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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Diritto processuale penale, Inquinamento atmosferico Numero: 7390 | Data di udienza: 9 Novembre 2016

INQUINAMENTO ATMOSFERICO – ARIA – Emissioni nauseabondi – Attività di raccolta e trasformazione di sottoprodotti di origine animale e vegetale – Esercizio di attività in assenza di autorizzazione alle emissioni in atmosfera – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Sequestro dello stabilimento – Valutazione del periculum in mora – Istanza di sequestro parziale – Fattispecie – Artt. 268, lett. h), 269 e 279, d. lgs. n. 152/2006.


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 16 Febbraio 2017
Numero: 7390
Data di udienza: 9 Novembre 2016
Presidente: CAVALLO
Estensore: SCARCELLA


Premassima

INQUINAMENTO ATMOSFERICO – ARIA – Emissioni nauseabondi – Attività di raccolta e trasformazione di sottoprodotti di origine animale e vegetale – Esercizio di attività in assenza di autorizzazione alle emissioni in atmosfera – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Sequestro dello stabilimento – Valutazione del periculum in mora – Istanza di sequestro parziale – Fattispecie – Artt. 268, lett. h), 269 e 279, d. lgs. n. 152/2006.



Massima

 

 

 
 
 
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 16/02/2017 (Ud. 09/11/2016) Sentenza n.7390
 
 
 
INQUINAMENTO ATMOSFERICO – ARIA – Emissioni nauseabondi – Attività di raccolta e trasformazione di sottoprodotti di origine animale e vegetale – Esercizio di attività in assenza di autorizzazione alle emissioni in atmosfera – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Sequestro dello stabilimento – Valutazione del periculum in mora – Istanza di sequestro parziale – Fattispecie – Artt. 268, lett. h), 269 e 279, d. lgs. n. 152/2006.
 
E’ legittimo il sequestro dell’intero stabilimento, (quando la condotta di reato riguarda l’intero complesso aziendale nelle varie fasi di lavorazione dei prodotti trattati) laddove sono individuabili singole attività o linee aziendali anche se non produttive direttamente esalazioni che partecipino, comunque, al più generale ciclo di trattamento colpevole delle emissioni. Nella specie, vi era, inoltre, prova del fatto che l’azienda aveva continuato il ciclo produttivo in mancanza della necessaria autorizzazione e nonostante l’espressa diffida a cessare l’attività produttiva inviatale dalla Provincia; in più, dai sopralluoghi effettuati nello stabilimento, era emerso che non vi era un unico luogo di fuoriuscita delle emissioni, cosicché appariva necessario il mantenimento in sequestro dell’intero stabilimento, perché la condotta di reato riguarda l’intero complesso aziendale nelle varie fasi di lavorazione dei prodotti animali trattati.
 
 
(dich. inammiss. il ricorso avverso ordinanza del TRIBUNALE DEL RIESAME di FROSINONE del 7/01/2016) Pres. CAVALLO, Rel. SCARCELLA, Ric. Mangia
 
 

Allegato


Titolo Completo

CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 16/02/2017 (Ud. 09/11/2016) Sentenza n.7390

SENTENZA

 

 

 
 
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 16/02/2017 (Ud. 09/11/2016) Sentenza n.7390
 
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
 
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
 
omissis
 
ha pronunciato la seguente
 
SENTENZA
 
Sul ricorso proposto da xxx. n. xxx a Napoli;
 
avverso la ordinanza del Tribunale del riesame di FROSINONE in data 7/01/2016;
 
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
 
udita la relazione svolta dal consigliere Alessio Scarcella;
 
letta la requisitoria scritta del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. G. Di Leo, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso;
 
RITENUTO IN FATTO
 
1. Con ordinanza emessa in data 7/01/2016, depositata in data 4/02/2016, il tribunale del riesame di Frosinone rigettava l’appello cautelare presentato ex art.322 bis c.p.p. nell’interesse del xxx avverso l’ordinanza del GIP del medesimo tribunale del 27/11/2015 con cui era stata rigettata l’istanza di dissequestro parziale di un’area dello stabilimento della xxx xxx s.r.l. nei limiti specificati con istanza del 20/09/2015 ed allegate planimetrie; giova precisare per migliore intelligibilità dell’impugnazione, che il ricorrente è indagato del reato di esercizio di attività in assenza di autorizzazione alle emissioni in atmosfera (art. 279, d. lgs. n. 152 del 2006), in relazione allo stabilimento presso cui veniva svolta attività di raccolta e trasformazione di sottoprodotti di origine animale e vegetale nonchè di prodotti derivati non destinati al consumo umano; il relativo procedimento penale originava da numerosi esposti e dall’oggettiva presenza di miasmi nauseabondi provenienti dell’opificio, percepibili anche a chilometri di distanza.
 
2. Ha proposto ricorso per cassazione il xxx, a mezzo del proprio difensore fiduciario cassazionista, deducendo un unico motivo, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen., in particolare evocando il vizio di cui all’art. 606, lett. b), c.p.p. per violazione dell’art. 269, d. lgs. n. 152 del 2006.
 
