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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Diritto processuale penale, Rifiuti Numero: 52838 | Data di udienza: 14 Luglio 2016

CODICE DELL’AMBIENTE – RIFIUTI – Formulario di identificazione dei rifiuti (f.i.r.) – Redazione e utilizzazione di f.i.r. falsi – Rilevanza ai fini dell’accertamento dei reati di abusiva gestione di rifiuti o traffico illecito – Natura di documento recante una mera attestazione del privato – Valore certificativo della natura e composizione del rifiuto trasportato – Esclusione – Artt. 183, 189, 190, 193, 208, 258, c.4, 260 e 311 d.lgs. n. 152/2006 – Gestione dei rifiuti – Attività organizzata di traffico di rifiuti – Pluralità di operazioni con allestimento di mezzi ed attività continuative organizzate, ovvero attività di intermediazione e commercio –  Sussistenza del dolo specifico per l’integrazione del reato – Ingiusto profitto – Abusività della gestione – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Giudice di legittimità e controllo sulla motivazione – Limiti – Accertamento sulla congruità e coerenza dell’apparato argomentativo – Art. 606, comma 1, lettera e), cod. proc. pen..


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 14 Dicembre 2016
Numero: 52838
Data di udienza: 14 Luglio 2016
Presidente: FIALE
Estensore: ANDRONIO


Premassima

CODICE DELL’AMBIENTE – RIFIUTI – Formulario di identificazione dei rifiuti (f.i.r.) – Redazione e utilizzazione di f.i.r. falsi – Rilevanza ai fini dell’accertamento dei reati di abusiva gestione di rifiuti o traffico illecito – Natura di documento recante una mera attestazione del privato – Valore certificativo della natura e composizione del rifiuto trasportato – Esclusione – Artt. 183, 189, 190, 193, 208, 258, c.4, 260 e 311 d.lgs. n. 152/2006 – Gestione dei rifiuti – Attività organizzata di traffico di rifiuti – Pluralità di operazioni con allestimento di mezzi ed attività continuative organizzate, ovvero attività di intermediazione e commercio –  Sussistenza del dolo specifico per l’integrazione del reato – Ingiusto profitto – Abusività della gestione – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Giudice di legittimità e controllo sulla motivazione – Limiti – Accertamento sulla congruità e coerenza dell’apparato argomentativo – Art. 606, comma 1, lettera e), cod. proc. pen..



Massima

 



CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 14/12/2016 (Ud. 14/07/2016) Sentenza n.52838



CODICE DELL’AMBIENTE – RIFIUTI – Formulario di identificazione dei rifiuti (f.i.r.) – Redazione e utilizzazione di f.i.r. falsi – Rilevanza ai fini dell’accertamento dei reati di abusiva gestione di rifiuti o traffico illecito – Natura di documento recante una mera attestazione del privato – Valore certificativo della natura e composizione del rifiuto trasportato – Esclusione – Artt. 183, 189, 190, 193, 208, 258, c.4, 260 e 311 d.lgs. n. 152/2006.
 
Il formulario di identificazione dei rifiuti (f.i.r.) non ha alcun valore certificativo della natura e composizione del rifiuto trasportato, trattandosi di documento recante una mera attestazione del privato, avente dunque natura prettamente dichiarativa; con la conseguenza che l’eventuale falsa attestazione in esso contenuta non integra – né direttamente né, attraverso il richiamo contenuto nell’art.258, comma 4, del codice dell’ambiente – il reato di falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico, di cui all’art. 483 cod. pen. (sulla natura dei formulari di identificazione dei rifiuti v., ex multis, Sez. 3, Sentenza n. 43613 del 18/09/2015 Ud., dep. 29/10/2015; nonché Sez. 3, Sentenza n. 42465 del 20/09/2013 Ud., dep. 16/10/2013; Sez. 3, Sentenza n. 19682 del 02/04/2013 Ud., dep. 08/05/2013; Sez. 3, n. 3692 del 17 /12/2013). Deve però aggiungersi che l’esclusione della rilevanza penale della violazione consistente nella redazione e utilizzazione di f.i.r. falsi non può incidere in negativo sull’accertamento dei reati di abusiva gestione di rifiuti o traffico illecito o su altre fattispecie di violazioni a carattere “sostanziale”, perché i f.i.r. rappresentano, comunque, uno degli elementi di fatto che devono essere presi in considerazione ai fini di tale accertamento.
 

CODICE DELL’AMBIENTE – RIFIUTI – Gestione dei rifiuti – Attività organizzata di traffico di rifiuti – Pluralità di operazioni con allestimento di mezzi ed attività continuative organizzate, ovvero attività di intermediazione e commercio –  Sussistenza del dolo specifico per l’integrazione del reato – Ingiusto profitto – Abusività della gestione.
 
Il d.lgs. n. 152 del 2006, art. 260, (che riprende la previsione del d.lgs. n. 22 del 1997, art. 53-bis, introdotto dalla legge 23 marzo 2001, n. 93) prevede la sanzione penale per chi, al fine di conseguire un ingiusto profitto, allestisce una organizzazione di traffico di rifiuti, volta a gestire continuativamente, in modo illegale, ingenti quantitativi di rifiuti. Tale gestione dei rifiuti deve concretizzarsi in una pluralità di operazioni con allestimento di mezzi ed attività continuative organizzate, ovvero attività di intermediazione e commercio (Sez. 3, n. 40827 del 6/10/2005, Carretta). Inoltre, l’attività deve essere “abusiva”, ossia effettuata o senza le autorizzazioni necessarie (ovvero con autorizzazioni illegittime o scadute) o violando le prescrizioni e/o i limiti delle autorizzazione stesse (ad esempio, la condotta avente per oggetto una tipologia di rifiuti non rientranti nel titolo abilitativo, ed anche tutte quelle attività che, per le modalità concrete con cui sono esplicate, risultano totalmente difformi da quanto autorizzato, sì da non essere più giuridicamente riconducibili al titolo abilitativo rilasciato dalla competente Autorità amministrativa) (Sez. 3, n. 40828 del 6/10/2005, Fradella). Quindi il delitto in esame sanziona comportamenti non occasionali di soggetti che, al fine di conseguire un ingiusto profitto, fanno della illecita gestione dei rifiuti la loro redditizia, anche se non esclusiva attività, per cui per perfezionare il reato è necessaria una, seppure rudimentale, organizzazione professionale (mezzi e capitali) che sia in grado di gestire ingenti quantitativi di rifiuti in modo continuativo, ossia con pluralità di operazioni condotte in continuità temporale, operazioni che vanno valutate in modo globale: alla pluralità delle azioni, che è elemento costitutivo del fatto, corrisponde una unica violazione di legge, e perciò il reato è abituale dal momento che per il suo perfezionamento è necessaria le realizzazione di più comportamenti della stessa specie (ex plurimis, Sez. 3, Sentenza n. 44449 del 15/10/2013; Sez. 3, Sentenza n. 29619 del 08/07/2010; Sez. 3, n. 46705 del 3/11/2009, Caserta). E non vi è dubbio che, ai fini della sussistenza del dolo specifico richiesto per l’integrazione del reato, sia necessaria la prova della consapevolezza dell’autore della condotta di utilizzare un’organizzazione illecita (anche non necessariamente plurisoggettiva) per conseguire un ingiusto profitto, che può consistere, oltre che in un ricavo patrimoniale, anche in un vantaggio personale, quale la semplice riduzione dei costi aziendali.


DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Giudice di legittimità e controllo sulla motivazione – Limiti – Accertamento sulla congruità e coerenza dell’apparato argomentativo – Art. 606, comma 1, lettera e), cod. proc. pen..
 
Il controllo sulla motivazione demandato al giudice di legittimità resta circoscritto, in ragione dell’espressa previsione normativa dell’art. 606, comma 1, lettera e), cod. proc. pen., al solo accertamento sulla congruità e coerenza dell’apparato argomentativo, con riferimento a tutti gli elementi acquisiti nel corso del processo, e non può risolversi in una diversa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o dell’autonoma scelta di nuovi e diversi criteri di giudizio in ordine alla ricostruzione e valutazione dei fatti. Ne consegue che, laddove le censure del ricorrente non siano tali da scalfire la logicità e la linearità della motivazione del provvedimento impugnato, queste devono ritenersi inammissibili, perché proposte per motivi diversi da quelli consentiti, in quanto non riconducibili alla categoria generale di cui al richiamato art. 606, comma 1, lettera e), cod. proc. pen. (Cass.sez. fer., 2/08/2011, n. 30880; sez. 6, 20/07/2011, n. 32878; sez. 1, 14/07/2011, n. 33028).
 

(riforma sentenza CORTE D’APPELLO DI NAPOLI dell’1/07/2014) Pres. FIALE, Rel. ANDRONIO, Ric. Serrao ed altri
 
 

Allegato


Titolo Completo

CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 14/12/2016 (Ud. 14/07/2016) Sentenza n.52838

SENTENZA

 

 

CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 14/12/2016 (Ud. 14/07/2016) Sentenza n.52838

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
 
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
 
omissis
 
ha pronunciato la seguente
 
SENTENZA 
 
sui ricorsi proposti da
 
1) Serrao Gaetano, nato ad Arzano il 29 ottobre 1957
 
2) Aruta Domenico, nato a Napoli il 10 novembre 1981
 
3) De Vita Gaetano, nato a Napoli il 15 gennaio 1966
 
4) De Vita Luigi, nato ad Afragola il 14 aprile 1973
 
5) Camillo Antonio, nato a Napoli il 17 settembre 1967
 
6) Camillo Luciano, nato a Napoli il 9 aprile 1972
 
7) Camillo Bruno, nato a Napoli il 1 ° aprile 1940
 
8) Brignola Antonio, nato a Napoli il 16 febbraio 1958
 
nei confronti di Comune di Napoli, Casa del consumatore, Assiconsum (parti civili) avverso la sentenza della Corte d’appello di Napoli del 1 ° luglio 2014 visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
 
udita la relazione svolta dal consigliere Alessandro M. Andronio;
 
udito il pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore generale Ciro Angelillis, che ha concluso per l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata in relazione al capo 5) dell’imputazione, perché il fatto non è previsto dalla legge come reato, nonché per l’annullamento senza rinvio per tutti gli altri reati ascritti a tutti gli imputati, per essere gli stessi estinti per prescrizione; 
 
uditi i difensori: avv. Vittorio Fucci, per Serrao; avv. Marco Muscariello, in sostituzione dell’avv. Antonio Abet, per De Vita Gaetano e De Vita Luigi; avv. Fulvio Ricca, per Serrao Gaetano, Aruta Domenico, Camilla Antonio, Camilla Luciano, Camilla Bruno, Brignola Antonio.
 
RITENUTO IN FATTO
 
1. – Con sentenza del 1 ° luglio 2014, la Corte d’appello di Napoli ha confermato, quanto alla responsabilità penale e civile, la sentenza del Gip del Tribunale di Napoli del 13 ottobre 2011, resa all’esito di giudizio abbreviato, con la quale – per quanto qui rileva – gli imputati indicati in epigrafe erano stati condannati – a diverse pene, oltre al risarcimento dei danni nei confronti delle parti civili, da determinarsi in separato giudizio, e con liquidazione di provvisionali immediatamente esecutive – ritenuta la continuazione e concesse le circostanze attenuanti generiche prevalenti sulle contestate aggravanti, nonché la sospensione condizionale della pena subordinata al pagamento delle provvisionali, per i reati di cui ai seguenti capi dell’originaria imputazione: 1) art. 416 cod. pen., per essersi associati al fine di commettere una serie indeterminata di delitti concernenti il traffico di rifiuti, per una movimentazione complessiva, nel solo periodo tra il marzo 2006 e il marzo 2007, di circa 62.000 t, attraverso: la falsificazione di documenti di identificazione e trasporto dei rifiuti; la falsa attestazione, in relazione ai rifiuti abusivamente ritirati da Salvatore Ersilio, dell’avvenuto conferimento al recupero tramite la Gest Service presso gli impianti della Ecocart s.r.l.; il temporaneo strumentale stoccaggio presso la Ecocart dei rifiuti poi destinati a smaltimento prevalentemente presso impianti di discarica, senza procedere alle prescritte operazioni di recupero, previa fittizia modifica dei codici di identificazione o fittizie attività di recupero all’interno di altri impianti; l’illecito smaltimento dei rifiuti negli impianti di produzione di combustibile attraverso l’uso di autocompattatori del servizio pubblico di raccolta dei rifiuti solidi urbani della città di Napoli e Provincia; la ricezione, presso gli impianti di recupero, di rifiuti anche pericolosi, in contrasto con le autorizzazioni; l’organizzazione di spedizioni transfrontaliere di materiale non regolarmente recuperato, accompagnato da documentazione di trasporto attestante la conformità del materiale stesso alle norme UNI-EN 643, in violazione dell’art. 194 del d.lgs. n. 152 del 2006; con l’aggravante, per Serrao Gaetano, De Vita Gaetano, Camilla Antonio, di avere agito in qualità di capi e promotori dell’associazione (fatto accertato tra il marzo 2006 e il marzo 2007, con condotta perdurante); 3) artt. 110, 81, secondo comma, cod. pen ., 260 del d.lgs. n. 152 del 2006, per avere, in concorso tra loro e con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, al fine di conseguire un ingiusto profitto consistente nel dover sopportare i costi ordinariamente dovuti per recuperare i rifiuti, con più operazioni e con l’allestimento di mezzi di trasporto e personale delegato al compimento di attività illecite e alla predisposizione della falsa documentazione, ceduto, ricevuto, trasportato, smaltito ingenti quantitativi di rifiuti, stoccandoli abusivamente negli impianti della Ecocart, dove venivano fittiziamente sottoposti ad operazioni di trattamento e recupero, mediante attestazione di recupero all’interno di altrettanti impianti, ma erano in realtà destinati all’illecito smaltimento anche mediante autocompattatori del servizio pubblico (accertato dal marzo 2006 al marzo 2007, con condotta perdurante); 4) artt. 110 cod. pen., e 256 del d.lgs. n. 152 del 2006, perché, in concorso tra loro, al fine di depositare i rifiuti fittiziamente destinati a recupero presso gli impianti Ecocart attraverso l’impresa di trasporto Gest Service, ma in realtà illecitamente raccolti, intermediati e stoccati dalla Saters, realizzavano una discarica abusiva di rifiuti provenienti prevalentemente dal settore industriale calzaturiero e tessile, prima di destinarli all’illecito smaltimento mediante autocompattatori del servizio pubblico di raccolta (accertato dal marzo 2006 all’ottobre 2006, con condotta perdurante); 5) artt. 110, 81, secondo comma, 61, n. 2), 483 cod. pen., perché, in concorso tra loro e nelle qualità sopra indicate, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso e al fine di commettere i reati di cui ai capi precedenti, redigevano formulari di identificazione e trasporto di rifiuti falsi in relazione alle operazioni effettuate e al materiale ritirato e fittiziamente avviato al recupero presso l’impianto della Ecocart (accertato dal marzo 2006 al marzo 2007, con condotta perdurante); 6) per i soli De Vita Gaetano, Ca mi Ilo Bruno e Camilla Antonio, artt. 110, 81, secondo comma, 319, 320, 61, n. 2), cod. pen., perché, in concorso tra loro e al fine di commettere il reato di cui al capo 1), consegnavano ripetutamente una somma di denaro di circa ( 15,00, nonché ulteriori somme di importo non determinato, agli autisti e agli operai del servizio di raccolta dei rifiuti solidi urbani del Comune di Napoli e Provincia affinché questi, quali impiegati di un pubblico servizio, commettessero atti contrari al loro ufficio, consistenti nel ritirare materiale costituente rifiuto proveniente da operazioni di gestione effettuate abusivamente (in date indeterminate, accertato il 29 maggio 2006).
 
La Corte d’appello ha invece revocato la condanna degli imputati al pagamento della provvisionale in favore delle parti civili costituite.
 
2. – Avverso la sentenza gli imputati Serrao Gaetano, Aruta Domenico, Camilla Antonio, Camilla Luciano, Camilla Bruno, Brignola Antonio hanno proposto – tramite il difensore avv. Fulvio Ricca – ricorso per cassazione, chiedendone l’annullamento.
 
2.1. – Un primo gruppo di motivi di doglianza è riferito alla questione dei trasporti di rifiuti da parte della Gest Service dei fratelli Camilla con formulari di identificazione dei rifiuti (f.i.r.) propri, camion propri e con intermediario Salvatore Ersilio.
 
