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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Diritto dell'energia Numero: 9702 | Data di udienza: 15 Luglio 2016

* DIRITTO DELL’ENERGIA – Coltivazione di risorse geotermiche – Assegnazione dei permessi di ricerca – Art. 3 d.lgs. n. 22/2010 – Subprocedimento di VIA – Mancata presentazione della domanda di VIA – Effetti decadenziali – Esclusione – Circolare MISE 9.7.2015 (successiva al provvedimento impugnato)


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 3^ ter
Regione: Lazio
Città: Roma
Data di pubblicazione: 13 Ottobre 2016
Numero: 9702
Data di udienza: 15 Luglio 2016
Presidente: Lo Presti
Estensore: di Nezza


Premassima

* DIRITTO DELL’ENERGIA – Coltivazione di risorse geotermiche – Assegnazione dei permessi di ricerca – Art. 3 d.lgs. n. 22/2010 – Subprocedimento di VIA – Mancata presentazione della domanda di VIA – Effetti decadenziali – Esclusione – Circolare MISE 9.7.2015 (successiva al provvedimento impugnato)



Massima

 

TAR LAZIO, Sez. 3^ ter – 13 settembre 2016, n. 9702


DIRITTO DELL’ENERGIA – Coltivazione di risorse geotermiche – Assegnazione dei permessi di ricerca – Art. 3 d.lgs. n. 22/2010 – Subprocedimento di VIA – Mancata presentazione della domanda di VIA – Effetti decadenziali – Esclusione – Circolare MISE 9.7.2015 (successiva al provvedimento impugnato)

Ai sensi dell’art. 3 d.lgs. n. 22/2010, sull’assegnazione dei permessi di ricerca di risorse geotermiche, il subprocedimento di v.i.a., la cui attivazione è rimessa all’interessato, confluisce nel “procedimento unico” ivi disciplinato. Sennonché, il d.lgs. n. 22/2010, oltre a non fissare un termine di conclusione di tale iter, non indica termini endoprocedimentali idonei a scandirne le fasi e dunque a individuare gli adempimenti procedurali ricadenti, rispettivamente, sulla parte istante e sull’amministrazione. Non è dato riscontrare, pertanto, alcuna norma che preveda effetti di tipo decadenziale collegati alla mancata presentazione della domanda di v.i.a. (il procedimento è stato poi disciplinato con circolare 9.7.2015 – successiva ai fatti di causa – che ha individuato il termine di 90 giorni per la presentazione della domanda di VIA, dal cui inutile decorso può derivare il rigetto dell’istanza).

Pres. Lo Presti, Est. di Nezza – G. s.r.l. (avv.ti Ferola e Ferola) c. Ministero dello sviluppo economico e altro (Avv. Stato)


Allegato


Titolo Completo

TAR LAZIO, Roma, Sez. 3^ ter – 13 settembre 2016, n. 9702

SENTENZA

 

TAR LAZIO, Sez. 3^ ter – 13 settembre 2016, n. 9702

Pubblicato il 13/09/2016

N. 09702/2016 REG.PROV.COLL.
N. 12456/2015 REG.RIC
.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Terza Ter)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 12456 del 2015, proposto da:
Geoelectric s.r.l., in persona dell’amministratore unico, rappresentata e difesa dagli avv.ti Raffaele Ferola e Renato Ferola, presso lo studio dei quali in Roma, Corso Vittorio Emanuele II, n. 18, ha eletto domicilio;


contro

Ministero dello sviluppo economico e Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, in persona dei rispettivi Ministri in carica, rappresentati e difesi dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, sono domiciliati;

nei confronti di

Gesto Italia s.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avv.ti Gianluca Cattani e Cristina Caggiano, elettivamente domiciliata presso lo studio del primo in Roma, via di Ripetta n. 142
Svolta Geotermica s.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avv.ti Maurizio Corain e Stefano Zonca, elettivamente domiciliata presso lo studio del primo in Roma, via Emilia n. 86/90;

per l’annullamento

per l’annullamento

a) della nota Mise prot. 15133 del 14.7.2015, recante rigetto dell’istanza di permesso di ricerca di risorse geotermiche finalizzato alla sperimentazione di impianti pilota, denominata “CUMA”;

b) del relativo preavviso di rigetto, comunicato con pec del 14.5.2015;

c) della nota Mise prot. 20243 del 4.9.2015, recante rigetto dell’istanza di riesame in autotutela del provvedimento suba);

d) della nota Mattm prot. SVA-2015-0024257 del 28.9.2015, con cui il Ministero dell’ambiente ha disposto l’archiviazione dell’istanza di VIA a seguito del provvedimento suba);

e) del relativo preavviso di improcedibilità, comunicato con nota Mattm del 26.8.2015;

f)quatenus opus, della circolare Mise in data 9.7.2015

g) di ogni altro atto presupposto, connesso e consequenziale

nonché per la condanna

al risarcimento dei danni derivanti dagli illegittimi provvedimenti impugnati.

