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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Beni culturali ed ambientali, Diritto processuale penale, Diritto urbanistico - edilizia Numero: 30157 | Data di udienza: 23 Maggio 2017

BENI CULTURALI ED AMBIENTALI – Nozione di bellezze paesaggistiche – Luogo soggetto a vincolo paesaggistico – Configurabilità del reato di cui all’articolo 734 cod. pen. – Elementi – Alterate o turbate le visioni di bellezza estetica e panoramica – Artt. 181, co. 1 bis, d. lgs. n. 42/2004  –  DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Nozione urbanistica di “costruzione” – Interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio – Permesso di costruire – Reati urbanistici – Opere abusive – Responsabilità del proprietario non committente – Onere della prova – Elementi indiziari – Compartecipazione morale – Artt. 10, 44, 53, 54, 62, 64, 65, 71, 72 e 75, 93, 94 e 95, d.P.R. n. 380/2001 – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Inammissibilità del ricorso per cassazione – Motivi non specifici – Manifesta infondatezza dei motivi – Effetti – Cause di non punibilità a norma dell’art. 129 cod. proc. pen. – Preclusione di rilevarle e dichiararle – Ricorso avverso una sentenza di condanna cumulativa – Ammissibilità dell’impugnazione per uno dei reati – Effetti processuale anche per gli altri reati – Esclusione – Giurisprudenza.


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 15 Giugno 2017
Numero: 30157
Data di udienza: 23 Maggio 2017
Presidente: SAVANI
Estensore: SCARCELLA


Premassima

BENI CULTURALI ED AMBIENTALI – Nozione di bellezze paesaggistiche – Luogo soggetto a vincolo paesaggistico – Configurabilità del reato di cui all’articolo 734 cod. pen. – Elementi – Alterate o turbate le visioni di bellezza estetica e panoramica – Artt. 181, co. 1 bis, d. lgs. n. 42/2004  –  DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Nozione urbanistica di “costruzione” – Interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio – Permesso di costruire – Reati urbanistici – Opere abusive – Responsabilità del proprietario non committente – Onere della prova – Elementi indiziari – Compartecipazione morale – Artt. 10, 44, 53, 54, 62, 64, 65, 71, 72 e 75, 93, 94 e 95, d.P.R. n. 380/2001 – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Inammissibilità del ricorso per cassazione – Motivi non specifici – Manifesta infondatezza dei motivi – Effetti – Cause di non punibilità a norma dell’art. 129 cod. proc. pen. – Preclusione di rilevarle e dichiararle – Ricorso avverso una sentenza di condanna cumulativa – Ammissibilità dell’impugnazione per uno dei reati – Effetti processuale anche per gli altri reati – Esclusione – Giurisprudenza.



Massima

 

 

 
 
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 15/06/2017 (Ud. 23/05/2017) Sentenza n.30157

 

BENI CULTURALI ED AMBIENTALI – Nozione di bellezze paesaggistiche – Luogo soggetto a vincolo paesaggistico – Configurabilità del reato di cui all’articolo 734 cod. pen. – Elementi – Alterate o turbate le visioni di bellezza estetica e panoramica – Artt. 181, co. 1 bis, d. lgs. n. 42/2004 e 734 cod. pen.. 
 
Le bellezze paesaggistiche sono il risultato di componenti varie (la conformazione del terreno, la vegetazione naturale, la distribuzione, il tipo e l’ubicazione dei fabbricati esistenti, il paesaggio e la cornice complessiva), per cui anche il semplice spianamento del terreno e la distruzione della vegetazione integrano il reato di cui all’articolo 734 cod. pen. (Cass. Sez. 3, n. 1803 del 02/12/1981 – dep. 19/02/1982, Marcon). Inoltre, per la realizzazione del reato previsto dall’art. 734 cod. pen., non è necessaria l’irreparabile distruzione o alterazione della bellezza naturale di un determinato luogo soggetto a vincolo paesaggistico, essendo sufficiente che, a causa delle nuove opere edilizie, siano in qualsiasi modo alterate o turbate le visioni di bellezza estetica e panoramica offerte dalla natura (Cass. Sez. 6, n. 11929 del 21/03/1977 – dep. 29/09/1977, Oricchio).
 
