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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Diritto dell'energia, VIA VAS AIA Numero: 369 | Data di udienza: 29 Settembre 2016

* DIRITTO DELL’ENERGIA – VIA, VAS E AIA – D.M. 30/03/2015 – Progetti di competenza delle regioni e province autonome – Sottoposizione degli impianti a VIA – Potenza termica – 25 MW – Fattispecie – Direttiva n. 92/2011/UE  – Impianti elencati nell’allegato 2 – Partecipazione diffusa del pubblico – Convenzione di Aarhus – Progetti soggetti a valutazione Attività elencate nell’allegato 1.


Provvedimento: Sentenza
Sezione:
Regione: Trentino Alto Adige
Città: Trento
Data di pubblicazione: 4 Novembre 2016
Numero: 369
Data di udienza: 29 Settembre 2016
Presidente: Vigotti
Estensore: Devigili


Premassima

* DIRITTO DELL’ENERGIA – VIA, VAS E AIA – D.M. 30/03/2015 – Progetti di competenza delle regioni e province autonome – Sottoposizione degli impianti a VIA – Potenza termica – 25 MW – Fattispecie – Direttiva n. 92/2011/UE  – Impianti elencati nell’allegato 2 – Partecipazione diffusa del pubblico – Convenzione di Aarhus – Progetti soggetti a valutazione Attività elencate nell’allegato 1.



Massima

 

TRGA TRENTINO ALTO ADIGE, Trento – 4 novembre 2016, n. 369


DIRITTO DELL’ENERGIA – VIA, VAS E AIA – D.M. 30/03/2015 – Progetti di competenza delle regioni e province autonome – Sottoposizione degli impianti a VIA – Potenza termica – 25 MW – Fattispecie.

La disciplina nazionale introdotta con il d. m. 30 marzo 2015 (“Linee guida per la verifica di assoggettabilità a valutazione di impatto ambientale dei progetti di competenza delle regioni e province autonome, previsto dall’articolo 15 del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91, convertito con modificazioni dalla legge 11 agosto 2014, n. 116”), ha fissato la soglia di 25 MW di potenza per la sottoposizione degli impianti – localizzabili in ambiti territoriali sensibili – alla valutazione di impatto ambientale, con ciò abbattendo del 50 per cento il limite (50 MW) precedentemente stabilito nell’Allegato IV alla parte seconda del D.lgs. n. 152/2006, e così espressamente estendendo il campo di applicazione delle disposizioni in materia di VIA anche a progetti potenzialmente in grado di causare effetti negativi significativi sull’ambiente, in espressa applicazione della Direttiva comunitaria 2011/92/UE. Il notevole divario fra un impianto con potenza termica di 4.431 kW ed il limite stabilito nei criteri tecnici assunti nel cennato decreto ministeriale non solo evidenzia il rispetto della normativa, ma consente pure di escludere una significativa negatività sull’ambiente circostante.

 

DIRITTO DELL’ENERGIA – VIA, VAS E AIA – Direttiva n. 92/2011/UE  – Impianti elencati nell’allegato 2 – D.M. 30/03/2015.

Per gli impianti elencati nell’Allegato 2 della Direttiva comunitaria n.92/2011,  e dunque per gli impianti di produzione energetica esclusi dall’Allegato 1, lo Stato membro ben può legittimamente individuare “criteri dimensionali” al fine di regolare la loro sottoposizione alle procedure di VIA, il che è avvenuto con il decreto ministeriale 30 marzo 2015 che ha fissato la soglia di 25 MW, ed ancor prima con la assai più rigorosa disciplina adottata dalla Provincia di Trento,  che tale soglia dimensionale aveva ristretto nel limite di 5 MW di potenza termica.
 

 
DIRITTO DELL’ENERGIA – VIA, VAS E AIA – Direttiva n. 92/2011/UE  – Partecipazione diffusa del pubblico – Convenzione di Aarhus – Progetti soggetti a valutazione Attività elencate nell’allegato 1.

Il “considerando 12” alla Direttiva comunitaria n. 92/2011 prevede una preventiva adeguata informazione al pubblico potenzialmente interessato, nel rispetto delle disposizioni della “Convenzione di Aarhus,  “per i progetti soggetti a valutazione” e il “considerando 20” richiama, al riguardo, l’art. 6 della citata Convenzione. Quest’ultima disposizione, a propria volta, stabilisce che l’estesa partecipazione del pubblico riguarda le attività elencate nell’Allegato 1, e dunque – per la parte di interesse – in relazione ai progetti di “centrali termiche ed altri impianti di combustione con potenza termica di almeno 50 MW”, mentre – per le attività ivi non elencate – tale forma partecipativa è limitata alle decisioni “che possono avere effetti significativi sull’ambiente”, rimettendo poi agli Stati contraenti di stabilire se l’attività proposta ne è assoggettata. (nella specie, il divario fra la potenza termica prevista nell’Allegato 1 -50 MW- e quella riscontrata per la centrale in esame -4.431 kW- è  stato ritenuto  tale  da escludere, in assenza di ulteriori e più specifiche determinazioni, quell’effetto “significativo sull’ambiente” assunto a parametro nel testo della Convenzione).

Pres. Vigotti, Est. Devigili – C.T. e altri (avv. Barrile) c. Comune di Ledro (avv. Benini) e Provincia Autonoma di Trento (avv.ti Pedrazzoli, Cattoni e Azzolini)


Allegato


Titolo Completo

TRGA TRENTINO ALTO ADIGE, Trento – 4 novembre 2016, n. 369

SENTENZA

 

TRGA TRENTINO ALTO ADIGE, Trento – 4 novembre 2016, n. 369

Pubblicato il 04/11/2016

N. 00369/2016 REG.PROV.COLL.
N. 00048/2016 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa di Trento

(Sezione Unica)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 48 del 2016, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
Christian Tiboni, Pietro Zanotti e associazione “Amici della Terra / Club dell’Alto Garda e Ledro”, rappresentati e difesi dall’Avv. Eugenio Barrile, domiciliati presso la segreteria del T.r.g.a. di Trento, in Trento via Calepina n. 50;

contro

Comune di Ledro, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avv. Luca Benini, con domicilio eletto presso il suo studio in Trento, vicolo del Liceo n. 1;
Provincia autonoma di Trento, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dagli Avv.ti Nicolo’ Pedrazzoli, Marialuisa Cattoni e Sabrina Azzolini, con domicilio eletto presso quest’ultima, nella sede dell’Avvocatura provinciale, in Trento piazza Dante n. 15;

nei confronti di

Società Ledro Energia s.r.l., in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dall’Avv. Roberta de Pretis, con domicilio eletto presso il suo studio in Trento, via Ss. Trinita’ n. 14;

per l’annullamento, previa sospensione

– della concessione edilizia in deroga n. 41 del 7.12.2015, rilasciata dal Responsabile il Servizio edilizia privata del Comune di Ledro;

– della deliberazione del Consiglio comunale di Ledro n. 46 di data 18.12.2014;

