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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Acqua - Inquinamento idrico, Diritto processuale penale Numero: 51889 | Data di udienza: 21 Luglio 2016

* ACQUA – INQUINAMENTO IDRICO – Impianti di autolavaggio – Natura di insediamenti produttivi – Qualità inquinante delle acque – Sversamento sul suolo – Acque reflue industriali – Configurabilità del reato – Artt. 74, 133, 137, 256, c.1, d.lgs. n. 152/2006GIURISPRUDENZA – Acque reflue provenienti dallo svolgimento dell’attività produttiva dell’autolavaggio – Nozione di acque reflue industriali – Attività artigianali e prestazioni di servizi – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Prova “decisiva” e inammissibilità dei motivo di ricorso – Art. 606 lett. d) cod. proc. pen. – Mancata concessione della sospensione condizionale della pena – Poteri del giudice.


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 6 Dicembre 2016
Numero: 51889
Data di udienza: 21 Luglio 2016
Presidente: Ramacci
Estensore: RENOLDI


Premassima

* ACQUA – INQUINAMENTO IDRICO – Impianti di autolavaggio – Natura di insediamenti produttivi – Qualità inquinante delle acque – Sversamento sul suolo – Acque reflue industriali – Configurabilità del reato – Artt. 74, 133, 137, 256, c.1, d.lgs. n. 152/2006GIURISPRUDENZA – Acque reflue provenienti dallo svolgimento dell’attività produttiva dell’autolavaggio – Nozione di acque reflue industriali – Attività artigianali e prestazioni di servizi – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Prova “decisiva” e inammissibilità dei motivo di ricorso – Art. 606 lett. d) cod. proc. pen. – Mancata concessione della sospensione condizionale della pena – Poteri del giudice.



Massima

 

 


CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 06/12/2016 (Ud. 21/07/2016) Sentenza n.51889


ACQUA – INQUINAMENTO IDRICO – Impianti di autolavaggio – Natura di insediamenti produttivi – Qualità inquinante delle acque – Sversamento sul suolo – Acque reflue industriali – Configurabilità del reato – Artt. 74, 133, 137, 256, c.1, d.lgs. n. 152/2006 – GIURISPRUDENZA. 
 
Gli impianti di autolavaggio, hanno natura di insediamenti produttivi e non di insediamenti civili in considerazione della qualità inquinante dei reflui, diversa e più grave rispetto a quella dei normali scarichi da abitazioni, e per la presenza di residui quali oli minerali e sostanze chimiche contenute nei detersivi e nelle vernici eventualmente staccatesi da vetture usurate (così Sez. 3, n. 5143 del 4/02/2003, Canavese ed altro; Sez. 3, n. 26543 del 21/05/2008, Erg Petroli Spa e altro). Ne consegue che lo sversamento sul suolo di tali acque, operato, senza autorizzazione, attraverso il tubo interrato rinvenuto dagli accertatori è certamente idoneo a integrare la suddetta fattispecie, restando del tutto irrilevante il dato relativo alla presenza degli idrocarburi che, pur rilevata in occasione del controllo, rappresentava un elemento estraneo all’ambito applicativo della fattispecie incriminatrice ritenuta applicabile nella specie.
 
 
ACQUA – INQUINAMENTO IDRICO – Acque reflue provenienti dallo svolgimento dell’attività produttiva dell’autolavaggio – Nozione di acque reflue industriali – Attività artigianali e prestazioni di servizi – Artt. 74, 133, 137, 256, c.1, d.lgs. n. 152/2006.
 