 
DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Nozione urbanistica di “costruzione” – Interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio – Permesso di costruire – Artt. 10, 44, 53, 54, 62, 64, 65, 71, 72 e 75, 93, 94 e 95, d.P.R. n. 380/2001.
 
Costituiscono interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio e sono subordinati a permesso di costruire gli interventi di nuova costruzione. In tema di tutela del territorio, costituisce “costruzione” in senso tecnico – giuridico qualsiasi manufatto tridimensionale, comunque realizzato, che comporti una ben definita occupazione del terreno e dello spazio aereo (Sez. 3, n. 5624 del 17/11/2011 – dep. 14/02/2012, Trovato).

 
DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Reati urbanistici – Opere abusive – Responsabilità del proprietario non committente – Onere della prova – Elementi indiziari – Compartecipazione morale.
 
In tema di reati urbanistici, la prova della responsabilità del proprietario non committente delle opere abusive non può essere desunta esclusivamente dalla piena disponibilità giuridica e di fatto del suolo e dall’interesse specifico ad edificare la nuova costruzione, ma necessita di ulteriori elementi, sintomatici della sua compartecipazione, anche morale, alla realizzazione del manufatto (quali la presentazione della domanda di condono edilizio, i rapporti di parentela o affinità tra esecutore materiale dell’opera e proprietario, la presenza di quest’ultimo “in loco” e lo svolgimento di attività di vigilanza nell’esecuzione dei lavori o il regime patrimoniale dei coniugi), è altrettanto vero, nel caso di specie, vi erano alcuni degli elementi sopra indicati (rapporti di parentela o affinità tra esecutore materiale dell’opera e proprietario; regime patrimoniale dei coniugi) che, aggiunti alla piena disponibilità giuridica e di fatto del suolo ed all’interesse specifico (e comune al coniuge dichiaratosi in via esclusiva committente) ad edificare la nuova costruzione, consentivano di ritenere provata detta compartecipazione morale (Cass. Sez. 3, n. 38492 del 16/09/2016, Avanzato).
 
 
DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Inammissibilità del ricorso per cassazione – Motivi non specifici – Manifesta infondatezza dei motivi – Effetti – Cause di non punibilità a norma dell’art. 129 cod. proc. pen. – Preclusione di rilevarle e dichiararle – Ricorso avverso una sentenza di condanna cumulativa – Ammissibilità dell’impugnazione per uno dei reati – Effetti processuale anche per gli altri reati – Esclusione – Giurisprudenza.
 
E’ inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi non specifici, ossia generici ed indeterminati, che ripropongono le stesse ragioni già esaminate e ritenute infondate dal giudice del gravame o che risultano carenti della necessaria correlazione tra le argomentazioni riportate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione (Cass. Sez.. 4, n. 18826 del 09/02/2012 – dep. 16/05/2012, Pezzo). L’inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 cod. proc. pen. (Nella specie la prescrizione del reato maturata successivamente alla sentenza impugnata con il ricorso: Sez. U, n. 32 del 22/11/2000 – dep. 21/12/2000, D. L). Peraltro, nella specie, trattandosi di ricorso avverso una sentenza di condanna cumulativa, che riguardi più reati ascritti allo stesso imputato, l’autonomia dell’azione penale e dei rapporti processuali inerenti ai singoli capi di imputazione impedisce che l’ammissibilità dell’impugnazione per uno dei reati possa determinare l’instaurazione di un valido rapporto processuale anche per i reati in relazione ai quali i motivi dedotti siano inammissibili, con la conseguenza che per tali reati, nei cui confronti si è formato il giudicato parziale, è preclusa la possibilità di rilevare la prescrizione maturata dopo la sentenza di appello (Sez. U, n. 6903 del 27/05/2016 – dep. 14/02/2017, Aiello e altro).

