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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Beni culturali ed ambientali, Cave e miniere Numero: 1392 | Data di udienza: 25 Ottobre 2016

* CAVE E MINIERE – BENI CULTURALI E AMBIENTALI – Inosservanza delle prescrizioni emanate con il provvedimento di autorizzazione alla coltivazione  – Sanzione prevista dalla l.r. Piemonte n. 69/1978 – Rapporto di specialità rispetto all’art. 167 d.lgs. n. 42/2004.


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 2^
Regione: Piemonte
Città: Torino
Data di pubblicazione: 9 Novembre 2016
Numero: 1392
Data di udienza: 25 Ottobre 2016
Presidente: Testori
Estensore: Malanetto


Premassima

* CAVE E MINIERE – BENI CULTURALI E AMBIENTALI – Inosservanza delle prescrizioni emanate con il provvedimento di autorizzazione alla coltivazione  – Sanzione prevista dalla l.r. Piemonte n. 69/1978 – Rapporto di specialità rispetto all’art. 167 d.lgs. n. 42/2004.



Massima

 

TAR PIEMONTE, Sez. 2^ – 9 novembre 2016, n. 1392


CAVE E MINIERE – BENI CULTURALI E AMBIENTALI – Inosservanza delle prescrizioni emanate con il provvedimento di autorizzazione alla coltivazione  – Sanzione prevista dalla l.r. Piemonte n. 69/1978 – Rapporto di specialità rispetto all’art. 167 d.lgs. n. 42/2004.

Tra la sanzione di cui alla l.r. Piemonte n. 69/1978 e la sanzione di cui all’art. 167 del d.lgs. n. 42/2004, intercorre un rapporto di specialità da risolversi in favore della prima norma; ferma infatti l’identità del bene protetto, la norma regionale è specifica per la disciplina in materia di cave e colpisce proprio la coltivazione di una cava in “inosservanza delle prescrizioni emanate con il provvedimento di autorizzazione o di concessione”.


Pres. Testori, Est. Malanetto – S. s.r.l. (avv. Anania) c. Comune di Crevoladossola (avv. Santilli)


Allegato


Titolo Completo

TAR PIEMONTE, Sez. 2^ - 9 novembre 2016, n. 1392

SENTENZA

 

TAR PIEMONTE, Sez. 2^ – 9 novembre 2016, n. 1392

Pubblicato il 09/11/2016

N. 01392/2016 REG.PROV.COLL.
N. 00595/2013 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 595 del 2013, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
Sarizzo di Crodo S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Riccardo Anania C.F. NNARCR65D16G273L, con domicilio eletto presso l’avv.to Paola Costa in Torino, via Giacinto Collegno, 52;

contro

Comune di Crevoladossola, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Giorgio Santilli C.F. SNTGRG39P08I501O, con domicilio eletto presso il suo studio in Torino, via Paolo Sacchi, 44;

per l’annullamento

A) quanto al ricorso introduttivo del giudizio:

– dell’ordinanza n. 9/2013 del 18/04/2013, con la quale il Comune di Crevoladossola ha ingiunto alla Sarizzo di Crodo s.r.l. il pagamento della sanzione pecuniaria di euro “1.011.077,64 oltre le spese di notifica quantificate in euro 5,00, a titolo di indennità pecuniaria ai sensi dell’art. 167, comma 5 del D.lgs. 22/01/2004, n. 42, in relazione ai lavori di coltivazione di cava in (presunta) difformità dai profili autorizzati, in zona sottoposta a vincolo ambientale” ;

– B) quanto ai motivi aggiunti depositati in data 20 marzo 2015:

– previa sospensione, del decreto di ingiunzione di pagamento 18 dicembre 2014, prot. n. 11422, con il quale il Comune di Crevoladossola ha ingiunto alla Sarizzo di Crodo S.p.a. il pagamento della sanzione pecuniaria di E. 1.035.238,53.

Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Comune di Crevoladossola;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 25 ottobre 2016 la dott.ssa Paola Malanetto e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

La società ricorrente è stata titolare della concessione per la coltivazione della cava di gneiss sita in località Rencio dei Comuni di Crevoladossola e di Crodo sino al 10.3.2006.