2.1. In sintesi la censura investe il provvedimento impugnato in quanto, sostiene il ricorrente, con l’atto di appello cautelare si era chiesto al tribunale del riesame di valutare la legittimità del provvedimento del GIP che aveva respinto la richiesta di revoca parziale del sequestro di un’area dello stabilimento della LEM, ben individuata negli elaborati planimetrici prodotti in allegato a precedenti istanze, in cui per destinazione progettuale non era prevista alcuna attività di trasformazione dei s.o.a., la sola attinente a emissioni in atmosfera; nell’area denominata “opificio 1”, di cui veniva chiesta la restituzione, dovrebbero infatti compiersi le attività di confezionamento dei s.o.a. analiticamente descritte nella prodotta relazione tecnica in atti, come riportate nel ricorso alle pagg. 2/3; erroneo sarebbe l’argomento utilizzato dai giudici del riesame per respingere l’appello, laddove si afferma che non sarebbero individuabili singole attività aziendali che partecipino del più generale ciclo di trattamento dei s.o.a. come non produttive di esalazioni e che, inoltre, una valutazione frazionata della globale attività aziendale di trattamento dei s.o.a. non sembra consentita né dalle norme da applicare al caso concreto né dagli esiti investigativi raccolti; in particolare, si censura la prima delle due osservazioni, in quanto contrasterebbe con la giurisprudenza di questa Corte che richiede la effettiva sussistenza delle emissioni; quanto alla seconda osservazione, la stessa muoverebbe da un’erronea applicazione della normativa settoriale, in relazione al disposto dell’art. 268, lett. h), d. lgs. n. 152 del 2006, atteso che l’attività da svolgersi all’interno dell’opificio di cui è stata richiesta la restituzione non sarebbe parte del ciclo produttivo cui è destinato lo stabilimento, ossia la trasformazione dei s.o.a., trattandosi di area destinata ad un’attività preliminare alla spedizione dei s.o.a. dopo la raccolta dai singoli produttori ad impianti di trasformazione; illegittima, pertanto è l’ordinanza impugnata laddove ritiene sussistere il periculum in mora, essendovi pericolo astratto che la libera disponibilità dell’area stessa da parte della LEM possa perpetuare gli effetti dannosi e pericolosi della condotta illegittima configurata.
 
3. Con requisitoria scritta depositata preso la cancelleria di questa Corte in data 25/07/2016, il P.G. presso la S.C. di Cassazione ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso, in particolare rilevando che quanto argomentato dal ricorrente sconterebbe la necessità, per essere vagliato, di un esame di questioni di fatto, in generale precluso in sede di legittimità, ma ancora più in materia cautelare reale ex art. 325 c.p.p.
 
CONSIDERATO IN DIRITTO
 
4. Il ricorso dev’essere dichiarato inammissibile.
 
5. Ed invero – oltre la corretta argomentazione esposta dal P.G. in sede di requisitoria scritta secondo cui le questioni dedotte dal ricorrente imporrebbero un apprezzamento di fatto del tutto inconciliabile, in generale, con l’ambito cognitivo di questa Corte, posto che la circostanza dedotta secondo cui l’attività da svolgersi all’interno dell’area di cui è stata chiesta la restituzione non farebbe parte del ciclo produttivo cui è destinato lo stabilimento resuppone una valutazione di merito certamente non esercitabile da parte della S.C. – deve, sul punto, rilevarsi che identica questione aveva costituito oggetto di impugnazione da parte del medesimo ricorrente, già decisa da questa Corte (Sez. 3, n. 42456 del 2015, ud. 9/06/2015 – dep. 22/10/2015, Mangia, non massimata); in particolare, questa Sezione, occupandosi del ricorso avverso l’ordinanza del tribunale del riesame che aveva confermato il provvedimento di sequestro dello stabilimento per cui è processo, nel confutare la doglianza difensiva relativa alla pretesa insussistenza del periculum in mora, aveva espressamente ritenuto corretta la motivazione dell’ordinanza impugnata, in particolare osservando, quanto alla prospettata possibilità di ridurre il sequestro alla sola linea produttiva interessata, come il provvedimento recasse una motivazione pienamente adeguata e coerente, laddove si evidenziava come, dai sopralluoghi effettuati nello stabilimento, fosse emerso “che non vi è un unico luogo di fuoriuscita delle emissioni, cosicché appare necessario il mantenimento in sequestro dell’intero stabilimento, perché la condotta di reato riguarda l’intero complesso aziendale nelle varie fasi di lavorazione dei prodotti animali trattati”; trattasi, all’evidenza, della stessa censura oggi prospettata con l’attuale impugnazione in sede di legittimità dolendosi, infatti, il ricorrente della motivazione del tribunale del riesame nella parte in cui si afferma che non sarebbero individuabili singole attività aziendali che partecipino del più generale ciclo di trattamento dei s.o.a. come non produttive di esalazioni. Trattasi, quindi, di argomentazione già ritenuta corretta da questa Corte rispetto alla quale, pertanto, risulta inutilmente ripetitiva la doglianza mossa nel presente ricorso che si appalesa pertanto inammissibile per manifesta infondatezza.
 
6. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento della somma, ritenuta adeguata, di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
 
P.Q.M.
 
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
 
Così deciso in Roma, nella sede della S.C. di Cassazione, il 9/11/2016
 
 
 
 
 
 
 

 

 

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