alpini, di gran lunga inferiore (1/32). Il Regolamento regionale 2/1997 , già richiamato, ha fissato (all’ art. 3 2° comma) dettagliatamente i requisiti minimi per le strutture alpine : tra questi 1/32 per il rapporto aeroilluminante.

Valutando i dati riportati nella perizia Carrano (pag. 2) si riscontra che per la “camera 2” e la “camera 3” (di nuova istituzione, con questa destinazione) il rapporto che si ottiene fra le superfici (finestrata e di ampiezza di calpestio) è di, rispettivamente, 0,033 e 0,030, cifra che è stata ritenuta dal tecnico inidonea ed insufficiente (ma con l’applicazione, come si è detto, del diverso indice –“ordinario”- di 1/8).

Dunque con l’applicazione dell’indice più favorevole di 1/32, modificando il computo, i risultati che si ottengono sono rispettosi del limite minimo prefissato: 0,03125 (=1:32).

In definitiva i locali “dormitori” del Rifugio posti al piano seminterrato (A1) avevano i requisiti per poter essere valutati conformi alla normativa ed al regolamento regionale (da reputarsi prevalente, rispetto a quello comunale, non adeguato) specificamente dettato per le strutture extralberghiere, sub specie “Rifugio alpino”.

Nel seminterrato potevano dunque essere ricavati “posti letto/dormitori”, accessibili tra l’altro anche <direttamente> (cioè senza alcuna mediazione del gestore) come “locali invernali” da parte degli alpinisti, con utilizzo per così dire “in proprio” ed in autonomia dai fruitori.

Dunque per soddisfare anche un’esigenza dotata di funzione di <assistenza in montagna> , assicurando il libero accesso per poter utilizzare cucina e bivacco per il pernottamento al coperto.

I parametri essenziali minimi, in termini di “requisiti igienico-sanitari”, attenuati, risultavano quindi, nel caso di specie, pienamente rispettati, trovando applicazione la specifica (e diversa) norma “fonte” regionale, attinente la disciplina della peculiare struttura, differenziata rispetto alle strutture alberghiere ed extra-alberghiere.

Le disposizioni regolamentari regionali, aventi natura decisamente “super-speciale”, si configurano in modo del tutto peculiare e sono finalizzate a consentire di soddisfare funzioni fuori dal comune e “atipiche”.

Rispetto alle ordinarie strutture “alberghiere” e “para-alberghiere”, il Rifugio si differenzia radicalmente , in quanto si trova in alta montagna e in un contesto ove, sostanzialmente, non vi è alcuna alternativa di “riparo”. E’ per questo che deve essere garantito l’accesso invernale da parte degli alpinisti, anche in stagioni di chiusura, con parziale utilizzo libero e gratuito.

Le previsioni regionali risultano ragionevoli e condivisibili nel loro contenuto, sancendo “autonomia” ed “alleggerimento” delle prescrizioni costruttive, con consistente attenuazione dei relativi parametri (requisiti minimi imposti, ben più favorevoli e meno rigidi).

L’esistenza stessa della struttura (oltretutto di difficile edificazione, proprio in considerazione della peculiare ubicazione) è diretta a conseguire un risultato peculiare, connotato anche da inequivocabile interesse pubblico, assolutamente non comparabile ed assimilabile con le altre strutture edilizie “ricettive ordinarie”, aventi finalità di utilizzo solo lucrativo (alberghiere e similari).

Anche sotto tale profilo, inerente la destinazione parziale del seminterrato come abitabile, con utilizzo a dormitorio, il ricorso va quindi accolto, con annullamento del rigetto della sanatoria-accertamento di conformità.

***

C)STRUTTURE ACCESSORIE E PROVVISORIE.

Per quanto riguarda gli APPRESTAMENTI DI CANTIERE (“baracca in legno” e “teleferica”) risulta in giudizio incontestato e pacifico fra le parti che queste siano opere da smantellare.