(riforma sentenza della CORTE D’APPELLO DI NAPOLI del 10.04.2015) Pres. SAVANI, Rel. SCARCELLA, Ric. Massa ed altra

Allegato


Titolo Completo

CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 15/06/2017 (Ud. 23/05/2017) Sentenza n.30157

SENTENZA

 

 
 
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 15/06/2017 (Ud. 23/05/2017) Sentenza n.30157
 
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
 
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
 
omissis
 
ha pronunciato la seguente
 
SENTENZA
 
Sui ricorsi proposti da: 
 
– MASSA FRANCESCO, n. 29.06.1942 a Sorrento
 
– GARGIULO ANNA, n. 16.02.1946 a Sant’Agnello
 
avverso la sentenza della Corte d’appello di NAPOLI in data 10.04.2015;
 
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
 
udita la relazione svolta dal consigliere Alessio Scarcella;
 
udita la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. S. Spinaci, che ha chiesto l’annullamento della sentenza senza rinvio, limitatamente al reato sub c) perché estinto per prescrizione, e l’inammissibilità nel resto dei ricorsi; 
 
RITENUTO IN FATTO
 
1. Con sentenza emessa in data 10.04.2015, depositata in data 20.04.2015, la Corte d’appello di Napoli confermava la sentenza del tribunale di Torre Annunziata dell’11.11.2013, che aveva condannato la Gargiulo ed il Massa, con il concorso di attenuanti generiche prevalenti sulla recidiva contestata, e ritenuta la continuazione tra i reati ascritti, individuato il capo c) della rubrica quale reato più grave, nella misura di 9 mesi di reclusione ciascuno, confermando nel resto l’appellata sentenza che li aveva riconosciuti colpevoli del delitto paesaggistico (capo c) e delle residue contravvenzioni in materia edilizia, urbanistica ed antisismica nonché del reato di cui all’art. 734 cod. pen. (capo d) agli stessi ascritti (capo a: artt. 110 c.p., 44, lett. c), d.P.R. n. 380 del 2001; capo b: artt. 110 c.p., 94, 94 e 95, d.P.R. n. 380 del 2001; capo e: artt. 110 c.p., 53, 54, 65, 71, 72 e 75, d.P.R. n. 380 del 2001), reati commessi secondo le modalità esecutive e spazio – temporali meglio descritte in ciascun capo di imputazione per fatti accertati in data 25/05/2009.
 
2. Hanno proposto congiunto ricorso per cassazione i due imputati, a mezzo del comune difensore di fiducia iscritto all’Albo speciale ex art. 613 cod. proc. pen., deducendo complessivamente quattro motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
 
2.1. Deducono i ricorrenti, con il primo motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. e), cod. proc. pen. sotto il profilo della mera apparenza, contraddittorietà e genericità della motivazione.
 