Le acque reflue provenienti dallo svolgimento dell’attività produttiva dell’autolavaggio devono essere qualificate come “industriali”. Con l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 156/2006, l’art. 74, comma 1, lett. h), come modificato dal D.Lgs. 16 gennaio 2008, n. 4, le acque reflue industriali sono definite come quelle provenienti da edifici o installazioni in cui si svolgono attività commerciali o di produzione di beni, differenti, qualitativamente, dalle acque reflue domestiche e da quelle meteoriche di dilavamento. Nella nozione in esame rientrano tutti i reflui derivanti da attività che non attengono strettamente al prevalente metabolismo umano ed alle attività domestiche, come definite dall’art. 74, comma 1, lett. g), del D.Lgs. n. 156/2006, il cui scarico è invece presidiato dalla mera sanzione amministrativa ex art. 133, comma 2, del predetto decreto. Conseguentemente rientrano tra le acque reflue industriali quelle provenienti da attività artigianali e da prestazioni di servizi (Sez. 3, n. 42932 del 24/10/2002, Barattoni, Rv. 222966, relativo ad una fattispecie relativa di scarico proveniente dal lavaggio dei macchinari di una officina tipo­litografica), a condizione che le caratteristiche qualitative degli stessi siano diverse da quelle delle acque domestiche (Sez. 3, n. 22436 del 3/04/2013, La Barbera; Sez. 3, n. 36982 del 7/07/2011, Boccia; Sez.3, n. 41850 del 30/09/2008, Margarito e altro). E ciò indipendentemente dal grado o dalla natura dell’inquinamento. Dunque, per determinare le acque che derivano dalle attività produttive occorre procedere a contrario, vale a dire escludere le acque ricollegabili al metabolismo umano e provenienti dalla realtà domestica (cfr. Sez. 3, n. 2340 del 7/11/2012, Sgroi; Sez. 3, n. 978/2004 del 24/11/2003, Marino; Sez. 3, n. 35870 del 1/07/2004, Arcidiacono; Sez. 3, n. 42932 del 24/10/2002, Barattoni). 
 

DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Prova “decisiva” e inammissibilità dei motivo di ricorso – Art. 606 lett. d) cod. proc. pen..
 
Secondo la previsione dell’art. 606 lett. d) cod. proc. pen., deve ritenersi “decisiva” la prova che, confrontata con le argomentazioni contenute nella motivazione, si riveli tale da dimostrare che, ove esperita, avrebbe sicuramente determinato una diversa pronuncia; ovvero quella che, non assunta o non valutata, vizia la sentenza intaccandone la struttura portante (Sez. 4, n. 6783 del 23/01/2014, Di Meglio); ciò che all’evidenza pone, in capo ricorrente, la necessità di indicare puntualmente sotto quale profilo la prova non assunta avrebbe sicuramente inciso sull’esito della decisione. 
 

DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Mancata concessione della sospensione condizionale della pena – Poteri del giudice.
 
Il giudice non è obbligato a motivare la mancata concessione della sospensione condizionale della pena, né ad esaminare la questione, qualora l’imputato non abbia fatto espressa richiesta di applicazione del beneficio (così Sez. 3, n. 23228 del 12/04/2012, Giovanrosa; Sez. 6, n. 4374 del 28/10/2008, Maugliani). 
 
 
(conferma sentenza in data 8/10/2014 del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere) Pres. RAMACCI, Rel. RENOLDI, Ric. D’Ambrosio
 

Allegato


Titolo Completo

CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 06/12/2016 (Ud. 21/07/2016) Sentenza n.51889

SENTENZA

 

CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 06/12/2016 (Ud. 21/07/2016) Sentenza n.51889

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
 
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
 
omissis
 
ha pronunciato la seguente
 
SENTENZA 
 
sul ricorso proposto da D’Ambrosio Domenico, nato a Piedimonte Matese il 12/05/1986,
avverso la sentenza in data 8/10/2014 del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Carlo Renoldi;
udito il Pubblico Ministero, in persona del sostituto Procuratore generale dott. Fulvio Baldi, che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata.

RITENUTO IN FATTO
 
1. Con sentenza in data 8/10/2014, il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere condannò Domenico D’Ambrosia alla pena di 1.000,00 euro di ammenda in relazione alla contravvenzione di cui all’art. 137 del decreto legislativo 3/04/2006, n. 152 (così riqualificata l’originaria contestazione di cui all’art. 256, comma 1, del d.lgs. n. 152 del 2006) per avere effettuato, in qualità di rappresentante della società Rapid Wash Self Service di D’Ambrosia Domenico & C. S.a.s., senza la prescritta autorizzazione, un versamento diretto sul nudo terreno delle acque reflue provenienti da un’attività di autolavaggio svolta dalla suddetta società, con una concentrazione di idrocarburi pari a 67 mg/I; fatti accertati in Sant’Angelo d’Alife in data 22/08/2011.
 
Secondo quanto riferito dal teste di polizia giudiziaria Francesco Del Piano, infatti, in occasione di un controllo effettuato da personale dell’Arpac era emerso che l’impianto di depurazione, costituito da diverse cisterne in cui sarebbero dovuti confluire i reflui dell’attività del predetto esercizio, presentava un tubo sottotraccia, il quale faceva, in realtà, defluire le acque accumulate verso un canale limitrofo e, in parte, sul nudo terreno; tutto ciò senza che vi fosse alcuna autorizzazione allo scarico dei reflui sul suolo.
 
