Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime |
Categoria: Diritto processuale penale,
Diritto venatorio e della pesca,
Fauna e Flora
Numero: 52859 |
Data di udienza: 14 Luglio 2016
* DIRITTO VENATORIO – FAUNA E FLORA – Detenzione di parti di animali morti di fauna selvatica – CACCIA – Esercizio con con mezzi vietati – Sequestro probatorio (avente ad oggetto una pelle di tasso, una testa di cinghiale, due pelli di scoiattolo) – Reati di cui agli artt. 18, 21 e 30 Legge n.157/1992.
Provvedimento: Sentenza
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 14 Dicembre 2016
Numero: 52859
Data di udienza: 14 Luglio 2016
Presidente: FIALE
Estensore: ANDRONIO
Premassima
* DIRITTO VENATORIO – FAUNA E FLORA – Detenzione di parti di animali morti di fauna selvatica – CACCIA – Esercizio con con mezzi vietati – Sequestro probatorio (avente ad oggetto una pelle di tasso, una testa di cinghiale, due pelli di scoiattolo) – Reati di cui agli artt. 18, 21 e 30 Legge n.157/1992.
Massima
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 14/12/2016 (Ud. 14/07/2016) Sentenza n.52859
DIRITTO VENATORIO – FAUNA E FLORA – Detenzione di parti di animali morti di fauna selvatica – CACCIA – Esercizio con con mezzi vietati – Sequestro probatorio (avente ad oggetto una pelle di tasso, una testa di cinghiale, due pelli di scoiattolo) – Reati di cui agli artt. 18, 21 e 30 Legge n.157/1992.
L’art. 30, comma 1, lettera h), della legge n. 157 del 1992, punisce tra gli altri, chi abbatte, cattura o detiene specie di mammiferi o uccelli nei cui confronti la caccia non è consentita o fringillidi in numero superiore a cinque e chi esercita la caccia con mezzi vietati. Ed è pacifico che nel caso di specie l’indagato sia stato colto nella detenzione delle parti di animali morti che sono state poi sequestrate. Come già evidenziato, l’art. 21, lettera ee), dello stesso testo normativo vieta, fra l’altro, di detenere esemplari di fauna selvatica abbattuta in violazione delle disposizioni in materia di imbalsamazione e tassidermia; condotta sanzionata penalmente dal richiamato art. 30, secondo comma. Sicchè, il sequestro probatorio in essere è strumentale proprio all’accertamento dell’effettiva illecita provenienza dei capi abbattuti, ivi compreso il cinghiale, specie non astrattamente esclusa dal novero di quelle cacciabili; cosicché il mantenimento di esso risponde pienamente alle esigenze istruttorie del procedimento. Del resto, la circostanza che gli animali non fossero di provenienza selvatica è meramente asserita dal ricorrente e del tutto sfornita di prova.
(Dichiara inammissibile il ricorso avverso l’ordinanza del 16/06/2015 del TRIB. LIBERTA’ di CHIETI) Pres. FIALE, Rel. ANDRONIO, Ric. Campanella
Allegato
Titolo Completo
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 14/12/2016 (Ud. 14/07/2016) Sentenza n.52859
SENTENZA
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 14/12/2016 (Ud. 14/07/2016) Sentenza n.52859
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
omissis
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
CAMPANELLA A. nato il xxxx a FRANCAVILLA AL MARE;
avverso l’ordinanza del 16/06/2015 del TRIB. LIBERTA’ di CHIETI;
sentita la relazione svolta dal Consigliere ALESSANDRO MARIA ANDRONIO;
lette le conclusioni del PG Luigi Birritteri inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. – Il Tribunale di Chieti, in sede di riesame, ha confermato il sequestro probatorio disposto a carico dell’indagato in relazione ai reati di cui agli artt. 18 e, 30, comma 1, lettera h), della legge n. 157 del 1992, avente ad oggetto una pelle di tasso, una testa di cinghiale, due pelli di scoiattolo.
2. – Avverso l’ordinanza l’indagato ha proposto ricorso per cassazione, lamentando:
1) la mancata considerazione del fatto che la semplice detenzione di esemplari morti di animali sarebbe punita dall’art. 2 della legge n. 150 del 1992 solo se finalizzata alla vendita;
2) il mancato accertamento della provenienza selvatica degli animali, che costituirebbe il presupposto necessario per la configurabilità del reato;
3) la mancata considerazione del fatto che la testa di cinghiale non è riconducibile a una specie protetta.
Con memoria depositata in prossimità della camera di consiglio di fronte a questa Corte, la difesa ha insistito nelle doglianze già proposte, ancora richiamando la legge n. 150 del 1992, oltre al regolamento CEE n. 3826 del 1982.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. – Il ricorso – che risulta basato sulla mera riproposizione di ragioni di fatto e di diritto già analizzate e correttamente disattese al Tribunale – è inammissibile.
Quanto al primo motivo di doglianza, è sufficiente qui rilevare che la fattispecie in esame non è disciplinata dalla legge n. 150 del 1992 né dal regolamento CEE n. 3826 del 1982, i quali contengono norme di maggiore tutela per alcune specie selvatiche, ma dalla disposizione generale dell’art. 30, comma 1, lettera h), della legge n. 157 del 1992, il quale punisce tra gli altri, chi abbatte, cattura o detiene specie di mammiferi o uccelli nei cui confronti la caccia non è consentita o fringillidi in numero superiore a cinque e chi esercita la caccia con mezzi vietati. Ed è pacifico che nel caso di specie l’indagato sia stato colto nella detenzione delle parti di animali morti che sono state poi sequestrate. Come correttamente evidenziato dal Tribunale, l’art. 21, lettera ee), dello stesso testo normativo vieta, fra l’altro, di detenere esemplari di fauna selvatica abbattuta in violazione delle disposizioni in materia di imbalsamazione e tassidermia; condotta sanzionata penalmente dal richiamato art. 30, secondo comma.
Quanto al secondo al terzo motivo di doglianza, è sufficiente qui rilevare che il sequestro probatorio in essere è strumentale proprio all’accertamento dell’effettiva illecita provenienza dei capi abbattuti, ivi compreso il cinghiale, specie non astrattamente esclusa dal novero di quelle cacciabili; cosicché il mantenimento di esso risponde pienamente alle esigenze istruttorie del procedimento. Del resto, la circostanza che gli animali non fossero di provenienza selvatica è meramente asserita dal ricorrente e del tutto sfornita di prova.
4. – Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in € 1.500,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 1.500,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 14 luglio 2016.