– della deliberazione della Giunta provinciale di Trento n. 1518 di data 7.9.2015;

– della determinazione del Dirigente il servizio gestioni idriche ed energetiche (A.P.R.I.E.) della Provincia autonoma di Trento n. 122 di data 28.5.2014 e della allegata determinazione del Dirigente il servizio autorizzazione e valutazioni ambientali n. 3 di data 14.5.2014;

– degli atti presupposti, conseguenti o comunque connessi, ivi compresi gli atti e gli elaborati progettuali approvati con l’impugnata concessione edilizia in deroga, il parere favorevole della Commissione edilizia comunale espresso nella seduta del 9.10.2014 con verbale n. 14, l’autorizzazione della Commissione per la pianificazione territoriale e il paesaggio della Comunità Alto Garda e Ledro di cui alla deliberazione n. 320/2014 del 23.9.2014,

il parere igienico sanitario dell’Azienda provinciale per i servizi sanitari del 15.4.2014,

il parere del Servizio antincendi e protezione civile della Provincia di Trento del 15.9.2014,

il parere del Servizio gestione strade della Provincia di Trento del 8.10.2014,

le note prot. n. 3676 di data 16.3.2015 e prot. n. 4625 di data 2.4.2015 del Comune di Ledro;

Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Ledro, della Provincia autonoma di Trento e della società Ledro Energia s.r.l.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 29 settembre 2016 il Cons. Paolo Devigili e uditi l’Avv. Eugenio Barrile per i ricorrenti, l’Avv. Luca Benini per il Comune di Ledro, l’Avv. Sabrina Azzolini per la Provincia autonoma di Trento e l’Avv. Fulvio Cortese, in sostituzione dell’Avv. Roberta de Pretis, per la controinteressata;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

I signori Christian Tiboni e Pietro Zanetti, proprietari ciascuno di un immobile abitativo sito in Tiarno di Sopra (ora Comune di Ledro) e l’associazione “Amici della Terra/Club dell’Alto Garda e Ledro” hanno promosso il ricorso in esame con il quale impugnano gli atti inerenti l’approvazione del progetto di ampliamento dell’edificio sito in p.ed. 466, ricompreso nel compendio produttivo per il realizzo di bancali in legno della società Legnami Bracchi, e la conversione dello stesso in una centrale di cogenerazione, teleriscaldamento e pellet, da approvvigionarsi con il cippato della adiacente segheria Bracchi, destinata a teleriscaldare, oltre l’adiacente segheria, la scuola e gli edifici comunali siti nell’abitato di Tiarno di Sopra.

In particolare gli interessati chiedono – previa richiesta di sospensione – l’annullamento dei seguenti atti:

– la concessione edilizia in deroga n. 41 del 7.12.2015 rilasciata dal Responsabile del competente servizio del Comune di Ledro;

– la deliberazione del Consiglio comunale di Ledro n. 46 del 18.12.2014 e la deliberazione della Giunta della Provincia di Trento n. 1518 del 7.9.2015, con cui, precedentemente, è stato autorizzato il rilascio del suddetto titolo edilizio;

– le determinazioni dei Dirigenti del servizio gestioni idriche ed energetiche (A.p.r.i.e) n. 122 di data 28.5.2014, e del servizio autorizzazioni e valutazioni ambientali n. 3 di data 14.5.2014, con cui l’amministrazione provinciale di Trento ha autorizzato la costruzione dell’impianto per il profilo attinente la produzione di energia elettrica e termica e, rispettivamente, le emissioni in atmosfera;

Il ricorso, investente pure gli atti presupposti e connessi meglio indicati in epigrafe, è affidato ai seguenti motivi:

1) Violazione e falsa applicazione di legge (artt. 80 e 98 L. p. 4 agosto 2015, n. 15; artt. 112 e 31 L. p. 4 marzo 2008 n. 1; art. 39 d. P. P. 13 luglio 2010, n. 18-50/Leg.);

Violazione e falsa applicazione degli artt. 3,12,14,27,37 e 42 delle Norme tecniche di attuazione unificate del Piano regolatore generale, approvate con deliberazione della Giunta provinciale di Trento n. 1549/2015.

Eccesso di potere per travisamento di circostanze di fatto e di diritto, difetto di istruttoria, omessa valutazione di presupposti, contraddittorietà intrinseca ed i illogicità, nonché per motivazione carente e contraddittoria.

La concessione edilizia in deroga, sostengono i ricorrenti, sarebbe stata rilasciata in contrasto con le norme tecniche di attuazione al Piano regolatore generale e di quelle unificate medio tempore introdotte, la cui sopravvenienza non sarebbe stata considerata.

Per altri versi la concessione avrebbe omesso un’adeguata valutazione e graduazione dei diversi interessi pubblici e privati coinvolti nella realizzazione del progetto.

2) Violazione e falsa applicazione di legge (art. 112 L. p. n. 1/2008; art. 98 L. p. n. 15/2015; art. 39 d. P. P. 13 luglio 2010, n. 18-50/Leg.).

Violazione degli artt. 3, 12, 14, 27, 37 e 42 delle Norme tecniche di attuazione unificate del Piano regolatore generale e dell’art. 18.12 delle previgenti Norme tecniche di attuazione al medesimo piano.

Eccesso di potere per travisamento di circostanze di fatto e di diritto, difetto di istruttoria, omessa valutazione di presupposti, contraddittorietà intrinseca ed illogicità, nonché per motivazione carente ed illogicità.

L’approvazione del progetto avrebbe richiesto l’approvazione di una variante urbanistica nella parte in cui prevede la sovrapposizione dell’ampliamento edificiale al tracciato di una progettata pista ciclopedonale.

3) Violazione e falsa applicazione di legge (art. 112 L. p. n. 1/2008; art. 98 L. p. n. 15/2015; artt. 34 e 64 L. p. n. 1/2008).

Violazione e falsa applicazione della deliberazione della Giunta provinciale di Trento n. 909 di data 3 febbraio 1995, e successive modifiche, con cui sono state approvate le determinazioni in ordine alle dimensioni delle strade ed alle distanze di rispetto stradali e dei tracciati ferroviari di progetto.

Eccesso di potere per travisamento di circostanze di fatto e di diritto, difetto di istruttoria, omessa valutazione di presupposti, contraddittorietà intrinseca ed illogicità, nonché per motivazione carente e contraddittoria.

L’amministrazione comunale avrebbe illegittimamente provveduto a sostituire gli elaborati progettuali presentati originariamente dalla società richiedente.