A seguito di tali risultanze, il personale dell’Arpac aveva proceduto al campionamento delle acque versate dal tubo, sottoponendole ad analisi. All’esito dell’accertamento era stata rilevata la presenza di un valore pari a 67 mg/I di idrocarburi; parametro che, secondo quanto riferito dal suddetto teste, sarebbe dovuto essere totalmente assente.
 
Così accertati i fatti, il giudice di prime cure ritenne di inquadrare la fattispecie fin qui descritta nell’alveo dell’art. 137 del Testo unico ambientale. Accanto al dato oggettivo dello sversamento dei reflui sul suolo, fu infatti ravvisato, in capo a Domenico D’Ambrosia, anche un profilo di colpa, consistente nel mancato apprestamento delle cautele necessarie ad evitare che gli scarichi derivanti dall’attività aziendale, pacificamente qualificabili come “rifiuto”, finissero sul nudo terreno.
 
2. Avverso la predetta sentenza l’imputato propone ricorso per cassazione, deducendo, attraverso quattro motivi di impugnazione:
 
 
Il giudice, pur avendo correttamente riqualificato i fatti ai sensi dell’art. 137 del decreto legislativo n. 152 del 2006 (nonostante l’originaria contestazione ex art. 256, comma 1, dello stesso decreto), avrebbe errato nel non ritenere applicabile l’ipotesi di cui al comma 5 dello stesso art. 137, considerato che il fatto ascritto all’imputato consisterebbe nell’avere effettuato uno scarico di acque contenenti idrocarburi in misura pari a 67 mg/l.
 
Peraltro, non essendo tali sostanze contemplate dalla tabella numero 4 dell’allegato 5 della parte terza del decreto legislativo in questione, il comma 5 dell’art. 137, come modificato dalla legge 25/02/2010, n. 36, dovrebbe trovare applicazione, nei casi come quello in esame, la fattispecie di illecito amministrativo di cui all’art. 133 dello stesso decreto.
 
8) la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen., per erronea applicazione della legge e il vizio di motivazione, in relazione all’art. 74 del decreto legislativo n. 152 del 2006.
 
Secondo il ricorrente la sentenza impugnata avrebbe applicato una errata nozione di “scarico”, atteso che mentre l’originaria formulazione dell’art. 74, comma 1, lett. ff) del decreto legislativo n. 152 del 2006 qualificava come scarico “qualsiasi immissione di acque reflue in acque superficiali, sul suolo, nel sottosuolo, indipendentemente dalla loro natura inquinante, anche sottoposte a preventivo trattamento di depurazione”, il nuovo testo, conseguente alla modifica apportata con il decreto legislativo 16/01/2008, n. 4, restringerebbe la relativa nozione, definendo lo scarico come “qualsiasi immissione effettuata esclusivamente tramite un sistema stabile di collegamento che collega senza soluzione di continuità il ciclo di produzione delle acque reflue con il corpo recettore”.
 
Pertanto, considerato che in occasione del sopralluogo era stato constatato come le acque dell’attività di autolavaggio refluissero nelle vasche per lo smaltimento, mentre nel tubo rinvenuto dagli accertatori sarebbero confluite anche le acque piovane, la ricordata nozione di scarico sarebbe stata, ad avviso del ricorrente, inapplicabile al caso di specie; fermo restando che il rinvenimento di tracce minime di idrocarburi sarebbe potuto essere compatibile con la mera presenza di autovetture parcheggiate nell’autolavaggio.
 
C) la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. d) cod. proc. pen. in relazione alla mancata assunzione della prova decisiva.
 
Il ricorrente lamenta la mancata audizione dei tecnici dell’Arpac in relazione alle modalità del prelievo dei campioni ed alle analisi effettuate su di essi; prova che, inizialmente ammessa, era stata successivamente revocata dal giudice dopo l’acquisizione del verbale redatto dagli stessi tecnici. L’acquisizione di informazioni in ordine al campionamento e alla metodologia seguita avrebbe avuto un’influenza decisiva sul processo, tenuto conto, oltretutto, delle quantità minime di particelle di idrocarburi rinvenuti nei campioni analizzati.
 
D) la violazione della legge penale e il vizio di motivazione in relazione alla mancata concessione della sospensione condizionale della pena.
 
