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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Inquinamento del suolo Numero: 83 | Data di udienza: 13 Gennaio 2017

* INQUINAMENTO DEL SUOLO – Principio “chi inquina paga”  – Obbligo di riparazione – Misura corrispondente al contributo causale – Nesso di causalità – Indizi plausibili – Fattispecie.


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 1^
Regione: Marche
Città: Ancona
Data di pubblicazione: 24 Gennaio 2017
Numero: 83
Data di udienza: 13 Gennaio 2017
Presidente: Filippi
Estensore: Capitanio


Premassima

* INQUINAMENTO DEL SUOLO – Principio “chi inquina paga”  – Obbligo di riparazione – Misura corrispondente al contributo causale – Nesso di causalità – Indizi plausibili – Fattispecie.



Massima

 

TAR MARCHE, Sez. 1^ – 24 gennaio 2017, n. 83


INQUINAMENTO DEL SUOLO – Principio “chi inquina paga”  – Obbligo di riparazione – Misura corrispondente al contributo causale – Nesso di causalità – Indizi plausibili – Fattispecie.

Conformemente al principio “chi inquina paga”, l’obbligo di riparazione incombe agli operatori solo in misura corrispondente al loro contributo al verificarsi dell’inquinamento o al rischio di inquinamento; è possibile presumere l’esistenza di un nesso di causalità tra determinati operatori e l’inquinamento accertato attraverso indizi plausibili quali la vicinanza dell’impianto dell’operatore all’inquinamento accertato e la corrispondenza tra le sostanze inquinanti ritrovate e i componenti impiegati da detto operatore nell’esercizio della sua attività. Quando disponga di indizi di tal genere, l’autorità competente è in condizione di dimostrare un nesso di causalità tra le attività degli operatori e l’inquinamento diffuso rilevato (nella specie, tale nesso non è stato ritenuto sussistente, in ragione della diversa attività imprenditoriale esercitata dalla ricorrente – costruzioni edili – rispetto agli inquinanti che avevano contaminato l’area, costituiti in prevalenza da rifiuti dei processi di produzione del settore calzaturiero).


Pres. Filippi, Est. Capitanio – A. s.r.l. (avv.ti Calzolaio e Urbani) c. Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare (Avv. Stato) e altri (n.c.)

 


Allegato


Titolo Completo

TAR MARCHE, Sez. 1^ - 24 gennaio 2017, n. 83

SENTENZA

 

TAR MARCHE, Sez. 1^ – 24 gennaio 2017, n. 83

Pubblicato il 24/01/2017

N. 00083/2017 REG.PROV.COLL.
N. 00277/2008 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 277 del 2008, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
Arredamenti Maurizi S.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avvocati Andrea Calzolaio, Adriano Urbani, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Alessandra Moneta, in Ancona, viale della Vittoria, 27;

contro

Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliato presso la sede della stessa, in Ancona, piazza Cavour, 29;
Ministero delle Attività Produttive, Ministero della Salute, Regione Marche, Ministero dell’Ambiente e Tutela del Territorio-Direzione Generale- Divisione IX, Conferenza dei Servizi ex Art.14 Legge 241/1990, Azienda Sanitaria Regionale Unica delle Marche, Azienda Sanitaria Regionale Unica delle Marche- Zona Territoriale n. 8 Civitanova Marche, Provincia di Macerata, ARPAM Dipartimento Provinciale di Macerata, Comune di Civitanova Marche, Comune di Morrovalle e Comune di Montecosaro, non costituiti in giudizio;

per l’annullamento

previa sospensione

dei verbali della Conferenza di Servizi operante presso il MATTM del 10 gennaio 2008 e del 27 settembre 2010 (relativi al sito di bonifica basso bacino fiume Chienti) nonché di tutti gli altri atti presupposti, connessi e consequenziali.

Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 2 dicembre 2016 il dott. Tommaso Capitanio e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Con l’odierno ricorso e i successivi motivi aggiunti Arredamenti Maurizi S.r.l. chiede l’annullamento dei provvedimenti in epigrafe nella parte in cui prescrivono, a carico della ditta ricorrente, la messa in sicurezza d’emergenza (MISE) e la successiva bonifica dei terreni di competenza e della falda, nell’ambito delle operazioni generali di bonifica del sito di interesse nazionale del Basso Bacino Fiume Chienti identificato con DM 18/9/2001 n. 468 e successivamente perimetrato con DM 26/2/2003.

Tali provvedimenti vengono inoltre impugnati nella parte in cui dettano alcune prescrizioni riguardanti le operazioni di MISE e gli interventi di bonifica che la ricorrente ha comunque attivato in maniera spontanea e collaborativa.

Con ordinanza n. 662/2009 è stata accolta la domanda cautelare proposta con i motivi aggiunti.

In limite litis (29/12/2016) si è costituito in giudizio il solo Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare (di seguito anche MATTM), limitandosi ad eccepire la cessazione della materia del contendere in ragione del fatto che il S.I.N. Bacino del Basso Chienti è stato successivamente declassato a sito di interesse regionale.

Alla pubblica udienza del 2 dicembre 2016 la causa è passata in decisione.

2. Va premessa una sintetica ricostruzione del complessivo contenzioso portato all’attenzione di questo Tribunale in merito alla complessa problematica del SIN “Bacino del Basso Chienti” (in seguito declassificato a sito di interesse regionale).

Una prima serie di ricorsi (indicati anche dall’odierna ricorrente nel mezzo introduttivo) ha investito le decisioni assunte dalla conferenza di servizi operante presso il MATTM il 28/12/2005 e il 22/2/2006; successivamente, pressoché tutti gli originari ricorrenti hanno altresì impugnato le successive determinazioni assunte dalla conferenza di servizi nelle sedute del 10/1/2008, 27/9/2010 e 11/10/2011 (ciascun ricorrente ha ovviamente impugnato solo i provvedimenti che lo riguardavano direttamente).

I ricorsi del 2006 sino ad ora definiti nel merito da questo Tribunale sono stati accolti con le sentenze nn. 857/2009 (confermata di recente dal Consiglio di Stato), 124, 126, 127, 128 e 129/2015. Va per inciso rilevato che la sentenza n. 124/2015 è stata pronunciata sul ricorso n. 311/2006 proposto da Arredamenti Maurizi S.r.l.

Alcuni ricorsi del 2008 (e relativi motivi aggiunti) sono stati decisi nel corso del corrente anno con le sentenze nn. 344, 345, 346 e 347/2016. Questi ricorsi, a differenza di quelli precedenti, non hanno avuto la medesima sorte, visto che alcuni di essi sono stati respinti e altri accolti, in tutto o in parte.

3. Ciò premesso, l’odierno Collegio ritiene che la posizione della ditta Arredamenti Maurizi sia assimilabile a quella del soggetto che ha proposto il ricorso n. 269/2008 R.G., accolto con la citata sentenza n. 345/2016.

In effetti, Arredamenti Maurizi svolge attività di costruzione e vendita di mobili e complementi d’arredo, e quindi un’attività che non è suscettibile, salvo il verificarsi di eventi accidentali (quale, ad esempio, lo sversamento di vernici utilizzate per la colorazione dei mobili dovuto alla rottura dei contenitori), di produrre un inquinamento del suolo e delle falde della gravità di quello registrato nel S.I.N. Bacino del Basso Chienti. Tali considerazioni trovano conferma sia nella nota prot. n. 191827/28/09/2007/R.Marche/GRM/CRA/08/P della Regione Marche (in cui si dice che non vi sono elementi che consentano di stabilire se la presunta contaminazione della falda sia o meno influenzata dal sito in esame), sia nel fatto che, pur avendo l’ARPAM denegato la validazione dei risultati delle analisi chimiche eseguite dalla ricorrente nei mesi precedenti, non è stato versato in giudizio il risultato del nuovo campionamento eseguito. Né il Ministero ha provato in giudizio la sussistenza di elementi indiziari idonei a sorreggere l’affermazione della responsabilità della società ricorrente nella produzione dell’inquinamento.