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio delle parti intimate;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del 15 luglio 2016 il cons. M.A. di Nezza e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con ricorso spedito per le notificazioni a mezzo del servizio postale il 12.10.2015 (dep. il 27.10), la società Geoelectric, nel dedurre:

– di aver presentato in data 25.2.2013 al Ministero dello sviluppo economico un’istanza di permesso di ricerca di risorse geotermiche finalizzato alla sperimentazione di impianti pilota, denominata “Cuma”, ai sensi del d.lgs. n. 22/2010;

– che lo studio, recante una proposta di investimento nella ricerca per euro 18,2 mln., riceveva dalla Commissione per gli idrocarburi e le risorse minerarie (Cirm) parere favorevole al prosieguo dell’istruttoria, alle condizioni indicate dalla Regione Campania con nota del 28.4.2014;

– che con nota dell’8.5.2014 (prot. 8857), richiamati il parere Cirm e le prescrizioni regionali, il Ministero disponeva per l’appunto la prosecuzione dell’istruttoria, stabilendo che la società istante trasmettesse alle amministrazioni interessate la documentazione necessaria, con particolare riferimento alla produzione al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare di quanto occorrente per l’avvio della procedura di verifica di compatibilità ambientale;

– di aver rappresentato, con nota dell’8.7.2014, l’avvenuto inoltro della documentazione alla Regione (22.5.2014) e l’imminente presentazione (entro tre mesi) degli atti relativi alla valutazione ambientale (documenti progettuali e istanza);

– di non avere tuttavia potuto effettuare questo incombente in ragione del maggior tempo richiesto per l’elaborazione progettuale dell’impianto, non dissimilmente da quanto avvenuto per tutte le altre istanze ex d.lgs. n. 22/2010 (come a es. per il “progetto Scarfoglio”, parimenti riconducibile alla ricorrente);

– che con preavviso di rigetto del 14.5.2015 il Ministero ascriveva alla ricorrente la mancata conclusione del procedimento nei termini di cui all’art. 2 l. n. 241/90 in ragione dell’omessa presentazione dell’istanza di v.i.a.;

– di aver segnalato, con le controdeduzioni presentate il 22.5.2015, le peculiarità della vicenda (complessità della progettazione e degli studi tecnico-ambientali; interazione con il progetto Scarfoglio; incidenza delle prescrizioni regionali in relazione alle caratteristiche del territorio di intervento; ingenti risorse economiche impegnate nell’attività progettuale), comunicando che l’elaborazione dei relativi atti sarebbe avvenuta entro il 20.7.2015 e che l’istanza sarebbe stata presentata entro il 31.7.2015, come poi effettivamente avvenuto (ferma l’inesistenza di un termine specifico per l’avvio del procedimento di v.i.a.);

tanto premesso, ha chiesto l’annullamento del provvedimento del 14.7.2015 (e della successiva conferma del 4.9.2015), di reiezione della domanda di permesso di ricerca, nonché della conseguente “archiviazione” disposta dal Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare (Mattm) in data 28.9.2015.

A sostegno del ricorso ha dedotto:

I) Violazione del d.lgs. n. 22/2010 e della direttiva 1.7.2011, prot. 14194, in relazione all’art. 2 l. n. 241/90; eccesso di potere per contraddittorietà, difetto di istruttoria e di motivazione; violazione dell’art. 11 preleggi e del principio tempus regit actum; disparità di trattamento; ingiustizia manifesta: l’assunto dell’amministrazione sull’esistenza di un termine di 90 giorni per concludere il procedimento avviato con l’istanza di permesso di ricerca sarebbe infondato, con conseguente illegittimità del rilievo secondo cui l’inosservanza di detto termine sarebbe dipesa dalla mancata presentazione della domanda di v.i.a. da parte della ricorrente; precisamente:

I.1) il d.lgs. n. 22/2010 non conterrebbe alcuna norma sui termini procedimentali e avrebbe escluso l’applicazione di quello complessivo di 240 giorni stabilito dal previgente art. 9 d.P.R. n. 485/94 (art. 18, co. 3, d.lgs. cit.), a dimostrazione della scelta del legislatore delegato di non intervenire (allo stato) sul punto (stante l’accresciuta complessità della materia, trattandosi di impianti pilota per lo sfruttamento di energia geotermica ad alta entalpia, inseriti tra le infrastrutture strategiche dall’art. 57 d.l. n. 5/2012); inoltre, l’art. 2 l. n. 241/90, la cui operatività non sarebbe mai stata ipotizzata nemmeno alla stregua del menzionato art. 9 d.P.R. n. 485/94 (pur riguardante un procedimento meno articolato soprattutto per l’assenza di v.i.a.), non sarebbe compatibile con le peculiarità istruttorie attestate dall’affermazione della competenza statale per i progetti “ad alta entalpia” (quale quello in esame) e dal coinvolgimento del Mattm per gli aspetti ambientali; l’insostenibilità della pretesa ministeriale sarebbe comprovata dall’andamento degli analoghi procedimenti pendenti presso il Ministero dello sviluppo economico, per i quali il solo tempo iniziale occorrente per la sottoposizione dei progetti alla Cirm sarebbe stato ben superiore al termine dell’art. 2 l. n. 241/90 (ciò che risulterebbe dai dati riportati nel sito internet del Ministero);

I.2) il diniego sarebbe, poi, in contrasto con gli atti generali del Ministero, antecedenti e successivi, e in particolare: i) con la direttiva ministeriale 1.7.2011, emanata in sede di prima applicazione del d.lgs. n. 22/2010, non recante specificazione dei termini procedimentali (il rinvio alla precedente disciplina dei dd.P.R. nn. 395/91 e 485/94 atterrebbe alla sola presentazione delle domande); ii) con la circolare 9.7.2015, successiva alla notifica alla ricorrente del preavviso di rigetto, che introdurrebbe, ma solo de futuro, un termine di 90 giorni dalla comunicazione del parere Cirm per la presentazione delle istanze di v.i.a. e un termine complessivo di 300 giorni per concludere il procedimento; a questo proposito, l’amministrazione, nella parte del gravato provvedimento evidenziante la necessità di rispettare il termine di tre mesi per l’inoltro della pratica di v.i.a., avrebbe applicato anticipatamente la citata circ. 9.7.2015, in contrasto con il principio tempus regit actum, fermo restando che un obbligo in tal senso non sarebbe certamente rinvenibile nella nota della ricorrente dell’8.7.2014, recante una mera “previsione” sui tempi di attivazione della v.i.a. incolpevolmente superata dalle difficoltà incontrate nella redazione degli elaborati tecnici;