2.1.1. – Nell’ambito di tale gruppo, con il primo motivo, si censura la mancanza di motivazione con riferimento alla valutazione, nella sua totalità, della controprova offerta dal pedinamento del 16 maggio 2006.
 
2.1.2. – In secondo luogo, si deduce la mancanza di motivazione, sotto il profilo dell’omessa valutazione dei pedinamenti del 12 aprile 2006 e del 18 maggio 2006.
 
2.1.3. – In terzo luogo, si deduce la mancanza di motivazione, per l’omessa valutazione della prova costituita dagli assegni consegnati da Salvatore Ersilio alla Ecocart e alla Gest Service e delle fatture corrispondenti a detti pagamenti, per le attività espletate di ricezione e trasporto rifiuti.
 
2.1.4. – In quarto luogo, si lamenta la manifesta illogicità della motivazione in relazione alla valutazione della differenza fra le due forme di trasporto operate dalla Gest Service (veicoli propri con f.i.r. propri e veicoli dell’Ecocart con f.i.r. dell’Ecocart).
 
2.1. 5. – Si deduce, inoltre, la manifesta illogicità della motivazione in riferimento alla valutazione dei filmati effettuati il 10 maggio 2006, che costituirebbero prova decisiva dell’attività illecita svolta da Salvatore Ersilio da solo, senza l’intervento dei Camilla e senza f.i.r.
 
2.1.6. – Si contesta, poi, la mancata valutazione della firma e del timbro dei produttori apposta su tutti i f.i.r., che costituirebbero – secondo la prospettazione difensiva – controprova dell’effettiva raccolta dei rifiuti.
 
2.1. 7. – Si deduce, in settimo luogo, la manifesta illogicità della motivazione sotto il profilo del travisamento: delle intercettazioni del 24 aprile 2006, del 26 giugno 2006, del 30 giugno 2006; dei f.i.r. relativi ai trasporti del 30 giugno 2006; dei f.i.r., delle intercettazioni, dei filmati relativi all’attività svolta da Salvatore Ersilio il 21 aprile 2006; delle riprese video del 24 aprile 2006 e dei f.i.r. in pari data.
 
2.1.8. – Si lamenta, inoltre, la manifesta illogicità della motivazione, sotto il profilo del travisamento delle intercettazioni telefoniche su Camilla Luciano e Camilla Antonio, attestanti che Salvatore Ersilio effettuava la raccolta del rifiuto calzaturiero e tessile per conto suo, per scopi non condivisi con nessuno dei coimputati e senza alcun contatto con la Gest Service.
 
2.1.9. – Si censura, infine, la mancanza di motivazione circa la c.t.u., effettuata in sede di giudizio abbreviato, attestante la localizzazione delle celle telefoniche agganciate dall’utenza di Camilla Luciano, in relazione alla corrispondenza di dette celle con i luoghi riportati nei formulari ritenuti falsi.
 
2.2. – Un secondo gruppo di motivi è riferito all’erronea valutazione giuridica dei f.i .r. come falsi anziché come inesatti. Si sostiene, in particolare, che, ai sensi dell’art. 258, comma 4, del d.lgs. n. 152 del 2006, la dichiarazione nei f.i.r. di dati inesatti è sanzionata in via amministrativa, anziché ai sensi dell’art. 483 cod. pen. In altri termini, la fattispecie del formulario inesatto non potrebbe essere equiparata a quella, sanzionata penalmente, dell’uso di un certificato di analisi di rifiuti falso.
 
2.3. – Un terzo gruppo di motivi è riferito al trasporto, da parte della Gest Service dei fratelli Camilla, con f.i.r. e camion della Ecocart, dei rifiuti speciali della Whirlpool.
 
2. 3.1. – Si contesta, in primo luogo, la manifesta illogicità della motivazione della sentenza sotto il profilo del travisamento della prova costituita dalla conversazione del 29 maggio 2006 fra i Camilla, in ordine all’interpretazione della richiesta di «più sapone» da fornire agli addetti dell’azienda comunale di smaltimento per ottenere lo smaltimento dei rifiuti raccolti presso la Whirlpool.
 
2.3.2. – Si deduce, in secondo luogo, la manifesta illogicità della motivazione quanto alla valutazione del controllo effettuato il 14 luglio 2006, perché la Corte d’appello avrebbe ritenuto il sopraggiungere presso la Ecocart del camion condotto da Camilla Bruno senza il carico, pur con la consegna di quattro f.i.r., come prova certa della emissione di f.i.r. falsi, in quanto non vi era stato il trasporto.
 
2.4. – Un quarto gruppo di motivi è riferito al problema dello stoccaggio dei rifiuti speciali non pericolosi presso la Whirlpool da parte della Gest Service dei fratelli Camilla prima del trasporto; stoccaggio che integrerebbe la gestione e il trattamento illeciti dei rifiuti stessi.
 
2.4.1. – Nell’ambito di tale gruppo di motivi, si deduce, in primo luogo, la manifesta illogicità della motivazione circa la valutazione delle intercettazioni telefoniche del 21 marzo 2006, 23 marzo 2006, 21 giugno 2006, 8 giugno 2006, in quanto dalle stesse si sarebbe erroneamente dedotto che vi era stoccaggio abusivo di rifiuti presso la Whirlpool e trasporto successivo presso la Ecocart, senza prendere in considerazione quanto dedotto dalla difesa sul punto con l’atto di appello.
 
2.4.2. – Si rileva, in secondo luogo, inosservanza dell’art. 183, comma 1, lettera m), del d.lgs. n. 152 del 2006, perché non si sarebbe considerato che lo stoccaggio all’interno della Whirlpool era invece un mero deposito temporaneo, in attesa del trasporto per il recupero dei rifiuti.
 
2.5. – Un quinto gruppo di motivi è riferito alla movimentazione dei rifiuti pericolosi ricevuti dalla Ecocart e – secondo l’ipotesi accusatoria – smaltiti in contrasto con le disposizioni di legge.
 
2.5.1. – Si contesta, in primo luogo, la violazione della direttiva del Ministero dell’ambiente del 9 aprile 2002, recante i codici CER, sul rilievo che la Corte distrettuale avrebbe affermato che la Gest Service trasportava rifiuti pericolosi composti da segatura impregnata d’olio, senza considerare che per tali rifiuti, il codice CER 030104 si applica solo quando si tratta di olio pericoloso; circostanza, quest’ultima, mai provata nel caso di specie.
 
2.5.2. – In secondo luogo, si contesta la violazione della legge n. 61 del 1994, sul rilievo che, ai fini della qualificazione giuridica del rifiuto come pericoloso, vi sarebbe la necessità dell’intervento dell’Agenzia regionale per l’ambiente competente.
 
2.5.3. – In terzo luogo, si deduce la mancanza di motivazione in relazione al fatto se l’analisi del rifiuto da parte dell’Agenzia regionale per l’ambiente sia presupposto per la sua qualificazione come rifiuto pericoloso.
 
2.5.4. – Si prospettano, poi, vizi della motivazione in relazione alla valutazione delle intercettazioni telefoniche del 23 marzo 2006 e del 24 marzo 2006, nonché in relazione all’omessa valutazione delle prove che la difesa avrebbe fornito sul punto.
 
2.6. – Un sesto gruppo di doglianze è riferito alla gestione dei rifiuti da parte della Ecocart s.r.l.
 
2.6.1. – In primo luogo, si deduce la violazione degli artt. 208-210 del d.lgs. n. 152 del 2006, sul rilievo che la Corte d’appello non avrebbe tenuto conto del fatto che la piattaforma di recupero della Ecocart, società regolarmente autorizzata, poteva, nell’esercizio della sua attività, trattare i rifiuti in entrata con i macchinari di cui era in possesso, che erano stati verificati dagli organi competenti con il rilascio dell’autorizzazione, la quale si riferiva anche ai codici CER specifici del settore calzaturiero e tessile.
 
2.6.2. – Si deduce, in secondo luogo, la mancanza di motivazione quanto al profilo di diritto di cui sopra.
 
2.6.3. – Si lamenta poi l’inosservanza dell’art. 6, comma 8, del d.m. 5 febbraio 1998, sul rilievo che la Corte d’appello avrebbe erroneamente ritenuto che la Ecocart doveva direttamente trattare il rifiuto calzaturiero tessile, senza considerare che la stessa poteva, invece, ricevere tale rifiuto in regime R13 e trasportarlo ad altra piattaforma di recupero sempre in regime R13.
 
2.6.4. – In quarto luogo, si lamenta la mancanza di motivazione quanto il profilo di diritto di cui sopra.
 
2.6.5. – Si rileva, inoltre, l’inosservanza dell’art. 193, comma 2, del d.lgs. n. 152 del 2006, sul rilievo che la Corte d’appello avrebbe ritenuto sussistente una falsa attribuzione da parte della Ecocart di un codice CER diverso da quello che doveva essere attribuito, senza considerare che solo il produttore del rifiuto attribuisce il codice CER.
 
2.6.6. – In sesto luogo, si rileva alla mancanza di motivazione sul punto di cui sopra.
 
2.6.7. – La difesa lamenta anche l’inosservanza degli artt. 189, comma 3, e 190, comma 1, del d.lgs. n. 152 del 2006, sul rilievo che, nel caso in cui fossero stati conferiti dall’Ecocart rifiuti con codici diversi da quelli che la società ricevente ESA era autorizzata a ricevere, quest’ultima avrebbe dovuto rispedirli al mittente.
 
2.6.8. – In ottavo luogo, si rileva la mancanza di motivazione sulla questione di diritto di cui al precedente motivo.
 
2.6. 9. – Si deduce, poi, la manifesta illogicità della motivazione sotto il profilo del travisamento delle sommarie informazioni rese da Cacace Gabriella, dei f.i.r., delle intercettazioni del 9 marzo 2006, 13 marzo 2006, 14 marzo 2006, 6 aprile 2006, 21 giugno 2006, dalle quali non potrebbe desumersi, come fa la Corte d’appello, che vi era stata un’attribuzione da parte della Ecocart di un codice f.i.r. diverso da quello che doveva essere attribuito, nonché un “non recupero” dei rifiuti da parte della stessa Ecocart.
 
2.6.10. – Con una decima doglianza, si lamenta la mancanza di motivazione in relazione alle statistiche e ai bilanci della Ecocart, utilizzati dalla polizia giudiziaria per quantificare la movimentazione di rifiuti in 62.000 te il giro di affari in euro 5.500.000; da tali elementi si sarebbe potuto evincere che la società aveva realmente e correttamente effettuato il recupero dei rifiuti.
 
2. 7. – Un settimo gruppo di motivi si riferisce all’esportazione in Cina del rifiuto speciale costituito da carta e cartone, che, ad avviso della Corte d’appello, non sarebbe stato recuperato.
 
2. 7 .1. – La difesa formula una prima doglianza riferita all’erronea applicazione della normativa UNI EN 643, punto 2.3 (Carta e cartone pregiudizievoli per la produzione), e del decreto ministeriale 5 febbraio 1998, allegato 1, suballegato 1, punto 1.1.3, lettera b). Secondo la prospettazione difensiva, alla luce di tali normative, nel caso di rifiuto recuperato, costituente materia prima secondaria, l’esportazione può avvenire con il solo documento di trasporto, senza procedure di controllo; con la conseguenza che l’esportazione dei dieci container oggetto di contestazione era del tutto legittima.
 
2.7.2. – Si deduce, in secondo luogo, la violazione del principio del ne bis in idem, di cui all’art. 649 cod. proc. pen. La Corte d’appello, nel qualificare la carta e il cartone esportati dall’Ecocart in Cina come rifiuto non recuperato, non avrebbe tenuto conto del giudicato rappresentato dalla sentenza n. 42973 del 2007 della Corte di cassazione nonché dell’ordinanza emessa dal Tribunale del riesame di Napoli il 13 dicembre 2007. In tali provvedimenti si sarebbe stabilito che la Ecocart potesse esportare il rifiuto già recuperato, da considerarsi come materia prima secondaria, con il solo documento di trasporto e senza ulteriori procedure di controllo.
 
2. 7 .3. – In terzo luogo, si lamenta la manifesta illogicità della motivazione quanto all’interpretazione delle intercettazioni telefoniche del 20 aprile 2006, del 5 giugno 2006, de! 13 luglio 2006 e dei risultati della ispezione dei carabinieri al porto di Napoli. Tali prove sarebbero state, infatti, interpretate in maniera difforme dalle risultanze dei provvedimenti della Corte di cassazione e del Tribunale del riesame sopra citati.
 
2.8. – La difesa formula un’ottava categoria di censure, relativa al conferimento della carta e del cartone sul territorio nazionale senza previa lavorazione. In tale ambito, rileva la manifesta illogicità della motivazione, sotto il profilo del travisamento delle intercettazioni telefoniche del 7 aprile 2006, dell’l 1 aprile 2006, del 17 maggio 2006, dell’l 1 luglio 2006.
 
2.9. – Un nono gruppo di motivi attiene ai reati di cui all’art. 260 del d.lgs. n. 152 dei 2006 e 416 cod. pen.
 
2. 9.1. – Quanto alla prima di tali disposizioni, non si sarebbe considerata la mancanza degli elementi costitutivi del reato da essa previsto, non essendovi stati: un ricavo illecito considerevole, un investimento di mezzi, attività continuative organizzate, un ingente quantitativo di rifiuti, un modus operandi costante e continuativo.
 
2.9.2. – Si lamenta, in secondo luogo, che Corte d’appello non avrebbe analizzato la sussistenza nel caso di specie dei presupposti applicativi del richiamato art. 260.
 
2.9.3. – Si rileva, in terzo luogo, la mancanza degli elementi costitutivi del reato associativo, non essendovi prova di un vincolo associativo, né di accordi permanenti stabili, né del protrarsi nel tempo delle condotte illecite.
 
2.9.4. – In quarto luogo si rileva l’insufficienza della motivazione quanto alla sussistenza del reato associativo.
 
2.10. – Un decimo gruppo di motivi è riferito all’individuazione dei ruoli dei singoli imputati nella commissione dei reati contestati.
 
2.10.1. – Si deduce, in particolare, l’erronea applicazione dell’art. 43 cod. pen., essendo mancato l’elemento soggettivo sia del reato di cui all’art. 260 del d.lgs. n. 152 del 2006 sia del reato associativo, dal momento che nessuno degli imputati aveva la conoscenza del fatto che gli altri esplicavano azioni criminose, né la volontà di contribuirvi con il proprio operato, né la consapevolezza di un vincolo associativo o di un accordo permanente e stabile. 
 
2.10.2. – In secondo luogo, si deduce la mancanza di motivazione sul punto di cui sopra.
 
2.10.3. – Con una terza doglianza, si contesta l’erronea applicazione dell’art. 416, primo comma, cod. pen., in relazione alla configurazione giuridica, in capo a Serrao Gaetano e Camilla Antonio, del ruolo di capi e promotori dell’associazione.
 
2.10.4. – In quarto luogo, si rileva la mancanza di motivazione sul profilo di cui  sopra.
 
2.10. 5. – Una quinta censura è riferita al difetto di motivazione quanto alle dichiarazioni spontanee rese da Aruta, Camilla e Brignola, nonché quanto a una conversazione del 15 giugno 2006.
 
2.10.6. – Si lamenta, poi, l’omessa valutazione della totale assenza di elementi probatori a carico di Serrao, non essendovi intercettazioni telefoniche o altri elementi che dimostrino una sua partecipazione ad attività illecite.
 
2.10. 7. – Si rileva, infine, la contraddittorietà della motivazione, nella parte in cui viene pronunciata l’assoluzione dei due impiegati Tonin ed Errichiello, sul presupposto che essi non potevano essere a conoscenza delle attività materiali operate dalla Gest Service dei fratelli Camilla, mentre analoghe considerazioni non vengono fatte anche nei confronti dell’imputato Serrao.
 
3. – Con memoria depositata in prossimità dell’udienza del 24 maggio 2016 davanti a questa Corte, il difensore di Serrao Gaetano, avv. Fulvio Ricca, ha proposto nuovi motivi di censura in relazione al reato di cui all’art. 260 del d.lgs. n. 152 del 2006. La difesa premette che, a seguito della condanna penale confermata in appello, le società del gruppo Serrao, Ecocart s.r.l. e Cartiera Partenope s.p.a. hanno ricevuto un’interdittiva antimafia, ai sensi dell’art. 67 del d.lgs. n. 159 del 2011, con considerevole rischio di disoccupazione per i dipendenti.
 