Successivamente al termine della concessione il Comune provvedeva a un nuovo affidamento ad altro soggetto; ai fini del ripristino dell’area per la consegna al nuovo concessionario, con ordinanza n. 19/2008 del 10.7.2008, riscontrate delle irregolarità nelle condizioni in cui la cava era stata restituita, il Comune ordinava alla ricorrente la rimessione in pristino dell’area con particolare riferimento alla quota altrimetrica del piazzale, alla sistemazione delle aree di pertinenza e alla regolarizzazione morfologica della discarica.

Con il medesimo provvedimento veniva applicata alla Società Sarizzo di Crodo s.r.l. (d’ora innanzi Sarizzo) una sanzione di € 7.746,85 per violazione dell’art. 21 L.R. n. 69 del 1978; avverso detta sanzione la ricorrente proponeva ricorso, rimanendo soccombente nei due gradi di giudizio.

Con ordinanza n. 9/2013, oggetto di impugnativa con il presente ricorso, il Comune ha ingiunto alla Sarizzo il pagamento della sanzione pecuniaria di € 1.011.077,64 a titolo di indennità ai sensi dell’art. 167 comma 5 del d.lgs. n. 42/2004 in relazione ai “lavori di coltivazione della cava”. La contestazione ha in particolare ad oggetto l’esecuzione di attività di cava in difformità dall’autorizzazione per avere la società estratto, in zona soggetta a vincolo ambientale, materiale in eccesso rispetto all’autorizzazione, la cui quantità è stata stimata dal Comune in 133.900 mc.

Con successivo decreto di ingiunzione di pagamento prot. n. 11422 del 18.12.2014, oggetto del ricorso per motivi aggiunti, veniva ingiunto il pagamento della sanzione pecuniaria per complessivi € 1.035.238,53, comprensivi degli interessi nelle more maturati.

Con il ricorso introduttivo parte ricorrente censura l’ordinanza n. 9/2013 per le seguenti ragioni:

1) Violazione del principio del ne bis in idem, dei principi generali del diritto; errata applicazione della norma generale in presenza di norma speciale; violazione dei principi di equità e ragionevolezza; falsa applicazione di sanzione pecuniaria a condotta già sanzionata.

Lamenta parte ricorrente che la sanzione già inflitta in forza della legge regionale precluderebbe l’applicazione di quella prevista dall’art. 167 comma 5 del d.lgs. n. 42/2004, in quanto si tratterebbe di doppia sanzione per la stessa violazione.

2) Violazione per errata e falsa applicazione dell’art. 167 co. 4 del d.lgs. n. 42/2004. Eccesso di potere per carenza di motivazione, irragionevolezza. La sanzione è stata comminata dall’amministrazione dopo aver chiesto al Ministero competente l’attestazione di compatibilità paesaggistica, prevista dal citato art. 167 comma 4; sostiene parte ricorrente che tale istanza avrebbe potuto essere presentata unicamente dal contravventore, dovendo per contro l’amministrazione sempre privilegiare il ripristino dell’area.

3) Violazione per errata e falsa applicazione di legge; eccesso di potere per motivazione carente e apodittica e travisamento dei fatti. Contesta parte ricorrente la stima del materiale indebitamente estratto, stima che ha costituito la base di computo della sanzione nonchè la valorizzazione del profitto che può essere ricavato dal materiale indebitamente estratto che della sanzione costituiva metro di calcolo.

4) Eccesso di potere per illogicità manifesta, errore e travisamento dei fatti, motivazione perplessa e apodittica. Contesta ulteriormente parte ricorrente le stime del perito incaricato dall’amministrazione di individuare i parametri della sanzione.

Si è costituita l’amministrazione resistente deducendo che: l’area si trova in zona assoggettata a vincolo ambientale ai sensi del d.lgs. n. 42/2004 e a vincolo idrogeologico ai sensi della l.r. Piemonte 45/1989. La società ricorrente ha coltivato la cava dal 1998 al 2006; alla scadenza della concessione ne è risultata nuova aggiudicataria la Escavazioni industriali s.r.l.