I.3) il diniego sarebbe altresì affetto da disparità di trattamento e ingiustizia manifesta, non risultando respinte le domande di altri operatori versanti in situazioni deteriori rispetto a quella della ricorrente (a es. progetti “Casa del Corto” e “Castelnuovo”, nei quali non sarebbe stata presentata istanza di v.i.a.; progetti “Cortolla”, “Forio”, “Montenero” e “Scarfoglio”, in cui detta istanza sarebbe stata inoltrata con un intervallo temporale variabile da 3 anni a 13 mesi), mentre il termine di 3 mesi, stabilito con la circolare 9.7.2015, sarebbe comunque sproporzionato e irragionevole, non tenendo conto delle peculiarità del procedimento e delle caratteristiche delle aree di ricerca e delle relative progettazioni;

II) Violazione dell’art. 10-bis l. n. 241/90; eccesso di potere per difetto assoluto di istruttoria e di motivazione; mancata considerazione dell’affidamento riposto dal privato; sviamento di potere: nel gravato provvedimento di reiezione il Ministero non avrebbe dato conto delle controdeduzioni sollevate dalla ricorrente a seguito del preavviso di rigetto, aggiungendo anzi ulteriori profili motivazionali; in particolare, la complessità della situazione emergerebbe dalle prescrizioni regionali (rischio vulcanico e sismico), sicché la necessità esposta dalla ricorrente nella nota del 22.5.2015 non sarebbe un “espediente dilatorio”; né sarebbero stati presi in considerazione gli ulteriori aspetti esaminati nell’istanza di autotutela (possibile cumulabilità con incentivi Invitalia; contesto politico-ambientale) e l’affidamento riposto dalla ricorrente nell’andamento dell’iter, coerente con la complessità dell’istruttoria e consimile a quello di altre istanze coeve, sembrando addirittura riscontrabile una “sviata finalità di sgombrare il campo dall’istanza della ricorrente, in considerazione del limite di 50 MW disponibile per l’assentimento di impianti pilota, ciascuno pari a non oltre 5 MW”;

III) Illegittimità derivata: i vizi a carico dei provvedimenti Mise travolgerebbero, per illegittimità derivata, anche gli atti del Mattm, fondati esclusivamente sull’intervenuto rigetto dell’istanza.

Tanto premesso, la ricorrente ha chiesto l’annullamento degli atti indicati in epigrafe e, in subordine, per il caso di impossibilità dell’esecuzione in forma specifica, il risarcimento dei danni asseritamente arrecati da tali provvedimenti.

Si sono costituiti in resistenza gli intimati Ministeri, che hanno eccepito l’incompetenza territoriale del T.a.r. adito e instato per la reiezione del ricorso nel merito.

Con ordinanza cautelare n. 301/2016, disattesa l’eccezione di rito (in considerazione dell’impugnazione della circ. 9.7.2015), è stata fissata l’udienza di discussione del merito.

Si è costituita la società Gesto Italia (14.3.16).

Con memoria passata per le notificazioni il 25.5.16, depositata l’1.6 unitamente a ulteriore documentazione, la ricorrente, muovendo dall’asserita avvenuta assegnazione ad altro operatore della potenza nominale di 5 MW oggetto della propria istanza di permesso di ricerca e dunque dalla sopravvenuta impossibilità di realizzare il progetto proposto, ha insistito per la condanna al risarcimento dei danni, riportando nel dettaglio le singole voci: i) danno emergente (costi e investimenti per studi, progettazioni, indagini di campo, ecc.) per euro 334.604 (di cui euro 79.174 quali “costi diretti” ed euro 255.430 per “costi indiretti”); ii) lucro cessante per euro 26,4 mln.; iii) danno curriculare per euro 792 mila (3% del lucro cessante); iv) danno all’immagine per euro 2,674 mln. (pari al 10%, in via equitativa, dei valori stimati per danno emergente e lucro cessante).

L’amministrazione ha depositato memoria (31.5.2016).

Gesto Italia ha chiesto dichiararsi il proprio difetto di legittimazione passiva (mem. 13.6.16).

Il Ministero ha replicato alla memoria della ricorrente (24.6.16).

Si è costituita la società Svolta Geotermica (4.7.16), che ha chiesto dichiararsi il proprio difetto di legittimazione passiva.

All’odierna udienza, il giudizio è stato discusso e trattenuto in decisione.


DIRITTO

1. Osserva in limine il Collegio che con la memoria notificata il 25.5.2016 la società ricorrente ha insistito per la condanna dell’amministrazione al risarcimento per equivalente dei danni asseritamente patiti per effetto della “illegittima risoluzione del rapporto economico con la pubblica amministrazione”, in quanto la potenza nominale oggetto della sua istanza di permesso di ricerca sarebbe stata “assegnata ad altro operatore”, con conseguente venir meno della “possibilità di realizzare il progetto proposto”.