Infine, il ricorrente deduce che nonostante l’applicazione della pena pecuniaria egli avrebbe avuto, comunque, interesse alla sospensione condizionale dell’esecuzione della stessa e che, tuttavia, il giudice di prime cure non avrebbe in alcun modo motivato le ragioni della mancata concessione del beneficio.

CONSIDERATO IN DIRITTO
 
1. Il ricorso proposto da Domenico D’Ambrosia è infondato e, pertanto, deve essere rigettato.
 
Diversamente da quanto opinato dal ricorrente, la fattispecie incriminatrice applicabile al caso di specie è stata correttamente rinvenuta, dal primo giudice, in quella di cui al comma 1 dell’art. 137 del decreto legislativo n. 152/2006, a mente del quale, nella versione applicabile ratione temporis alla presente vicenda processuale, viene sanzionato colui il quale “apra o comunque effettui nuovi scarichi di acque reflue industriali, senza autorizzazione, oppure continui ad effettuare o mantenere detti scarichi dopo che l’autorizzazione sia stata sospesa o revocata”. 
 
Secondo il Tribunale, infatti, le acque reflue provenienti dallo svolgimento dell’attività produttiva dell’autolavaggio dovevano essere qualificate come “industriali”; ciò che, a parere di questo Collegio, corrisponde pienamente alla consolidata interpretazione di questa Corte.
 
Già sotto la vigenza della legge n. 319 del 1976, si era individuato il criterio distintivo tra insediamenti civili e insediamenti produttivi sulla base dell’assimilabilità o meno dei rispettivi scarichi, per tipo e qualità dei reflui, a quelli provenienti da insediamenti abitativi (S.U. n. 11594 del 16/11/1987; Sez.3 n. 175 del 13/01/1988; Sez. 3 n. 9428 del 24/09/1988).
 
Con l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 156/2006, l’art. 74, comma 1, lett. h), come modificato dal D.Lgs. 16 gennaio 2008, n. 4, le acque reflue industriali sono definite come quelle provenienti da edifici o installazioni in cui si svolgono attività commerciali o di produzione di beni, differenti, qualitativamente, dalle acque reflue domestiche e da quelle meteoriche di dilavamento (Sez. 3, n. 35870 del 1/07/2004, Arcidiacono, Rv. 229012).
 
Secondo la giurisprudenza di questa Corte nella nozione in esame rientrano tutti i reflui derivanti da attività che non attengono strettamente al prevalente metabolismo umano ed alle attività domestiche, come definite dall’art. 74, comma 1, lett. g), del D.Lgs. n. 156/2006, il cui scarico è invece presidiato dalla mera sanzione amministrativa ex art. 133, comma 2, del predetto decreto (Sez. 3, n. 12865 del 5/02/2009, Bonaffini, Rv. 243122; Sez. 3, n. 42932 del 24/10/2002, Barattoni, Rv. 222966; Sez. 3, n. 978/2004 del 24/11/2003, Marino, Rv. 227180). Conseguentemente rientrano tra le acque reflue industriali quelle provenienti da attività artigianali e da prestazioni di servizi (Sez. 3, n. 42932 del 24/10/2002, Barattoni, Rv. 222966, relativo ad una fattispecie relativa di scarico proveniente dal lavaggio dei macchinari di una officina tipo­ litografica), a condizione che le caratteristiche qualitative degli stessi siano diverse da quelle delle acque domestiche (Sez. 3, n. 22436 del 3/04/2013, La Barbera, Rv. 255777; Sez. 3, n. 36982 del 7/07/2011, Boccia, Rv. 251301; Sez.
3, n. 41850 del 30/09/2008, Margarito e altro, Rv. 241506). E ciò indipendentemente dal grado o dalla natura dell’inquinamento (così Sez. 3, n. 3199 del 2/10/2014, Verbicaro, Rv. 262006).
 
Dunque, per determinare le acque che derivano dalle attività produttive occorre procedere a contrario, vale a dire escludere le acque ricollegabili al metabolismo umano e provenienti dalla realtà domestica (cfr. Sez. 3, n. 2340 del 7/11/2012, Sgroi, Rv. 254134; Sez. 3, n. 978/2004 del 24/11/2003, Marino, Rv. 227180; Sez. 3, n. 35870 del 1/07/2004, Arcidiacono, Rv. 229012; Sez. 3, n. 42932 del 24/10/2002, Barattoni, Rv. 222966).
 