Peraltro, aggiungono i ricorrenti, la stessa amministrazione avrebbe modificato il proprio Piano regolatore, adeguandone la rappresentazione grafica ex art. 34, co.3, della L. p. n. 1/2008, ed in tal modo pervenendo alla classificazione di un tratto di strada esistente nei pressi del progettato ampliamento, prevista come “locale extraurbana da potenziare”, in “strada extraurbana esistente”: solo ciò avrebbe consentito la riduzione della fascia di rispetto stradale da 20 metri a 10 metri e permesso l’approvazione del progetto, diversamente irrispettoso del limite stabilito in materia di fasce di rispetto. Tuttavia nella fattispecie non si sarebbe trattato di un errore nella rappresentazione grafica del tratto di strada in questione, emendabile ex art. 34, co.3, della L. p. n. 1/2008, ma di “una correzione dell’errore materiale”, per il quale sarebbero diversamente applicabili i commi 1 e 2 del medesimo articolo.

4) Violazione e falsa applicazione di legge (art. 112 L. p. n. 1/2008; art. 43 d. P. P. 13 luglio 2010, n. 18-50/Leg.).

Eccesso di potere per contraddittorietà manifesta, difetto di motivazione e di istruttoria.

La concessione edilizia rilasciata in deroga prescrive la durata del vincolo di conservazione della destinazione d’uso per un periodo di soli dieci anni dal rilascio, mentre la norma di riferimento (art. 43 d. P. P. cit.) impone il mantenimento sine die delle finalità per le quali la deroga è stata accordata.

5) Violazione e falsa applicazione di legge (art. 81 L. p. n. 15/2015).

Eccesso di potere per travisamento di circostanze di fatto e di diritto, difetto di istruttoria, omessa valutazione di presupposti, contraddittorietà intrinseca ed illogicità.

La società Ledro Energia S.r.l., a favore della quale è stata rilasciata la deroga, non sarebbe proprietaria dell’immobile oggetto del progettato impianto, e dunque risulterebbe priva del necessario titolo idoneo a conseguire la concessione edilizia.

6) Violazione e falsa applicazione di legge (art. 2 e segg. della L. p. 29 agosto 1988 n. 28 e del d. P. G. P. 22 novembre 1989, n. 13/11 Leg. – allegato B; art. 3 e allegato A alla L. p. 17 settembre 2013, n. 19; art. 20 e allegato V del d.lgs. n. 152/2006. Violazione e falsa applicazione dell’art. 191 del T.F.U.E.

Violazione e falsa applicazione dei principi comunitari di precauzione e di azione preventiva.

Violazione e falsa applicazione dell’art. 4 della Direttiva 2011/92 UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 13 dicembre 2011, nonché dei criteri di selezione di cui all’allegato III della medesima Direttiva.

Eccesso di potere per travisamento di circostanze di fatto e di diritto, difetto di istruttoria, omessa valutazione di presupposti, contraddittorietà intrinseca ed illogicità, nonché per difetto di motivazione.

Con il dedotto, articolato, motivo i ricorrenti contestano la legittimità degli atti propedeutici al rilascio della concessione in deroga, ed in particolare delle determinazioni n. 122/2014 e n. 3/2014 assunte dai dirigenti dei competenti servizi provinciali, della deliberazione del Consiglio comunale di Ledro n. 46/2014 e del nulla osta n. 1518/2015 rilasciato dalla Giunta provinciale di Trento.

A tal riguardo osservano i ricorrenti che il progetto, poi assentito, non è stato sottoposto alla procedura di valutazione di impatto ambientale (VIA), e neppure al procedimento di verifica di assoggettabilità a detta procedura (c.d. screening), ritenendo che il solo rispetto limite di 5 MW termici previsto nel progetto approvato, pur conforme alla normativa provinciale di riferimento al fine di discriminarne l’assoggettabilità alle sopra viste procedure, non sarebbe di per sé sufficiente, dovendosi pure considerare gli eventuali impatti significativi e negativi sull’ambiente, caratterizzato nella fattispecie da profili di delicatezza per la vicinanza di abitazioni e di centri di aggregazione sociale.

Risulterebbero quindi violati i principi stabiliti nella Direttiva comunitaria 92/2011/UE e nella normativa nazionale rubricata in titolo, di talché le amministrazioni procedenti avrebbero dovuto disapplicare la disciplina vigente nel territorio provinciale di Trento.

7) Violazione e falsa applicazione della L. n. 108/2001 e della Convenzione Aarhus del 25 giugno 1998 sull’accesso alle informazioni e sulla partecipazione del pubblico ai processi decisionali nonché per l’accesso alla giustizia ambientale.

Violazione e falsa applicazione dell’art. 6, paragrafo 2, della Direttiva 2011/92/UE.

Violazione e falsa applicazione di legge (art. 2 e segg. L.p. n. 28/1998; art. 2, e allegato A, della L.P. n. 19/2013.

Eccesso di potere per travisamento di circostanze di fatto e di diritto, difetto di istruttoria, omessa valutazione di presupposti, contraddittorietà intrinseca ed illogicità, difetto di motivazione.

L’approvazione del progetto di concessione in deroga, per l’incidenza sui profili di carattere ambientale, avrebbe richiesto – nella sua fase iniziale – un’adeguata e tempestiva informazione rivolta al pubblico potenzialmente interessato, nel rispetto delle norme e dei principi, di derivazione comunitaria, rubricati in titolo.

8) Violazione e falsa applicazione di legge (art. 39 L. p. n. 11/2007 e dell’art. 15 e segg. d. P. P 3.11.2008, n. 50-157/Leg.)

Violazione e falsa applicazione dell’art. 4 d. P. R. n. 357/1997.

Violazione e falsa applicazione degli artt. 4,6 e 7 della Direttiva 92/43/CEE del 21 maggio 1992, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e fauna selvatiche.

Eccesso di potere per travisamento di circostanze di fatto e di diritto, difetto di istruttoria, omessa valutazione di presupposti, contraddittorietà intrinseca ed illogica nonché difetto di motivazione.

L’intervento progettato ricadrebbe ad una distanza di circa 130 metri dal sito di importanza comunitaria denominato “Monti Tremalzo e Tombea”, di talché – considerate le incidenze significative dell’impianto progettato – si sarebbe reso necessario – secondo le disposizioni rubricate in titolo – quanto meno uno studio preliminare, volto ad individuare e valutare i principali effetti rilevanti sul sito in questione.

9) Violazione e falsa applicazione di legge (art. 12 d.lgs. n. 387/2003 e d. m. 10 settembre 2010.

Violazione e falsa applicazione dell’art. 1 bis3 della L. p. 6 marzo 1998 n. 4, comma 1, e del d. P.P. 13 maggio 2002 n. 9-99/Leg., nonché dell’art. 1 del d. P.R. n. 53/1998.

In materia di costruzione ed esercizio degli impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili, qual è quello nella fattispecie autorizzato (centrale di cogenerazione a biomassa), troverebbe applicazione il regime della c.d. “autorizzazione unica”, prevista all’esito di un peculiare procedimento, e normata dalle disposizioni contenute nel d.lgs. n. 387/2003 (art. 12), da ritenersi applicabili anche nel territorio di Trento, ancorché non recepite dalla normativa provinciale.