Del resto non sono state neppure contemplate nella richiesta di sanatoria.

La loro esistenza non poteva, quindi, condizionare negativamente il rilascio dell’ “accertamento di conformità” delle opere edilizie di costruzione del Rifugio.

La sanatoria implicava l’analisi delle modificazioni strutturali in concreto attuate e apportate all’interno della struttura edilizia principale, e la cui conservazione era prevista, per la loro specifica caratteristica costruttiva, in modo “stabile” e non precario.

***

D) TITOLO PER IL RILASCIO DEL PROVVEDIMENTO DI SANATORIA DELLE OPERE ESEGUITE.

In riferimento alla contestazione della carenza di DISPONIBILITA’ DEL TERRENO in capo ai richiedenti-realizzatori Knubel, in seguito alla rilevazione che la titolarità dei terreni apparteneva ad altro soggetto , rispetto ai richiedenti, con assenza di riscontro di un titolo di disponibilità in capo alla società oggi ricorrente, che ha realizzato il Rifugio, è emerso in realtà che tra le parti private (Martinengo-Knubel) sussistevano effettivamente specifici accordi per la vendita del terreno.

Tale circostanza si è poi effettivamente concretizzata ed è stata comprovata con l’ avvenuta stipula del rogito notarile, il 18.3.2014, Notaio Favre di Donnas (doc. 25 della ricorrente); sul punto vedasi anche dichiarazioni testimoniali Martinengo all’udienza dibattimentale penale dell’ 11.3.2014, cfr. doc. 11, sentenza penale Tribunale Aosta 1.4.2014, pagg. 1 e 2.

Sussisteva dunque una situazione fattuale idonea a giustificare la reale e incontestata “disponibilità” dell’area, con riconoscimento della legittimazione del soggetto che aveva costruito il Rifugio e che intendeva ottenere la regolarizzazione di tutte le opere, con il conseguimento dell’accertamento della conformità delle variazioni apportate in sede costruttiva.

Del resto, non va dimenticato, che il Comune, in precedenza, aveva rilasciato svariati titoli abilitativi (concessione originaria, variante, dichiarazioni) sulla medesima area, senza sollevare alcun problema, impedimento e/o elemento ostativo.

Anche sotto tale profilo il provvedimento impugnato è illegittimo, in quanto ha negato la sanatoria per un profilo, in realtà, non invalidante e non riconoscibile come reale e giustificato presupposto impeditivo.

Con un semplice accertamento “integrativo”, su richiesta del Comune, la società richiedente avrebbe ben potuto dimostrare la sussistenza di un idoneo titolo di disponibilità dell’area, elemento che si è poi concretizzato con la formalizzazione della compravendita fra le parti private.

La “disponibilità” (cfr. art. 11 del DPR 380/2001) era stata già considerata, evidentemente, positivamente in sede di rilascio del permesso di costruire; analogo trattamento (a maggior ragione) avrebbe dovuto essere riservato in sede di valutazione della richiesta di sanatoria.

***

E) Infine, in merito alla realizzazione della CENTRALINA IDROELETTRICA (costruita all’interno di un vano tecnico, non abitabile, situato a circa 250 metri a valle del Rifugio), va evidenziato che questa, pacificamente, faceva parte ed era espressamente contemplata nella concessione edilizia originaria (2004), nonchè nella successiva variante (2006).

Anche la sentenza penale ha esaminato questo profilo concludendo per l’assoluzione perché il fatto non sussiste (con accertamento della “materialità del fatto”). Tale accertamento/valutazione risulta suscettibile di considerazione da parte del giudice amministrativo, ancorchè non in termini propri di giudicato “vincolante” .

La circostanza ben può essere apprezzata e posta a fondamento della decisione, nel contesto del giudizio amministrativo, pronunzia che rimane autonoma e svincolata, ma che consente e ammette la possibilità di valutare i riferimenti fattuali utili acquisiti in altra sede processuale (penale).