3.1. – Si ribadiscono, in particolare, le censure già formulate circa le considerazioni svolte nella sentenza impugnata quanto: a) ai quantitativi di rifiuti speciali non pericolosi gestiti illecitamente dalla Ecocart; b) ai f.i.r. ritenuti falsi predisposti dalla Gest Service, ia quale, con l’intermediazione di Salvatore Ersilio, raccoglieva fittiziamente i rifiuti calzaturieri tessili dai produttori e li scaricava fittiziamente presso l’Ecocart; e) alla valutazione dell’attività di raccolta, personale e autonoma, svolta da Salvatore Ersilio; d) ai f.i.r., ritenuti falsi, predisposti dalla stessa Ecocart nella raccolta dei rifiuti speciali non pericolosi presso la Whirlpool; e) ai trasporti di carta e cartone verso la Cina, quanto alla violazione della normativa di settore. 
 
3.2. – Si rileva, altresì, la prescrizione dei reati, evidenziando che il 6 settembre 2007 i carabinieri di Napoli avevano eseguito un’ordinanza di sequestro dei beni nei confronti della Ecocart, di cui Serrao era l’amministratore unico. Inoltre, i documenti posti a fondamento dell’incriminazione sarebbero costituiti dai f.i.r. emessi fino al marzo 2007, mancando la prova di una continuazione dell’attività criminosa. Ne deriverebbe, quanto al reato associativo, che la prescrizione sarebbe decorsa il 31 dicembre 2015, con l’aggiunta di meno di tre mesi sospensione. Tali considerazioni varrebbero, a maggior ragione, anche in relazione ai più brevi termini prescrizionali dei reati ambientali contestati.
 
4. – Nell’interesse di Serrao è stato proposto ricorso per cassazione anche all’avv. Vittorio L. Fucci.
 
4.1. – Con un primo motivo di doglianza, si prospettano vizi della motivazione in relazione alla mancata considerazione dei motivi d’appello, con particolare riferimento all’individuazione del soggetto responsabile dei contestati reati. Non si sarebbe considerato che l’imputato svolgeva un’attività manageriale consistente nelle relazioni esterne con i clienti per la vendita della carta, nonché nei rapporti con banche e fornitori, mentre nell’ambito della società il soggetto formalmente delegato alla gestione dei rifiuti era De Vita Gaetano, dotato di ampi poteri di organizzazione, direzione e contabilità. La responsabilità di Serrao, sarebbe stata, dunque, desunta solo sulla base dell’affermazione secondo la quale egli “non poteva non sapere”. Inoltre, non si sarebbe considerato che non vi erano intercettazioni in cui Serrao fosse interlocutore, né firme di Serrao sui f.i.r., né attività da lui personalmente svolte. E, anzi, da un’intercettazione del 15 giugno 2006 emergerebbe l’estraneità dell’imputato rispetto ai fatti di causa, essendosi questo adirato con De Vita in relazione a irregolarità che quest’ultimo avrebbe commesso. Non si sarebbe considerata, inoltre, la mancanza del quantitativo ingente dei rifiuti smaltiti, perché – anche secondo l’ipotesi accusatoria – la società Ecocart avrebbe smaltito circa 280 t di rifiuti in più all’anno, essendo autorizzata a ricevere nei propri impianti 288 t di rifiuti al giorno. Non si sarebbe considerato che la società aveva versato più di un milione di euro, risultanti dal bilancio 2006, quali costi di trasporto e smaltimento di rifiuti in diversi impianti; circostanza che renderebbe inverosimile che la stessa società fosse interessata a realizzare un’attività di smaltimento illecito e abusivo, per ricavarne un risparmio irrisorio. Quanto al preteso stoccaggio abusivo di rifiuti nell’area Whirlpool, non si sarebbe considerato che gli autocarri del servizio pubblico abusivamente, se utilizzati per smaltire i materiali ferrosi – secondo l’ipotesi accusatoria – avrebbero dovuto subire inevitabili danneggiamenti. Non si sarebbero considerati, in ogni caso, la delega di funzioni in favore di De Vita, né il fatto che Luciano Camilla – la persona che, secondo l’assunto accusatorio, avrebbe finto di svolgere la raccolta dei rifiuti – effettivamente si trovava nei luoghi risultanti dai f.i.r.
 
4.2. – Con un secondo motivo di doglianza, si lamenta che la Corte d’appello avrebbe utilizzato ai fini della propria valutazione solo alcune delle intercettazioni, ignorando quelle indicate dalla difesa e ignorando altresì la perizia che accertava la presenza di Luciano Camilla sul luogo del prelievo o scarico dei rifiuti.
 
5. – Il difensore di Serrao, avv. Vittorio L. Fucci, ha depositato una memoria con la quale ribadisce l’operatività della prescrizione, sul rilievo che il reato associativo dovrebbe intendersi consumato nel momento della cessazione del sodalizio con il compimento dell’ultimo reato-fine (marzo 2007), mentre il reato dell’art. 260 del d.lgs. n. 152 del 2006 si sarebbe consumato anche esso nel marzo del 2007. Del resto, la regola secondo cui la permanenza si considera cessata con la pronuncia della sentenza di primo grado avrebbe valore esclusivamente processuale, e non di sostanziale inversione dell’onere della prova, anche perché, nel caso di specie, i ricorrenti erano stati colpiti sia da sequestri preventivi, che avevano reso impossibile la prosecuzione dell’attività, sia da richiesta di misura cautelare. Quanto alle sospensioni della prescrizione, si sostiene che le stesse ammontano a complessivi 49 giorni e si precisa che il rinvio dal 10 maggio 2013 all’l 1 ottobre 2013 non può essere considerato a tal fine, in quanto disposto per l’impedimento di uno degli imputati, ma anche per l’omesso avviso ad altri imputati, con la conseguenza che deve essere data prevalenza alla causa di rinvio processuale su quella legata a ragioni private. Analoghe considerazioni varrebbero per il rinvio dall’11 ottobre 2013 al 17 dicembre 2013, disposto dalla Corte d’appello a seguito della richiesta formulata da tutti i difensori, vista l’ora tarda, perché la Corte d’appello si sarebbe limitata a prendere atto dell’impossibilità oggettiva di trattare il processo in quel giorno.
 
6. – L’avv. Fulvio Ricca, nell’interesse di Serrao, ha depositato memoria (in data 15 giugno 2016), con la quale ribadisce quanto già rilevato nel ricorso circa il travisamento della prova e circa la mancata considerazione della non riconducibilità dei materiali esportati all’estero alla categoria dei rifiuti. Si ribadiscono, inoltre, le censure già svolte in relazione ai f.i.r. e alla prova dell’effettivo e oggettivo scarico di materiali presso la Ecocart, richiamando le risultanze della c.t.u. circa le celle telefoniche agganciate dall’utenza di Camilla Luciano, nei luoghi di raccolta e di scarico.
 
7. – Con ulteriore memoria depositata dall’avvocato Fulvio Ricca, nell’interesse di Serrao, si ribadiscono le contestazioni relative al ruolo di promotore dell’associazione a delinquere a questo attribuito, evidenziando la sua estraneità alla gestione dei rifiuti della società Ecocart.
 
8. – Con memoria depositata nell’interesse di Aruta Domenico, si ribadisce l’estraneità dello stesso ai fatti contestati, essendosi questo limitato ad apporre la firma su alcuni f. i. r. emessi dalla Gest Service, ed essendo egli presente occasionalmente alla ricezione all’ingresso dello stabilimento della Ecocart, in sostituzione di un altro soggetto. In ogni caso – secondo la difesa – essendo la Gest Service nota da anni alla Ecocart, l’imputato non poteva immaginare che questa avesse cambiato la targa e l’autista sui f.i.r., trattandosi comunque di veicoli registrati nella contabilità della Ecocart e appartenenti alla Gest Service. Non ci sarebbe considerata, dunque, la buona fede dell’imputato.
 
9. – Con memoria depositata nell’interesse di Camilla Antonio, Camilla Luciano, Camilla Bruno, Brignola Antonio, si ribadisce la rilevanza della perizia circa la sostanziale corrispondenza tra i luoghi di raccolta e il posizionamento di Camilla Luciano. Si ribadisce, altresì, che i f.i.r. non erano falsi, ma che vi era stata semplicemente una interposizione di persone e di targhe di camion sui f.i.r. della Gest Service, e che i produttori, che avevano conferito rifiuti calzaturieri e tessili, apponendo timbro e firma, non erano stati coinvolti nel processo; con la conseguenza che i f.i.r. avrebbero dovuto essere ritenuti veri. Si ribadisce, altresì, il ruolo di intermediario autonomamente svolto da Salvatore Ersilio. Si svolgono, quanto alla prescrizione dei reati, rilievi analoghi a quelli già svolti dai coimputati.
 
10. – La sentenza è stata impugnata, con ricorso per cassazione, anche nell’interesse di De Vita Gaetano e De Vita Luigi.
 
10.1. – Con un primo motivo di doglianza, si contestano l’erronea applicazione degli artt. 77 e 93 cod. proc. pen., nonché vizi della motivazione in relazione alla costituzione di parte civile. La Corte d’appello avrebbe travisato le doglianze difensive, affermando che le stesse non si riferivano alla legitimatio ad causam, mentre nei motivi di gravame e nelle note difensive era stato affrontato anche il problema dell’individuazione del danno risarcibile e della titolarità del diritto al risarcimento. Non si sarebbe considerato, in particolare, che l’art. 311 del d.lgs. n. 152 2006 riserva allo Stato la legittimazione per il risarcimento del danno ambientale.
 
10.2. – In secondo luogo, si rilevano l’erronea applicazione dell’art. 491, comma 3, cod. proc. pen. e la carenza di motivazione in relazione all’eccezione relativa al fatto che il giudice di primo grado, al momento della costituzione della parte civile, non aveva consentito alla difesa di interloquire, violando così il principio del contraddittorio e il diritto di difesa.
 
10.3. – Con un terzo motivo di doglianza, si denunciano l’erronea applicazione degli artt. 416 cod. pen. e 260 del d.lgs. n. 152 del 2006, nonché vizi della motivazione anche in relazione alla ritenuta qualifica di promotore e organizzatore dell’associazione per De Vita Gaetano. Non si sarebbe considerato che vi era stata semplicemente una non corretta applicazione delle prescrizioni autorizzative per lo svolgimento dell’attività industriale né che il ruolo di De Vita Gaetano era comunque subordinato rispetto a quello svolto da altri soggetti.
 
10.4. – In quarto luogo, si svolgono censure analoghe a quelle dei coimputati in relazione alla qualificazione come rifiuti dei materiali spediti all’estero.
 
10.5. – Anche in riferimento al titolo abilitativo in possesso della Ecocart, alla classificazione dei rifiuti, ai regimi autorizzatori applicabili, alla ricezione dei rifiuti in “regime R13”, all’irrilevanza penale del trasporto di rifiuti pericolosi senza formulario o con formulario incompleto o inesatto, si formulano censure analoghe a quelle già svolte dagli altri ricorrenti.
 
10.6. – Si deducono, poi, vizi della motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza dei fatti di cui al capo 6) dell’imputazione a carico di De Vita Gaetano, relativamente alla corruzione che aveva ad oggetto l’introduzione di mezzi del servizio pubblico nella Whirlpool per rimuovere rifiuti dietro corresponsione di mance ai dipendenti del servizio pubblico. Si sarebbero trascurate le spontanee dichiarazioni rese sul punto da Camilla Bruno, il quale aveva spiegato che il Gaetano citato nella telefonata del 29 maggio 2006 era Gaetano La Pasta, addetto alla portineria dello stabilimento Whirlpool. Lo stesso Camilla Bruno aveva ammesso di avere pagato € 15,00 agli operatori ecologici allo scopo di evitare una raccolta solo parziale dei rifiuti ed aveva spiegato la frase «Gaetano doveva dare più sapone» nel senso che il menzionato Gaetano La Pasta «dava detersivi in quantitativi minori rispetto alla consuetudine ed in quella circostanza non glieli aveva dati». Si trattava, in ogni caso, di una raccolta dovuta a carico del servizio pubblico, che non aveva per oggetto i rifiuti industriali di cui all’imputazione.
 
10.7. – Si contesta, poi, l’omessa valutazione delle censure difensive relative alle intercettazioni telefoniche, alla relazione del CTU e alla relazione del consulente tecnico di parte. In particolare, in una telefonata del 3 maggio 2006, Camilla Antonio aveva riferito a Camilla Bruno che De Vita Luigi gli aveva fatto presente che il giorno prima lo stesso Camilla Bruno, dopo aver effettuato l’operazione di scarico, si era dimenticato di
ritirare due copie dei f.i.r. da consegnare alla Ecocart e la registrazione era avvenuta il 3 maggio 2006 presso la Ecocart, avendo Camilla Bruno adempiuto a quanto chiesto nella telefonata. Non si sarebbe considerata, inoltre, la telefonata dell’8 giugno 2006, dalla quale sarebbe emerso che il camion guidato da Camilla Luciano aveva effettuato una serie di trasporti regolari. L’unica condotta in concreto riconducibile all’attività di De Vita Luigi sarebbe quella di aver acconsentito che sui f.i.r. di raccolta della Gest Service vi fosse l’interposizione di persone appartenenti alla stessa Gest Service e di camion diversi, ma comunque appartenenti alla stessa Gest Service. Si svolgono anche considerazioni analoghe a quelle dei coimputati relativi ad un’attività di intermediazione spontaneamente svolta da Salvatore Ersilio.
 
10.8. – Con memoria contenente motivi aggiunti nell’interesse di De Vita Gaetano e De Vita Luigi, si formulano, quanto al computo della prescrizione dei reati, considerazioni analoghe a quelle dei coimputati, precisando altresì che vi era stata anche una sospensione dal 17 dicembre 2013 al 18 febbraio 2014, pari a 63 giorni, che non avrebbe dovuto essere computata, perché giustificata sulla base dell’esigenza processuale di individuare una data di udienza più libera in modo da dare spazio alle conclusioni delle parti.
 
11. – All’udienza del 24 maggio 2016 davanti a questa Corte, la trattazione del procedimento è stata rinviata al 14 luglio 2016, per l’adesione dell’avvocato Muscariello all’astensione collettiva dalle udienze proclamata da un organismo di categoria, con sospensione dei termini di prescrizione e con riserva di provvedere sulle richieste difensive di acquisizione di atti nel frattempo proposte dall’avv. Fulvio Ricca nell’interesse degli imputati da lui difesi. Quanto a tali richieste, la Corte di cassazione ne ha rilevato la genericità, non essendo nella relativa istanza precisate le ragioni della loro rilevanza ai fini della decisione, con l’esclusione della perizia espletata dal c.t.u. in sede di giudizio abbreviato condizionato in primo grado, relativa al posizionamento delle celle telefoniche agganciate dall’imputato Camilla in relazione ai luoghi dei prelievi dei rifiuti risultanti dai f.i.r.; perizia della quale ha disposto l’acquisizione.
 
CONSIDERATO IN DIRITTO
 
12. – I ricorsi sono solo parzialmente fondati.
 
13. – Va premesso che molte delle censure proposte – alcune delle quali riferite alle posizioni di più imputati – appaiono, indipendentemente dalla qualificazione giuridica loro conferita dai ricorrenti, volte a contestare l’apparato motivazionale della sentenza impugnata. Nella maggior parte dei casi, a fronte della ricostruzione e della valutazione della Corte d’appello, i ricorrenti non offrono la compiuta rappresentazione e dimostrazione, di alcuna evidenza (pretermessa ovvero infedelmente rappresentata dal giudicante) di per sé dotata di univoca, oggettiva e immediata valenza esplicativa, tale, cioè, da disarticolare, a prescindere da ogni soggettiva valutazione, il costrutto argomentativo della decisione impugnata, per l’intrinseca incompatibilità degli enunciati. Essi si limitano, per lo più, a riproporre, senza nuove argomentazioni in punto di diritto e in punto di fatto, censure già proposte in appello e motivatamente rigettate con la sentenza impugnata.
 
Devono, pertanto, essere preliminarmente richiamati i consolidati e noti orientamenti di questa Corte circa la portata dell’art. 606, comma 1, lettera e), e comma 3, cod. proc. pen. 
 
13.1. – Va dunque ricordato, in primo luogo, che il controllo sulla motivazione demandato al giudice di legittimità resta circoscritto, in ragione dell’espressa previsione normativa dell’art. 606, comma 1, lettera e), cod. proc. pen., al solo accertamento sulla congruità e coerenza dell’apparato argomentativo, con riferimento a tutti gli elementi acquisiti nel corso del processo, e non può risolversi in una diversa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o dell’autonoma scelta di nuovi e diversi criteri di giudizio in ordine alla ricostruzione e valutazione dei fatti. Ne consegue che, laddove le censure del ricorrente non siano tali da scalfire la logicità e la linearità della motivazione del provvedimento impugnato, queste devono ritenersi inammissibili, perché proposte per motivi diversi da quelli consentiti, in quanto non riconducibili alla categoria generale di cui al richiamato art. 606, comma 1, lettera e), cod. proc. pen. (ex plurimis, sez. fer., 2 agosto 2011, n. 30880; sez. 6, 20 luglio 2011, n. 32878; sez. 1, 14 luglio 2011, n. 33028).
 