In via subordinata, come dedotto, si porrebbe una questione di legittimità costituzionale per violazione degli artt. 117, co. 3, Cost., dell’art. 5 dello Statuto di autonomia speciale e della norma di attuazione di cui all’art. 2 del d.lgs. 16 marzo 1992 n. 266.

Nel giudizio, in vista dell’udienza di discussione della domanda incidentale di sospensione si sono costituiti per resistere il Comune di Ledro, la Provincia autonoma di Trento e la controinteressata società Ledro Energia S.r.l.

Quest’ultima, pregiudizialmente, ha eccepito la tardività del ricorso, sostenendo che l’iniziativa sfociata successivamente nella definitiva approvazione del progetto assentito era ben conosciuta – fin dall’inizio della procedura – da un comitato locale di cui farebbe parte l’odierno ricorrente signor Christian Tiboni.

Sotto un diverso profilo, la difesa della Provincia di Trento ha eccepito l’irricevibilità, per tardività, del ricorso nella parte in cui viene contestata la legittimità delle determinazioni dirigenziali adottate dal servizio provinciale per la gestione delle risorse idriche ed energetiche (n. 122/2014) e dal servizio provinciale per le autorizzazioni e valutazioni ambientali (n. 3/2014), posto che si tratterebbe di provvedimenti, risalenti nel tempo, conclusivi di un procedimento amministrativo distinto da quello, di carattere prettamente urbanistico, investente il rilascio della concessione edilizia in deroga impugnata.

Inoltre la difesa del Comune di Ledro ha eccepito l’irricevibilità, per tardività, del ricorso nella parte in cui viene impugnata la procedura di rettifica delle previsioni del piano regolatore generale, adottata dall’amministrazione comunale ex art. 34 L.p. n. 1/2008 per pervenire ad una diversa rappresentazione grafica e classificazione della strada corrente ai margini del progettato ampliamento, sostenendo al riguardo che i provvedimenti che l’hanno sostanziata sono indipendenti dal procedimento di rilascio della concessione edilizia in deroga.

Tutte le parti resistenti hanno poi eccepito l’inammissibilità del ricorso per difetto, in capo ai ricorrenti, della necessaria legittimazione ed interesse.

A tal riguardo viene rilevato che sarebbe insussistente in capo ai signori Christian Tiboni e Pietro Zanetti, i cui immobili sono situati – come ammesso – ad una distanza di circa 380 e, rispettivamente, 160 metri dal luogo dell’intervento, il necessario requisito della “vicinitas”, e peraltro neppure l’associazione ricorrente potrebbe vantare i requisiti richiesti per radicare il necessario interesse, attesa l’insufficienza del dedotto profilo statutario dell’associazione, risolventesi in una generica finalità, meramente concorrente, alla tutela e valorizzazione dell’ambiente.

Nel merito le parti resistenti hanno puntualmente contestato la fondatezza delle singole censure.

All’esito dell’udienza camerale del giorno 5 maggio 2016, con ordinanza n. 17 il Collegio ha respinto la domanda incidentale di sospensione dell’efficacia degli atti impugnati.

Successivamente i ricorrenti hanno proposto motivi aggiunti.

Con il primo ed il secondo di questi, aventi entrambi carattere integrativo, i ricorrenti ribadiscono e specificano le censure mosse con il terzo ed il quinto dei sopra visti motivi contenuti nell’atto introduttivo.

Con il terzo motivo aggiunto i ricorrenti deducono la violazione e falsa applicazione dell’art. 97 Cost., del d.P.P. 26 gennaio 1987 (T.U. delle leggi provinciali in materia di tutela dell’ambiente dagli inquinamenti), dell’art. 39 quater della L.p. n. 3/2006 nonché dell’art. 2 dell’atto per l’organizzazione e il funzionamento dell’agenzia per la depurazione (ADEP), ed infine l’eccesso di potere per difetto di istruttoria, omessa valutazione dei presupposti, perplessità dell’azione amministrativa, travisamento di circostanze di fatto e di diritto e difetto di motivazione.

L’ampliamento dell’edificio esistente coinvolgerebbe direttamente il collettore fognario principale del Comune di Ledro, e ciò avrebbe reso necessario l’apporto istruttorio da parte dell’Agenzia per la depurazione (ADEP), considerate le funzioni alla stessa spettanti in materia.

Di seguito le difese delle intimate amministrazioni e della società controinteressata hanno contestato con memorie la fondatezza dei motivi aggiunti.

Nel prosieguo le parti hanno depositato memorie illustrative e di replica, insistendo per l’accoglimento delle contrapposte conclusioni.

Infine, alla pubblica udienza del giorno 29 settembre 2016 la causa è passata in decisione.

DIRITTO

1. Il Collegio ritiene che le eccezioni pregiudiziali di tardività del ricorso siano infondate.

1.1. Invero, quanto all’eccezione mossa dalla controinteressata, non sono certamente sufficienti notizie genericamente attinenti la procedura volta ad autorizzare la concessione in deroga, di cui si assume la conoscenza da parte di alcuni residenti e di un Comitato di cui farebbe parte il signor Tiboni, per far decorrere il termine stabilito per il ricorso giurisdizionale, dovendosi viceversa considerare l’effettiva conoscenza degli atti da parte dei ricorrenti e comunque dovendosi considerare che, nella fattispecie, la concessione in deroga impugnata è stata rilasciata in data 7 dicembre 2015 ed in data successiva è stata pubblicata, mentre il ricorso è stato portato a notificazione il 5 febbraio 2016, nel rispetto dunque del termine fissato dall’art. 29 del c.p.a.

1.2. Parimenti infondate si rivelano le eccezioni di tardività, a diverso titolo sollevate dalle difese della Provincia di Trento e del Comune di Ledro.

Invero, sia le determinazioni assunte dai dirigenti provinciali del Servizio gestione risorse idriche ed energetiche (n. 122/2014) e del Servizio autorizzazioni e valutazioni ambientali (n. 3/2014), sia il procedimento adottato dal Comune di Ledro per pervenire all’adeguamento cartografico del Piano regolatore generale ex art. 34 della L.p. n. 1/2008 costituiscono fasi di un unico procedimento sfociato alfine nel rilascio della concessione in deroga, e costituenti presupposti necessari di quest’ultima, che rappresenta, quindi, l’effettivo provvedimento lesivo.

2. Per quanto concerne, infine, le questioni del difetto di interesse e di legittimazione processuale, inerenti da un lato la distanza intercorrente fra le proprietà appartenenti ai signori Tiboni e Zanetti dal luogo dell’intervento contestato e, dall’altro, la effettiva rappresentatività dell’associazione “Amici della Terra/Club Alto Garda e Ledro”, il Collegio ritiene di poter prescindere dall’esaminarle, essendo il ricorso infondato nel merito.

3. Seguendo l’ordine delle censure proposte nel gravame, va rilevato quanto segue.

4. L’istituto della concessione in deroga consente, nell’ambito delle opere di interesse pubblico (nella fattispecie ex artt. 36, co.2, lett. c, e 41 d. P. P. 13 luglio 2010, n. 18-50/Leg., nonché allegato A, lett. b ed e, allo stesso) una utilizzazione del territorio diversa da quella approntata nel Piano regolatore generale.