E’ questo il caso degli impianti di autolavaggio, i quali hanno natura di insediamenti produttivi e non di insediamenti civili in considerazione della qualità inquinante dei reflui, diversa e più grave rispetto a quella dei normali scarichi da abitazioni, e per la presenza di residui quali oli minerali e sostanze chimiche contenute nei detersivi e nelle vernici eventualmente staccatesi da vetture usurate (così Sez. 3, n. 5143 del 4/02/2003, Canavese ed altro, Rv. 223375; Sez. 3, n. 26543 del 21/05/2008, Erg Petroli Spa e altro, Rv. 240537).
 
Ne consegue che lo sversamento sul suolo di tali acque, operato, senza autorizzazione, attraverso il tubo interrato rinvenuto dagli accertatori era certamente idoneo a integrare la suddetta fattispecie, restando del tutto irrilevante il dato relativo alla presenza degli idrocarburi che, pur rilevata in occasione del controllo, rappresentava un elemento estraneo all’ambito applicativo della fattispecie incriminatrice ritenuta applicabile nella specie.
 
2. Le considerazioni che precedono inducono, altresì, al rigetto del secondo motivo, secondo cui la nozione di scarico di cui all’art. 74 sarebbe incompatibile con le modalità di sversamento accertate nel caso di specie, atteso che, ancora una volta, ciò che rileva è il carattere “industriale” delle acque reflue, derivante dalla particolare tipologia di attività svolta e non tanto dall’accertamento della composizione chimica delle sostanze presenti nelle acque.
 
Fermo restando che, in ogni caso, la censura dedotta nella specie dal ricorrente in realtà atteneva, più che al piano della qualificazione giuridica dello scarico, alla realizzazione di un accertamento in fatto non consentito in sede di giudizio di legittimità, postulando da un lato la verifica della presenza, nel tubo, di acque piovane e dall’altro lato il rilascio di sostanze inquinanti da parte delle auto parcheggiate nell’autolavaggio. E pertanto, anche sotto tale profilo, la censura in questione sarebbe comunque stata inammissibile.
 
3. Quanto al terzo motivo di ricorso, relativo alla revoca, asseritamente ingiustificata, dell’ordinanza di ammissione dell’esame dei tecnici dell’Arpac in relazione alle modalità del campionamento di reperti e dalle analisi sui campioni, la relativa censura appare manifestamente inammissibile, non avendo il ricorrente esplicitato le ragioni per le quali la suddetta prova avrebbe avuto carattere di decisività. Ciò alla luce del consolidato orientamento di questa corte secondo cui deve ritenersi “decisiva”, secondo la previsione dell’art. 606 lett. d) cod. proc. pen., la prova che, confrontata con le argomentazioni contenute nella motivazione, si riveli tale da dimostrare che, ove esperita, avrebbe sicuramente determinato una diversa pronuncia; ovvero quella che, non assunta o non valutata, vizia la sentenza intaccandone la struttura portante (Sez. 4, n. 6783 del 23/01/2014, Di Meglio, Rv. 259323); ciò che all’evidenza pone, in capo ricorrente, la necessità di indicare puntualmente sotto quale profilo la prova non assunta avrebbe sicuramente inciso sull’esito della decisione. Una indicazione, che, nella specie, è stata dal del tutto omessa dal ricorrente. Ne consegue l’inammissibilità del relativo motivo di ricorso. 
 
4. Anche il quarto ultimo motivo di ricorso è manifestamente infondato. Secondo l’orientamento accolto da questa Corte, infatti, il giudice non è obbligato a motivare la mancata concessione della sospensione condizionale della pena, né ad esaminare la questione, qualora l’imputato non abbia fatto espressa richiesta di applicazione del beneficio (così Sez. 3, n. 23228 del 12/04/2012, Giovanrosa, Rv. 253057; Sez. 6, n. 4374 del 28/10/2008, Maugliani, Rv. 242785), anche considerato che, attesa la natura pecuniaria della pena applicata, lo stesso imputato avrebbe potuto avere interesse, in linea astratta, a non usufruirne, in modo da poterne eventualmente beneficiare in altra circostanza; sicché, sul punto, l’assoluzione seguita dal giudice di prima istanza si palesa come incensurabile.
 
5. Alla stregua delle considerazioni che precedono il ricorso, pertanto, deve essere rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente procedimento.
 
PER QUESTI MOTIVI
 
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
 
Così deciso in Roma, il 21/07/2016
 
 

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