In assenza di contrarie deduzioni dell’amministrazione (v. mem. 24.6.2016), si può ritenere che sia venuto meno l’interesse della società istante alla domanda caducatoria, occorrendo perciò accertare l’illegittimità degli atti impugnati ai sensi dell’art. 34, co. 3, c.p.a. (“Quando, nel corso del giudizio, l’annullamento del provvedimento impugnato non risulta più utile per il ricorrente, il giudice accerta l’illegittimità dell’atto se sussiste l’interesse ai fini risarcitori”).

Questo rilievo permette al contempo di riscontrare, in adesione alle richieste delle società Gesto e Svolta Geotermica, il difetto di legittimazione passiva delle stesse.

2. Nel merito, la domanda risarcitoria è fondata per quanto di ragione.

2.1. Cominciando dall’illegittimità del gravato provvedimento di reiezione, giova ripercorrere le scansioni del relativo procedimento, attinente al rilascio di un permesso di ricerca per un “impianto geotermico pilota” ex art. 1, co. 3-bis, d.lgs. 11 febbraio 2010, n. 22 (“Riassetto della normativa in materia di ricerca e coltivazione delle risorse geotermiche”).

2.1.1. Dalla documentazione versata in atti si evince quanto segue:

– l’istanza relativa alla sperimentazione “Cuma” è stata presentata il 25.2.2013;

– nella seduta del 19.3.2014 la Commissione per gli idrocarburi e le risorse minerarie (Cirm) ha esaminato il progetto (nella stessa seduta è stato analizzato anche il progetto c.d. “Scarfoglio”, parimenti riconducibile alla ricorrente), esprimendo “parere favorevole” all’accoglimento, stante la sussistenza degli “elementi tecnici minerari per il prosieguo istruttorio”, alle condizioni evidenziate dal rappresentante della Regione Campania (riportate nella successiva lettera del 28.4.2014; all.ti 1 e 2 ric.);

– con nota dell’8.5.2014 il Ministero dello sviluppo economico, richiamato l’art. 3, commi 2-bis e 5, d.lgs. n. 22/2010 e il parere favorevole della Cirm, ha comunicato alla ricorrente di essere “pervenuta alla determinazione di procedere con l’istruttoria per il relativo conferimento del permesso”, precisando che la ricorrente avrebbe dovuto “trasmettere alle Amministrazioni in indirizzo [Maatm e Regione Campania] tutta la documentazione necessaria per i fini di cui alla presente nota” (dando comunicazione della data di avvenuta presentazione) e in particolare al Maatm “la documentazione necessaria per l’avvio della procedura di verifica di compatibilità ambientale” (il Ministero ha inoltre chiesto alla Regione “di emanare, a conclusione dell’iter […] il proprio atto di intesa […]”; all. 3 ric.);

– con nota dell’8.7.2014 la ricorrente ha dato atto dell’avvenuto inoltro dei documenti alla Regione e ha rappresentato che avrebbe provveduto a presentare l’istanza di v.i.a. “entro tre mesi dalla data della presente” (all. 4 ric.);

– con nota del 14.5.2015 il Ministero, richiamate le disposizioni sulla necessità di v.i.a. per progetti quali quello in esame e rilevato come non fosse “pervenuta alcuna notizia relativa agli adempimenti in materia […]”, ha specificato che “[c]onseguentemente questa Amministrazione, che è tenuta alla conclusione del procedimento ai sensi e per gli effetti dell’art. 2 della legge n. 241/1990, si è trovata nelle condizioni di non aver potuto portare a compimento il procedimento di cui trattasi nei tempi previsti dalla citata normativa, essendo peraltro ormai ampiamente oltrepassata la scadenza ivi stabilita”; esso ha pertanto comunicato il “preavviso di rigetto” dell’istanza “ai sensi e per gli effetti dell’art. 10-bis della legge n. 241/1990”, assegnando 10 giorni per osservazioni “con particolare riguardo alle eventuali motivazioni indipendenti dalla propria volontà e/o di forza maggiore che hanno impedito l’assolvimento delle incombenze” in materia di v.i.a.;

– con nota del 22.5.2015 la ricorrente, nel segnalare il parallelismo dei progetti Cuma e Scarfoglio (avendo il Ministero comunicato l’esito favorevole della pre-istruttoria relativa al secondo con nota dell’8.5.2014, avente pari data di quella concernente il primo) e nel dedurre di aver già presentato il 28.4.2015 istanza di v.i.a. per il secondo progetto, ha comunicato come la predisposizione della documentazione relativa all’istanza Cuma sarebbe stata completata il 20.7.2015, con avvio della pratica v.i.a. “entro e non oltre il giorno 31 luglio 2015”; essa ha altresì dato sinteticamente conto della complessità dell’inerente progettazione, rappresentando al contempo come non fosse ravvisabile una “disciplina che detti una tempistica per la predisposizione degli studi necessari per procedere all’attivazione dell’istanza di VIA”;

– con nota del 14.7.2015 il Ministero, ripercorso lo sviluppo del procedimento e rilevata l’omessa indicazione di “motivazioni di causa di forza maggiore a dimostrazione dell’impedimento alla prosecuzione dell’iter istruttorio […], per ragioni non dipendenti dalla propria volontà, impedendo la conclusione del procedimento in contrasto con le disposizioni di cui all’art. 2 della legge 7 agosto 1990, n. 241”, ha respinto la domanda della ricorrente, dichiarando al contempo “non ammissibile l’istanza di differimento dei termini di presentazione della procedura di VIA, avanzata nell’ambito delle osservazioni [sul preavviso di rigetto], in quanto non compatibile con le previsioni di cui al richiamato art. 2 della legge n. 241/90 ed in contrasto con le determinazioni assunte da questa Amministrazione a seguito della constatata inerzia” della ricorrente in sede di avvio della procedura v.i.a.;