13.2 – Quanto, poi, allo specifico profilo della carenza di motivazione, deve rammentarsi il principio secondo cui il giudice del gravame non è tenuto a rispondere analiticamente a tutti i rilievi mossi con l’impugnazione, purché fornisca una motivazione intrinsecamente coerente e tale da escludere logicamente la fondatezza di tali rilievi (ex plurimis, sez. 4, 17 settembre 2008, n. 38824; sez. 6, 14 giugno 2004, n. 31080); con la conseguenza che, laddove i motivi di ricorso per cassazione si limitino a ricalcare sostanzialmente le censure già motivatamente disattese in secondo grado, questi devono essere ritenuti inammissibili, perché diretti a sollecitare una rivalutazione del merito, preclusa in sede di legittimità.
 
14. – I principi appena espressi si attagliano pienamente al primo gruppo di motivi di doglianza – proposti nell’interesse degli imputati Serrao Gaetano, Aruta Domenico, Camilla Antonio, Camilla Luciano, Camilla Bruno, Brignola Antonio – riferiti alla questione dei trasporti di rifiuti da parte della Gest Service dei fratelli Camilla con formulari di identificazione dei rifiuti (f.i.r.) propri e camion propri o con intermediario Salvatore Ersilio.
 
Tali motivi devono essere, dunque, ritenuti inammissibili.
 
La Corte d’appello, in totale continuità con il giudice di primo grado, ha ampiamente spiegato le ragioni per le quali le interpretazioni alternative dei fatti fornite dalla difesa – e meramente riproposte con il ricorso per cassazione – devono essere ritenute non plausibili, sulla scorta delle intercettazioni telefoniche, dell’attività di appostamento e osservazione, dei rilievi fotografici, delle riprese, delle risultanze dei verbali di sequestro.
 
Non è questa la sede per ripercorrere analiticamente la ricostruzione dei fatti effettuata – con conforme esito – dai giudici di primo e secondo grado. È dunque sufficiente ricordare che: a) Salvatore Ersilio – soggetto con riferimento al quale sono partite le indagini e per cui si è proceduto separatamente – titolare di un’attività di intermediazione di rifiuti, ritirava in proprio o a mezzo della Gest Service dei fratelli Camilla, rifiuti industriali calzaturieri e tessili, che non venivano avviati per il recupero e la relativa lavorazione presso la Ecocart, ma venivano smaltiti direttamente in un altro sito; b) per tali rifiuti vi erano formulari di identificazione (f.i.r.) attestanti che gli stessi erano smaltiti regolarmente, con l’intervento dei Camilla, i quali si procuravano presso la Ecocart, per la quale svolgevano anche attività lecita di trasporto, la falsa attestazione che i rifiuti erano stati conferiti a tale società per lo smaltimento o il recupero; c) la Ecocart, formale destinataria finale dei rifiuti, recuperava i rifiuti stessi in pochi casi, effettuandone normalmente la sola messa in riserva ed avviandoli allo smaltimento senza operare alcuna effettiva attività di recupero o trattamento; d) tali circostanze sono state desunte dalle riprese delle telecamere installate in corrispondenza dell’area di abusivo smaltimento dei rifiuti da parte di Salvatore Ersilio, nonché dalle risultanze di intercettazioni telefoniche, dalle telecamere apposte in prossimità degli impianti utilizzati dai soggetti coinvolti nel traffico, dai sistemi di localizzazione GPS applicati sugli autocarri; e) è inoltre emerso che i Camilla, titolari della Gest Service, recapitavano personalmente i f.i.r. presso l’impianto della Ecocart in date normalmente diverse da quelle in cui venivano effettuati gli eventuali trasporti (pagg. 8-9 della sentenza impugnata); f) le sentenze di primo e secondo grado (rispettivamente alle pagg. 24-27, 64-74 e 8-13) danno piena contezza del meccanismo utilizzato e della valenza probatoria delle intercettazioni e degli altri accertamenti svolti dai carabinieri nel corso delle indagini.
 
A fronte di tali considerazioni, le deduzioni difensive si concretano in un tentativo, non consentito in sede di legittimità, di riproporre una ricostruzione meramente alternativa dei fatti, che è comunque inidonea ad inficiare le conclusioni cui sono giunti i giudici di merito, perché è al più riferibile a singoli episodi. Del resto – come si vedrà – anche indipendentemente dalla prova dell’effettiva falsità dei f.i.r. e della non corrispondenza tra i trasporti dichiarati e quelli effettuati, l’illiceità dell’attività svolta dagli imputati emerge chiaramente anche dalla circostanza dell’assoluta mancanza di prova di un’effettiva attività di recupero e smaltimento svolta dalla Ecocart con riferimento ai rifiuti ad essa asseritamente conferiti.
 
14.1. – Quanto al primo dei motivi di censura formulati nell’ambito del primo gruppo sopra richiamato, deve rilevarsi l’assoluta insufficienza, a fini di controprova, del pedinamento del 16 maggio 2006, richiamato dalla difesa. Secondo la prospettazione difensiva, gli esiti di tale pedinamento proverebbero la non affidabilità del sistema GPS che riportava che uno dei camion per il trasporto dei rifiuti era stato fermo, mentre lo stesso era stato utilizzato effettivamente per il trasporto di rifiuti alla Ecocart. Tale effettiva utilizzazione troverebbe conferma – secondo la difesa – sia nella presenza dei f.i.r., con firma dei produttori di rifiuti, sia nella c.t.u. espletata, dalla quale emergerebbe una presenza dell’autista, Luciano Camilla, in luoghi compatibili con l’effettivo trasporto dei rifiuti, come risultante dai f.i.r. Tali considerazioni non inficiano, però, l’intrinseca logicità degli argomenti svolti dai giudici di primo e secondo grado sul punto, laddove questi evidenziano, in particolare, l’inverosimiglianza della circostanza che i due calzaturifici che conferivano i rifiuti si fossero serviti nello stesso giorno sia del camion condotto da Camilla Luciano, asseritamente diretto verso la Ecocart, sia – come emerge da conversazioni telefoniche intercettate sull’utenza in uso a Salvatore Ersilio – del camion di quest’ultimo, pacificamente destinato al conferimento abusivo di tali rifiuti in un’altra area. La stessa difesa riconosce, del resto, che i carabinieri non avevano individuato la natura dei rifiuti che sarebbero stati caricati a bordo dell’autocarro condotto da Camilla Luciano. Né può assumere rilevanza in senso contrario la risultanza della c.t.u. relativa alle celle agganciate dal telefono cellulare di Camilla Luciano, perché esse possono al più dare conto della posizione dello stesso Camilla Luciano, ma non della natura dei trasporti di rifiuti realmente effettuati, in presenza di f.i.r. che – secondo quanto riconosciuto dalle difese di tutti gli imputati – recano comunque dati non corretti e, dunque, non possono essere richiamati dagli stessi imputati neanche quale elemento indiziario a loro favore. Dagli esiti del pedinamento emerge, anzi, la compresenza di Salvatore e Camilla nello stesso luogo di carico; compresenza che rende inverosimile la tesi difensiva secondo cui il primo avrebbe effettuato trasporti e smaltimenti illeciti all’insaputa dei Camilla e dei loro coimputati.  
 
14.2. – Quanto al motivo di censura sopra riportato sub 2.1.2., riferito all’omessa valutazione dei pedinamenti del 12 aprile 2006 e del 18 maggio 2006, deve rilevarsi che lo stesso è formulato in modo non specifico. La circostanza che da tali pedinamenti siano emersi effettivi trasporti da parte di camion della Gest Service o di Salvatore Ersilio non inficia, infatti, la prospettazione accusatoria secondo cui – oltre ad alcuni trasporti effettivamente svolti in modo non significativamente difforme rispetto a quanto riportato nei relativi f.i.r.- vi erano anche altri numerosi trasporti illeciti di rifiuti, formalmente destinati per il recupero presso la Ecocart, ma in realtà abusivamente smaltiti.
 
14.3.- Il motivo sub 2.1.3. – con cui si deduce la mancanza di motivazione, per l’omessa valutazione della prova costituita dagli assegni consegnati da Salvatore Ersilio alla Ecocart e alla Gest Service e delle fatture corrispondenti a detti pagamenti, per le attività espletate di ricezione e trasporto rifiuti – è anch’esso inammissibile. Secondo la prospettazione difensiva, tale documentazione sarebbe rilevante perché dalla stessa emergerebbe una grande sproporzione delle cifre guadagnate da Salvatore Ersilio, che non era promotore dell’ipotizzato sodalizio criminale, rispetto ai capi o promotori del sodalizio stesso. Ma tale prospettazione non inficia la versione accusatoria (analiticamente riportata alle pagg. 42-45 del ricorso) secondo cui le attività di movimentazione dei rifiuti sono comunque false. Né da tale documentazione – che si inserisce in un contesto di costante non corrispondenza tra le attività dichiaratamente svolte e la realtà – può desumersi con sufficiente certezza che il compenso percepito da Salvatore Ersilio, con la sua ditta, per ogni singolo trasporto, fosse effettivamente superiore rispetto a quello percepito dalla Gest Service dei fratelli Camilla. Mancano, infatti, contratti scritti che regolino tra le parti la gestione dei rifiuti, mentre il pubblico ministero ha semplicemente ricavato dalla documentazione di cui sopra alcuni dati a campione, al solo scopo di individuare – ove ve ne fosse bisogno – ulteriori elementi di conferma della falsità dei f.i.r.
 
14.4. – In relazione al motivo sub 2.1.4., è sufficiente richiamare le considerazioni già svolte circa l’assoluta commistione che vi era fra le attività di trasporto svolte da Gest Service e da Salvatore Ersilio, i quali erano spesso presenti insieme nei luoghi di raccolta ed effettuavano entrambi trasporti con modalità diverse rispetto a quelle indicate nei f.i .r. Nessuna rilevanza assume dunque, ai fini dell’accertamento della responsabilità penale la differenza – richiamata dalla difesa – fra le due forme di trasporto operate dalla Gest Service (veicoli propri con f.i.r. propri e veicolo dell’epoca con f.i.r. dell’Ecocart), trattandosi di un dato meramente formale non corrispondente alla realtà dei fatti.
 
14.5. – Inammissibile è anche il motivo sub 2.1.5., con cui si deduce la manifesta illogicità della motivazione circa la valutazione dei filmati effettuati il 10 maggio 2006, che costituirebbero prova decisiva dell’attività svolta da Salvatore Ersilio da solo, senza l’intervento dei Camilla e senza f .i.r. La circostanza che vi fosse una tale attività è stata, infatti, correttamente svalutata dai giudici di primo e secondo grado, perché al più
conferma che vi era qualche illecito ascrivibile al solo Salvatore, ma non esclude comunque la piena partecipazione di questo e dei Camilla alle attività illecite oggetto dell’imputazione.
 
14.6. – Assolutamente irrilevante deve essere considerato l’elemento – richiamato dalla difesa con il motivo di doglianza sub 2.1.6. – della presenza della firma e del timbro dei produttori apposta su tutti i f.i.r. Infatti, il timbro e la firma non costituiscono la prova della rispondenza del f.i.r. alla realtà dei trasporti effettuati, ma possono al più confermare l’avvenuto carico del rifiuto presso il produttore. Né la circostanza che i produttori non siano stati sottoposti a procedimento penale è di per sé probante, in presenza di trasporti svolti con modalità significativamente diverse rispetto a quelle indicate nei f.i.r., che avrebbero potuto essere svolti con tali modalità sia all’insaputa sia nella consapevolezza dei conferenti.
 
14.7. – Il motivo sub 2.1. 7. – con cui si deduce la manifesta illogicità della motivazione sotto il profilo del travisamento di alcuni elementi di prova (intercettazioni del 24 aprile 2006, del 26 giugno 2006, del 30 giugno 2006; f.i.r. relativi ai trasporti del 30 giugno 2006; f.i.r., intercettazioni, filmati relativi all’attività svolta da Salvatore Ersilio il 21 aprile 2006; riprese video del 24 aprile 2006 e f.i.r. in pari data) – è anch’esso inammissibile. Quanto all’interpretazione del contenuto delle intercettazioni, è sufficiente osservare che si tratta di un profilo precluso alla Corte di cassazione, a fronte della mera prospettazione difensiva di una ricostruzione alternativa dei fatti, secondo cui dalle intercettazioni effettuate si dovrebbe desumere che i trasporti erano stati effettivamente svolti. Dalla stessa prospettazione difensiva emergono, peraltro, quanto alle attività di trasporto svolte il 26 giugno 2006 e il 24 aprile 2006, una strettissima collaborazione e un’assoluta comunanza di interessi, con costanti contatti, fra Camilla Luciano e Salvatore Ersilio, nonché la falsità dei f.i.r. redatti (pagg. 60-61 del ricorso). Ne consegue che non può essere condivisa la tesi – formulata in via meramente alternativa rispetto alle risultanze dei gradi di giudizio di rnerìto ; secondo cui, nelle giornate di riferimento, Salvatore avrebbe effettuato autonomamente e senza alcun contatto con i Camilla trasporti e smaltimenti illeciti di rifiuti per suo conto.
 
14.8. – Quanto alla doglianza sub 2.1.8. – riferita al travisamento delle intercettazioni telefoniche su Camilla Luciano e Camilla Antonio, le quali dimostrerebbero che Salvatore Ersilio effettuava la raccolta del rifiuto calzaturiero e tessile in parte per conto suo e per scopi non condivisi con nessuno e senza alcun contatto con la Gest Service – deve rilevarsi che la stessa è formulate in modo non specifico. Dal testo della conversazione del 22 maggio 2006, riportato nel ricorso, non emerge, infatti, alcun elemento rilevante ai fini della decisione che non sia stato adeguatamente preso in considerazione dalla Corte d’appello. Il ricorrente fa poi un generico riferimento ad altre 32 telefonate intercettate, anche esse asseritamente riferite ad appuntamenti e modalità pratico-organizzative per procedere al ritiro dei rifiuti presso produttori, che nulla provano circa autonome iniziative di Salvatore relativamente a trasporti illeciti svolti all’insaputa dei Camilla e dei loro coimputati.
 
14.9. – Del pari generiche sono le doglianze difensive (sub 2.1.9.) relative alle risultanze della c.t.u., effettuata in sede di giudizio abbreviato, attestante la localizzazione delle celle telefoniche agganciate dall’utenza di Camilla Luciano, in relazione all’inquadramento di dette celle con quanto riportato nei formulari ritenuti falsi. Come già osservato, infatti, la c.t.u. relativa alle celle agganciate dal cellulare di Camilla Luciano, non ha carattere decisivo, perché può al più dare conto della posizione dello stesso Camilla Luciano, ma non della natura dei trasporti di rifiuti realmente effettuati, in presenza di f.i.r. che – secondo quanto riconosciuto dalle difese di tutti gli imputati – recano comunque dati non corretti e, dunque, non possono essere richiamati dagli stessi imputati neanche quale elemento indiziario a loro favore. E ciò, a prescindere all’equivocità delle risultanze della stessa c.t.u., la quale fa solo riferimento alle celle telefoniche e agli orari, ma non opera alcuna raffronto con i f.i.r. in atti. Un tale raffronto è invece effettuato dal consulente tecnico di parte, con risultati tutt’altro che univoci, essendovi approssimazioni molto significative della distanza di Camilla dai luoghi indicati nei f.i.r. di riferimento (come emerge chiarezza dallo schema riportato alle pagg. 75-82 del ricorso).
 