Peraltro, avendo la ricorrente deciso autonomamente di proseguire nelle attività di MISE e bonifica intraprese, vanno esaminate anche le censure inerenti le modalità attuative di tali misure impartite dalla conferenza di servizi, le quali sono invece per la gran parte infondate.

4. Al riguardo, pertanto, l’odierno Collegio ritiene sufficiente richiamare la motivazione della citata sentenza n. 345/2016 (mutatis mutandis, ovviamente).

4.1. Con riferimento alla questione della responsabilità nella causazione dell’inquinamento, il Tribunale ha statuito che “…. Attraverso una prima serie di doglianze (variamente contenute nei motivi I-II-V-VI-XI del ricorso introduttivo del giudizio e nei motivi I-II-V-VI-XII del successivo ricorso per motivi aggiunti), viene dedotta violazione di legge ed eccesso di potere sotto svariati profili. In particolare la ricorrente contesta le decisioni delle conferenze di servizi che impongono, al proprietario dell’area, interventi di MISE e di bonifica senza adeguata istruttoria volta ad individuare il responsabile e la provenienza dell’inquinamento (soprattutto in ordine allo stato della falda di proprietà pubblica la cui bonifica non compete ai soggetti privati); inquinamento che, nel caso specifico, è di tipo diffuso e risalente agli anni 70, pertanto non imputabile all’attuale ricorrente che allega di svolgere attività di costruzioni edili e di aver acquistato l’area (per scopi edificatori) quattro anni prima da un precedente soggetto che svolgeva attività industriale nel comparto calzaturiero.

Le censure vanno condivise.

Riguardo all’individuazione del responsabile dell’inquinamento, l’odierno Collegio non intravede ragioni per discostarsi dall’orientamento espresso nelle sentenze sopra richiamate (cfr. anche TAR Marche, nn. 123, 124 e 125/2015), e aderente alla decisione della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, Grande Sezione, del 9.3.2010, in causa C-378/08 (cui ha sostanzialmente aderito la successiva decisione della stessa Corte, Sez. III, del 4.3.2015, causa C-534/13), nella quale si è affermato che, conformemente al principio “chi inquina paga”, l’obbligo di riparazione incombe agli operatori solo in misura corrispondente al loro contributo al verificarsi dell’inquinamento o al rischio di inquinamento e che è possibile presumere l’esistenza di un nesso di causalità tra determinati operatori e l’inquinamento accertato attraverso indizi plausibili quali la vicinanza dell’impianto dell’operatore all’inquinamento accertato e la corrispondenza tra le sostanze inquinanti ritrovate e i componenti impiegati da detto operatore nell’esercizio della sua attività. Quando disponga di indizi di tal genere, l’autorità competente è allora in condizione di dimostrare un nesso di causalità tra le attività degli operatori e l’inquinamento diffuso rilevato.

Sul punto va ricordato che l’area del sito di interesse nazionale del Basso Bacino Fiume Chienti “… è interessata dalla presenza di numerose aziende del settore calzaturiero, che utilizzano composti organoalogenati per il lavaggio di fondi di calzature in poliuretano. I rifiuti di tali processi, classificati come pericolosi, sono stati sversati sul suolo, nel sottosuolo e nelle acque di falda attraverso pozzi. Gli inquinanti, costituiti prevalentemente da tricloroetano, tricloroetilene e tetracloroetilene, hanno contaminato una vasta area in sinistra idrografica del fiume Chienti, avente un’ampiezza attorno ai 10 km2 (Comuni di Civitanova Marche, Montecosaro, Morrovalle), un’area più limitata in destra idrografica, limitatamente agli ultimi 2 km della foce del fiume (Comune di Porto Sant’Elpidio) ed un’area più ristretta, la cui estensione è da definire, in destra idrografica del fiume (Comune di Sant’Elpidio a Mare)” (cfr. All. E al DM 18.9.2001 n. 468).