In sintesi, la censura investe l’impugnata sentenza in quanto, sostengono i ricorrenti, i giudici di appello si sarebbero riportati sostanzialmente alle argomentazioni del primo giudice, incorrendo in una mera duplicazione delle motivazioni addotte, confermando la responsabilità degli imputati in maniera generica e poco convincente; emblematica sul punto sarebbe la contraddizione logica in cui i giudici sarebbero incorsi in ordine alla individuazione della proprietà dell’area interessata dai lavori, avendo infatti correttamente affermato inizialmente che la stessa fosse del Massa, per poi smentire se stessi successivamente nel ritenere anche la moglie, la Gargiulo, colpevole dei reati contestati sul presupposto che i coniugi fossero conviventi; si tratterebbe di affermazione illogica e contraddittoria, avendo infatti lo stesso difensore dei ricorrenti richiesto in sede di appello la rinnovazione istruttoria del teste del PM, tale Brig. Cinque, che avrebbe dovuto deporre sugli accertamento relativi alla committenza, teste inopinatamente revocato dal giudice nonostante l’opposizione difensiva e che si appalesava come prova assolutamente necessaria per eliminare qualsiasi dubbio in ordine al coinvolgimento dell’imputata nei fatti, soprattutto alla luce degli elementi acquisiti da cui emergeva che l’unico responsabile fosse il marito Massa, che sin dal primo momento si era dichiarato unico committente, non risultando in atti né testimonianza né elementi documentali idonei ad estendere la responsabilità concorsuale alla moglie; inoltre, si aggiunge in ricorso, non sarebbe stata fornita alcuna argomentazione circa la natura dell’intervento in questione né se si trattasse di intervento edilizio necessitante o meno di titoli abilitativi o di autorizzazione paesaggistica; analoga censura riguarda il deficit motivazionale a proposito della mancata concessione al Massa del beneficio della sospensione condizionale della pena, non potendo considerarsi sufficiente il mero richiamo incidentale contenuto nella sentenza (ossia il fatto di averne già l’imputato beneficiato in precedenza), nonché quanto alla pena irrogata dal primo giudice.
 
2.2. Deducono i ricorrenti, con il secondo motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. b), cod. proc. pen. per inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 44, lett. c), 93, 94, 95, 53, 64, 65, 71 e 62, d.P.R. n. 380 del 2001, artt. 181, co. 1 bis, d. lgs. n. 42 del 2004 e 734 cod. pen.
 
In sintesi, la censura investe l’impugnata sentenza in quanto, sostengono i ricorrenti, i giudici di appello avrebbero errato nel riportarsi alle motivazioni del primo giudice per quanto concerne l’illiceità sotto i profili urbanistico-ambientali, dell’opera contestata, definita come modesta; la natura delle opere contestate sarebbe stata oggetto di uni esame assai superficiale, e lo stesso teste Pontecorvo, unico ad essere sentito in dibattimento, si sarebbe limitato a richiamare il precedente verbale di sequestro in atti, senza addurre alcun elemento significativo; non risulterebbe dimostrato se l’intervento in questione fosse o meno inquadrabile in un mero ampliamento e/o completamento di un immobile preesistente, o se lo stesso fosse invece inquadrabile nella categoria delle nuove costruzioni, come ritenuto dai giudici di merito; lo stesso tecnico comunale avrebbe affermato che agli atti dell’UTC non vi fosse traccia di precedenti accertamenti; inoltre vi sarebbe incertezza circa l’epoca di realizzazione del fabbricato, anche in considerazione del fatto che non era stata riscontrata la presenza di lavori in corso o di operai; lo stesso rilievo aerofotogrammetrico risalente al 2007 (che non sarebbe utilizzabile a giudizio dei ricorrenti), non apparirebbe in alcun modo chiaro ed indicativo per la scarsa nitidezza dell’immagine e, del resto, il giudice di prime cure non lo avrebbe nemmeno preso in considerazione; nessuna prova certa sarebbe quindi emersa circa la necessità di preventivo assenso mediante uno o più specifici titoli abilitativi o autorizzazioni ambientali, donde la responsabilità degli imputati sarebbe stata affermata per i reati sub a) e sub c), senza i necessari accertamenti, analogamente quanto alle violazioni sub b) ed e); quanto, poi, al reato di cui all’art. 734 cod. pen., la motivazione resa non sarebbe idonea a fondare la responsabilità degli imputati, attesa la natura di reato di danno e non di pericolo e la mancanza di prova concreta e specifica della distruzione o alterazione della bellezza naturale del luogo protetto dall’Autorità. Infine, sotto altro profilo, si censura la sentenza per non aver fatto corretta applicazione dei principi in tema di concorso di persone nel reato, laddove ha ritenuto la moglie del Massa, la Gargiulo, responsabile penalmente solo per essere comproprietaria del bene e coniuge dell’imputata, pur a fronte di elementi in atti che ne comproverebbero l’estraneità (dichiarazioni del marito, sin dal primo atto di indagine dichiaratosi unico committente delle opere; assenza di accertamenti ulteriori sull’effettiva committenza, non essendo peraltro stato sentito l’unico teste in grado di deporre sul punto, il brig. Cinque; il verbale di sequestro era stato elevato solo a carico del Massa; solo quest’ultimo era presente sul luogo e sottoscriveva il verbale anche quale custode; mancanza in atti di istanza amministrativa o di sanatoria relativa al manufatto a firma della Gargiulo); non sarebbe quindi comprensibile come la Gargiulo possa essere stata ritenuta corresponsabile degli illeciti in difetto di prova del suo apporto concorsuale.
 