15. – Le doglianze riferite alle conseguenze giuridiche della falsità dei f.i.r. (sub 2.2. e, in parte, 10.5.) sono invece fondate. Ai sensi dell’art. 258, comma 4, del d.lgs. n. 152 del 2006, l’indicazione nel formulario di dati incompleti o inesatti è sanzionata in via amministrativa. La fattispecie penale prevista dallo stesso comma 4 dell’art. 258 – il quale richiama «la pena di cui all’art. 483 cod. pen.» – si configura, invece, per chi, nella predisposizione di un certificato di analisi di rifiuti, fornisce false indicazioni sulla natura, sulla composizione e sulle caratteristiche chimico-fisiche dei rifiuti o fa uso di un certificato falso durante il trasporto. Secondo la prospettazione difensiva, nel caso di specie non si tratta di falsi certificati, ma di dati incompleti o inesatti inseriti nei formulari di identificazione dei rifiuti. Secondo la Corte d’appello (pag. 38 della sentenza impugnata) si tratta, invece, di falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico, considerato che non vi è, nel caso di specie, una mera irregolare compilazione dei f.i .r., ma vi è l’attestazione di circostanze false relative alla classificazione o all’effettivo trasporto dei rifiuti. Si tratta, in altri termini, della redazione di f.i.r. falsi per trasporti mai avvenuti; e a ciò la Corte d’appello fa conseguire che l’art. 483 cod. pen. non trova applicazione in quanto richiamato dall’art. 258, comma 4, del codice dell’ambiente, ma trova applicazione diretta.
 
Rileva il collegio che la ricostruzione effettuata dalla Corte d’appello – nel senso che vi è stata la redazione di f.i.r. falsi per trasporti mai avvenuti – risulta corretta sul piano fattuale ma non su quello delle conseguenze giuridiche che ne vengono fatte derivare.
 
I formulari di identificazione dei rifiuti, disciplinati dall’art. 193 del d.lgs. n. 152 del 2006, art. 193 (disposizione che ha subito nel tempo diverse e rilevanti modifiche, che non assumono rilievo ai fini della soluzione della questione in esame), sono richiesti per il trasporto di rifiuti effettuato da enti o imprese e devono contenere alcuni dati essenziali (nome ed indirizzo del produttore e del detentore; origine, tipologia e quantità del rifiuto; impianto di destinazione; data e percorso dell’instradamento; nome ed indirizzo del destinatario), la cui presenza è imprescindibile, pur non escludendosi, comunque, la possibilità che il formulario contenga ulteriori informazioni, come emerge dal tenore letterale dell’art. 193, il quale prevede anche ulteriori requisiti ed alcune esenzioni per determinate tipologie di trasporto. Tenendo conto dei contenuti e delle finalità del formulario, dottrina e giurisprudenza hanno individuato le sostanziali differenze tra detto documento ed il certificato, cui fa pure riferimento il d.lgs. n. 152 del 2006, art. 258, comma 4, che punisce, richiamando l’art. 483 c.p., la predisposizione di un certificato di analisi di rifiuti contenente false indicazioni sulla natura, sulla composizione e sulle caratteristiche chimico-fisiche dei rifiuti medesimi e di uso di certificato falso durante il trasporto. Si tratta di atti che hanno diversa natura giuridica, perché, sebbene il formulario abbia una sua specifica valenza in ragione dei dati che obbligatoriamente vi sono contenuti e ad essi il legislatore abbia attribuito un rilievo non secondario, in ragione delle finalità di compiuta identificazione del rifiuto, nondimeno esso si concreta in una mera attestazione del privato, avendo, in sostanza, un contenuto essenzialmente dichiarativo. Diversamente, il certificato si distingue dal formulario in ragione del fatto che esso, per definizione, risponde ad una esigenza di certezza pubblica e proviene da soggetto qualificato ed abilitato all’esercizio di una specifica professione che, nel caso previsto dal richiamato art. 258, comporta l’esternazione di dati precedentemente acquisiti attraverso specifiche metodologie concernenti natura, composizione e caratteristiche del rifiuto, tanto che la specifica violazione prevista dalla disposizione in esame si pone in rapporto di specialità rispetto al reato di cui all’art. 481 cod. pen. Va peraltro ricordato che il richiamo all’art. 483 cod. pen ., contenuto nell’art. 258, di cui si è appena detto, è un richiamo esclusivamente quoad poenam; né può ritenersi che un trasporto di rifiuti effettuato con formulario contenente dati non veritieri configuri autonomamente l’ipotesi delittuosa di cui all’art. 483 cod. pen.: manca, infatti, al formulario, la natura di atto pubblico destinato a provare la verità di un fatto.
 
Va quindi ribadito che il formulario di identificazione dei rifiuti (f.i.r.) non ha alcun valore certificativo della natura e composizione del rifiuto trasportato, trattandosi di documento recante una mera attestazione del privato, avente dunque natura prettamente dichiarativa; con la conseguenza che l’eventuale falsa attestazione in esso contenuta non integra – né direttamente né, attraverso il richiamo contenuto nell’art. 258, comma 4, del codice dell’ambiente – il reato di falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico, di cui all’art. 483 cod. pen. (sulla natura dei formulari di identificazione dei rifiuti v., ex multis, Sez. 3, Sentenza n. 43613 del 18/09/2015 Ud., dep. 29/10/2015, Rv. 265263, resa in una fattispecie sovrapponibile a quella per la quale qui si procede; nonché Sez. 3, Sentenza n. 42465 del 20/09/2013 Ud., dep. 16/10/2013, Rv. 257757; Sez. 3, Sentenza n. 19682 del 02/04/2013 Ud., dep. 08/05/2013, Rv. 255901; Sez. 3, n. 3692 del 17 /12/2013). Deve però aggiungersi che l’esclusione della rilevanza penale della violazione consistente nella redazione e utilizzazione di f.i.r. falsi non può incidere in negativo sull’accertamento dei reati di abusiva gestione di rifiuti o traffico illecito o su altre fattispecie di violazioni a carattere “sostanziale”, perché i f.i.r. rappresentano, comunque, uno degli elementi di fatto che devono essere presi in considerazione ai fini di tale accertamento.
 
La sentenza impugnata deve pertanto essere annullata senza rinvio quanto al reato di cui al capo 5), perché il fatto non sussiste.
 
16. – Devono essere ora analizzati i motivi (sub 2.3.) riferiti al trasporto, da parte della Gest Service dei fratelli Camilla, con f.i.r. e camion della Ecocart, dei rifiuti speciali della Whirlpool.
 
16.1. – La difesa contesta, in primo luogo, la motivazione della sentenza sotto il profilo del travisamento della prova costituita dalla conversazione del 29 maggio 2006 fra i Camillo, in ordine all’interpretazione della richiesta di «più sapone» da fornire agli addetti dell’azienda comunale di smaltimento, per ottenere lo smaltimento dei rifiuti raccolti presso la Whirlpool. Tali rilievi si sovrappongono con quelli proposti, nell’interesse di Serrao (sub 4.1.), secondo cui non si sarebbe considerato che gli autocarri del servizio pubblico abusivamente utilizzati per smaltire i materiali ferrosi – secondo l’ipotesi accusatoria – avrebbero dovuto subire inevitabili danneggiamenti. Si sovrappongono altresì con quelli della difesa di De Vita Gaetano e De Vita Luigi (riportati sub 10.6.), anch’essi riferiti ai fatti di cui al capo 6) dell’imputazione, cioè alla corruzione che aveva ad oggetto l’introduzione di mezzi del servizio pubblico presso la Whirlpool per rimuovere rifiuti dietro corresponsione di mance ai dipendenti del servizio pubblico stesso. Secondo la prospettazione difensiva, si sarebbero trascurate le spontanee dichiarazioni rese sul punto da Camilla Bruno, il quale aveva spiegato che il Gaetano oggetto della telefonata del 29 maggio 2006 era Gaetano La Pasta, addetto alla portineria dello stabilimento Whirlpool.
 
La censura è infondata. Si tratta, ancora una volta, della prospettazione di interpretazioni alternative della ricostruzione dei fatti, che non possono essere prese in considerazione in sede di legittimità. Né, del resto, risulta illogica la ricostruzione della valenza probatoria dell’intercettazione fatta propria dal Gip e dalla Corte d’appello, e basata sull’assunto – confermato dall’istruttoria – che anche le operazioni di trasporto e recupero che la Ecocart avrebbe dovuto svolgere per conto della Whirlpool non erano mai state effettivamente svolte. In altri termini, tale conversazione deve essere calata nel contesto complessivo, dal quale emerge la redazione di falsi f.i.r. da parte dei Camillo e della Ecocart, per operazioni di trasporto e recupero mai svolte per conto della Whirlpool (pag. 14-17 della sentenza impugnata). Risulta, dunque, pienamente plausibile che – come ritenuto giudici di merito – gli interlocutori si riferissero alla dazione di € 15,00 agli autisti del servizio pubblico perché portassero via tutti i rifiuti, ivi compresi quelli che avrebbero dovuto essere recuperati correttamente dalla Ecocart. Del resto, è inequivocabile il riferimento a De Vita Gaetano nel contesto del carico dei rifiuti che i Camilla avrebbero dovuto effettuare (pag. 16 della sentenza impugnata). E in tale quadro, risulta del tutto inverosimile l’affermazione fatta da Camilla Bruno in sede di interrogatorio, secondo cui la frase «Gaetano doveva dare più sapone» doveva essere interpretata nel senso che il menzionato Gaetano La Pasta «dava detersivi in quantitativi minori rispetto alla consuetudine ed in quella circostanza non glieli aveva dati»; lo stesso Camilla Bruno aveva, comunque, affermato che era proprio De Vita Gaetano ad essere a volte presente nel «gabbiotto di ingresso» per seguire le operazioni relative ai rifiuti. Quanto poi all’affermazione difensiva secondo cui i camion avrebbero dovuto riportare danneggiamenti qualora fossero stati destinati al trasporto abusivo di materiale ferroso, deve rilevarsi che si tratta di un mero assunto del tutto privo di riscontri, sia negli atti di causa sia nella comune esperienza.
 
16.2. – Inammissibile è invece il motivo di doglianza sub 2.3.2., relativo alla valutazione del controllo effettuato il 14 luglio 2006. Si contesta, in particolare, che la Corte d’appello avrebbe ritenuto il sopraggiungere presso la Ecocart del camion condotto da Camilla Bruno senza il carico, pur con la consegna di quattro f.i.r., come prova certa della emissione di f.i .r. falsi, in quanto non vi erano stati i trasporti corrispondenti.
 
Deve rilevarsi, sul punto, che la consegna presso la Ecocart da parte di Camilla Bruno, che guidava un autocarro della stessa Ecocart, a De Vita Luigi, di quatto f.i.r. relativi a conferimenti di polveri di materiali ferrosi che non risultavano realmente trasportati dal mezzo non è sostanzialmente messa in discussione dalla difesa: quest’ultima si limita a criticare che tale illecito modus operandi potesse essere esteso per analogia, dai giudici di merito, ad altri trasporti e altri soggetti coinvolti nel presente procedimento. Del tutto correttamente, però, la Corte d’appello ha ritenuto che l’episodio sia significativo, non solo al fine di ritenere la falsità dei f.i.r. in questione, ma anche e soprattutto al fine di individuare gli strettissimi rapporti e le cointeressenze che legano tra loro i protagonisti della vicenda, compreso Salvatore Ersilio, soggetto il cui ruolo concreto nel compimento degli illeciti è in larga parte sovrapponibile a quello svolto dai Camillo, con i quali dimostra in più occasioni di avere strettissimi rapporti.
 
17. – Le censure del quarto gruppo (sub 2.4.) – riferite allo stoccaggio dei rifiuti speciali non pericolosi presso la Whirlpool da parte della Gest Service dei fratelli Camilla prima del trasporto; stoccaggio che integrerebbe la gestione e il trattamento illeciti dei rifiuti stessi – sono inammissibili.
 
17.1. – Si deduce, in primo luogo (sub 2.4.1.), la manifesta illogicità della motivazione circa la valutazione delle intercettazioni telefoniche del 21 marzo 2006, del 23 marzo 2006, del 21 giugno 2006, dell’8 giugno 2006, in quanto dalle stesse si sarebbe erroneamente desunto che vi era stoccaggio abusivo di rifiuti presso la Whirlpool e trasporto successivo presso la Ecocart, senza prendere in considerazione quanto dedotto dalla difesa sul punto con l’atto di appello.
 
Il motivo è inammissibile. Valgono, anche in riferimento a tale doglianza, le osservazioni già svolte circa l’estraneità al giudizio di cassazione della rivalutazione delle risultanze dell’istruttoria. Anche a prescindere da tale assorbente rilievo, deve evidenziarsi che l’interpretazione alternativa che la difesa fornisce della telefonata del 21 marzo 2006, tra Camilla Antonio e Brignola Antonio, è manifestamente implausibile, perché nella stessa – come correttamente evidenziato dai giudici di merito – si fa riferimento inequivocabilmente all’esigenza di nascondere i rifiuti ferrosi con del cartone, allo scopo di farli uscire illecitamente dalla Whirlpool e non ci si riferisce – come sostiene la difesa in via del tutto ipotetica e congetturale – all’approvvigionamento di una scatola affinché facesse da contenitore per le operazioni di carico successivo o facesse da divisorio in caso di prodotti da caricare. Quanto alle conversazioni del 23 marzo 2006, le stesse sono state correttamente interpretate dai giudici di merito, i quali hanno evidenziato che in entrambe vi sono diretti riferimenti al carico abusivo di rifiuti, alla mancata redazione dei corrispondenti f.i.r., alla redazione presso l’impianto della Ecocart di un f.i.r. “di comodo” per conto della Whirlpool. Analoghe considerazioni valgono circa la valutazione della conversazione dell’8 giugno 2006, la quale si riferisce esplicitamente al trasporto presso la Whirlpool di rifiuti prelevati dalla Gest Service altrove e abusivamente condotti in quella sede; tale trasporto è prodromico al 
successivo conferimento abusivo all’Ecocart di altri rifiuti raccolti presso diversi produttori. Del pari corretta risulta la valutazione effettuata dei giudici di merito della telefonata del 21 giugno 2006, nella quale  sostanzialmente Camilla Bruno ammette che vi è stata una miscelazione dei rifiuti raccolti presso vari clienti con quelli della Whirlpool.
 
17.2. – Il motivo di doglianza sub 2.4.2 – con cui si rileva l’inosservanza dell’art. 183 del d .lgs. n. 152 del 2006, perché non si sarebbe considerato che lo stoccaggio all’interno della Whirlpool era invece un mero deposito temporaneo, in attesa del trasporto per il recupero dei rifiuti – è inammissibile per genericità. La mancanza, anche in via di semplice prospettazione, di specifici riferimenti alla sussistenza dei presupposti per la configurazione di un deposito temporaneo rende superflua ogni ulteriore considerazione sul punto, non essendo state richiamate dalla difesa le condizioni di qualità, di tempo, di quantità, di organizzazione tipologica e di rispetto delle norme tecniche richieste per la configurabilità di un deposito temporaneo ai sensi dell’art. 183, comma 1, lettera m), del d.lgs. n. 152 del 2006, nel testo vigente all’epoca del fatto (dal quale non si discosta sui punti qui rilevanti il testo della lettera bb dello stesso articolo, attualmente vigente a seguito delle modifiche intervenute con l’art. 28, comma 2, del d .L. n. 5 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 35 del 2012 e con l’art. 52, comma 2-ter, lettera a, del d.l. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012).
 
18. – I motivi riferiti alla movimentazione dei rifiuti pericolosi ricevuti dalla Ecocart e – secondo l’ipotesi accusatoria – smaltiti in contrasto con le disposizioni di legge (sub 2.5.) sono, nel complesso, infondati.
 
18.1. – La doglianza sub 2.5.1. – con cui si contesta la violazione della direttiva del Ministero dell’ambiente del 9 aprile 2002, recante i codici CER, sul rilievo che la Corte distrettuale avrebbe affermato che la Gest Service trasportava rifiuti pericolosi composti da segatura impregnata d’olio, senza considerare che per tali rifiuti, il codice CER 03 01 04 si applica solo quando si tratta di olio pericoloso – deve essere trattata unitamente alla doglianza sub 2.5.4., riferita a pretesi vizi della motivazione in relazione alla valutazione delle intercettazioni telefoniche del 23 e del 24 marzo 2006, nonché in relazione all’omessa valutazione delle prove che la difesa avrebbe fornito quanto alla natura dei rifiuti e alla loro effettiva gestione da parte degli imputati.
 
Entrambi i rilievi sono infondati.
 