Nelle more del passaggio di possesso dell’area è emerso che la Sarizzo aveva violato le prescrizioni della concessione. Il Comune ha accertato che: erano stati estratti 133.900 mc di roccia in eccedenza rispetto a quanto autorizzato; erano stati abbandonati i fronti di cava in situazione di pericolo per la sicurezza; il piazzale di cava si attestava ad una altezza non idonea ad assolvere alla sua funzione di protezione. Pertanto veniva emanata l’ordinanza n. 19/2008 che ordinava il ripristino dello stato dei luoghi secondo le condizioni progettuali e comminava una sanzione pecuniaria prevista dalla legge regionale. Il comune avviava poi le procedure di ripristino in sostituzione della ricorrente, attività che veniva contestata dalla società in sede giudiziale; la Sarizzo contestava altresì, innanzi al giudice ordinario, il contratto stipulato dall’amministrazione con la nuova concessionaria e comunque ostacolava le attività di ripristino.

Il Comune, in qualità di proprietario dell’area, attivava quindi l’accertamento di compatibilità ambientale presso il Ministero per i beni e le attività culturali che, in data 2.11.2010, escludeva la sussistenza di un danno ambientale. Con una prima ordinanza n. 3/2011 il Comune irrogava una prima volta la sanzione prevista dal d.lgs. n. 42/2004, art. 167; in seguito a ricorso della società Sarizzo l’ordinanza veniva annullata in autotutela e quindi reiterata con il provvedimento oggi impugnato.

Eccepisce preliminarmente parte resistente che il ricorso avverso la sanzione di cui all’art. 167 del d.lgs. n. 42/2004 sarebbe inammissibile, in quanto l’applicazione della sanzione sarebbe già stata prevista nell’ordinanza n. 19/2008 e l’ordinanza n. 9/2013 ne costituirebbe mera quantificazione.

Nel merito contesta gli assunti di cui al ricorso.

Con ricorso per motivi aggiunti, depositato in data 20.3.2015, parte ricorrente impugnava l’ingiunzione di pagamento del 18.12.2014, lamentando l’illegittimità derivata rispetto all’impugnativa dell’ordinanza n. 9/2013 ed evidenziando una contraddizione interna all’atto il quale in parte effettua riferimento all’ordinanza n. 9/2013 ed all’art. 167 comma 5 del d.lgs. n. 42/2004 ed in parte invoca le penali previste dall’art. 4 della concessione stipulata tra le parti.

Con ordinanza n. 103/2015 di questo Tar una prima istanza cautelare veniva respinta; l’ordinanza veniva confermata con provvedimento n. 3699/2015 del Consiglio di Stato.

Con ordinanza n. 1779/2015 di questo Tar veniva disposta verificazione volta ad accertare l’esatta quantità di materiale estratto in eccesso rispetto a quanto autorizzato.

Con le memorie depositate per l’udienza di merito le parti insistevano nelle rispettive posizioni; parte resistente eccepiva altresì l’inammissibilità della verificazione in quanto, a suo dire, preclusa dal giudicato formatosi nel giudizio con il quale era stata contestata l’ordinanza n. 19/2008 e che avrebbe definitivamente statuito circa la quantità di materiale estratto in eccesso.

All’udienza del 25.10.2016 la causa veniva discussa e decisa nel merito.

DIRITTO

Deve premettersi che l’istruttoria svolta nel presente giudizio è stata parallelamente disposta nel giudizio collegato rg. n. 285/2015; i due giudizi sono stati riuniti con ordinanza n. 589/2016 per connessione oggettiva e soggettiva.

Infatti il giudizio rg. 285/2015 ha ad oggetto il decreto di ingiunzione 18.12.2014 n. 11421, con il quale il Comune ha ordinato alla società ricorrente di pagare, negli stessi termini di cui al decreto di ingiunzione 18.12.2014, n. 11422 ed oggetto di motivi aggiunti nel presente giudizio, la ulteriore somma di € 1.799.029,79 oltre interessi (per un totale di € 1.921.598,00) a titolo di risarcimento/penale, come previsto dall’art. 4 della concessione stipulata tra le parti per la coltivazione della cava.