2.3. Deducono i ricorrenti, con il terzo motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. d), cod. proc. pen. sotto il profilo della mancata assunzione della prova decisiva costituita dalla testimonianza Cinque.
 
In sintesi, la censura investe l’impugnata sentenza in quanto, sostengono i ricorrenti, il primo giudice ritenne superflua la deposizione del teste Cinque, carabiniere, in servizio presso la Stazione competente per territorio, nonostante questi fosse stato indicato nella lista testimoniale del PM ed ammesso in sede istruttoria a deporre; il giudice l’avrebbe revocato, nonostante l’opposizione difensiva e sebbene la decisività della sua deposizione fosse emersa dalle dichiarazioni dell’altro teste escusso, il Pontecorvo, che non era stato in grado di riferire sull’esito degli accertamenti relativi alla committenza dei lavori, affermando che di ciò se ne era occupato proprio il teste Cinque; la motivazione del diniego in ordine all’assunzione del predetto teste era stata fondata sulla superfluità della deposizione, attesa la presenza gli atti del solo titolo di proprietà e del verbale di sequestro, la mancata assunzione di tale prova sarebbe connotata da decisività, proprio alla base delle dichiarazioni dell’unico teste escusso, e tale da poter determinare un esito diverso quanto alla posizione della Gargiulo. 
 
2.4. Deduce il Massa, con il quarto motivo ad esso esclusivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. b), cod. proc. pen. per inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 163 e 164 cod. pen., in relazione al mancato riconoscimento del beneficio della sospensione condizionale della pena all’imputato Massa.
 
In sintesi, la censura investe l’impugnata sentenza in quanto, sostiene il Massa, i giudici di appello avrebbero incomprensibilmente negato il riconoscimento del beneficio della sospensione condizionale della pena; la questione sarebbe stata affrontata in maniera incidentale e scorretta, non essendo chiaro quali siano i precedenti asseritamente ostativi al riconoscimento del beneficio; diversamente la modesta entità dei fatti, anche alla luce del riconoscimento delle attenuanti generiche, avrebbe imposto il riconoscimento del predetto beneficio.
 
CONSIDERATO IN DIRITTO
 
3. Il congiunto ricorso, pur manifestamente infondato in relazione ai motivi proposti, deve tener conto dell’intervenuta declaratoria di incostituzionalità del delitto paesaggistico contestato al capo c), per effetto della sentenza della Corte cost. n. 56 del 2016.
 
4. Ed invero, dev’essere preliminarmente considerata la circostanza sopravvenuta, la cui efficacia certamente coinvolge anche i fatti posti in essere antecedentemente ad essa, rappresentata dalla sentenza della Corte cost. n. 56 del 11/01/2016, pubblicata sulla G.U. del 30/03/2016, dichiarativa dell’illegittimità costituzionale dell’art. 181, comma 1 bis, cit. nella parte in cui lo stesso prevede:«: a) ricadano su immobili od aree che, per le loro caratteristiche paesaggistiche siano stati dichiarati di notevole interesse pubblico con apposito provvedimento emanato in epoca antecedente alla realizzazione dei lavori; b) ricadano su immobili od aree tutelati per legge ai sensi dell’articolo 142 ed».
 