Nel caso specifico la diversa attività imprenditoriale esercitata dalla ricorrente (costruzioni edili) e il recente acquisto dell’area, costituiscono elementi indiziari che escludono la relativa responsabilità (diretta).

Riguardo alla diversa responsabilità del mero proprietario, in qualità di custode della cosa ritenuta pericolosa, invocata dall’Amministrazione resistente con la memoria depositata in data 1.2.2011, va osservato che non emerge alcun elemento di prova della sua esistenza; elementi di prova che avrebbero dovuto essere forniti dalla stessa amministrazione, indagando, ad esempio, sulla conoscenza della pericolosità e sull’omissione delle dovute cautele che avrebbero potuto impedire l’aggravamento del danno (ammesso che si sia verificato) dal momento in cui il soggetto ha acquisito il possesso della cosa.

Come si legge negli atti impugnati, la stessa ricorrente, benché recente proprietaria del sito, ha comunque deciso di intraprendere spontaneamente interventi di caratterizzazione, di MISE e di bonifica, il che depone in proprio favore sotto il profilo della contestata responsabilità in esame.

Gli atti impugnati sono quindi illegittimi e vanno annullati nella parte in cui impongono misure e interventi senza adeguata istruttoria volta ad accertare la responsabilità della ricorrente nell’inquinamento del sito.

5. Stante la fondatezza delle doglianze precedenti possono considerarsi assorbite le censure di cui al III, IV, VII e IX motivo del ricorso introduttivo del giudizio e riproposte nei corrispondenti motivi del ricorso per motivi aggiunti….”.

Analoga pronuncia di assorbimento può essere adottata nel caso di specie con riguardo alle censure di cui al III, IV, VII e IX motivo del mezzo introduttivo ed all’unica censura autonoma contenuta nell’atto di motivi aggiunti (pagg. 27 e ss.).

4.2. Con riferimento, invece, alle prescrizioni impartite dalla conferenza di servizi, il Tribunale ha statuito che “…Con l’VIII motivo del ricorso introduttivo del giudizio (riproposto nell’VIII motivo del ricorso per motivi aggiunti), viene dedotta violazione di legge ed eccesso di potere nel prescrivere che le acque emunte devono essere considerate rifiuto liquido e trattate di conseguenza. La doglianza viene riproposta nel XII motivo del ricorso introduttivo del giudizio (a sua volta ripresa nel XIII motivo del ricorso per motivi aggiunti) rivolto conto i provvedimenti adottati dai Comuni di Montecorsaro e Porto S. Elpidio nonché dalla Provincia di Macerata. Può quindi essere trattata in questa sede sotto tale profilo.

La censura è infondata.

Al riguardo occorre rilevare che la contestazione in esame trae origine dalla seguente prescrizione che si legge alle pagine 7 e 8 del verbale della conferenza di servizi del 10.1.2008, secondo cui: “le acque contaminate emunte sono rifiuti e che la remissione in falda è consentito solo a seguito di idoneo trattamento delle medesime acque che deve assicurare allo scarico i limiti di tabella 2 Allegato 5, Parte Quarta, Titolo V del d.lgs. n. 152 del 2006…”.

Detta prescrizione, applicata anche in altri siti di interesse nazionale, è già stata oggetto di ripetute pronunce del giudice amministrativo che ne hanno affermato la legittimità e che l’odierno Collegio non intravede ragioni per disattendere.