La centralina (essenziale per il funzionamento della struttura-Rifugio) era presente fin dalla concessione originaria (vedasi nota del Segretario comunale , indirizzata alla Regione-Direzione Infrastrutture, del 14.12.2010, che attestava che i “lavori autorizzati comprendevano anche la realizzazione di una centralina idroelettrica (Tavola di Progetto P6)”.

Eventuali lavori di completamento dell’interramento potevano essere oggetto di prescrizioni da parte dell’autorità amministrativa, ma non consentivano il rigetto della sanatoria nel suo complesso.

***

F) RISARCIMENTO .

In conclusione va esaminata la domanda di risarcimento dei danni formulata genericamente dalla società ricorrente, contenuta nell’originario ricorso, e quantificata in almeno euro 10.000 per “il ristoro dei disagi che ha comportato affrontare la situazione causata dall’illegittima e perseverante adozione dei provvedimenti avversati”.

La richiesta non può essere accolta:

-sia per genericità;

-sia per mancanza di “elemento soggettivo”, in quanto la normativa applicabile si è rivelata particolarmente difficoltosa nella sua individuazione (anche in considerazione del mancato recepimento di norme regionali a livello comunale) e nella sua applicazione, richiedendo plurimi accertamenti tecnici.

In sostanza non può riscontrarsi la “colpa” in capo alla struttura pubblica (organi collegiali; organismi tecnici) , nè in capo al funzionario che ha adottato il provvedimento negativo, peraltro applicativo della disposizione consiliare “interpretativa” del Regolamento edilizio (concernente il rilievo prevalente inerente l’ “atto di vincolo”), in quanto il contesto giuridico e fattuale che si è presentato risultava oggettivamente contorto e di non pacifica interpretazione.

Certo con l’orientamento ed il contegno assunto, il Comune non ha certo espresso una valutazione rispettosa delle “specificità” che la fattispecie richiedeva (“Rifugio alpino”), come è stato ampiamente illustrato in motivazione.

Ma tale profilo, seppur criticabile (tanto da implicare la sanzione dell’illegittimità e dell’annullamento dei provvedimenti impugnati), non può assurgere ad una connotazione, in senso proprio, di “imperizia” nella valutazione e nella analisi delle problematiche tecnico-giuridiche sottese.

Ne consegue che, non ravvisandosi in capo all’ Amministrazione (nel suo complesso e nelle sue diverse articolazioni), una situazione di “colpa”, difetta la connotazione soggettiva, imprescindibile, per poter qualificare il danno (indubbiamente subìto dalla ricorrente e dai realizzatori Knubel) anche come “ingiusto”.

La responsabilità della P.A., come quella comune fra soggetti privati, soggiace, infatti, al necessario riscontro dei 3 elementi: elemento soggettivo (colpa o dolo); danno ingiusto; nesso di causalità.

In mancanza di evidente violazione delle regole di <imparzialità, correttezza e buona fede> la condanna non può essere disposta dal giudice.

Sul punto si richiama la recente pronunzia del Consiglio di Stato sez. IV 1 agosto 2016 n. 3464, che conferma l’orientamento sussistente in materia :

“Ai fini dell’ammissibilità della domanda di risarcimento del danno non è sufficiente il solo annullamento del provvedimento lesivo, ma è altresì necessario che sia configurabile la sussistenza dell’elemento soggettivo della colpa, dovendosi verificare se l’adozione e l’esecuzione dell’atto impugnato siano avvenute in violazione delle regole di imparzialità, correttezza e buona fede, alle quali l’esercizio della funzione pubblica deve costantemente attenersi; da ciò deriva che, in sede di accertamento della responsabilità della Pubblica amministrazione per danno a privati, il giudice amministrativo, in conformità ai principi enunciati nella materia anche dal giudice comunitario, può affermare tale responsabilità quando la violazione risulti grave e commessa in un contesto di circostanze di fatto e in un quadro di riferimenti normativi e giuridici tali da palesare la negligenza e l’imperizia dell’organo nell’assunzione del provvedimento viziato; il giudice può invece negarla quando l’indagine conduca al riconoscimento dell’errore scusabile con la conseguenza che, ai fini della configurabilità della responsabilità aquiliana (ex art.2043, c.c.) della Pubblica amministrazione per danno, devono ricorrere i presupposti del comportamento colposo, del danno ingiusto e del nesso di conseguenzialità”.