– con “istanza di riesame” del 6.8.2015 la ricorrente, nel rappresentare di aver prodotto domanda di v.i.a. entro la data indicata (31.7.2015), ha avanzato una serie di contestazioni sulla determinazione reiettiva (insussistenza di un termine perentorio, stabilito solo con la circolare del 9.7.2015, e conseguente irrilevanza delle cause di forza maggiore che avrebbero impedito l’avvio del procedimento v.i.a.; ininfluenza del termine di tre mesi indicato nella propria nota dell’8.7.2014, consistente in una mera stima della tempistica, effettuata allo stato degli atti, peraltro formulata anche per il progetto Scarfoglio in assenza di successive obiezioni; non ascrivibilità alla ricorrente delle difficoltà incontrate nell’elaborazione progettuale, tra cui la mancata risposta a un quesito sulla cumulabilità con incentivi da fonti rinnovabili, la reiezione della domanda di accesso ai finanziamenti Invitalia “a causa dei ritardi delle amministrazioni coinvolte nel procedimento”, il condizionamento derivante dal “contesto politico-ambientale”);

– con nota del 4.9.2015 il Ministero ha disatteso anche questa richiesta poiché “in essa non vengono fornite motivazioni dalle quali si possa desumere una situazione diversa rispetto a quella che ha portato al rigetto dell’istanza”.

Occorre ancora precisare che a fronte della citata istanza di v.i.a. del 31.7.2015 il Maatm, a seguito di preavviso di rigetto (nota del 26.8.2015) comunicato in considerazione del menzionato diniego del 14.7.2015, e ricevute le osservazioni della ricorrente (nota 2.9.2015), ha disposto di procedere, allo stato, all’“archiviazione” della pratica, giusta l’“inesistenza di un procedimento di autorizzativo di riferimento del procedimento di VIA in questione”.

2.1.2. Con il primo mezzo la ricorrente assume l’illegittimità della determinazione di reiezione adottata dal Ministero dello sviluppo economico in quanto la disciplina applicabile al caso di specie non contemplerebbe né un termine per la conclusione del procedimento, non essendo conferente il rinvio all’art. 2 l. n. 241/90 (i progetti in questione sarebbero stati, peraltro, sottoposti alla Cirm ben oltre lo spirare del termine fissato da detta disposizione, come risulterebbe dai dati ministeriali; v. n. I.1.2 ric.), né un termine per la definizione delle fasi intermedie, atteso che la circolare ministeriale del 9.7.2015 opererebbe solo de futuro (e sarebbe a sua volta illegittima, nel caso di ritenuta applicabilità), mentre la direttiva 1.7.2011, emanata in sede di prima applicazione del d.lgs. n. 22/2010, sarebbe silente sul punto.

Il diniego sarebbe altresì affetto da disparità di trattamento e ingiustizia manifesta, in quanto per altri operatori, pur versanti in situazioni deteriori rispetto a quella della ricorrente, non sarebbe stato disposto il rigetto: in particolare, per alcuni progetti (“Casa del Corto” e “Castelnuovo”) non risulterebbe presentata istanza di v.i.a., mentre per altri essa sarebbe stata inoltrata con un intervallo temporale variabile da 3 anni (“Cortolla” e “Forio”) a 18 mesi (“Montenero”) o a 13 mesi (“Scarfoglio”).

Il motivo è fondato nei sensi di seguito precisati.

L’art. 3 d.lgs. n. 22/2010 cit., sull’assegnazione dei permessi di ricerca, prevede, per quanto oggi d’interesse:

– co. 1: “Il permesso di ricerca, che ha carattere esclusivo, è rilasciato dall’autorità competente ad operatori in possesso di adeguata capacità tecnica ed economica, contestualmente all’approvazione del programma dei lavori allegato alla domanda ed a seguito di un procedimento unico svolto nel rispetto dei principi di semplificazione e con le modalità stabilite dalla legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni, cui partecipano, in relazione alle specificità dei lavori e dei siti, le amministrazioni interessate”;

– co. 2: “Nel caso l’autorità competente sia il Ministero dello sviluppo economico, il permesso di ricerca è rilasciato di concerto con il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e sentita la Commissione per gli idrocarburi e le risorse minerarie […]”;

– co. 2-bis: “Nel caso di sperimentazione di impianti pilota di cui all’articolo 1, comma 3-bis, l’autorità competente è il Ministero dello sviluppo economico, di concerto con il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, che acquisiscono l’intesa con la regione interessata; […]”;

– co. 5: “Il permesso di ricerca è rilasciato a seguito dell’esito positivo della procedura di valutazione di impatto ambientale, laddove prevista dalla normativa vigente”.

Il subprocedimento di v.i.a., la cui attivazione è rimessa all’interessato, confluisce pertanto nel “procedimento unico” in questione.

Sennonché, il d.lgs. n. 22/2010, oltre a non fissare un termine di conclusione di tale iter, non indica termini endoprocedimentali idonei a scandirne le fasi e dunque a individuare gli adempimenti procedurali ricadenti, rispettivamente, sulla parte istante e sull’amministrazione.