Nella fattispecie i ricorrenti riconoscono che la deroga è stata concessa in relazione alle norme di attuazione inizialmente vigenti, ma sostengono che ciò avrebbe dovuto avvenire anche in riferimento alle (nuove) norme tecniche unificate, medio tempore introdotte.

Tuttavia, come rilevato dalle difese delle amministrazioni intimate, va osservato che nel corso del procedimento di approvazione del progetto, ed in particolare nel nulla osta alla deroga rilasciato dalla Giunta provinciale con la deliberazione n. 1518 di data 7 settembre 2015 (doc. 12 fasc. Comune), viene espressamente dato atto dell’adozione di tali norme unificate, ma è al contempo rilevato che esse non comportavano alcuna modificazione relativamente alle destinazioni della zona interessata dall’intervento, per le quali il procedimento di deroga era già stato intrapreso, e di ciò sono gli stessi ricorrenti a dare atto (pag. 9 ricorso).

Peraltro deve osservarsi che il motivo non evidenzia alcuna effettiva e dimostrata divergenza fra il contenuto e le prescrizioni delle norme tecniche pregresse e quelle (successivamente unificate) introdotte nel corso del procedimento.

Ciò posto, appaiono recedere i censurati profili, sia per quanto concerne la mancata riconsiderazione degli interessi coinvolti nella realizzazione del progetto, sia per quel che riguarda l’assunto secondo cui l’atto finale del procedimento farebbe riferimento solo alle norme tecniche “previgenti”.

4.1. Ne deriva che il primo motivo è infondato.

5. Quanto al secondo, l’infondatezza consegue alla possibilità riconosciuta allo strumento della concessione in deroga di disattendere le previsioni dello strumento urbanistico pianificatorio (art. 39 d.P.P. 13 luglio 2010, n. 18-50/Leg.) e ciò non può che valere anche in relazione ai tracciati delle piste ciclopedonali di progetto, e quindi anche in riferimento a quella prevista con tratteggio nella “planimetria a vista” (doc. 15 fasc. ricorrenti), collocata di poco all’interno della c.d. “area di intervento”.

Nel caso in esame, peraltro, il Comune di Ledro, nel descrivere puntualmente le destinazioni urbanistiche in essere nella zona interessata dall’intervento, e nell’autorizzare contestualmente la deroga (deliberazione consiliare n. 46 di data 18 dicembre 2014 – doc. 11 fasc. Comune), ha espressamente considerato anche l’esistenza della (sovrapposta) pista ciclopedonale cui i ricorrenti intendono riferirsi, di talché non può sostenersi che l’accordata deroga non si riferisse anche a tale profilo, o che questo fosse stato trascurato.

Infine, proprio l’esame del sopra citato elaborato planimetrico prodotto dai ricorrenti consente di riscontrare, come osservato dalle difese delle parti resistenti, che il tracciato segnato per la pista di progetto si sovrappone idealmente sulla parte dell’edificio già realizzato in precedenza sulla p.ed. 466, rivelandosi dunque irragionevole, se non irrealizzabile, l’intero percorso anche nella parte in cui lo stesso incide, linearmente, sul previsto ampliamento del medesimo edificio.

6. Passando all’esame del terzo motivo, va osservato quanto segue.

Nel corso del procedimento approvativo, precisamente in sede di parere del servizio urbanistica e tutela del paesaggio della Provincia (nota n. 86205 di data 16 febbraio 2015) è emerso che l’ampliamento progettato rientrava nella fascia di rispetto (pari a metri 20,00) di una strada classificata, in base alla cartografia del Piano regolatore, quale “strada locale extraurbana”.

A seguito di tale osservazione il Comune di Ledro ha invitato la società controinteressata a rivedere il progetto inoltrato, ed a ciò ha corrisposto Ledro Energia con la redazione ed invio di un’apposita tavola sostitutiva, prevedente l’arretramento della parte del fabbricato da ampliare, fino a rispettare la distanza di metri 10,00 dalla linea di demarcazione con il tracciato della strada.

Al contempo il Comune di Ledro ha verificato la effettiva situazione del tracciato stradale, riqualificandolo come “strada extraurbana esistente” (per la quale la fascia di rispetto si riduce a metri 10,00), previo esperimento e conclusione della particolare procedura prevista dall’art. 34 (“Rettifica delle previsioni del piano regolatore generale e del piano territoriale della comunità”) della legge urbanistica provinciale n. 1/2008, secondo cui “ non richiedono la procedura di variante al piano regolatore generale, inoltre, l’adeguamento delle rappresentazioni grafiche e degli altri elaborati del piano regolatore a seguito dell’approvazione e gli adeguamenti conseguenti agli elaborati redatti allo scopo di eliminare fra seguito dell’approvazione di piani, di programmi e di progetti costituenti varianti ai piani regolatori in forza di legge o dell’avvenuta esecuzione di opere concernenti infrastrutture da potenziare o progettate ” (comma 3).

Nella fattispecie l’amministrazione comunale ha riscontrato (doc. 21 fasc. Comune) che sul sedime tracciato per la strada era già stata realizzato, in precedenza, un tratto della pista ciclopedonale che attraversa la Valle di Ledro, e sulla scorta di ciò ha ritenuto, implicitamente, esaurita ogni possibilità di ulteriore potenziamento, dando applicazione alla norma sopra citata e modificando la rappresentazione grafica della Tavola 2.1. del Piano regolatore, e così definendo il tratto stradale in questione quale “strada extraurbana esistente”: a seguito di ciò la Giunta provinciale di Trento ha accordato (deliberazione n. 1518 di data 7 settembre 2015) il richiesto nulla osta alla concessione in deroga.

6.1. Il Collegio osserva sul punto che, pur essendo problematica la lettura delle tavole del Piano regolatore depositate dalle parti (cfr. doc. 18 fascicolo ricorrenti e doc. 25 e 26 fascicolo Comune) in relazione alla sovrapposizione integrale, o meno, del tracciato ciclopedonale con il sedime stradale (tenuto conto che la individuazione grafica del primo ha carattere meramente orientativo e che la tracciatura non è significativa per l’andamento e le dimensioni), la censura mossa con il motivo di ricorso in esame (pag. 14) si risolve in una pretesa violazione dell’art. 34, co. 3, della L.p. n. 1/2008, lamentando i ricorrenti che, nella fattispecie, l’amministrazione comunale non avrebbe potuto applicare la disposizione prevista in tale comma, ma – in maniera asseritamente diversa – applicare i commi 1 e 2 del medesimo articolo, trattandosi di “correzione dell’errore materiale”.