La richiesta risarcitoria va, quindi, respinta.

***

In conclusione l’Amministrazione è tenuta a rilasciare, entro 60 giorni dalla comunicazione/notifica della presente sentenza, la sanatoria-provvedimento di conformità delle opere realizzate all’interno del Rifugio alpino, essendosi rivelate tutte le condizioni ostative non fondate.

In caso di persistente inerzia, peraltro non auspicabile, la società ricorrente potrà formulare, innanzi a questo giudice, richiesta di nomina di Commissario ad acta per l’esecuzione della pronunzia (o, eventualmente, del giudicato in caso di omessa impugnazione della sentenza da parte del Comune).

In ordine alle spese di giudizio, il Collegio ritiene, in applicazione dell’ordinario principio della soccombenza, di doverle porre a carico dell’Amministrazione comunale ed in favore della ricorrente.

La quantificazione (essendo stata depositata all’udienza di discussione nota spese da parte della difesa di parte ricorrente) va compiuta parametrando il valore della causa allo scaglione di importo indeterminabile e di media difficoltà, con il conseguente riconoscimento della spettanza di euro 2.598 per lo studio della controversia, 1.585 per la fase introduttiva (ricorso), 1.855 per la fase dell’istruttoria, 4.048 per la fase decisionale, per un totale di 10.086 euro, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge (CPA, IVA), il tutto in applicazione delle Tabelle contenute nel DM 55/2014 in materia di Tariffe professionali forensi.

Peraltro va considerato che sussistendo, limitatamente ad una domanda (quella risarcitoria), una parziale soccombenza della ricorrente (relativamente alla formulata richiesta di pagamento di almeno 10.000 euro), l’importo globale per onorari sopra indicato deve essere ridotto ed abbattuto del 20%, con conseguente obbligo di pagamento di euro 8.068 in favore della ricorrente e a carico del Comune di Gressoney.

In definitiva il ricorso, limitatamente alla parte impugnatoria, va accolto con annullamento dei provvedimenti impugnati e con obbligo del Comune di concludere il procedimento di accertamento di conformità con applicazione dei principi e delle determinazioni contenute nella motivazione di questa sentenza.


P.Q.M.

 

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Valle D’Aosta (Sezione Unica)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto:

-accoglie la parte impugnatoria del ricorso e annulla conseguentemente il provvedimento impugnato di rigetto della sanatoria, nonchè gli atti presupposti di cui è stata fatta applicazione;

-respinge la domanda risarcitoria;

-dispone l’esecuzione della pronuncia, come da motivazione, con definizione e conclusione del procedimento di “accertamento di conformità” in modo coerente a quanto statuito in questa sentenza (in riferimento ai diversi aspetti affrontati);

-condanna l’Amministrazione alla parziale rifusione delle spese processuali (onorari computati secondo la Tabella TAR del DM 55/2014) in favore della società ricorrente, come quantificati in motivazione (euro 8.068, oltre spese generali ed accessori di legge).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Aosta nella camera di consiglio del giorno 12 luglio 2016 con l’intervento dei magistrati:

Grazia Flaim, Presidente FF, Estensore
Antonio De Vita, Consigliere
Giuseppe La Greca, Primo Referendario

IL PRESIDENTE, ESTENSORE       
Grazia Flaim       
        
 
IL SEGRETARIO

 

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