Solo con la circolare 9.7.2015 il Ministero – muovendo dal rilievo secondo cui “A causa della mancata o tardiva attivazione delle procedure di valutazione di compatibilità ambientale si è venuto a determinare il sostanziale arresto di numerosi procedimenti autorizzativi, vanificando il raggiungimento dell’obiettivo di assegnazione di potenza da immette nella rete elettrica […]” – ha ritenuto di disciplinare lo “sviluppo del procedimento” e in particolare l’“Endoprocedimento di VIA”, precisando quanto segue (per quel che interessa):

– il proponente è tenuto a presentare la domanda di v.i.a. entro 90 giorni decorrenti “dalla comunicazione di avvio del procedimento del MISE”, termine che può essere prorogato una sola volta di ulteriori 30 giorni “su motivata istanza del proponente” (è previsto, ancora, che il proponente trasmetta “senza ritardi” al MISE copia dell’istanza di v.i.a. e “della relativa comunicazione di avvio del procedimento di VIA emessa dal MATTM […]”);

– “Il MISE, salvo documentate cause di forza maggiore, può rigettare l’istanza di permesso qualora il proponente non presenti istanza di VIA al MATTM nei termini sopraindicati […]”.

Indipendentemente da ogni profilo di legittimità, si tratta di una disciplina comunque non rilevante nel caso in esame, in assenza di disposizioni transitorie riguardanti i procedimenti in itinere.

Risulta perciò condivisibile l’assunto della ricorrente circa l’efficacia de futuro delle previsioni innanzi riportate (con conseguente inammissibilità, per difetto d’interesse, degli inerenti profili di doglianza), tanto che nemmeno l’amministrazione ne invoca l’operatività (la circolare non è richiamata in nessuno degli atti della serie procedimentale, né, men che meno, negli atti difensivi; v. memorie 18.1 e 24.6.16 amm.).

Con riferimento al caso di specie, non è dato riscontrare, pertanto, alcuna norma che preveda effetti di tipo decadenziale collegati alla mancata presentazione della domanda di v.i.a..

Ne segue che la motivazione illustrata nel gravato provvedimento del 14.7.2015 non è idonea a sorreggere la determinazione reiettiva, dal momento che questa viene ricondotta all’inerzia della ricorrente nell’avvio nel procedimento v.i.a., non giustificata da cause di forza maggiore o comunque da “ragioni non dipendenti dalla propria volontà”, e che avrebbe impedito la conclusione del procedimento “in contrasto con le disposizioni” di cui all’art. 2 l. n. 241/90.

Né è giustificato l’assunto con cui l’amministrazione ha ravvisato, nell’ambito delle controdeduzioni sul preavviso di rigetto, un’“istanza di differimento dei termini di presentazione della procedura di VIA”, parimenti ritenuta incompatibile con l’art. 2 cit. (e “in contrasto con le determinazioni assunte” a seguito della “constatata inerzia”), proprio in considerazione dell’assenza di previsione di un termine entro il quale attivare il subprocedimento v.i.a..

L’illegittimità del provvedimento in esame si coglie anche con riferimento alla menzione dell’art. 2 l. n. 241/90.

È vero che la disposizione sancisce l’obbligo dell’amministrazione di conclusione del procedimento. Si tratta però di un obbligo che nei procedimenti a istanza di parte assume prioritaria valenza in chiave di protezione dei soggetti richiedenti, come attestato dalle norme del medesimo art. 2 sul dies ad quem e sui rimedi predisposti per contrastare l’inerzia dell’amministrazione.

Stante la rilevata assenza di previsioni sollecitatorie finalizzate all’attivazione del subprocedimento ambientale, il Ministero non avrebbe dunque potuto ascrivere alla ricorrente la ridetta violazione dell’obbligo di conclusione del procedimento, disponendone d’emblée la chiusura con la reiezione (i.e. decadenza) dell’istanza.

Mentre un esito di tal genere si sarebbe potuto verosimilmente ipotizzare laddove l’interessata avesse perseverato in un contegno ingiustificatamente inerte a seguito dell’assegnazione di un termine per l’avvio del subprocedimento in questione (in giurisprudenza è stata riconosciuta la facoltà dell’amministrazione di stabilire “termini interni al procedimento che fissino la scansione delle singole fasi”, al fine di “garantire il migliore esercizio della funzione amministrativa sotto il profilo dell’efficienza, efficacia economicità” e del “rispetto delle posizioni di coloro che ne siano interessati”; così T.a.r. Piemonte 6 dicembre 2003, n. 1762: l’amministrazione può “fissare un termine endoprocedimentale di carattere perentorio non espressamente previsto da una norma di rango primario o secondario”, ciò discendendo dall’art. 5, co. 1, l. n. 241/90).

Quanto detto si collega al profilo di doglianza attinente alla denunciata disparità di trattamento rispetto ad altri soggetti, i quali, pure in situazioni “proceduralmente” deteriori rispetto a quella della ricorrente, non sarebbero tuttavia incorsi in determinazioni di rigetto.

Nulla ha osservato l’amministrazione in proposito.

Ciò induce a ritenere che, al di là di una disparità di trattamento in senso tecnico (per il cui rilievo occorre la dimostrazione dell’identità delle situazioni poste a raffronto), possa quantomeno riscontrarsi una gestione dei procedimenti in itinere non del tutto comprensibile: dall’esame delle schede versate in atti (all. 2 ric. dep. 5.12.15) sembra evincersi come le posizioni rappresentate appaiano comparabili, sul piano procedurale, con quella per cui è controversia, risultando la “presentazione v.i.a.” (a fronte di istanze di permesso e di pareri Cirm molto risalenti) a volte non ancora effettuata, altre volte effettuata in tempi analoghi a quelli del progetto Cuma (è peraltro il caso di rilevare come in alcune di tali ipotesi sembrerebbe inoltrato un “preavviso di rigetto”, senza ulteriori specificazioni che consentano di comprenderne le motivazioni).

