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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Diritto processuale penale, Diritto urbanistico - edilizia Numero: 26428 | Data di udienza: 19 Aprile 2017

DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Demolizione del manufatto abusivo – Termine per adempiere – Novanta giorni dal passaggio in giudicato della sentenza – Art. 31 d.P.R. n. 380/2001 – Giurisprudenza – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Condanna per reati edilizi – Pena alla demolizione dei manufatti abusivi – Potere discrezionale del Giudice di subordinare il beneficio della sospensione condizionale della pena – Motivazione.


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 26 Maggio 2017
Numero: 26428
Data di udienza: 19 Aprile 2017
Presidente: AMOROSO
Estensore: MENGONI


Premassima

DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Demolizione del manufatto abusivo – Termine per adempiere – Novanta giorni dal passaggio in giudicato della sentenza – Art. 31 d.P.R. n. 380/2001 – Giurisprudenza – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Condanna per reati edilizi – Pena alla demolizione dei manufatti abusivi – Potere discrezionale del Giudice di subordinare il beneficio della sospensione condizionale della pena – Motivazione.



Massima

  



CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 26/05/2017 (Ud. 19/04/2017) Sentenza n.26428



DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Demolizione del manufatto abusivo – Termine per adempiere – Novanta giorni dal passaggio in giudicato della sentenza – Art. 31 d.P.R. n. 380/2001 – Giurisprudenza.
 
Il termine per adempiere all’obbligo di demolizione del manufatto abusivo, al quale sia stato subordinato il beneficio della sospensione condizionale della pena, nel caso in cui il Giudice abbia omesso di provvedere alla sua indicazione, è quello di novanta giorni dal passaggio in giudicato della sentenza, desumibile dai parametri della disciplina urbanistica prevista dall’art. 31 d.P.R. n. 380 del 2001 (ex multis, Sez. 3, n. 13745 dell’8/3/2016, Annunziata; Sez. 3, n. 7046 del 04/12/2014, dep. 2015, Baccari; Sez. 3 n. 10581 del 6.2.2013, Lombardo).


DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Condanna per reati edilizi – Pena alla demolizione dei manufatti abusivi – Potere discrezionale del Giudice di subordinare il beneficio della sospensione condizionale della pena – Motivazione.
 
In caso di condanna per reati edilizi, è correttamente esercitato il potere discrezionale di subordinare il beneficio della sospensione condizionale della pena alla demolizione dei manufatti abusivamente realizzati quando, in considerazione delle circostanze di fatto, la prognosi di astensione del reo dal commettere nuovi reati può essere positivamente pronunciata, in presenza di una manifestazione di effettivo ravvedimento che si traduce nell’adempimento di un obbligo di “tacere” direttamente funzionale al ripristino del bene offeso (Sez. U, n. 714 del 20/11/1996, Luongo; Sez. 3, n. 3139 del 03/12/2013 – dep. 23/01/2014, Domingo e altro; Sez. 3, sentenza n. 43576 del 2014, ric. Principalli ed altro, Cass.Sez. 3, n. 17729 del 10/3/2016, Abbate). Dell’esercizio di tale facoltà, tuttavia, il giudice deve rendere conto, ove esercitata nei confronti di persone che non hanno mai fruito del beneficio della sospensione condizionale. Non è dunque sufficiente affermare che l’ordine di demolizione ha la funzione di eliminare le conseguenze dannose del reato, ma è necessario spiegare perché, sul piano prognostico di cui all’art. 164, comma 1, cod. pen. si ritenga necessario porre l’esecuzione di tale ordine come condizione per la fruizione del beneficio della sospensione condizionate della pena; ragionando diversamente, infatti, si finirebbe per elidere ogni differenza tra l’ipotesi, facoltativa, di cui all’art. 165, comma 1, cod. pen. e quella, obbligatoria, di cui all’art. 165, comma 2, cod. pen., nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, non è necessario che il Giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altri disattesi o superati da tale valutazione (per tutte, Sez. 3, n. 28535 del 19/3/2014, Lule)
 
 
(dichiara inammiss. il ricorso avverso sentenza del 20/9/2016 CORTE DI APPELLO DI CATANIA) Pres. AMOROSO, Rel. MENGONI, Ric. Consoli ed altra
 

Allegato


Titolo Completo

CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 26/05/2017 (Ud. 19/04/2017) Sentenza n.26428

SENTENZA

 

 

CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 26/05/2017 (Ud. 19/04/2017) Sentenza n.26428
 
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
 
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
 
omissis
 
ha pronunciato la seguente
 
SENTENZA
 
sui ricorsi proposti da
 
Consoli Antonino, nato a Misterbianco (Ct) il 29/8/1951
 
Privitera Maria, nata a Misterbianco (Ct) il 6/10/1959
 
avverso la sentenza del 20/9/2016 della Corte di appello di Catania;
 
