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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Acqua - Inquinamento idrico Numero: 2985 | Data di udienza: 26 Aprile 2016

ACQUA – INQUINAMENTO IDRICO – Smaltimento delle acque reflue provenienti dalla lavorazione delle olive – Frantoi oleari – Natura di attività industriale – Destinati alla produzione di beni – Artt. 123, 124 e 137 D. Lgs. n.152/06 – Giurisprudenza.


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 20 Gennaio 2017
Numero: 2985
Data di udienza: 26 Aprile 2016
Presidente: GRILLO
Estensore: GRILLO


Premassima

ACQUA – INQUINAMENTO IDRICO – Smaltimento delle acque reflue provenienti dalla lavorazione delle olive – Frantoi oleari – Natura di attività industriale – Destinati alla produzione di beni – Artt. 123, 124 e 137 D. Lgs. n.152/06 – Giurisprudenza.



Massima

 

 


CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 20/01/2017 (Ud. 26/04/2016) Sentenza n.2985

 
ACQUA – INQUINAMENTO IDRICO – Smaltimento delle acque reflue provenienti dalla lavorazione delle olive – Frantoi oleari – Natura di attività industriale – Destinati alla produzione di beni – Artt. 123, 124 e 137 D. Lgs. n.152/06.
 
Integra la contravvenzione di cui all’art. 137 D.Lgs. n.152/06 lo scarico senza autorizzazione sul terreno e poi sin un corso d’acqua dei reflui derivanti dalla molitura delle olive in base al combinato disposto degli artt. 124 comma 1 ° e 137 del D. Lgs. n.152/06 tenuto conto della natura di attività industriale connessa ai frantoi oleari in quanto destinati alla produzione di beni (Cass. Sez. 3^ 10.2.2015 n. 12023, Fusaro; Sez. 7/3 Ord. 10.4.2015 n. 37442, Muraglia).
 
 
(annulla senza rinvio sentenza del 18/12/2013 del TRIBUNALE di MESSINA) Pres. GRILLO, Rel. GRILLO, Ric. Lenzo
 
 

Allegato


Titolo Completo

CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 20/01/2017 (Ud. 26/04/2016) Sentenza n.2985

SENTENZA

 

 
 
 
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 20/01/2017 (Ud. 26/04/2016) Sentenza n.2985
 
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
 
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
 
omissis
 
ha pronunciato la seguente
 
SENTENZA
 
sul ricorso proposto da LENZO ANTONINO nato il 24/10/1963 a MESSINA;
 
avverso la sentenza del 18/12/2013 del TRIBUNALE di MESSINA;
 
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
 
udita in PUBBLICA UDIENZA del 26/04/2016, la relazione svolta dal Presidente RENATO GRILLO;
 
Udito il Procuratore Generale in persona del PAOLO CANEVELLI che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
 
RITENUTO IN FATTO
 
1.1 Con sentenza del 18 dicembre 2013 il Tribunale di Messina in composizione monocratica dichiarava LENZO Antonino colpevole del reato di cui all’art. 157 del D. Lgs. 152/06 “, condannandolo alla pena di€ 1.000,00 di ammenda.
 
1.2 Per l’annullamento della detta sentenza l’imputato, tramite il proprio difensore di fiducia proponeva appello, poi convertito in ricorso dalla Corte di Appello di Messina con ordinanza del 9 febbraio 2015. 
 
Con la detta impugnazione la difesa lamenta, come primo motivo, l’erronea applicazione della legge penale perché mentre il dispositivo della sentenza depositata riportava correttamente quale pena inflitta quella dell’ammenda in relazione alla natura contravvenzionale del reato contestato, nel dispositivo letto in udienza, da ritenersi prevalente sulla parte motiva, era stata indicata la pena di € 1.000,00 di multa. 
 
Con il secondo motivo la difesa lamenta altra inosservanza della legge penale in relazione all’art. 157 del D. Lgs. 152/06, in quanto la violazione contestata successivamente corretta mediante la sostituzione, avvenuta all’udienza del 21 giugno 2010, dell’articolo di legge violato contenuto nel capo di imputazione con l’art. 137 stesso D. Lgs. avrebbe dovuto comportare l’assoluzione dell’imputato dal reato di cui all’art. 157 così come originariamente contestato, non avendo il Tribunale tenuto conto della modifica della imputazione. 
 
Con il terzo motivo la difesa lamenta l’inosservanza ed erronea applicazione della legge penale per avere il Tribunale affermato la responsabilità del LENZO interpretando del tutto erroneamente ed in contrasto con quanto dichiarato dai testimoni, la condotta dell’imputato concretizzatasi non già nello smaltimento delle acque reflue provenienti dalla lavorazione delle olive come affermato in sentenza, ma nel versamento dell’acqua di lavaggio delle olive proveniente dal frantoio dell’imputato, di natura non inquinante: condotta per la quale il LENZO era stato regolarmente autorizzato. Prosegue la difesa rilevando che la produzione effettuata dal P.M. non era utilizzabile in quanto irritualmente acquisita e non risultando certezza alcuna circa la attribuibilità dei fatti al frantoio dell’imputato. 
 
Con il quarto motivo la difesa lamenta l’erronea applicazione della legge penale in relazione al fatto che consistendo la contestazione originaria nello sversamento delle acque di lavaggio delle olive, tale condotta doveva ritenersi del tutto esente da rilievi penali in relazione al contenuto del decreto assessoriale dell’Assessorato regionale al territorio ed all’Ambiente del 16 marzo 2010 pubblicato nella G.U.R.S del 23 aprile successivo ed acquisto in atti che riteneva legittimo lo smaltimento in fogna o in corpo idrico superficiale delle acque di lavaggio delle olive; conseguentemente non poteva configurarsi una responsabilità penale in capo al LENZO, trattandosi di condotta priva del requisito della offensività.