Con tale pronuncia, infatti, la Corte ha ritenuto che la differenziazione normativa delle due ipotesi rispettivamente ascrivibili al comma 1 e al comma 1 bis dell’art. 181, sia il frutto di una disciplina irragionevole resa manifesta “dalla rilevantissima disparità tanto nella configurazione dei reati (nell’un caso delitto, nell’altro contravvenzione), quanto nel trattamento sanzionatorio, in relazione sia all’entità della pena che alla disciplina delle cause di non punibilità ed estinzione del reato”; di qui la necessità, sempre secondo la Corte costituzionale, della “riconduzione delle condotte incidenti sui beni provvedimentali alla fattispecie incriminatrice di cui al comma 1, salvo che, al pari delle condotte incidenti sui beni tutelati per legge, si concretizzino nella realizzazione di lavori che comportino il superamento delle soglie volumetriche indicate al comma 1 bis”.
 
Sicché, rientrando oggi nel comma 1 bis, a seguito dell’intervento appena ricordato, unicamente i lavori “che abbiano comportato un aumento dei manufatti superiore al trenta per cento della volumetria della costruzione originaria o, in alternativa, un ampliamento della medesima superiore a settecentocinquanta metri cubi, ovvero ancora abbiano comportato una nuova costruzione con una volumetria superiore ai mille metri cubi”, la condotta contestata nella specie viene a ricadere all’interno del comma 1, quale norma che, per la sua generale e onnicomprensiva formulazione, è destinata ad “accogliere” tutte quelle condotte che, ad esclusione di quelle appena ricordate, concernono i lavori di qualsiasi genere su beni paesaggistici. Né, si osserva, dalla descrizione di cui al capo di imputazione, emerge che l’intervento (trattandosi di nuova costruzione) abbia superato i 1000 mc., come oggi richiesto ai fini della perseguibilità penale quale delitto della fattispecie paesaggistica. Dal capo di imputazione, infatti, emerge esclusivamente che l’intervento edilizio consistette nell’esecuzione di un fabbricato in e.a. su due livelli di mq. 143 ciascuno, senza alcuna indicazione dell’altezza, elemento indispensabile per poter ricavare dalla superficie il volume dell’unita immobiliare in questione; orbene, può solo individuarsi, non risultando aliunde un dato diverso e superiore, il parametro edilizio previsto ex lege, che richiede un’altezza di almeno 2.70 mt.
 
Si tratta, nello specifico, dell’art. 43, comma secondo, della legge 5 agosto 1978, n. 457 che, nel dettare la disciplina delle «caratteristiche tecniche degli edifici e delle abitazioni», espressamente prevede che “Per l’edilizia residenziale, anche non fruente di contributi pubblici, sono consentite: a) omissis; b) altezze nette degli ambienti abitativi e dei vani accessori delle abitazioni, misurate tra pavimento e soffitto, fatte salve eventuali inferiori altezze previste da vigenti regolamenti edilizi, non inferiori a metri 2,70 per gli ambienti abitativi, e metri 2,40 per i vani accessori”.
 
Orbene, tenuto conto di tale indicazione, e considerando la superficie complessiva dell’immobile risultante dal capo di imputazione, pari a complessivi mq. 286 circa, il relativo volume non supererebbe comunque il limite dei 1000 mc. richiesto dalla previsione del comma 1-bis, dell’art. 181, d. lgs. n. 42 del 2004 per la perseguibilità quale delitto del fatto contestato al capo e) della rubrica, essendo infatti pari a mc. 772,20 (ossia mq. 286 x h. 2.70 mt.).
 