Tale seconda ingiunzione ha fatto seguito all’applicazione della penale, avvenuta con atto n. 3881 del 29.4.2011, nel quale detto importo è stato individuato e quantificato. Occorre precisare che l’atto n. 3881/2011, presupposto dell’ingiunzione 18.12.2014 n. 11421, è stato oggetto di contestazione innanzi al giudice ordinario; secondo quanto riferito dalle parti in udienza, pur avendo il giudice ordinario declinato la propria giurisdizione nei tre gradi di giudizio, non risulta allo stato che la causa sia stata riassunta innanzi a questo TAR.

In sostanza, mentre con il presente giudizio si contestano tanto l’ordinanza n. 9/2013 che la successiva ingiunzione di pagamento, con il giudizio n. 285/2015 si contesta una ingiunzione di pagamento il cui atto presupposto risulterebbe ancora oggetto di contestazione innanzi al giudice ordinario.

Per tali ragioni, all’udienza di discussione, ritenendo matura per la decisione la presente controversia e per contro pregiudiziale rispetto alla decisione sull’intimazione di pagamento n. 11421 la vertenza relativa all’impugnazione dell’atto n. 3881/2011, il collegio ha disposto la separazione dei giudizi.

Tanto premesso devono essere respinte le eccezioni preliminari proposte da parte resistente.

L’ordinanza n. 19/2008, oggetto di impugnativa definitivamente respinta con sentenze Tar Piemonte sez. I n. 157/2011 e Consiglio di Stato sez. V n. 2960/2012 ha, come esposto in narrativa, comminato alla Sarizzo la diversa sanzione prevista dalla l.r. Piemonte n. 69/78 art. 21 comma 2. Trattasi di sanzione prevista in forma fissa tra un minimo e un massimo di legge.

La stessa ordinanza faceva ”riserva” di applicazione della sanzione di cui all’art. 16 della l.r. Piemonte n. 20/1989; detta legge, in materia di tutela di beni ambientali e paesaggistici, effettua a sua volta rinvio alle sanzioni previste dalla legge n. 1497 de l939, da leggersi oggi come riferito al d.lgs. n. 42 del 2004.

Per altro è pacifico tra le parti che l’amministrazione, contestualmente, procedeva ad un ordine di ripristino, in parte eseguito in danno della ricorrente ed all’escussione a carico della Sarizzo di una fideiussione dell’importo di € 582.563,38 per la realizzazione di detti lavori.

Si ricorda da ultimo, per mera completezza, che alla ricorrente è stata altresì comminata una penale pari ad oltre un milione di euro a titolo risarcitorio e sulla base di quanto previsto dall’art. 4 della concessione in essere tra le parti, per la violazione delle prescrizioni della concessione stessa.

Quanto al presente giudizio non è sostenibile alcuna preclusione all’impugnativa dell’ordinanza n. 9/2013 per la sola circostanza che nell’ordinanza n. 19/2008 se ne “ipotizzasse” l’eventuale successiva applicazione, e ciò ancor prima di verificare che ne sussistessero i presupposti.

A tal proposito risulta per sé dirimente la circostanza che il presupposto di applicazione della sanzione prevista dall’art. 167 comma 5 del d.lgs. n. 42/2004 oggi impugnata è l’accertamento, da parte dell’autorità competente, della compatibilità paesaggistica, come prescritto dall’art. 167 comma 4 del d.lgs. n. 42/2004; detto accertamento è stato ottenuto dal Comune solo in data 2.11.2010, come evincibile dalla parte motiva dell’ordinanza n. 9/2013.

Pertanto nessuna preclusione può essere maturata a danno della ricorrente in forza dell’ordinanza n. 19/2008, provvedimento di quasi due anni antecedente all’epoca in cui i presupposti per l’applicazione della sanzione oggi contestata sono stati accertati.