Questa variegata situazione dimostra, infine, che in assenza di una previsione di tipo generale (o di uno specifico “invito a concludere”), la decisione relativa al buon esito dell’istanza potrebbe dipendere da una circostanza del tutto fortuita e imprevedibile, e cioè dal momento in cui l’amministrazione, caso per caso, abbia ritenuto di dover comunque chiudere il procedimento in considerazione del tempo trascorso.

Le precedenti osservazioni sono sufficienti al riscontro della fondatezza del primo motivo, essendo valevoli indipendentemente dall’individuazione dello spatium deliberandi normativamente a disposizione del Ministero.

Non occorre pertanto soffermarsi sulle deduzioni della ricorrente relative al termine di conclusione del procedimento, a suo dire non rinvenibile nell’art. 9 d.P.R. n. 485/1994 (se questa tesi fosse corretta, dovrebbe addirittura ritenersi applicabile il termine suppletivo di 30 giorni di cui all’art. 2, co. 2, l. n. 241/90, posto che nessuno dei due regolamenti adottati ai sensi di detto art. 2 estende il termine di legge per il procedimento in questione; v. il d.P.C.M. 22 dicembre 2010, n. 272, All. A, che contempla solo il conferimento del permesso di risorse geotermiche “in mare”, e il d.P.C.M. 22 dicembre 2010, n. 273).

Giova precisare che anche in relazione a questo aspetto nulla ha osservato il Ministero.

Venendo, così, alle argomentazioni difensive della parte pubblica, queste si incentrano su una ricostruzione non del tutto condivisibile.

È certamente corretto l’assunto di fondo, da cui essa muove, circa la necessità di espletare procedure competitive per l’assegnazione di beni pubblici soggetti a contingentamento (anche questa Sezione ha più volte richiamato l’indirizzo espresso da Cons. Stato, ad. plen., 25 febbraio 2013, n. 5, “che ha generalizzato l’obbligo della gara per l’assegnazione a privati di beni o risorse pubbliche, con la conseguente applicazione di una serie di ricevuti principi, anche di derivazione comunitaria, fra cui quelli della trasparenza, della par condicio, della non discriminazione”, come rilevato da Cons. Stato, ad. plen., 25 febbraio 2014, n. 9, sub n. 6).

Ma non paiono consequenziali con tale premessa le successive affermazioni, secondo cui, pur non avendo l’art. 3 d.lgs. 22/2010 imposto lo svolgimento di gare per il rilascio dei permessi per cui è controversia, al caso di specie andrebbero applicate le regole in materia di appalti pubblici (anche per l’appartenenza della materia ai settori speciali ex art. 3, co. 5, d.lgs. n. 163/06) e, in particolare, gli esiti giurisprudenziali sugli adempimenti istruttori incombenti sui partecipanti nella fase successiva alla presentazione delle offerte, notoriamente connotata da esigenze di celerità e certezza (l’amministrazione richiama in proposito Cons. Stato, ad. plen., n. 10/2014, sulla perentorietà del termine ex art. 48, co. 2, d.lgs. n. 163/06). Queste esigenze, a dire del Ministero, ricorrerebbero anche per gli impianti pilota, qualificati come di interesse nazionale e caratterizzati dalla dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità e urgenza per le relative opere (art. 15 d.lgs. cit.; è richiamato anche il parere del Comitato economico e sociale europeo del 9.2.2005), di guisa che gli adempimenti necessari per la procedura v.i.a. non potrebbero essere “differiti indefinitamente”. In questa ottica, il lungo periodo di tempo nel quale la ricorrente sarebbe rimasta inerte non sarebbe giustificabile con la complessità dell’iter autorizzatorio o con il contegno dell’amministrazione, alla luce del dovere di leale cooperazione incombente sul privato (anche in presenza dell’art. 6, lett. b, l. n. 241/90).

Questa tesi non considera infatti il dato (dirimente) dell’assenza di termini endoprocedimentali, con la conseguenza che il pur corretto rilievo sull’esigenza di rispettare i principi di trasparenza, par condicio e non discriminazione non può dipendere, come si è detto, da una condotta dell’amministrazione non correlata a regole di carattere generale, valevoli per tutti i “competitori”.

2.1.3. Dall’accertata illegittimità del diniego per i vizi censurati con il primo motivo discende l’illegittimità, in via derivata, anche degli atti del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare (con la precisazione che questa amministrazione, nella situazione data, si è limitata ad “archiviare” l’istanza “allo stato degli atti”, salvi gli eventuali esiti giudiziari).

Mentre il secondo motivo è logicamente subordinato a quello innanzi esaminato (poiché presuppone la sussistenza della potestà dell’amministrazione di chiudere il procedimento nel caso di inerzia nell’avvio del procedimento ambientale) e può essere pertanto assorbito.

2.2. Venendo all’esame della domanda risarcitoria formulata nei confronti del solo Ministero dello sviluppo economico (v. conclusioni, pag. 8, mem. dep. 1.6.16 ric.), ritiene anzitutto il Collegio che le allegazioni dell’amministrazione sui fattori che escluderebbero l’elemento soggettivo, quali l’incertezza del quadro normativo e la complessità della situazione fattuale (mem. 24.6.16), siano prive di pregio, tenuto conto, tra l’altro, della circostanza che solo nel 2015, con l’adozione della circolare più sopra menzionata, il Ministero ha ritenuto di intervenire sul tema delle lungaggini procedurali, peraltro senza prendere in considerazione le istanze pendenti.