Non vi è dubbio che il codice CER chiamato si riferisca a segatura, trucioli, residui di taglio, legni, pannelli di truciolare e piallacci contenenti sostanze pericolose e che, dunque, la segatura impregnata d’olio oggetto delle conversazioni tra Camilla Antonio a altri soggetti, tra cui De Vita Luigi, possa essere considerata pericolosa solo se impregnata di olio pericoloso. Nondimeno, dalla semplice lettura delle conversazioni riportate nel ricorso (pagg. 115-116) e nella sentenza d’appello (pagg. 24-26) emerge la piena consapevolezza di Camilla Antonio della natura pericolosa del rifiuto; consapevolezza che egli ribadisce più volte, tanto da suggerire di rivolgersi ad una ditta terza, autorizzata alla gestione di tale tipologia di sostanze. Dal complesso di tali affermazioni, si desume che i rifiuti in questione erano gestiti dai Camilla, i quali avevano concluso un accordo in tal senso con la ditta Lega. Né la difesa prospetta che tali rifiuti siamo stati poi smaltiti correttamente, limitandosi ad affermare – contro l’evidenza – che gli imputati non avevano effettuato la gestione dei rifiuti stessi.
 
18.2. – Manifestamente infondato risulta il richiamo effettuato dai ricorrenti (sub 2.5.2.) alla legge n. 61 del 1994, allo scopo di sostenere che, ai fini della qualificazione giuridica del rifiuto come pericoloso, vi sarebbe la necessità dell’intervento dell’Agenzia regionale per l’ambiente competente. La legge in questione non prevede, infatti, quale presupposto per la qualificazione di un rifiuto come pericoloso la sua preventiva analisi; da parte dell’Agenzia regionale per l’ambiente, essendo sufficiente a tal fine che il rifiuto abbia sul piano oggettivo il carattere di pericolosità.
 
18.3. – Il motivo sub 2.5.3. – con cui si deduce, a prescindere dalla correttezza della soluzione effettivamente adottata dai giudici d’appello, la mancanza di motivazione in relazione al fatto se l’analisi del rifiuto da parte dell’Agenzia regionale per l’ambiente sia presupposto per la sua qualificazione come rifiuto pericoloso – è manifestamente infondato. Deve infatti ribadirsi che, nel giudizio di cassazione, il vizio di motivazione non è denunciabile con riferimento a questioni di diritto, posto che il giudice di merito non ha l’onere di motivare l’interpretazione prescelta, essendo sufficiente che il risultato finale sia corretto, come nel caso di specie. Infatti, le lettere b) e e) dell’art. 606 cod. proc. pen ., si riferiscono all’inosservanza ed all’erronea applicazione della legge e non al percorso logico-argomentativo del giudice, a differenza della successiva lettera e), che si riferisce, peraltro, ai profili in fatto della motivazione (ex plurimis, Sez. 1, Sentenza n. 16372 del 20/03/2015 Cc., dep. 20/04/2015, Rv. 263326; Sez. 3, Sentenza n. 6174 del 23/10/2014 Ud., dep. 11/02/2015, Rv. 264273; Sez. 2, Sentenza n. 19696 del 20/05/2010 Ud., dep. 25/05/2010, Rv. 247123).
 
19. – Le doglianze sopra riportate sub 2.6. e ss. – relative alla gestione dei rifiuti da parte della Ecocart s.r.l. – sono in parte inammissibili e in parte infondate.
 
Si tratta di contestazioni per lo più riferite alla ricostruzione dei fatti operata dai giudici di merito, i quali hanno evidenziato che le modalità concrete di gestione dei rifiuti non corrispondevano a quanto la società Ecocart era autorizzata a fare. In particolare, quanto alla ricezione del rifiuto in “regime R13”, si è correttamente evidenziato che il trattamento dello stesso e la messa in riserva sono consentiti solo nell’ambito di un procedimento di recupero; procedimento di recupero che nel caso di specie pacificamente non veniva svolto (come emerge alle pagg. 17-22 della sentenza impugnata).
 
19.1. – Sulla base di tali considerazioni devono essere ritenute infondate le doglianze sub 2.6.1. e 2.6.2., riferite alla violazione degli artt. 208-210 del d.lgs. n. 152 del 2006, e basate sull’assunto che la Corte d’appello non avrebbe considerato che la piattaforma di recupero della Ecocart poteva, nell’esercizio della sua attività, trattare i rifiuti in entrata con i macchinari di cui era in possesso, che erano stati verificati dagli organi competenti con il rilascio dell’autorizzazione, la quale si riferiva anche ai codici CER specifici del settore calzaturiero e tessile. Devono essere parimenti ritenute infondate le censure sub 2.6.3. e 2.6.4., con cui si lamenta l’inosservanza dell’art. 6, comma 8, del d.m. 5 febbraio 1998, sul rilievo che la Corte d’appello avrebbe erroneamente ritenuto che la Ecocart doveva direttamente trattare il rifiuto calzaturiero tessile, senza considerare che la stessa poteva, invece, ricevere tale rifiuto in “regime R13” e trasportarlo ad altra piattaforma di recupero sempre in “regime R13”.
 
Deve ribadirsi che la circostanza che i rifiuti non fossero sottoposti ad alcun trattamento presso la società Ecocart rende irrilevanti – come anticipato – le questioni relative ai titoli abilitativi dei quali la società era dotata e alle tipologie dei regimi di gestione dei rifiuti. Come ben evidenziato dai giudici di merito, con conforme valutazione, la Ecocart attestava alle industrie che conferivano i rifiuti la loro messa in riserva con finalità di recupero attraverso i suoi impianti, ma, in realtà si disfaceva dei rifiuti stessi, trasportandoli e conferendoli ad altri impianti, come emerge dalla documentazione in atti. Ed anche la gestione di rifiuti in regime ordinario richiamata dalla difesa (artt. 208-210 del d.lgs. n. 152 del 2008) richiede comunque che l’impianto che riceve i rifiuti con un formulario che indichi la messa in riserva provveda all’integrale recupero degli stessi, qualora tecnicamente possibile, attraverso una lavorazione finalizzata al recupero o al reimpiego in altro ciclo produttivo della parte riutilizzabile di cui è composto ab origine il rifiuto conferito, mentre la parte non recuperabile, e solo quella, potrà essere destinata a smaltimento. E i ricorrenti non hanno prospettato l’impossibilità tecnica di svolgere l’attività di recupero dei rifiuti, essendosi limitati ad affermare, genericamente, che la Corte d’appello non avrebbe adeguatamente preso in considerazione la circostanza se le attività predisposte dall’Ecocart fossero indirizzate al recupero. Gli stessi ricorrenti, del resto, nel richiamare il contenuto dell’autorizzazione della Ecocart ad operare in regime ordinario, affermano che tale autorizzazione aveva per oggetto lo stoccaggio provvisorio e il trattamento dei rifiuti e non il loro puro e semplice smaltimento in discarica, in vista del quale lo stoccaggio provvisorio non avrebbe avuto senso. Né la difesa svolge considerazioni idonee a contrastare l’affermazione, contenuta nella sentenza d’appello, secondo cui il rifiuto era temporaneamente stoccato prima di essere miscelato con altro rifiuto, nonché sottoposto ad operazioni di pressatura e imballaggio e trasportato direttamente in discarica, con documentazione accompagnatoria non veritiera, che attestava che tale materiale costituiva la parte residua derivante da operazioni di recupero, in realtà mai effettuate.
 
19.2. – I motivi sub 2.6.5. e 2.6.6. – con cui si lamenta l’inosservanza dell’art. 193, comma 2, del d.lgs. n. 152 del 2006, sul rilievo che la Corte d’appello avrebbe ritenuto sussistente una falsa attribuzione da parte della Ecocart di un codice CER diverso da quello che doveva essere attribuito, senza considerare che solo il produttore del rifiuto attribuisce il codice CER – e il motivo sub 2.6.9. – con cui si deduce, relativamente a tale aspetto, la manifesta illogicità della motivazione sotto il profilo del travisamento delle sommarie informazioni rese da Cacace Gabriella, dei f.i.r., delle intercettazioni del 9 marzo 2006, 13 marzo 2006, 14 marzo 2006, 6 aprile 2006, 21 giugno 2006 – sono inammissibili.
 
La sentenza impugnata – in totale continuità con quella di primo grado – evidenzia, quanto a tale profilo che, con riferimento ai rifiuti stoccati presso la Ecocart e poi trasferiti alla ESA, vi era una operazione di parziale declassificazione degli stessi, che venivano posti in uscita con i codici propri del rifiuto tessile; circostanza che si desume: da un fax del marzo 2006, da rilievi fotografici presso l’impianto ESA, dalle sommarie informazioni testimoniali rese da Cacace Gabriella, dipendente dell’ESA, nonché da un’intercettazione telefonica del 6 aprile 2006. E le contestazioni svolte dalla difesa in relazione a tali prove risultano del tutto generiche. In particolare, la valutazione delle dichiarazioni rese da Cacace non è fatta oggetto di puntuale critica, nella parte in cui la Corte di merito correttamente valorizza il dato rappresentato dalla natura dei rifiuti conferiti, in relazione ai quali la stessa Cacace, per la ricevente ESA, aveva più volte protestato con De Vita Luigi. Analoghe considerazioni valgono quanto alla conversazione del 6 aprile 2006 (l’unica compiutamente individuata nella sua rilevanza e nel suo contenuto tra quelle richiamate dalla difesa), dalla quale emerge che lo stesso De Vita Luigi riceveva lamentele circa la natura dei rifiuti conferiti, che risultavano non recuperabili. In tale quadro, sono del tutto irrilevanti i rilievi difensivi, evidentemente riferiti ad una regola in concreto violata dagli imputati, circa il fatto che solo il produttore del rifiuto attribuisce allo stesso il codice CER. Deve in ogni caso ribadirsi che, anche a prescindere dall’attribuzione ai rifiuti di codici CER diversi da quelli corretti, il complesso delle operazioni tra Ecocart e ESA denota, comunque, la violazione del regime autorizzatorio da parte della prima, perché questa aveva direttamente conferito per lo smaltimento i rifiuti che avrebbe dovuto trattare.
 
19.3. – Del tutto generici, perché basati su mere congetture, risultano, poi, i motivi di ricorso sub 2.6. 7. e 2.6.8. Con essi si contesta, infatti, l’inosservanza degli artt. 189, comma 3, e 190, comma 1, del decreto legislativo n. 152 del 2006, sul rilievo che, nel caso in cui fossero stati conferiti dall’Ecocart rifiuti con codici diversi da quelli che la società ricevente ESA era autorizzata a ricevere, quest’ultima avrebbe dovuto rispedirli al mittente. È sufficiente qui osservare che il mancato rinvio dei rifiuti al mittente non esclude, di per sé, sul piano logico che i rifiuti stessi potessero essere stati conferiti con codici errati o potessero non essere corrispondenti nella sostanza alle tipologie che la ESA era autorizzata a trattare. Come appena sopra evidenziato – del resto – De Vita Luigi era stato più volte destinatario di lamentele da parte della ESA proprio in tal senso.
 
19.4. – Inammissibile, per genericità, è anche la doglianza sub 2.6.10, relativa alla mancanza di motivazione in relazione alle statistiche e ai bilanci della Ecocart, utilizzati dalla polizia giudiziaria per quantificare la movimentazione di rifiuti in 62.000 t e il giro di affari in euro 5.500.000. La difesa si limita, infatti, a sostenere che da tali elementi si sarebbe potuto evincere che la società aveva realmente e correttamente effettuato il recupero dei rifiuti, perché, negli anni tra il 2005 e il 2007, vi erano elevate percentuali di rifiuti recuperati. La prova offerta a sostegno del preteso recupero è, però, meramente cartolare e consiste nel confronto fra i quantitativi di rifiuti in entrata e quelli in uscita per la discarica, risultanti dai codici CER. Ma – come sopra visto – è proprio la non corrispondenza tra tali codici e la reale natura, qualitativa e quantitativa, dei rifiuti ad essere dimostrata dal complesso del quadro probatorio. Ed è significativo – come opportunamente sottolineato dai giudici di merito – che i ricorrenti non riescano a fornire, quale controprova, elementi fattuali dai quali possa desumersi l’effettivo trattamento dei rifiuti, relativi alla loro lavorazione e alle tecniche e ai macchinari utilizzati.
 
20. – Devono ora essere analizzate le censure del settimo gruppo (2. 7 .) riferite all’esportazione in Cina del rifiuto speciale costituito da carta e cartone, che, ad avviso dei giudici di merito, non sarebbe stato recuperato.
 
20.1. – La difesa formula una prima doglianza (sub 2.7.1.) riferita all’erronea applicazione della normativa UNI EN 643, punto 2.3 (Carta e cartone pregiudizievoli per la produzione), e del decreto ministeriale 5 febbraio 1998, allegato 1, suballegato 1, punto 1.1.3, lettera b).Secondo la prospettazione difensiva, alla luce di tali normative, nel caso di rifiuto recuperato, costituente materia prima secondaria, l’esportazione può avvenire con il solo documento di trasporto, senza procedure di controllo; con la conseguenza che l’esportazione dei dieci container oggetto di contestazione era del tutto legittima. I ricorrenti richiamano, preliminarmente, la sentenza 16 ottobre 2007, n. 42973 della Corte di cassazione, nonché l’ordinanza emessa dal Tribunale del riesame di Napoli il 13 dicembre 2007. In tali provvedimenti si sarebbe stabilito che la Ecocart potesse esportare il rifiuto già recuperato, da considerarsi come materia prima secondaria, con il solo documento di trasporto e senza ulteriori procedure di controllo.
 
Deve rilevarsi che, dalla lettura della sentenza n. 42973 del 2007, emerge che i ricorrenti avevano sviluppato le argomentazioni di cui sopra, al fine di provare che non sussistevano obblighi per la Ecocart, atteso il regime ordinario cui sarebbe soggetta, e che il materiale cartaceo, senza alcun limite di tipologia, rientrerebbe nella “lista verde” dei prodotti che potevano essere inviati in Cina secondo le procedure fissate con i Regolamenti europei. A fronte di tali censure, la Corte di cassazione si era però limitata a disporre l’annullamento con rinvio dell’ordinanza di rigetto della richiesta di riesame avverso il decreto di sequestro preventivo, constatando che la complessa e documentata prospettazìone difensiva era rimasta «totalmente estranea alla motivazione del provvedimento con cui il Tribunale del riesame ha confermato il decreto di sequestro preventivo». Il Tribunale, infatti, aveva «omesso in radice di affrontare la diversa prospettiva avanzata dalla difesa, secondo la quale il materiale sequestrato non costituirebbe rifiuto e, alla luce della disciplina sovranazionale, come recepita dal nostro stesso ordinamento, non rientrerebbe nella sfera dì applicazione del D.Lgs. n. 152 del 2006>>, limitandosi a prendere atto «del dettato del D.M. 5 febbraio 1998, e del citato suballegato 1». All’esito del giudizio di rinvio, il Tribunale del riesame, con ordinanza del 13 dicembre 2007, aveva affermato che si trattava di materie prime secondarie, perché i materiali indesiderati rinvenuti non incidevano sul recupero e sulla qualificazione data secondo le norme UNI EN 643 di riferimento. La Corte d’appello, con la sentenza impugnata, si è fatta carico di valutare nel merito le circostanze di fatto sommariamente valutate nella fase cautelare, ed ha evidenziato – in modo del tutto corretto – che il tribunale del riesame non aveva fornito alcuna motivazione circa la qualificazione del materiale come rifiuto. La stessa Corte d’appello ha dunque affermato che la prospettazione in diritto della difesa degli imputati risulta superata dall’accertamento del fatto che, dai controlli effettuati, era risultato che il materiale oggetto di spedizione (comprensivo di plastica, carta carbone, carta paraffinata, rifiuti solidi urbani) non rispondeva affatto agli standard qualitativi tracciati dalle norme UNI EN 643 e non aveva, dunque, le caratteristiche della materia prima secondaria. Tale conclusione era confermata dalle intercettazioni telefoniche, da cui era emerso – anche con riferimento a tali tipologie di materiali in uscita dalla Ecocart – che i riceventi si lamentavano della loro non rispondenza agli standard qualitativi.
 
Ne deriva l’infondatezza del motivo di ricorso.
 
20.2. – La censura sub 2.7.2. – con cui si deduce la violazione del principio del ne bis in idem, di cui all’art. 649 cod. proc. pen., sul rilievo che la Corte d’appello, nel qualificare la carta e il cartone esportati dall’Ecocart in Cina come rifiuto non recuperato, non avrebbe tenuto conto del giudicato rappresentato dalla sentenza n. 42973 del 2007 della Corte di cassazione, nonché dell’ordinanza emessa dal Tribunale del riesame di Napoli il 13 dicembre 2007 – è manifestamente infondata.
 