Analogamente è a dirsi per l’eccezione mossa da parte resistente di inammissibilità della disposta verificazione (per altro formulata solo con la memoria conclusiva). In tesi la verifica dell’effettivo quantitativo di materiale estratto in eccesso sarebbe stata preclusa dal giudicato formatosi sulla sentenza n. 157/2011 di questo Tar.

Se è infatti vero che, anche in quel giudizio, si contestava che la Sarizzo avesse violato le prescrizioni della concessione e veniva accertato che una violazione si era effettivamente verificata con riferimento ai volumi estaibili, ugualmente vero è che nella sentenza invocata si legge testualmente: “l’elemento decisivo è rappresentato dal fatto che, come accertato dall’impresa incaricata dal Comune (S.I.R. S.r.l.), l’attività della Sarizzo di Crodo S.p.a. ha comportato l’asportazione di 133.900 metri cubi di minerale in eccesso, non rispetto al primo stadio dei lavori, ma all’intero progetto decennale di coltivazione. Tale discrasia (contestata solo nella sua entità dalla ricorrente la quale ammette, comunque, di aver estratto quantitativi di roccia in difformità dalle previsioni progettuali) è sufficiente a legittimare l’intervento sanzionatorio del Comune ex art. 21, comma 2, l.r. n. 69/1978, in quanto, pur tenendo conto del materiale estratto in difetto rispetto al progetto (49.300 metri cubi), essa si riflette inevitabilmente sulla configurazione del sito, provocandone una rilevante alterazione rispetto alle previsioni progettuali. Appare conseguentemente superfluo dare ingresso nel giudizio ai mezzi istruttori (c.t.u.) reiteratamente richiesti da parte ricorrente.”

Dal complessivo tenore della decisione si evince dunque che, in detto giudizio, era rilevante e sufficiente l’accertamento di una discrasia tra l’attività svolta e quella autorizzata, mentre l’esatta entità dei volumi estratti in eccesso (oggetto di contestazione tra le parti e non verificata dal Tribunale) non aveva alcuna rilevanza.

Devono pertanto essere respinte le eccezioni preliminari mosse da parte resistente.

Quanto al merito ritiene il collegio, ad un più approfondito esame, che il primo motivo di ricorso meriti accoglimento sotto il profilo della violazione del principio di specialità tra norme.

La ricorrente per la medesima vicenda inerente la coltivazione della cava è stata destinataria di tre provvedimenti lato sensu sanzionatori (ordinanza n. 19/2008, ordinanza n. 9/2013, provvedimento n. 3881/2011 e successive ingiunzioni di pagamento); a carico della Sarizzo è poi stata escussa la fideiussione per la rimessione in pristino del sito coltivato.

Pare al collegio che, nel caso specifico, sia pertinente l’eccezione mossa da parte ricorrente là dove afferma la natura speciale della sanzione prevista dalla l.r. Piemonte n. 69 del 1978, art. 21 comma 2 (applicata alla ricorrente con l’ordinanza n. 19/2008), rispetto alla sanzione qui in discussione prescritta dall’art. 167 comma 5 del d.lgs. n. 42/2004.

La l.r. Piemonte n. 69/1978, nel testo vigente nel 2008, in materia di sanzioni recitava quanto segue:

“Chiunque compia atto di coltivazione di cava o torbiera, senza autorizzazione, è soggetto alla sanzione pecuniaria da L. 1.000.000 a L. 50.000.000; è altresì fatto obbligo all’inadempiente di provvedere alla sistemazione ambientale secondo le prescrizioni dettate dall’organo competente per il rilascio dell’autorizzazione, fatto salvo il potere per lo stesso organo di provvedere d’ufficio con rivalsa delle spese a carico dell’inadempiente.

Nel caso di inosservanza delle prescrizioni emanate col provvedimento di autorizzazione o di concessione, oltre all’eventuale pronuncia di decadenza, è prevista una sanzione pecuniaria da L. 1.000.000 a L. 30.000.000; è altresì fatto obbligo all’inadempiente di provvedere all’attuazione di quanto prescritto nonché, qualora l’inosservanza abbia comportato alterazione ambientale, alla sistemazione secondo le prescrizioni dell’organo che ha rilasciato l’autorizzazione o la concessione, fatto salvo il potere per lo stesso organo di provvedere d’ufficio con rivalsa delle spese a carico dell’inadempiente.”.