Orbene: il cogliere una diversità ontologica fra ipotesi di correzione di errore materiale (co.1) da un lato e quelle di adeguamento delle rappresentazioni grafiche (co. 3) dall’altro, non appare – in relazione alla fattispecie in esame – certamente agevole né dirimente, viepiù tenuto conto che trattasi unitariamente di ipotesi di “rettifica delle previsioni del piano regolatore generale e del piano territoriale”, come recita l’intestazione dell’art. 34 della L. p. cit., e che peraltro i due ambiti di applicazione della norma sono accomunate dal disposto secondo cui entrambi “non richiedono la procedura di variante al piano regolatore generale”, il che non è certo irrilevante ai fini della delibazione del motivo in esame, atteso che occorre verificare anche l’effettivo interesse dei ricorrenti a promuovere la censura, nei limiti della sua prospettazione.

6.2. Il profilo delineato nel motivo in esame non è, quindi, assistito dal necessario interesse.

6.3. Per gli ulteriori profili, occorre riscontrare che gli effetti dell’adeguamento cartografico hanno anche comportato un arretramento, e dunque intuitivamente una riduzione, delle misure relative all’ampliamento inizialmente previsto, sicché appare del tutto recessivo il voler sostenere che il progetto, modificato nei termini che precedono, avrebbe dovuto ripercorrere ab initio l’intero svolgimento della procedura per poter conseguire il rilascio della concessione in deroga.

6.4. Del resto parte ricorrente non ha spiegato, tanto meno dimostrato, come l’arretramento (e la riduzione) dell’ampliamento abbia potuto comportare modifiche significative, tali da dover ripercorrere le fasi del procedimento già intrapreso per il rilascio della concessione in deroga.

6.5. Il motivo di ricorso si appalesa quindi in parte inammissibile per difetto di interesse ed in parte infondato, da ciò derivando anche il rigetto del primo dei successivi motivi aggiunti.

7. L’esame del quarto motivo investe la durata della prescrizione inerente il mantenimento della destinazione accordata con la deroga.

A tal riguardo va evidenziato che se corrisponde al vero che nella deliberazione del Consiglio comunale di Ledro del 18 dicembre 2014 (di autorizzazione alla deroga) il relatore ha indicato (erroneamente) una durata di destinazione per dieci anni, è altrettanto vero che – nel prosieguo – dapprima la Giunta provinciale in sede di rilascio del nulla osta (doc. 12 fasc. Comune), e poi il Responsabile del servizio edilizia privata del Comune di Ledro all’atto del definitivo rilascio dell’atto concessorio di data 7 dicembre 2015 (provvedimento impugnato sub 1) hanno sul punto espressamente richiamato l’art. 43 del d.P.P. 13 luglio 2010 n. 18-50 /Leg., il quale al primo comma recita “le opere realizzate in deroga non possono essere distolte dalle finalità per le quali la deroga è stata rilasciata”.

Trattasi dunque di un errore sanato nel successivo corso del procedimento e del tutto irrilevante ai fini della decisione.

8. Con il quinto motivo i ricorrenti rilevano che la società Ledro Energia S.r.l., non essendo proprietaria dell’immobile destinato alla realizzazione della centrale, non avrebbe avuto titolo a richiedere ed ottenere il rilascio della concessione, aggiungendo al riguardo, con il secondo dei motivi aggiunti, che non sarebbe sufficiente il solo consenso prestato dalla società Legnami Bracchi, mera cessionaria del contratto di leasing stipulato con la proprietaria Ubi Leasing S.p.A.

Il motivo è improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse, avendo la controinteressata dimostrato (doc. 37 fasc. Ledro Energia) di aver successivamente acquisito la proprietà della p.ed. 466.

Peraltro, proprio in relazione al secondo motivo aggiunto di carattere integrativo, non è neppur vero che il consenso allo svolgimento delle pratiche necessarie per la realizzazione della centrale, ed eventualmente per dar corso alle inerenti opere, provenisse esclusivamente dalla cessionaria del contratto di leasing, emergendo invece dagli atti (idem doc. 17) che il consenso, esteso alla controinteressata, venne rilasciato anche dalla società Ubi Leasing, in quel momento ancora proprietaria dell’immobile, prima dello “stacco” della definitiva concessione in deroga.

9. Passando all’esame del successivo sesto motivo deve osservarsi quanto segue.

9.1. La normativa provinciale in materia di VIA e di assoggettamento alla procedura di verifica (d. P.G.P. 22 novembre 1989, n. 13-11/Leg., Allegato A, punto 3 b), applicabile ratione temporis ed applicata dalle amministrazioni intervenute nella fattispecie, ne prevede l’applicazione agli impianti termici di produzione di energia elettrica, vapore e acqua calda con potenza termica superiore a 5 MW, e nel caso in esame è del tutto pacifico che l’impianto progettato sviluppa una potenza inferiore (4.431 kW, cfr. pag. 18 ricorso), dovendo dunque rilevarsi che l’impianto progettato ne rimane escluso.

9.2. Peraltro, come rilevato dalle difese delle parti resistenti, la disciplina nazionale successivamente introdotta con il d. m. 30 marzo 2015 (“Linee guida per la verifica di assoggettabilità a valutazione di impatto ambientale dei progetti di competenza delle regioni e province autonome, previsto dall’articolo 15 del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91, convertito con modificazioni dalla legge 11 agosto 2014, n. 116”), ha fissato la soglia di 25 MW di potenza per la sottoposizione degli impianti – localizzabili in ambiti territoriali sensibili – alla valutazione di impatto ambientale, con ciò abbattendo del 50 per cento il limite (50 MW) precedentemente stabilito nell’Allegato IV alla parte seconda del D.lgs. n. 152/2006, e così espressamente estendendo il campo di applicazione delle disposizioni in materia di VIA anche a progetti potenzialmente in grado di causare effetti negativi significativi sull’ambiente, in espressa applicazione della Direttiva comunitaria 2011/92/UE, prevedente l’obbligo di adeguamento da parte degli Stati membri.

9.3. Orbene: pur volendo porre in disparte il fatto che i ricorrenti non hanno impugnato il citato decreto ministeriale, ed i connessi criteri “dimensionali” con esso adottati, né evocato in giudizio l’autorità ministeriale che l’ha pronunciato, il notevole divario fra la potenza termica sviluppata dall’impianto in oggetto ed il limite stabilito nei criteri tecnici assunti nel cennato decreto ministeriale è tale da evidenziare non solo il rispetto della normativa nazionale e di quella provinciale, ma consente pure di escludere una significativa negatività sull’ambiente circostante.

9.4. Peraltro non può trascurarsi che la Direttiva comunitaria n.92/2011, invocata dai ricorrenti a suffragio della censura, prevede (art. 4, co. 1) la sottoposizione a procedura VIA per i progetti di cui all’Allegato 1, e dunque (punto 2.a) per le “centrali termiche e altri impianti di combustione con potenza termica pari o maggiore di 300 MW”, mentre affida agli Stati membri (art. 4, co. 2) tale decisione in relazione ai progetti elencati nell’Allegato 2 (per la parte qui di possibile interesse, cfr. punto 3.a: “Impianti industriali per la produzione di energia elettrica, vapore e acqua calda –progetti non compresi nell’Allegato 1”), stabilendo però a tal riguardo (art. 4, co.2) che la decisione dello Stato potrà essere assunta ponendo a base della propria disciplina “un esame del progetto caso per caso”(lett. a) o – alternativamente – la determinazione di “soglie o criteri” (lett. b).