Anche a prescindere dall’effettivo contenuto della sentenza e dell’ordinanza richiamate, è sufficiente qui rilevare che l’art. 649 cod. pen. non si riferisce ai rapporti fra provvedimenti resi nella fase cautelare e provvedimenti resi nella fase di merito (nell’ambito dello stesso o di diversi procedimenti). Esso prevede, infatti, il divieto di un secondo giudizio solo per l’imputato che sia prosciolto o condannato, nel merito, con sentenza o decreto penale divenuti irrevocabili, non essendo configurabili un proscioglimento o una condanna nella fase cautelare. Ne consegue – quanto al caso di specie – che né la sentenza della Corte di cassazione resa in relazione al sequestro dei container contenenti rifiuti né tantomeno l’ordinanza del Tribunale del riesame resa all’esito del giudizio di rinvio scaturito da tale sentenza possono impedire la diversa valutazione dei fatti che la Corte d’appello ha operato.
 
20.3. – Del tutto generico e, dunque, inammissibile è il motivo sub 2. 7 .3., con si lamenta la manifesta illogicità della motivazione quanto all’interpretazione delle intercettazioni telefoniche del 20 aprile 2006, del 5 giugno 2006, del 13 luglio 2006 e dei risultati della ispezione dei carabinieri al porto di Napoli. La difesa non svolge alcun puntuale riferimento a tali elementi di prova, né propone effettive ragioni di critica della loro valutazione, limitandosi ad asserire che essi sarebbero stati interpretati dalla Corte d’appello in maniera difforme dalle risultanze dei provvedimenti della Corte di cassazione e del Tribunale del riesame sopra citati.
 
21. – Parimenti generici, per analoghe ragioni, sono i rilievi sopra riportati sub 2.8., relativi al conferimento della carta e del cartone sul territorio nazionale senza previa lavorazione. La difesa si limita, infatti, ad asserire, senza alcun riferimento critico alla motivazione della sentenza e al contenuto della prova, che vi sarebbe una manifesta illogicità della motivazione, sotto il profilo del travisamento delle intercettazioni telefoniche del 7 aprile 2006, dell’l 1 aprile 2006, del 17 maggio 2006, dell’l 1 luglio 2006. Del resto, la corretta valutazione di tali elementi di prova si desume dalla semplice lettura delle pagg. 29 e 30 della sentenza impugnata, da cui emergono significative contestazioni da parte dei riceventi circa la qualità dei materiali, che non erano stati oggetto di alcuna effettiva attività di recupero ed erano privi delle qualità indicate dalla Ecocart.
 
22. – Le censure sub 2.9. – che attengono ai reati di cui all’art. 260 del d.lgs. n. 152 del 2006 e 416 cod. pen. – sono inammissibili.
 
Deve premettersi che il d.lgs. n. 152 del 2006, art. 260, (che riprende la previsione del d.lgs. n. 22 del 1997, art. 53-bis, introdotto dalla legge 23 marzo 2001, n. 93) prevede la sanzione penale per chi, al fine di conseguire un ingiusto profitto, allestisce una organizzazione di traffico di rifiuti, volta a gestire continuativamente, in modo illegale, ingenti quantitativi di rifiuti. Tale gestione dei rifiuti deve concretizzarsi in una pluralità di operazioni con allestimento di mezzi ed attività continuative organizzate, ovvero attività di intermediazione e commercio (Sez. 3, n. 40827 del 6/10/2005, Carretta, Rv. 232348). Inoltre, l’attività deve essere “abusiva”, ossia effettuata o senza le autorizzazioni necessarie (ovvero con autorizzazioni illegittime o scadute) o violando le prescrizioni e/o i limiti delle autorizzazione stesse (ad esempio, la condotta avente per oggetto una tipologia di rifiuti non rientranti nel titolo abilitativo, ed anche tutte quelle attività che, per le modalità concrete con cui sono esplicate, risultano totalmente difformi da quanto autorizzato, sì da non essere più giuridicamente riconducibili al titolo abilitativo rilasciato dalla competente Autorità amministrativa) (Sez. 3, n. 40828 del 6/10/2005, Fradella, Rv. 232350). Quindi il delitto in esame sanziona comportamenti non occasionali di soggetti che, al fine di conseguire un ingiusto profitto, fanno della illecita gestione dei rifiuti la loro redditizia, anche se non esclusiva attività, per cui per perfezionare il reato è necessaria una, seppure rudimentale, organizzazione professionale (mezzi e capitali) che sia in grado di gestire ingenti quantitativi di rifiuti in modo continuativo, ossia con pluralità di operazioni condotte in continuità temporale, operazioni che vanno valutate in modo globale: alla pluralità delle azioni, che è elemento costitutivo del fatto, corrisponde una unica violazione di legge, e perciò il reato è abituale dal momento che per il suo perfezionamento è necessaria le realizzazione di più comportamenti della stessa specie (ex plurimis, Sez. 3, Sentenza n. 44449 del 15/10/2013, Rv. 258326; Sez. 3, Sentenza n. 29619 del 08/07/2010, Rv. 248145; Sez. 3, n. 46705 del 3/11/2009, Caserta, Rv. 245605). E non vi è dubbio che, ai fini della sussistenza del dolo specifico richiesto per l’integrazione del reato, sia necessaria la prova della consapevolezza dell’autore della condotta di utilizzare un’organizzazione illecita (anche non necessariamente plurisoggettiva) per conseguire un ingiusto profitto, che può consistere, oltre che in un ricavo patrimoniale, anche in un vantaggio personale, quale la semplice riduzione dei costi aziendali.
 
22.1. – Venendo all’esame dei motivi sub 2.9.1. e 2.9.2. – secondo cui non si sarebbe considerata la mancanza degli elementi costitutivi del reato di cui all’art. 260 del d.lgs. n. 152 del 2006, non essendovi stati un ricavo illecito considerevole, un investimento di mezzi, attività continuative organizzate, un ingente quantitativo di rifiuti, un modus operandi costante e continuativo – deve rilevarsi che gli stessi sono inammissibili. 
 
Come analiticamente evidenziato dai giudici di primo secondo grado attraverso la valutazione del complesso degli elementi di prova e delle diverse tipologie di condotte poste in essere, vi sono stati: la falsificazione dei documenti di identificazione e trasporto di rifiuti, attestanti circostanze non corrispondenti al vero in relazione all’origine e alla tipologia degli stessi; false attestazioni relative all’avvenuto conferimento al recupero dei rifiuti; l’illecito stoccaggio dei rifiuti che, dopo essere stati ricevuti con messa riserva e con destinazione a recupero dalla Ecocart, venivano in realtà smaltiti presso discariche, senza procedere ad alcuna operazione di recupero e, in alcuni casi, previa fittizia e contestuale modifica dei codici di identificazione, o erano destinati a fittizie attività di recupero all’interno di altri impianti; l’illecito smaltimento dei rifiuti negli impianti di produzione di combustibile derivante da rifiuto attraverso la raccolta e il ritiro dei medesimi mediante mezzi del servizio pubblico; la ricezione e la gestione di rifiuti pericolosi in contrasto con le autorizzazioni; l’organizzazione di spedizioni transfrontaliere di materiale non regolarmente recuperato e, dunque ancora avente le caratteristiche del rifiuto. È dunque del tutto evidente la sussistenza dei presupposti per la configurabilità del reato di cui all’art 260 richiamato, ovvero: a) l’ingiusto profitto (la cui rilevante entità è riportata sinteticamente alla pag. 5 della sentenza d’appello); b) la pluralità delle operazioni, c) l’allestimento di una complessa organizzazione di mezzi e lo svolgimento di attività continuative; d) l’abusività della gestione di ingenti quantitativi di rifiuti; e) la piena consapevolezza di tutti i partecipanti, che – come visto – agivano a stretto contatto gli uni con gli altri e con ruoli predefiniti.
 
In tale quadro, devono essere considerate del tutto generiche – oltre che puntualmente smentite dalla Corte d’appello – le affermazioni difensive secondo cui le indagini avrebbero riguardato diversi filoni tra loro privi di collegamento ed avrebbero portato all’accertamento di singole e sporadiche anomalie. Del pari generiche risultano le osservazioni difensive circa la mancanza del presupposto dell’ingente quantitativo, perché tale presupposto sussiste con evidenza addirittura in relazione a ciascuna delle svariate operazioni di gestione abusiva poste in essere dagli imputati, tutte riferite a diverse tonnellate di rifiuti (come emerge dalla stessa ricostruzione alle pagg. 150-152 del ricorso). Né possono essere prese in considerazione, in quanto prospettate in via meramente ipotetica e alternativa rispetto agli esiti dell’istruttoria, le considerazioni svolte dalla difesa circa l’entità del ricavo illecito.
 
22.2. – Anche i motivi sub 2.9.3. e 2.9.4. – con cui si lamenta la mancanza degli elementi costitutivi del reato associativo, perché non vi sarebbe prova di un vincolo associativo, né di accordi permanenti stabili, né del protrarsi nel tempo delle condotte illecite – sono inammissibili per genericità, essendo basati su mere indimostrate asserzioni in tal senso, del tutto sganciate da una puntuale critica alla motivazione della sentenza impugnata. Del resto, la sussistenza dei presupposti del reato associativo emerge con chiarezza dalla ricostruzione dei fatti svolta dai giudici di primo e secondo grado, i quali hanno evidenziato che vi erano svariati episodi di gestione e traffico illeciti di rifiuti, oltre a discarica abusiva, che erano stati posti in essere da una pluralità organizzata di soggetti, che agivano a stretto contatto gli uni con gli altri, con divisione di ruoli, nell’ambito di un programma criminoso che prevedeva la commissione di una serie indeterminata di reati.
23. – Devono essere ritenuti inammissibili, perché sostanzialmente diretti ad ottenere da questa Corte una rivalutazione del quadro probatorio, i motivi sub 2.10., riferiti alla motivazione della sentenza circa l’individuazione dei ruoli dei singoli imputati nella commissione dei reati contestati.
23.1. – Del tutto generici risultano i motivi sub 2.10.1 e 2.10.2. I ricorrenti si limitano, infatti, a dedurre l’omessa considerazione della mancanza dell’elemento soggettivo del reato di cui all’art. 260 del d.lgs. n. 152 del 2006 e del reato associativo, basandosi sulla mera asserzione – puntualmente smentita dai giudici di merito – che nessuno di loro aveva la conoscenza del fatto che gli altri esplicavano azioni criminose, né la volontà di contribuirvi con il proprio operato, né la consapevolezza di un vincolo
associativo o di un accordo permanente e stabile. Ed è sufficiente richiamare, sul punto,
 
le considerazioni già svolte sub 22.1. e 22.2.
 
23.2. – Quanto alle posizioni di Serrao Gaetano e Camilla Antonio, quali capi e promotori dell’associazione – oggetto delle doglianze sopra riportate ai punti 2.10.3., 2.10.4., 2.10.6., 3., 4., 5., 6., 7., – è sufficiente qui richiamare sinteticamente le conformi argomentazioni delle sentenze di primo e secondo grado.
 
23.2.1. – In particolare, la Corte d’appello rileva che Serrao era il direttore tecnico dell’impianto di recupero rifiuti della Ecocart ed era, dunque, il soggetto direttamente responsabile della fittizia attività di recupero, in presenza dei macchinari per il recupero della carta cartone e in totale mancanza di macchinari idonei ad effettuare più complesse operazioni di recupero delle altre tipologie di rifiuto che pure la Ecocart riceveva in grandissime quantità. Dall’indagine era inoltre emerso che egli non aveva solo la posizione formale di direttore tecnico, ma era concretamente colui che prendeva le decisioni relative allo svolgimento dell’attività di gestione abusiva di rifiuti, come confermato, tra l’altro, dall’intercettazione telefonica del 15 giugno 2006 e da altre conversazioni, dalle quali risultava che egli si occupava dei relativi rapporti economici, nonché delle abusive spedizioni transfrontaliere di rifiuti del tutto privi degli standard qualitativi richiesti: la Ecocart, sotto la direzione di Serrao, era – come ampiamente visto – il centro direzionale e organizzativo dell’attività criminosa. E tale quadro trova conferma – secondo i giudici di merito – nelle spontanee dichiarazioni rilasciate dallo stesso indagato nel corso del sopralluogo svolto dalla polizia giudiziaria presso l’azienda.
 
Né la logicità di tali conclusioni è messa in discussione dalle mere affermazioni di segno contrario contenute nei ricorsi, essenzialmente basate sulla reiterazione di precedenti doglianze relative alla pretesa regolarità delle operazioni effettuate dalla Ecocart nonché sulla pretesa mancanza di rapporti – invece ampiamente confermati – tra Serrao e gli altri associati. Quanto, in particolare, ai rapporti con i Camilla, la Corte d’appello rileva che gli stessi sono strettissimi, in relazione alla acquisizione dei profitti ricavati dell’attività illecita, che veniva pagata dalla Ecocart alla Gest Service, con uno dei tanti passaggi di denaro che normalmente caratterizzano le associazioni a delinquere.
 
23.2.2. – Le censure proposte, nell’interesse di Serrao, con le memorie del 24 maggio 2016 (sub 3. e 3.1.) e del 15 giugno 2016 (sub 6.) non scalfiscono la tenuta logica di tale ricostruzione, perché si limitano a ribadire i rilievi già contenuti nel ricorso principale, che – come già visto – sono stati ampiamente confutati dai giudici di merito, quali quelli relativi: ai quantitativi di rifiuti; alla falsità dei f.i.r. predisposti dalla Gest Service, alla valutazione dell’attività di raccolta – se personale e autonoma o inserita nel quadro associativo – di Salvatore Ersilio; alla falsità dei f.i.r. relativi alla raccolta dei rifiuti presso la Whirlpool; alla perizia circa la posizione di Camilla Luciano, ai trasporti di materiali verso la Cina.
 
23.2.3. – Analoghe considerazioni valgono in relazione ai motivi di ricorso proposti nell’interesse di Serrao dall’avv. Vittorio L. Fucci (sub 4., 4.1., 4.2.) e all’ulteriore memoria presentata dall’avv. Ricca il 6 luglio 2016 (sub 7 .) . Del tutto generiche risultano, infatti, le censure dei ricorrenti, con cui si prospettano vizi della motivazione in relazione alla mancata considerazione dei motivi d’appello, con particolare riferimento all’individuazione del soggetto responsabile dei contestati reati. Senza richiamare specifici dati probatori a sostegno delle sue affermazioni, la difesa si limita ad asserire che l’imputato svolgeva un’attività manageriale consistente nelle relazioni esterne con i clienti per la vendita della carta, nonché nei rapporti con banche e fornitori, mentre nell’ambito della società il soggetto formalmente delegato alla gestione dei rifiuti era De Vita Gaetano, dotato di ampi poteri di organizzazione, direzione e contabilità. Quanto alla posizione di quest’ultimo, la stessa difesa asserisce che esisterebbe una “formale” delega di funzioni, ma non specifica né l’esatto contenuto né la fonte di tale delega, né tantomeno le ragioni per cui la stessa dovrebbe essere ritenuta liberatoria in relazione alla responsabilità penale di Serrao. Parimenti generiche – o comunque infondate, come sopra visto – risultano le critiche difensive circa la valenza probatoria delle intercettazioni telefoniche, la mancanza del quantitativo ingente di rifiuti smaltiti, la contabilità della società, la mancata valutazione della perizia che – secondo i ricorrenti – accertava la presenza di Luciano Camilla sul luogo del prelievo o scarico dei rifiuti. Quanto, poi, alla vicenda dello stoccaggio abusivo di rifiuti nell’area Whirlpool, la linea difensiva si basa essenzialmente sulla mera indimostrata asserzione secondo cui gli autocarri del servizio pubblico, qualora fossero stati abusivamente utilizzati, avrebbero dovuto subire “inevitabili danneggiamenti” (su cui v. 16.1.).
 
23.2.4. – La Corte d’appello evidenzia con chiarezza anche il ruolo direzionale e organizzativo svolto da Camilla Antonio nella gestione illecita di rifiuti, sottolineando che si tratta del legale rappresentante e direttore tecnico della società Gest Service, coinvolto in numerosissime intercettazioni dalle quali si desume con chiarezza che egli intrattiene rapporti con i titolari delle altre società che operano nel settore e con produttori, e che organizza, dirigendo in primo luogo i suoi familiari e collaboratori, traffici illeciti della Gest Service, grazie ai rapporti con Serrao e con i De Vita, nella piena consapevolezza sia della non corrispondenza dei f.i.r. alla realtà dei trasporti effettuati, sia della successiva gestione abusiva dei rifiuti presso la Ecocart. Anche con riferimento a tale posizione, le doglianze difensive si incentrano essenzialmente sul dato – ampiamente smentito dagli atti di causa – della pretesa liceità dell’attività svolta.
 