La sanzione oggi vigente, prevista dalla stessa legge regionale come modificata dall’art. 36 della l.r. Piemonte 3/2015, è commisurata alla volumetria del materiale estratto in violazione della concessione, esattamente come quella prevista dal d.lgs. n. 42/2004, art. 167.

La sanzione della legge regionale colpisce la violazione della disciplina amministrativa del rapporto concessorio; quanto al danno ambientale la legge, tanto nella versione vigente nel 2008 che in quella attualmente vigente, afferma l’obbligo del ripristino dell’ambiente (con potere dell’amministrazione di intervenire in danno, come avvenuto nel caso di specie); la sola versione della legge regionale del 2015, per altro di fatto esplicitando un principio generale certamente valido anche in precedenza, fa salvo l’ulteriore risarcimento del danno, il quale non può che supplire nei casi in cui la riduzione in pristino in quanto tale non sia realizzabile.

Venendo alla disciplina, qui in questione, dettata dal d.lgs. n. 42/2004, art. 167, i commi 4 e 5 recitano: “4. L’autorità amministrativa competente accerta la compatibilità paesaggistica, secondo le procedure di cui al comma 5, nei seguenti casi:

a) per i lavori, realizzati in assenza o difformità dall’autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati;

b) per l’impiego di materiali in difformità dall’autorizzazione paesaggistica;

c) per i lavori comunque configurabili quali interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria ai sensi dell’articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380.

5. Il proprietario, possessore o detentore a qualsiasi titolo dell’immobile o dell’area interessati dagli interventi di cui al comma 4 presenta apposita domanda all’autorità preposta alla gestione del vincolo ai fini dell’accertamento della compatibilità paesaggistica degli interventi medesimi. L’autorità competente si pronuncia sulla domanda entro il termine perentorio di centottanta giorni, previo parere vincolante della soprintendenza da rendersi entro il termine perentorio di novanta giorni. Qualora venga accertata la compatibilità paesaggistica, il trasgressore è tenuto al pagamento di una somma equivalente al maggiore importo tra il danno arrecato e il profitto conseguito mediante la trasgressione. L’importo della sanzione pecuniaria è determinato previa perizia di stima. In caso di rigetto della domanda si applica la sanzione demolitoria di cui al comma 1. La domanda di accertamento della compatibilità paesaggistica presentata ai sensi dell’articolo 181, comma 1-quater, si intende presentata anche ai sensi e per gli effetti di cui al presente comma.”

La sanzione in contestazione è stata comminata alla ricorrente in forza del combinato disposto del comma 4 lett. a) e del comma 5 come sopra riportati.

Le disposizioni si inseriscono in un contesto normativo che è stato significativamente modificato dal d.lgs. n. 157 del 2006. In particolare, prima di tale modifica, nell’ipotesi di violazione degli obblighi previsti dal d.lgs. n. 42/2004, a discrezione dell’autorità amministrativa era possibile ordinare in alternativa la rimessione in pristino o comminare una sanzione pecuniaria. E’ evidente che, in detto contesto, la sanzione pecuniaria colpiva la violazione di carattere ambientale, là dove l’amministrazione ritenesse di astenersi dall’ordine di rimessione in pristino di cui costituiva alternativa.

Nella normativa attualmente vigente, e per altro coeva al provvedimento impugnato, il comma 1 dell’art. 167 chiarisce che il trasgressore è sempre tenuto alla rimessione in pristino a proprie spese.

L’obbligo primario (rispetto al quale è per altro coerente anche la legge regionale piemontese) è dunque esclusivamente quello della rimessione in pristino con l’intento, per quanto possibile, di una riparazione in forma specifica del danno ambientale.

I commi 4 e 5 dell’art. 167 consentono, per contro, l’applicazione di una sanzione pecuniaria in limitate fattispecie, previo accertamento di compatibilità paesaggistica da parte dell’autorità preposta al vincolo.