9.5. Ne deriva che per gli impianti elencati nell’Allegato 2, e dunque per gli impianti di produzione energetica esclusi dall’Allegato 1, secondo la Direttiva comunitaria lo Stato membro ben può legittimamente individuare “criteri dimensionali” al fine di regolare la loro sottoposizione alle procedure di VIA, il che è avvenuto con il citato decreto ministeriale 30 marzo 2015 che ha fissato la soglia di 25 MW, ed ancor prima con la assai più rigorosa disciplina adottata dalla Provincia di Trento, rispettata nella fattispecie, che tale soglia dimensionale aveva ristretto nel limite di 5 MW di potenza termica.

9.6 D’altro canto non può negarsi, a fronte della maturata sensibilità per le esigenze di carattere ambientale, anche la necessità – su un piano normativo – di dover stabilire criteri tecnici connotati da certezza ed uniformità (peraltro dettagliati dal d.m. 30 marzo 2015 in relazione ad aree sensibili omogenee), evitando così un’eccessiva discrezionalità rimettibile all’amministrazione di volta in volta interessata, e scongiurando un aggravio dell’azione amministrativa, in contrasto con i principi di economicità ed efficacia che la connotano.

9.7. Il motivo in esame si appalesa dunque infondato, né sussistono valide ragioni per ritenere che la Provincia autonoma di Trento o il Comune di Ledro avrebbero dovuto disapplicare il quadro normativo sopra delineato.

10. Con il settimo motivo i ricorrenti lamentano la violazione della direttiva comunitaria n. 92/2011 sotto il diverso profilo della omessa attivazione di una preventiva adeguata informazione al pubblico potenzialmente interessato, nel rispetto delle ivi richiamate disposizioni della “Convenzione di Aarhus”.

Sulla questione va evidenziato che il “considerando 12” alla citata Direttiva innanzi tutto prevede tale forma di partecipazione diffusa “per i progetti soggetti a valutazione” e di poi che il “considerando 20” richiama al riguardo l’art. 6 della citata Convenzione.

Quest’ultima disposizione, a propria volta, stabilisce che l’estesa partecipazione del pubblico riguarda le attività elencate nell’Allegato 1, e dunque – per la parte di interesse – in relazione ai progetti di “centrali termiche ed altri impianti di combustione con potenza termica di almeno 50 MW”, mentre – per le attività ivi non elencate – tale forma partecipativa è limitata alle decisioni “che possono avere effetti significativi sull’ambiente”, rimettendo poi agli Stati contraenti di stabilire se l’attività proposta ne è assoggettata.

10.1. Ciò posto, in primo luogo deve riscontrarsi, in relazione ai “considerando” della Direttiva citata, che il progetto della centrale in esame è stato, per le ragioni anzidette, legittimamente escluso dalla valutazione VIA e che – peraltro – esso non rientra nei limiti (self executing) di cui all’Allegato 1 della Convenzione di Aarhus.

10.2. In secondo luogo, quanto a quest’ultima, il divario fra la potenza termica prevista nell’Allegato 1 (50 MW) e quella riscontrata per la centrale in esame (4.431 kW) è tale ragionevolmente da escludere, in assenza di ulteriori e più specifiche determinazioni, quell’effetto “significativo sull’ambiente” assunto a non meglio definito parametro nel testo della Convenzione.

10.3. Diversamente opinando si dovrebbe ritenerne che qualunque centrale termica ed impianto di combustione, in quanto tale ed a prescindere dal limite di potenza termica erogata, ne risulterebbe assoggettata, ma in tal caso tale categoria di intervento sarebbe stata propriamente ricompresa nell’Allegato 1, senza alcun limite di potenza termica, e ciò similmente ad altre attività, diverse da quella in esame eppure ricomprese nel medesimo ambito del settore energetico (quali raffinerie di petrolio e gas, impianti di gassificazione e liquefazione, cokerie, impianti di ritrattamento di combustibili nucleari irradiati), in ordine alle quali il particolare onere partecipativo viene stabilito in via generale, senza cioè la prefissazione di limiti e misure.

10.4. Per tali ragioni il motivo di ricorso in esame non merita accoglimento.

11. Con il successivo motivo i ricorrenti lamentano la violazione delle norme dedotte in titolo sotto il profilo dell’omessa predisposizione di uno studio preliminare, atto a verificare le possibili incidenze significative sul sito di importanza comunitaria (SIC) denominato “Monti Tremalzo e Tombea”, di cui si assume la collocazione ad una distanza di 130 metri dal luogo del progettato intervento.

11.1. La censura, esposta in termini generici, non merita accoglimento, posto che non tiene conto, da un lato, che le disposizioni invocate a preteso suffragio si riferiscono ad interventi direttamente ricadenti nell’area protetta oppure a quelli comportanti “incidenze significative” sul sito (queste riferite alla modificazione qualitativa delle colture, alla modificazione delle destinazioni d’uso, alla permanente e significativa alterazione dello stato dei luoghi e/o dei volumi, all’aumento significativo dei livelli di inquinamento), nel caso di specie non ravvisabili, e dall’altro che, proprio in relazione agli obiettivi perseguiti dalla Direttiva comunitaria 92/43/CE, il decreto ministeriale 30 marzo 2015 ha stabilito per le zone protette speciali designate una riduzione della potenza termica degli impianti per la produzione di energia elettrica, vapore e acqua calda fino a 25 MW, limite ampiamente rispettato – come sopra visto – dal progetto approvato nella fattispecie in esame.

12. E’ così possibile passare all’esame del nono motivo, con cui i ricorrenti lamentano il mancato tempestivo recepimento – da parte della normativa provinciale – della disciplina introdotta con il d.lgs. n. 387/2003, prevedente nella materia de qua il rilascio della c.d. “autorizzazione unica”.

Su tale questione va osservato quanto segue.

12.1. Per un primo profilo qui di evidenza deve riscontrarsi che questo Tribunale ha già escluso in un caso analogo (c.f.r. T.r.g.a. di Trento, 14 gennaio 2016 n. 16) la diretta applicabilità dell’art. 22 della L.p. n. 20/2012, che ha introdotto nella materia de qua e nell’ambito dell’ordinamento provinciale l’istituto della “autorizzazione integrata”, stante l’assenza delle norme regolamentari destinate a disciplinarne il procedimento, a cui la stessa disposizione legislativa provinciale espressamente rinvia, e non ha motivo per discostarsi da tale decisione.