CONSIDERATO IN DIRITTO
 
1. Il ricorso è fondato nei termini e limiti che seguono. 
 
2. Va premesso in punto di fatto che al LENZO è stata contestata la violazione dell’art. 157 D. Lgs. 152/06 “in quanto scaricava liquami derivanti dal lavaggio delle olive nel torrente Dinarini” [reato commesso in Mandanici il 21 novembre 2008]. Dal testo della – per vero laconica – sentenza impugnata emerge che la responsabilità del LENZO è stata affermata in relazione al ritenuto smaltimento nel torrente Dinarini delle acque reflue delle lavorazioni delle olive provenienti dal suo frantoio in assenza dell’autorizzazione soprattutto in considerazione del fatto che lo sversamento riguardava non solo le acque di lavaggio delle olive, ma anche le acque reflue provenienti dalla molitura e dalla centrifuga del relativo liquido di estrazione. Ciò precisato e chiarito che la norma di legge asseritamente violata non è l’art. 157 del D. Lgs. 152/06, riferendosi detto articolo alle opere di adeguamento del servizio idrico da parte degli enti locali, ma l’art. 137 dello stesso D. Lgs. che prevede al 1 ° comma – per quanto qui rileva – sanzioni penali alternative (arresto o ammenda) in relazione agli artt. 123 e 124 stesso D. Lgs. per chiunque apra o comunque effettui nuovi scarichi di acque reflue industriali senza la preventiva autorizzazione (norma poi indicata nel capo di imputazione a seguito di correzione dello stesso intervenuta all’udienza del 21 giugno 2010, rileva il Collegio che in relazione a tale contestazione la motivazione circa l’affermazione di responsabilità non spiega sufficientemente le ragioni di tale soluzione.
 
3. E’ pacifico l’orientamento di questa Corte Suprema secondo il quale integra la contravvenzione in parola lo scarico senza autorizzazione sul terreno e poi sin un corso d’acqua dei reflui derivanti dalla molitura delle olive in base al combinato disposto degli artt. 124 comma 1 ° e 137 del D. Lgs. 152/06 tenuto conto della natura di attività industriale connessa ai frantoi oleari in quanto destinati alla produzione di beni (Sez. 3^ 10.2.2015 n. 12023, Fusaro, Rv. 262863; Sez. 7/3 Ord. 10.4.2015 n. 37442, Muraglia, Rv. 264451).
 
4. Tanto detto, risulta non esaustiva la motivazione del Tribunale nella parte in cui riconosce la non necessità dell’autorizzazione in riferimento al versamento di acque provenienti dal lavaggio delle olive, tenuto conto della normativa regionale di settore intervenuta con il Decreto assessoriale R.R. del 16 marzo 2010 pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Regione Siciliana del 23 aprile 2010 che considerata legittima l’utilizzazione agronomica delle acque di vegetazione e degli scarichi di frantoi oleari appartenenti a piccole aziende operanti nel settore agroalimentare. In effetti dalla lettura dell’art. 2 del citato O.A. risulta consentita l’utilizzazione agronomica in parola a condizione che venga garantita la tutela dei corpi idrici ed il rispetto delle norme igienico-sanitarie.
 
4.1 Il Tribunale, nell’affermare la responsabilità del LENZO ha, per un verso riconosciuto la superfluità della autorizzazione per le acque di lavaggio, pur non menzionando il provvedimento autorizzativo in realtà prodotto dalla difesa ed acquisito in atti; per altro verso ha riconosciuto la mancanza dell’autorizzazione delle acque reflue provenienti dalla molitura e dalla centrifuga del relativo liquido di estrazione. Tale ultima condotta, però, non emerge chiaramente dal capo di imputazione nonostante la correzione dell’articolo di legge violato e la motivazione in proposito resa dal Tribunale appare sostanzialmente apodittica, non risultando dagli atti in modo chiaro che tipo di sversamento il LENZO avesse effettuato.
 
4.2 Proprio in relazione a tale aspetto la sentenza andrebbe annullata con rinvio affinchè il Tribunale chiarisca l’effettiva condotta posta in essere dall’imputato, tenuto conto anche della normativa regionale disciplinante la materia ed integrativa del D. Lgs. 152/06.
 
4.3 Reputa, però, il Collegio superfluo tale annullamento in relazione alla maturata prescrizione del reato contravvenzionale verificatasi il 21 maggio 2014., tenendo conto della sospensione di mesi sei (dal 19.9.2012 al 20.3.2013) del corso della prescrizione dovuta all’adesione del difensore alla astensione dalle udienze proclamata dalla O.U.A.
 
4.4 Stante la non manifesta infondatezza del ricorso, ed in assenza di cause che possano condurre ad evidenza al proscioglimento immediato del LENZO ex art. 129 cod. proc. pen., vanno richiamate in proposito le regole interpretative di questa Corte Suprema applicabili nella specie, secondo cui, nel caso di maturazione del termine prescrizionale successivamente alla sentenza di appello (o, come in questo caso, alla pronuncia di sentenza di merito inappellabile) è solo l’inammissibilità del ricorso a precludere la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 cod. proc. pen. a causa del mancato formarsi di un valido rapporto di impugnazione (Sez. 4^ 20.1.2004 n. 18641, Tricomi, Rv. 228349; Sez. 2^ 8.5.2013 n. 28848, Ciaffoni, Rv. 256463).
 
5. Conclusivamente la sentenza impugnata va annullata senza rinvio per essere il reato residuo estinto per prescrizione.
 
P.Q.M.
 
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il reato residuo è estinto per prescrizione.
 
 
 
 
 
 
 
 

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