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
 
sentita la relazione svolta dal consigliere Enrico Mengoni;
 
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Paolo Canevelli, che ha concluso chiedendo dichiarare inammissibili i ricorsi
 
RITENUTO IN FATTO
 
1. Con sentenza del 20/9/2016, la Corte di appello di Catania confermava la pronuncia emessa il 17/6/2013 dal locale Tribunale, con la quale Antonino Consoli e Maria Privitera erano stati giudicati colpevoli delle contravvenzioni di cui agli artt. 110 cod. pen., 36, I. Regione Sicilia n. 71 del 1978, 44, comma 1, lett. b), 64-65, 93-95, d.P.R. 6 giungo 2001, n. 380 e condannati ciascuno alla pena di tre mesi di arresto e 20.000,00 euro di ammenda; agli stessi era contestato di aver abusivamente realizzato una sopraelevazione di circa 135 mq., con altezza al colmo dì 3,40 mt., in zona sismica ed in violazione della disciplina in materia di cemento armato.
 
2. Propongono congiunto ricorso per cassazione i due imputati, a mezzo del proprio difensore, deducendo i seguenti motivi:
 
– omessa motivazione in ordine alle circostanze attenuanti generiche. La Corte di appello, pronunciandosi sul punto, avrebbe impiegato un argomento meramente apparente e con il quale, peraltro, non avrebbe valutato i plurimi elementi a sostegno della domanda; tra questi, le necessità abitative del figlio, la personalità dei ricorrenti ed modestissimo volume degli abusi;
– omessa motivazione in ordine alla sospensione condizionale della pena. La sentenza avrebbe confermato il beneficio senza specificare le ragioni per le quali lo stesso dovesse esser condizionato alla demolizione dell’opera; in assenza di qualsivoglia automatismo, infatti, la Corte avrebbe dovuto motivare in ordine al collegamento tra tale intervento e la prognosi sulle future condotte dei ricorrenti, come peraltro imposto dalla costante giurisprudenza di questa stessa Sezione;
– omessa motivazione in punto di pena. La decisione non avrebbe motivato quanto al trattamento sanzionatorio irrogato, e pur a fronte di una specifica doglianza di appello che ne contestava l’eccessività; al riguardo, infatti, il mero riferimento ad una pena congrua risulterebbe argomento del tutto apparente;
– omessa indicazione del termine per la demolizione. La Corte di merito – al pari del primo Giudice – non avrebbe indicato un termine entro il quale eseguire l’incombente, come invece dovuto alla luce del richiamato legame con la sospensione condizionale della pena.
 
CONSIDERATO IN DIRITTO
 
3. I ricorsi risultano manifestamente infondati.
 
Con riguardo alla prima doglianza, rileva il Collegio che – per costante e condiviso indirizzo interpretativo – nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, non è necessario che il Giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altri disattesi o superati da tale valutazione (per tutte, Sez. 3, n. 28535 del 19/3/2014, Lule, Rv. 259899); orbene, la Corte di merito ha fatto buon governo di questo principio, evidenziando, per un verso, che non si riscontravano elementi idonei e positivamente valutabili al riguardo e, per altro verso, che le richiamate esigenze abitative del figlio dei ricorrenti (quindi valutate, a differenza di quanto affermato nei gravami) risultavano prive di ogni riscontro processuale, oltre ad esser state introdotte per la prima volta in fase di appello.
 
4. Con riguardo, poi, alla seconda doglianza, occorre qui ribadire (da ultimo, con Sez. 3, n. 17729 del 10/3/2016, Abbate, Rv. 267027) che, in caso di condanna per reati edilizi, è correttamente esercitato il potere discrezionale di subordinare il beneficio della sospensione condizionale della pena alla demolizione dei manufatti abusivamente realizzati quando, in considerazione delle circostanze di fatto, la prognosi di astensione del reo dal commettere nuovi reati può essere positivamente pronunciata, in presenza di una manifestazione di effettivo ravvedimento che si traduce nell’adempimento di un obbligo di “tacere” direttamente funzionale al ripristino del bene offeso (Sez. U, n. 714 del 20/11/1996, Luongo, Rv. 206659; Sez. 3, n. 3139 del 03/12/2013 – dep. 23/01/2014, Domingo e altro, Rv. 258587; Sez. 3, sentenza n. 43576 del 2014, ric. Principalli ed altro, non massimata). Dell’esercizio di tale facoltà, tuttavia, il giudice deve rendere conto, ove esercitata nei confronti di persone che non hanno mai fruito del beneficio della sospensione condizionale. Non è dunque sufficiente affermare che l’ordine di demolizione ha la funzione di eliminare le conseguenze dannose del reato, ma è necessario spiegare perché, sul piano prognostico di cui all’art. 164, comma 1, cod. pen. si ritenga necessario porre l’esecuzione di tale ordine come condizione per la fruizione del beneficio della sospensione condizionate della pena; ragionando diversamente, infatti, si finirebbe per elidere ogni differenza tra l’ipotesi, facoltativa, di cui all’art. 165, comma 1, cod. pen. e quella, obbligatoria, di cui all’art. 165, comma 2, cod. pen..
 