12.2. Per il secondo aspetto di rilievo, inerente cioè la lamentata violazioni dell’art. 105 dello Statuto di autonomia speciale e la sollevata questione di legittimità costituzionale in relazione all’art. 117 Cost., all’art. 5 dello Statuto di autonomia ed all’art. 2 del d.lgs. n. 266/1992, giova rilevare che l’art. 2, co.1., del d.lgs. 16 marzo 1992 n. 266 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige concernenti il rapporto tra atti legislativi statali e leggi regionali e provinciali, nonché la potestà statale di indirizzo e coordinamento) individua il termine di sei mesi per l’adeguamento della legislazione regionale e provinciale ai principi e alle norme, costituenti limiti alle competenze dello Statuto speciale ex art. 4 e 5 dello stesso, recate da un atto legislativo dello Stato, specificando tuttavia che – nel frattempo – restano applicabili le disposizioni legislative regionali e provinciali preesistenti, di talché è esclusa una immediata applicabilità nell’ordinamento provinciale delle disposizioni statali disciplinanti di volta in volta le singole materie.

12.3. Al decorso del termine semestrale, peraltro, la medesima norma di attuazione (art. 2, co. 2 e 3) prevede la possibile impugnazione, da parte del Presidente del Consiglio dei Ministri avanti la Corte costituzionale, delle disposizioni regionali o provinciali non adeguate, il che non è avvenuto nel caso di specie, mentre al contempo va rilevato che lo stesso d.lgs. n. 387/2003, introduttivo dell’istituto della c. d. “autorizzazione unica”, fa salve (art. 19) “le competenze delle regioni a statuto speciale e delle province di Trento e di Bolzano che provvedono alle finalità del presente decreto legislativo ai sensi dei rispettivi statuti speciali e delle relative norme di attuazione”.

12.4. La materia in esame è rimasta dunque disciplinata – ratione temporis – dall’art. 1 bis ter della L.p. 6 marzo 1998 n.4, introdotto con l’art. 29 della L.p. n. 20/2005, il quale rinvia “agli strumenti di coordinamento e di semplificazione previsti dall’ordinamento provinciale e dalle norme statali espressamente richiamate dalla legislazione provinciale”, ed è rinvenibile, come sottolineato dalla difesa della Provincia, nell’art. 4 del d.P.P. 13 maggio 2002, n. 9-99/Leg., il quale da un lato (co.1) stabilisce che “il servizio provinciale competente in materia di energia rilascia le autorizzazioni previste dalle disposizioni per la costruzione e l’esercizio delle centrali termoelettriche previa acquisizione dei pareri favorevoli dell’Agenzia provinciale per la protezione dell’ambiente e dell’Azienda provinciale per i servizi sanitari, sentito il comune territorialmente interessato”, e dall’altro (co. 3) subordina la costruzione e l’esercizio degli impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili al rispetto del piano energetico provinciale e degli altri strumenti di pianificazione e programmazione provinciale, nonchè alla disciplina provinciale in materia di tutela ambientale e paesaggistico-territoriale.

12.5. Rilevante, nella fattispecie in esame, è anche la normativa statale sulla costruzione ed esercizio delle centrali termoelettriche, costituita dal d. P.R. n. 53/1998, a norma del quale (art. 1, co. 2) “le procedure previste dal presente regolamento per il rilascio delle dell’autorizzazione alle emissioni in atmosfera ai sensi dell’art. 17 del decreto del Presidente della Repubblica 24 maggio 1988 n. 203, si applicano anche agli impianti che utilizzano fonti rinnovabili o assimilate, nonché a tutti gli altri impianti di energia elettrica nei limiti in cui detti impianti presentano emissioni soggette a tale autorizzazione”.

12.6. La Provincia, nel procedimento de quo, ha dunque operato nel rispetto della disciplina sussistente ed effettivamente vigente al momento della presentazione del progetto inoltrato dall’odierna controinteressata e della sua approvazione, senza che la procedura seguita appalesi profili di illegittimità, in particolare non avendo privato alcuna delle Autorità interessate al procedimento del potere di esprimere il proprio avviso.

12.7. Per quanto concerne i profili di pretesa illegittimità costituzionale, genericamente affacciati nel motivo di ricorso, deve osservarsi che gli stessi sono irrilevanti, non solo per le suesposte ragioni ma anche considerando che i ricorrenti neppure deducono, tantomeno comprovano, che l’applicazione della c.d. “autorizzazione unica” avrebbe significato una più rigorosa e/o severa disamina del progetto rispetto all’articolata procedura concretamente seguita nella fattispecie, o avrebbe condotto ad un possibile differente esito nella valutazione definitiva, dovendosi peraltro sottolineare che l’istituto della c. d. “autorizzazione unica” persegue dichiaratamente obiettivi di accelerazione e semplificazione procedurale (art. 12 L. n. 387/2003).

12.8. Per tali ragioni il motivo di ricorso è infondato.

13. Passando alla disamina delle ulteriori censure e verificata – per le ragioni sopra viste – l’infondatezza del primo e del secondo dei motivi aggiunti integrativi, viene in esame il terzo di questi, con cui i ricorrenti assumono che l’assentito ampliamento dell’impianto preesistente coinvolgerebbe direttamente il collettore fognario principale del Comune di Ledro, e per questo aspetto sarebbe richiesta l’acquisizione dell’apporto istruttorio dell’Agenzia per la depurazione (ADEP), istituita con l’art. 39 quater della L.p. n. 3/2006.

13.1. Il motivo è infondato sia considerando che i compiti assegnati all’Agenzia riguardano propriamente il controllo tecnico dei progetti concernenti direttamente le opere di collettamento fognario (art. 2 Allegato A alla deliberazione della Giunta provinciale n. 1128/2011), sia alla luce della dichiarazione rilasciata dal progettista (doc. 36 fasc. controinteressata), da cui emerge che il progetto assentito non prevede modifiche all’attuale regolare allacciamento alle reti pubbliche di smaltimento delle acque bianche e nere del fabbricato esistente.

14. In definitiva, per le suesposte ragioni, il ricorso non merita accoglimento.

15. Le spese del giudizio seguono la regola della soccombenza e vengono poste a carico dei ricorrenti nella misura liquidata in dispositivo.


P.Q.M.

Il Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa per la Regione autonoma del Trentino –Alto Adige/Südtirol, sede di Trento, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe lo respinge.

Condanna i ricorrenti, in solido fra loro, a rifondere al Comune di Ledro, alla Provincia autonoma di Trento e alla società Ledro Energia s.r.l. le spese di causa, liquidate in 1.500 euro oltre accessori e rimborso del contributo unificato a favore di ciascuna delle predette parti resistenti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Trento nella camera di consiglio del giorno 29 settembre 2016 con l’intervento dei magistrati:

Roberta Vigotti, Presidente
Carlo Polidori, Consigliere
Paolo Devigili, Consigliere, Estensore

L’ESTENSORE
Paolo Devigili
 

IL PRESIDENTE
Roberta Vigotti

IL SEGRETARIO
 

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