La ricorrente ha inoltre allegato e dimostrato il pregiudizio derivante dall’illegittimo contegno del Ministero dello sviluppo economico (v. mem. 1.6.16 cit.), ma nei limiti di seguito precisati.

In particolare, non spettano le voci chieste a titolo di:

– lucro cessante (“mancato conseguimento del risultato economico-finanziario atteso dall’ingente investimento”), in quanto la ricorrente nulla ha dedotto sulle probabilità di positiva conclusione dell’iter per cui è controversia, dando per scontato un esito tutt’altro che certo (anche in considerazione della necessità dell’intesa regionale, oltre che della favorevole definizione del subprocedimento v.i.a.);

– danno curricolare, non avendo la società istante chiarito in quale modo il rigetto dell’istanza abbia potuto arrecarle pregiudizio in vista dell’“accesso ad iniziative analoghe”, occorrendo tra l’altro tener conto che la stessa assume di essere titolare di analoga iniziativa in corso (progetto “Scarfoglio”);

– danno all’immagine, stante l’assenza di specifiche allegazioni sul pregiudizio dedotto (“diminuzione della considerazione da parte di terzi”).

Quanto al danno emergente (n. 1 mem. 1.6.16 cit.), spettano invece i “costi diretti” sostenuti per il progetto Cuma, non contestati dall’amministrazione, per complessivi euro 79.174,00 (pag. 3 mem. cit.; essi sono analiticamente riportati nella documentata perizia di parte; all. 2 dep. 1.6.16; v. in particolare par. 5.a).

Sembra peraltro equo ridurre questa somma del 70% ai sensi dell’art. 1227 cod. civ., in quanto la ricorrente, rassicurata l’amministrazione sul sollecito avvio della valutazione ambientale, addirittura entro 3 mesi dalla nota dell’8.7.2014, è poi rimasta inerte per altri 7 mesi ca. (sino alla ricezione del preavviso di rigetto), non avendo nemmeno ipotizzato di informare il Ministero, in ossequio al generale dovere di correttezza e al canone di leale collaborazione, del mancato avvio dell’iter ambientale nel termine che essa stessa ha ritenuto autonomamente di darsi (oltre che delle relative ragioni, solo oggi ricondotte ad asserite difficoltà incontrate nelle attività preparatorie del subprocedimento in questione). Del complessivo lasso temporale di 10 mesi (luglio 2014-maggio 2015) risultano così “giustificabili” i primi 3 mesi (indicati nella ridetta nota del luglio 2014 quale tempo occorrente per intraprendere la v.i.a.), ma non gli altri 7, con corrispondente diminuzione (70%) della voce in esame.

Non spettano, invece, i “costi indiretti”, individuati nelle spese generali per dipendenti, viaggi, trasferte e altro che la ricorrente avrebbe sostenuto “nell’ambito delle attività per l’ottenimento dei permessi svolte contemporaneamente per l’impianto di Scarfoglio e per l’impianto di Cuma”, determinati, alla luce della “parziale sovrapposizione dei progetti a partire dal mese di marzo 2013 sino a luglio 2015”, per una quota del 50% in relazione all’asserita “equivalenza tecnica ed economica delle due iniziative” e per una quota del 70% relativamente al periodo precedente al 25.2.2013 (data di presentazione dell’istanza per il progetto Cuma).

È infatti assente l’allegazione (e la dimostrazione) che l’attività della società istante consistesse unicamente nella gestione dei due progetti in questione (si tratta, peraltro, di voci attinenti a oneri che la ricorrente avrebbe dovuto sostenere anche nel caso di presentazione di un solo progetto).

Da quanto detto segue che il complessivo danno può essere quantificato in euro 23.572,00 (79.174 – 55.422), importo sul quale vanno corrisposti (trattandosi di debito di valore) la rivalutazione monetaria e gli interessi al saggio legale (in particolare, questa somma va rivalutata in base all’indice Istat dei prezzi al consumo per famiglie di operai e impiegati, c.d. FOI, a far tempo dal 14.7.2015, data di reiezione dell’istanza, sino a quella di pubblicazione della presente sentenza, e sull’importo così ottenuto vanno computati gli interessi al saggio legale, dalla data di pubblicazione della sentenza sino al soddisfo).

3. La novità delle questioni trattate consente di ravvisare i presupposti per la compensazione delle spese di lite.

P.Q.M.

Il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sez. III-ter, definitivamente pronunciando, accoglie il ricorso in epigrafe per quanto di ragione e, per l’effetto:

– dichiara il difetto di legittimazione passiva delle società Gesto Italia e Svolta Geotermica;

– dichiara la domanda caducatoria inammissibile per sopravvenuto difetto d’interesse;

– accerta l’illegittimità degli atti impugnati, nei sensi di cui in motivazione;

– condanna il Ministero dello sviluppo economico a pagare alla società ricorrente la somma di euro 23.572,00 (ventitremilacinquecentosettantadue/00), oltre interessi legali e rivalutazione monetaria, per i titoli e secondo i criteri parimenti indicati in motivazione.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 15 luglio 2016 con l’intervento dei magistrati:

Giampiero Lo Presti, Presidente
Mario Alberto di Nezza, Consigliere, Estensore
Antonino Masaracchia, Primo Referendario

L’ESTENSORE
Mario Alberto di Nezza
 

IL PRESIDENTE
Giampiero Lo Presti

IL SEGRETARIO

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