Orbene, tutto ciò premesso, osserva la Corte che la sentenza impugnata ha al riguardo implicitamente richiamato la prima decisione, con la quale il beneficio in esame era stato subordinato alla demolizione in ragione della permanenza delle conseguenze dannose dei reati; dal che, una motivazione congrua e non censurabile in questa sede.
 
5. In ordine, poi, al trattamento sanzionatorio, occorre premettere che – a fronte di una forbice edittale (quanto alla contravvenzione di cui all’art. 44, comma 1, lett. b), d.P.R. n. 380 del 2001) dell’arresto fino a due anni e della ammenda da 5.164 a 51.645 euro – il Tribunale aveva individuato la sanzione nella misura di tre mesi di arresto e 16.000,00 euro di ammenda, poi aumentata ex art. 81 cpv. cod. pen. fino a tre mesi di arresto e 20.000,00 euro di ammenda. Una pena complessiva, quindi, ben al di sotto delta media anche della sola fattispecie di cui al capo a). La Corte di appello ha poi confermato tale quantificazione perché «giusta e correttamente determinata, tenendo conto delta notevole estensione dell’opera abusiva»; in tal modo, dunque, la sentenza ha fatto correttamente applicato il principio – di costante affermazione – in forza del quale il riferimento ad una valutazione di “equità” ed “adeguatezza” della pena – anche se di poco superiore al medio edittale – è sufficiente a soddisfare quel requisito motivazionale richiesto dalla legge processuale per considerare legittima la giustificazione dell’approdo sanzionatorio espresso (tra le molte. Sez. 3, n. 27427 del 16/5/2014, De Gennaro, Rv. 259395; Sez. 2, n. 36245 del 26/06/2009 – dep. 18/09/2009, Denaro, Rv. 245596).
 
6. Da ultimo, la mancata indicazione del termine per la demolizione.
 
Orbene, al riguardo si osserva che l’art. 165 cod. pen., nel prevedere la possibilità che la sospensione della pena venga subordinata all’adempimento di un obbligo (comma 1), stabilisce che il giudice nella sentenza indichi il termine entro il quale tali condotte debbano essere tenute (comma 4); la mancata fissazione di questo termine, tuttavia, non comporta la nullità della clausola, ma solo la necessità della sua integrazione. Sul punto, il Collegio ritiene condivisibile l’indirizzo giurisprudenziale maggioritario, ormai consolidatosi, secondo cui il termine per adempiere all’obbligo di demolizione del manufatto abusivo, al quale sia stato subordinato il beneficio della sospensione condizionale della pena, nel caso in cui il Giudice abbia omesso di provvedere alla sua indicazione, è quello di novanta giorni dal passaggio in giudicato della sentenza, desumibile dai parametri della disciplina urbanistica prevista dall’art. 31 d.P.R. n. 380 del 2001 (ex multis, Sez. 3, n. 13745 dell’8/3/2016, Annunziata, Rv. 266783; Sez. 3, n. 7046 del 04/12/2014, dep. 2015, Baccari, Rv. 262419; Sez. 3 n. 10581 del 6.2.2013, Lombardo, Rv. 254757). È stato opportunamente rilevato, infatti, che è «irrazionale equiparare situazioni giuridiche che perseguono diverse e autonome finalità stante che il beneficio della sospensione condizionale della pena mira a dissuadere il condannato dalla reiterazione del reato onde conseguire il vantaggio della sua estinzione, mentre la condizione apposta al beneficio tende, come nel caso in esame, a rafforzare l’adempimento dell’obbligo di demolire opere abusive, avendo come obiettivo la rapida eliminazione di situazioni antigiuridiche produttive di effetti negativi sull’assetto territoriale. Per tale ragione non è accettabile che la condizione apposta al suddetto beneficio per il conseguimento anticipato del ripristino dell’integrità territoriale possa essere adempiuta fino alla scadenza del termine stabilito, sia pure anche a scopo dissuasivo, per fare conseguire al condannato il vantaggio dell’estinzione del reato» (Sez. 3 n. 23840 del 13.5.2009, Neri, Rv. 244078).
 
7. I ricorsi, pertanto, debbono essere dichiarati inammissibili. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen. ed a carico di ciascun ricorrente, l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 2.000,00.
 
P.Q.M.
 
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 ciascuno in favore della Cassa delle ammende.
 
Così deciso in Roma, il 19 aprile 2017
 
 
 
 
 
 

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