Così riconfigurata la sanzione pare al collegio che il suo stesso presupposto sia l’assenza di danno ambientale (danno per il quale, per altro, residua sempre la possibilità di azionare la responsabilità civilistica per equivalente, là dove il ripristino non sia realizzabile) e la limitazione dell’oggetto della tutela al rispetto delle prescrizioni amministrative inerenti l’attività posta in essere.

In sostanza la sanzione non è più alternativa al ripristino (e quindi fisiologicamente potenzialmente volta a colpire un danno ambientale) bensì strutturalmente legata all’assenza di detto danno; non può allora trovare applicazione, nel caso di specie, la pur copiosa giurisprudenza che ammette la contemporanea applicazione di sanzioni amministrative previste da leggi regionali con quanto prescritto dal d.lgs. n. 42/2004, sull’assunto che si tratti di disposizioni volte a tutelare beni giuridici diversi.

Per quanto infatti in generale la tutela paesaggistica sia l’oggetto proprio di protezione del d.lgs. n. 42/2004, la specifica disposizione in questione si connota quale tutela della mera corretta gestione di un rapporto amministrativo, avendo come imprescindibile presupposto legale l’accertata mancanza di danno ambientale. La stessa norma, a tutela del bene ambiente, impone invece la sola riduzione in pristino (salvo il risarcimento per equivalente là dove quello in forma specifica, ossia la riduzione in pristino, non sia materialmente possibile, come per altro esplicitato nella analoga disposizione della legge regionale piemontese).

La sostanziale equivalenza tra la disposizione regionale già applicata a carico della Sarizzo e quella nazionale oggi in contestazione risulta, dopo le modifiche apportate nel 2015 alla legge regionale piemontese, ancor più evidente, essendo stato superato il vetusto meccanismo sanzionatorio fisso (nell’ambito di una cornice edittale tra massimo e minimo) per essere sostituito da un meccanismo proporzionale all’entità dell’attività posta in essere in violazione delle autorizzazioni.

In definitiva ritiene il collegio condivisibile la tesi di parte ricorrente là dove evidenzia che, tra la sanzione di cui alla l.r. Piemonte n. 69/1978 e la sanzione di cui all’art. 167 del d.lgs. n. 42/2004, intercorra un rapporto di specialità da risolversi in favore della prima norma; ferma infatti l’identità del bene protetto come fin qui verificata, la norma regionale è specifica per la disciplina in materia di cave e colpisce proprio la coltivazione di una cava in “inosservanza delle prescrizioni emanate con il provvedimento di autorizzazione o di concessione”, ossia l’esatta condotta della ricorrente.

Tanto comporta l’accoglimento del primo motivo di ricorso con annullamento del provvedimento impugnato e supera tutte le ulteriori censure e contestazioni tra le parti.

Le spese seguono la soccombenza.

Resta da definirsi, con separato giudizio, il contenzioso relativo all’attivazione, da parte dell’amministrazione, delle specifiche clausole penali previste dalla concessione in essere tra le parti (giudizio rg. 285/2015); il compenso del verificatore, liquidato con separato provvedimento, verrà definitivamente accollato alle parti nell’ambito di detto giudizio, essendo ivi rilevante quale parametro di quantificazione delle clausole penali.


P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte (Sezione Seconda)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto,

accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione e per l’effetto annulla l’ordinanza n. 9/2013 e l’ingiunzione di pagamento prot.n. 11422 del 18.12.2014;

condanna parte resistente a rifondere a parte ricorrente le spese di lite, liquidate in € 4000,00 oltre IVA, CPA e rimborso spese generali.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Torino nella camera di consiglio del giorno 25 ottobre 2016 con l’intervento dei magistrati:

Carlo Testori, Presidente
Savio Picone, Consigliere
Paola Malanetto, Primo Referendario, Estensore

L’ESTENSORE
Paola Malanetto
 

IL PRESIDENTE
Carlo Testori

 

IL SEGRETARIO
 

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