23.3. – Analoghe considerazioni valgono quanto alle posizioni di Aruta, Camilla Luciano, Camilla Bruno e Brignola, oggetto delle censure sub 2.10.5., 8., 9., riferite alla pretesa mancanza di motivazione quanto alle dichiarazioni spontanee da questi rilasciate e quanto a una conversazione intercettata del 15 giugno 2006. Deve infatti rilevarsi che lo specifico contributo di tali soggetti nella commissione di reati contestati è dettagliatamente delineato nella sentenza impugnata (pagg. 33-37), che si pone in totale continuità con quella di primo grado.
 
Quanto ai Camilla, del resto, le doglianze difensive si incentrano su generiche considerazioni relative alla valutazione di intercettazioni e, ancora una volta, sulla pretesa liceità dell’attività svolta, sulla pretesa non conoscenza delle attività svolte dai coimputati, sulla pretesa autonoma iniziativa di Salvatore Ersilio nella commissione dei reati; elementi che – come visto – sono stati ampiamente smentiti dai giudici di merito.
 
Quanto alla posizione di Aruta, la difesa ribadisce censure – già formulate e motivatamente disatteso dalla Corte d’appello – sostenendo che egli era un semplice telefonista presso la Ecocart e non conosceva la sostanza, eventualmente illecita, dell’attività di ricezione dei rifiuti che svolgeva, né conosceva il regime giuridico della loro gestione. È sufficiente qui evidenziare che la Corte territoriale e il Gip hanno ben ricostruito il ruolo dell’imputato come quello di un soggetto che operava in stretto collegamento con i Camilla, quanto alla ricezione dei rifiuti ed era direttamente consapevole delle modalità dell’attività di fittizio recupero che si svolgeva all’interno della Ecocart, avendo collaborato direttamente al trattamento dei materiali derivanti dai trasporti effettuati dalla Gest Service, ed essendo preposto all’invio degli autocarri presso i clienti della stessa Ecocart. In presenza dell’accertata consapevolezza dell’intero iter dell’attività illecita in capo all’imputato, non può essere dato spazio alla riduttiva ricostruzione difensiva (sub 8.) secondo cui Aruta si era limitato ad apporre la firma su alcuni f.i. r. emessi dalla Gest Service ed era presente occasionalmente alla ricezione all’ingresso dello stabilimento della Ecocart, in sostituzione di un altro soggetto, non potendo immaginare i cambiamenti della targa e dell’autista sui f.i.r.
 
Puntualmente smentite dall’attività istruttoria risultano, infine, le dichiarazioni spontanee rese da Brignola – e richiamate dalla difesa – quanto alla sua estraneità ai reati contestati. La posizione di Brignola è stata, infatti, analiticamente ricostruita dai giudici di primo e secondo grado (pagg. 34-36 della sentenza di appello), i quali, sulla base di intercettazioni telefoniche e riprese visive, hanno evidenziato che lo stesso partecipava personalmente alle operazioni di compattamento dei rifiuti nello stabilimento Whirlpool, con la piena consapevolezza della illiceità dei trasporti e della falsità dei formulari e in stretto contatto con i coimputati: egli, dunque, era direttamente coinvolto, per la sua parte, nell’intero svolgimento dell’attività criminosa analiticamente descritta in sentenza, quale operaio e autista della Gest Service.
 
23.4. – La doglianza sub 2.10.7. – con cui si rileva la contraddittorietà della motivazione, nella parte in cui viene pronunciata l’assoluzione dei due impiegati Tonin ed Errichiello, sul presupposto che essi non potevano essere a conoscenza delle attività materiali operate dalla Gest Service dei fratelli Camilla, mentre analoghe considerazioni non vengono fatte anche nei confronti dell’imputato Serrao – è inammissibile.
 
Essa è, infatti, formulata in modo non specifico, perché si basa sull’assunto – del tutto indimostrato – della assimilabilità della posizione dei due impiegati assolti con quella degli imputati condannati, e risulta del tutto priva di puntuali riferimenti critici alla motivazione della sentenza impugnata quanto alla ritenuta diretta partecipazione di questi ultimi alla commissione di reati contestati.
 
24. – I motivi proposti nell’interesse di De Vita Gaetano e De Vita Luigi (sub 10.) in relazione alla responsabilità penale e civile sono complessivamente infondati, con l’eccezione di quelli relativi al capo 5) dell’imputazione.
 
24.1. – Deve ritenersi insussistente la pretesa erronea applicazione degli artt. 77 e 93 cod. proc. pen. (sub 10.1.), basata sul rilievo del mancato esame dei motivi di appello riferiti all’individuazione del danno risarcibile e alla titolarità del diritto al risarcimento. Contrariamente a quanto ritenuto dal ricorrente, la Corte di appello ha valutato nel merito la fondatezza della pretesa risarcitoria delle parti civili, anche in relazione alla potenziale quantificazione dei danni e, in particolare, al pregiudizio subito dal Comune di Napoli per l’uso abusivo dei camion pubblici, nonché al pregiudizio concretamente arrecato all’attività dell’associazione ambientalista di valorizzazione e tutela del territorio sul quale incidono i reati. La Corte d’appello ha, del resto, ritenuto, che la condanna al pagamento della provvisionale pronunciata in primo grado fosse disancorata da parametri valutativi e immotivata quanto alla quantificazione provvisoria dei danni; ferma restando l’esigenza di una loro quantificazione definitiva da parte del giudice civile. E risulta inammissibile, per genericità, il rilievo difensivo secondo cui sarebbe stato violato l’art. 311 del d.lgs. n. 152 2006, che riserva allo Stato la legittimazione per il risarcimento del danno ambientale. La difesa non specifica, infatti, quali siano le potenziali voci di danno cui il Gip ha fatto riferimento nel pronunciare la condanna generica, mentre la Corte d’appello precisa con sufficiente chiarezza che si tratta di danni patrimoniali e non patrimoniali diversi dal danno ambientale in senso stretto (pagg. 43-44 della sentenza).
 
24.2. – Inammissibile, per genericità è il motivo sub 10.2. Con esso, infatti, si rilevano l’erronea applicazione dell’art. 491, comma 3, cod. proc. pen. e la carenza di motivazione in relazione all’eccezione relativa al fatto che il giudice di primo grado, al momento della costituzione della parte civile, non aveva consentito alla difesa di interloquire, violando così il principio del contraddittorio e il diritto di difesa. Non si richiamano, però, gli atti processuali di riferimento, né si specificano le ragioni per le quali tale mancata interlocuzione avrebbe in concreto pregiudicato il diritto di difesa, avendo entrambe le sentenze preso posizione in modo logico e completo su tutti i profili di critica relativi alla costituzione di parte civile.
 
24.3. – Il motivo sub 10.3. – con cui si denunciano l’erronea applicazione degli artt. 416 cod. pen. e 260 del d.lgs. n. 152 del 2006, nonché vizi della motivazione anche in relazione alla ritenuta qualifica di promotore e organizzatore dell’associazione per De Vita Gaetano – è inammissibile, perché sostanzialmente diretto ad ottenere da questa Corte una rivalutazione del merito della responsabilità penale; rivalutazione preclusa in sede di legittimità. I giudici di merito hanno direttamente smentito l’assunto difensivo secondo cui all’imputato sarebbe ascrivibile solo una non corretta applicazione delle prescrizioni autorizzative per lo svolgimento dell’attività industriale, avendo avuto egli un ruolo comunque subordinato rispetto a quello svolto da altri soggetti. È sufficiente richiamare, sul punto, la motivazione nella sentenza di secondo grado, dalla quale emerge il ruolo preminente dell’imputato nell’organizzazione e realizzazione degli illeciti, attraverso i rapporti con i titolari delle società che concorrevano all’associazione a delinquere. Le falsità relative ai f.i.r. commesse dall’imputato – pur prive, come visto, di rilevanza penale – sono tali e tante da farne il principale punto di riferimento all’interno della Ecocart in relazione alla gestione abusiva e al traffico illecito dei rifiuti, anche presso lo stabilimento della Whirlpool. Egli risulta coinvolto direttamente, e con piena consapevolezza dell’intero sviluppo della vicenda criminale e dei ruoli svolti da ciascuno degli associati in tutte le fasi dell’attività, con una funzione direttiva che giustifica pienamente la sua considerazione quale capo e promotore dell’associazione a delinquere (pag. 32 della sentenza impugnata). Ed è superfluo osservare che la sentenza impugnata delinea in modo chiaro e differenziato anche il ruolo svolto da De Vita Luigi (pagg. 33-34), in rapporto a quelli degli altri associati.
 
24.4. – Inammissibili, per le ragioni ampiamente sopra precisate, sono i motivi sub 10.4. e 10.5., in quanto analoghi a quelli già dedotti dai coimputati in relazione alla qualificazione come rifiuti dei materiali spediti all’estero, nonché al titolo abilitativo in possesso della Ecocart, alla classificazione dei rifiuti, ai regimi autorizzatori applicabili, alla ricezione dei rifiuti in “regime R13”, all’irrilevanza penale del trasporto di rifiuti pericolosi senza formulario o con formulario incompleto o inesatto. Fanno eccezione i rilievi prospettati in diritto con riferimento all’irrilevanza penale della falsità dei f.i.r., sulla cui fondatezza valgono le considerazioni già svolte sub 15.
 
24.5. – Parimenti inammissibili sono le censure sub 10. 7. Si tratta, in parte, di rilievi analoghi ad altri già sopra esaminati e disattesi, come quelli relativi alla motivazione della sentenza impugnata circa le intercettazioni telefoniche (in particolare, una dell’S giugno 2006), alla relazione del CTU e alla relazione del consulente tecnico di parte sulla posizione di Camilla, all’attività di intermediazione che sarebbe stata spontaneamente svolta da Salvatore Ersilio. Quanto alla conversazione telefonica del 3 maggio 2006, richiamata dalla difesa, deve rilevarsi che la stessa si riferisce a un singolo episodio, che, anche se ritenuto vero, non modifica in nulla il quadro probatorio relativo alla falsificazione dei f.i.r. e alla fittizietà di molti dei trasporti effettuati. Del resto, la stessa difesa ammette che De Vita Luigi aveva espressamente consentito che sui f.i.r. di raccolta della Gest Service vi fosse l’interposizione di persone appartenenti alla stessa Gest Service e di camion diversi, pur se della stessa Gest Service.
 
25. – Devono ora essere analizzati i motivi di ricorso relativi alla prescrizione dei reati (sub 3.2., 5., 10.8.).
 
25.1. – Quanto alla sospensione del decorso del termine prescrizionale, la difesa di Serrao sostiene che la stessa ammonta a complessivi 49 giorni e precisa che il rinvio dal 10 maggio 2013 all’11 ottobre 2013 non può essere considerato a tal fine, in quanto disposto per l’impedimento di uno degli imputati, ma anche per l’omesso avviso ad altri imputati, con la conseguenza che deve essere data prevalenza alla causa di rinvio processuale su quella legata a ragioni private. Analoghe considerazioni varrebbero per il rinvio dall’11 ottobre 2013 al 17 dicembre 2013, disposto dalla Corte d’appello a seguito della richiesta formulata da tutti i difensori, vista l’ora tarda, perché la Corte d’appello si sarebbe limitata a prendere atto dell’impossibilità oggettiva di trattare il processo in quel giorno. La difesa dei De Vita riprende tali deduzioni, precisando altresì che vi era stata anche una sospensione dal 17 dicembre 2013 al 18 febbraio 2014, pari a 63 giorni, che non avrebbe dovuto essere computata, perché giustificata sulla base dell’esigenza processuale di individuare una data di udienza più libera in modo da dare spazio alle conclusioni delle parti.
 
Le considerazioni svolte dalle difese meritano di essere condivise solo con riferimento al primo dei periodi di sospensione sopra richiamati, perché il rinvio della trattazione del procedimento, nell’udienza del 10 maggio 2013, era stato effettivamente concesso anche per rimediare all’omesso avviso dell’udienza ad alcuni imputati, dovendosi dare prevalenza alla causa di rinvio connessa all’esigenza della regolare instaurazione del contraddittorio. Quanto agli altri due rinvii, gli stessi sono stati invece disposti su richiesta dei difensori, essendo del tutto irrilevante, ai fini dell’applicazione dell’art. 159, n. 3), cod. pen., la ragione di tale richiesta (Sez. U, Sentenza n. 15427 del 31/03/2016 Ud., dep. 13/04/2016). A questi si aggiungono due ulteriori periodi di sospensione: uno per 49 giorni, tra il 13 maggio 2014 e il 1 ° luglio 2014 e un altro per 51 giorni tra il 24 maggio 2016 e il 14 luglio 2016. Ne consegue che devono essere computati complessivi 220 giorni di sospensione della prescrizione.
 
25.2. – Quanto ai tempi di commissione dei reati, deve rilevarsi che, indipendentemente dall’indicazione contenuta nell’imputazione secondo cui le condotte di cui ai capi 1), 3), 4) sarebbero perduranti, non emergono dagli atti e dalle sentenze di merito elementi sufficienti a far ritenere a questa Corte che la consumazione dei reati contestati sia successiva al 6 settembre 2007, data di esecuzione dell’ordinanza di sequestro dei beni confronti della Ecocart. In particolare, in relazione al reato di cui all’art. 256 del d.lgs. n. 152 del 2006, non vi è prova della permanente esistenza della discarica abusiva realizzata né di conferimenti alla stessa successivi all’ottobre 2006. Ne consegue che non vi sono sufficienti elementi dai quali si possa desumere che i relativi termini prescrizionali (che sono, al massimo, di complessivi sette anni e sei mesi) non siano già decorsi alla data odierna. Quanto al reato continuato di cui al capo 6), lo stesso risulta commesso con una serie di condotte la cui collocazione nel tempo (comunque precedente al 29 maggio 2006, momento dell’accertamento) non risulta sufficientemente certa alla luce degli atti di causa presi in considerazione nella sentenza impugnata; con la conseguenza che – per il principio del favor rei – deve essere dichiarata la prescrizione anche di tale reato, con annullamento senza rinvio della sentenza sul punto.
 
25.3. – I termini prescrizionali non sono invece decorsi in relazione alle posizioni di Serrao Gaetano, De Vita Gaetano e Camilla Antonio, quali capi e promotori dell’associazione a delinquere di cui al capol) dell’imputazione. Infatti, tale reato risulta consumato nel settembre 2007, al momento dell’esecuzione dell’ordinanza di sequestro dei beni confronti della Ecocart. Ma anche a voler ritenere che la permanenza del reato sia cessata – come sostenuto dai ricorrenti – il 31 marzo 2007, da tale data devono essere computati complessivi otto anni e nove mesi, a Cui devono essere sommati 220 giorni di sospensione, giungendosi così alla data del 7 agosto 2016, comunque successiva alla pronuncia della presente sentenza. La pena per Serra o Gaetano, De Vita Gaetano e Camilla Antonio, deve essere conseguentemente rideterminata, per tale fattispecie residua, nella misura di un anno e quattro mesi di reclusione, già fissata nella sentenza di primo grado.
 
25.4. – A fronte dell’inammissibilità o del rigetto di tutte le doglianze attinenti alla responsabilità penale – con l’eccezione di quelle riferite al capo 5) – devono essere in ogni caso confermate le statuizioni civili a carico degli imputati. 
 
26. – In conclusione, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio, quanto al reato di cui al capo 5) dell’imputazione, perché il fatto non sussiste, e quanto ai reati di cui ai capi 3), 4) ,6), nonché 1), quest’ultimo limitatamente ai ricorrenti diversi da Serrao Gaetano, De Vita Gaetano, Camilla Antonio, capi e promotori dell’associazione a delinquere, perché estinti per prescrizione. I ricorsi devono essere nel resto rigettati. La pena, già condizionalmente sospesa, deve essere rideterminata in un anno e quattro mesi di reclusione per Serrao Gaetano, De Vita Gaetano, Camilla Antonio. Le statuizioni civili devono essere confermate.
 
P.Q.M.
 
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, quanto al reato di cui al capo 5) dell’imputazione, perché il fatto non sussiste, e quanto ai reati di cui ai capi 3), 4) ,6), nonché al capo 1), quest’ultimo limitatamente ai ricorrenti diversi da Serrao Gaetano, De Vita Gaetano, Camilla Antonio, perché estinti per prescrizione. Rigetta nel resto i ricorsi. Ridetermina la pena, già condizionalmente sospesa, per Serrao Gaetano, De Vita Gaetano, Camilla Antonio, in un anno e quattro mesi di reclusione. Conferma le statuizioni civili.
 
Così deciso in Roma, il 14 luglio 2016.
 
 
 
 
 
 
 
 

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