Si può ricordare, da ultimo, la diffusa argomentazione contenuta nella sentenza del Consiglio di Stato, Sez. VI, 4.3.2015 n. 1054 (cfr. punti 7.2 e 8.2.1), secondo cui (in sintesi):

– “la qualità delle acque che possono essere reimmesse nei corpi recettori, se sconta l’applicazione della normativa dedicata alle acque reflue industriali di cui al medesimo decreto, non è sottratta al rispetto delle altre normative comunitarie e nazionali, tra le quali la stessa normativa relativa ai rifiuti contenuta nel d.lgs. n. 152, il cui art. 185, nel testo vigente all’epoca dei fatti, nell’escludere dal campo di applicazione della parte quarta gli scarichi idrici, espressamente fa eccezione per <i rifiuti liquidi costituiti da acque reflue>;

– non è fondata perciò la tesi dell’esclusione a priori, ai sensi dell’art. 243, della riconduzione al regime proprio dei rifiuti liquidi delle acque emunte in disinquinamento della falda, poiché al contrario <l’individuazione del regime normativo concretamente applicabile non può non tenere conto della particolare natura dell’oggetto dell’attività posta in essere, siccome individuati dal legislatore quali rifiuti liquidi, come emerge dalla classificazione attraverso i codici CER allegati al decreto. L’allegato D alla parte quarta del medesimo decreto legislativo, nell’elencare i rifiuti conformemente all’articolo 1, lettera a), della direttiva 75/442/CEE e all’articolo 1, paragrafo 4, della direttiva 91/689/CEE relativa ai rifiuti pericolosi di cui alla decisione della Commissione 2000/532/CE del 3 maggio 2000 e alla direttiva del Ministero dell’ambiente 9 aprile 2002, ha infatti espressamente previsto, sub 19.13.07 e 19.13.08, i <rifiuti liquidi acquosi e concentrati acquosi prodotti dalle operazioni di risanamento delle acque di falda>”…”.

L’odierno Collegio ritiene di dover confermare i suesposti principi anche nel presente giudizio, non essendo stati dedotti da parte ricorrente argomenti tali da porre in dubbio le conclusioni rassegnate dal Tribunale nel richiamato precedente.

A tal proposito va ulteriormente disattesa l’eccezione di giudicato esterno formulata dalla ricorrente nella memoria conclusionale del 31 ottobre 2016 con riguardo al contenuto della citata sentenza n. 124/2015, resa inter partes. La richiamata decisione ha in effetti affrontato solo la questione relativa alla responsabilità della ditta ricorrente nella causazione dell’inquinamento, escludendola sulla base dei medesimi argomenti esposti al precedente punto 4.1.; il Tribunale non ha invece in quella sede esaminato doglianze relative alle modalità operative imposte dalla conferenza di servizi per l’esecuzione della MISE e della bonifica (e ciò anche per il fatto che tali prescrizioni sono state impartite solo con i provvedimenti impugnati in questa sede). Nessun giudicato si è pertanto formato sul punto.

5. Il ricorso, integrato da motivi aggiunti, va conclusivamente accolto nei limiti di cui ai precedente punti 4., e 4.1.

A questo riguardo va osservato che l’eccezione formulata dal MATTM non può trovare accoglimento, visto che la legittimità di un provvedimento va delibata alla luce dello stato di fatto e di diritto esistenti al momento della sua adozione. Nel caso di specie al momento dell’adozione degli atti impugnati quello in esame era ancora un S.I.N. e dunque in materia di MISE e di bonifica sussisteva la competenza statale.

6. Le spese di giudizio possono essere compensate, sia in considerazione della particolarità e per certi versi complessità della vicenda in esame, sia dell’accoglimento solo parziale delle censure dedotte.


P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso e sui motivi aggiunti, come in epigrafe proposti, li accoglie nei limiti di cui in motivazione e compensa le spese di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Ancona nelle camere di consiglio dei giorni 2 dicembre 2016 e 13 gennaio 2017, con l’intervento dei magistrati:

Maddalena Filippi, Presidente
Tommaso Capitanio, Consigliere, Estensore
Francesca Aprile, Primo Referendario

L’ESTENSORE
Tommaso Capitanio
 

IL PRESIDENTE
Maddalena Filippi
        
 
IL SEGRETARIO
 

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