Ma se così è, mentre, da un lato, perdono ogni rilevanza le tematiche poste dal ricorso congiunto con riguardo appunto alla corretta o meno individuazione nella specie delle necessarie caratteristiche della dichiarazione di notevole interesse pubblico, dall’altro, in ragione della acquistata veste contravvenzionale del reato contestato, non può non prendersi atto della intervenuta prescrizione dello stesso in data 2.05.2016, ovvero alla scadenza del termine di anni quattro e mesi sei a decorrere dal 27.05.2009 quale data dell’accertamento non seguita da prosecuzione, cui vanno aggiunti complessivi gg. 706 di sospensione o per effetto di rinvii di udienze disposti per adesione dei difensori all’astensione proclamata dalla categoria professionale di appartenenza (dal 21.09.2010 al 5.04.2011; dal 5.04.2011 al 12.12.2011; dal 18.09.2012 al 22.01.2013) o per effetto di rinvii di udienze disposti per impedimento dell’imputato o del difensore (dal 22.01.2013, per gg. 60; dal 30.04.2013, per gg. 60; dal 29.10.2013 all’ll.11.2013 su istanza del difensore).
 
5. Generici e manifestamente infondati, nel resto, sono i residui profili di doglianza. Anzitutto, quanto al secondo motivo comune ad entrambi i ricorrenti, da valutarsi congiuntamente al primo motivo ad essi pure comune in quanto tendente a cogliere presunti deficit motivazionali afferenti alla ritenuta responsabilità penale per i residui reati contestati.
 
Ed invero, in ordine alla configurabilità delle residue contravvenzioni, la motivazione della Corte d’appello non si espone alle evocate censure di vizio motivazionale ed è assolutamente corretta sul piano giuridico. Precisano i giudici di appello infatti che a seguito del sopralluogo eseguito in data 27 .05.2009 sul terreno di proprietà del Massa, era stata accertata la realizzazione di un manufatto costituito, da un piano seminterrato ed un piano rialzato, comportante una modificazione del territorio necessitante di apposita autorizzazione, mediante il rilascio della concessione edilizia, mai richiesta; la Corte indica nell’art. 1, legge n. 10 del 1977, la norma di riferimento, essendo soggetta a concessione edilizia ogni attività che comporti una trasformazione del territorio. Chiariscono, sul punto, i giudici di appello che la realizzazione del manufatto in questione, trattandosi di un fabbricato di due piani, aveva comportato con tutta evidenza – come emergenti dai rilievi fotografici acquisiti e dal verbale di sequestro – una radicale trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio comunale trattandosi di opere stabilmente ancorate al suolo e di carattere permanente. Da qui i giudici hanno non solo fatto discender la sussistenza del reato edilizio sub a), ma anche dei reati sub b) ed e) della rubrica, poiché dall’istruttoria era emerso non solo l’impiego di cemento armato nella costruzione dell’immobile, ma anche il mancato deposito del progetto da parte di tecnico abilitato. Analogamente, i giudici ritengono sussistente il reato di cui all’art. 734 cod. pen., sottolineando come la visione delle fotografie evidenziasse l’integrazione della fattispecie penale de qua, essendo stato realizzato il manufatto in zona non urbanizzata, in una zona tra le più belle del nostro Paese e dove è presente una folta vegetazione, aggiungendo, peraltro, al fine di descrivere il danno conseguitone, come l’attività di sbancamento e di sfoltimento della vegetazione operata per far luogo alla creazione del fabbricato, aveva certamente distrutto ed alterato le bellezze naturali preesistenti.
 
6. Al cospetto di tale apparato argomentativo, le doglianze dei ricorrenti si espongono anzitutto al vizio di genericità per aspecificità, in quanto mostrano di non tener conto delle argomentazioni sviluppate dalla Corte territoriale a confutazione delle identiche censure sollevate nell’atto di appello, per così dire “replicate” in sede di impugnazione di legittimità senza alcuna apprezzabile elemento di novità né tantomeno sviluppando critiche meritevoli di pregio alla sentenza impugnata. Trova pertanto applicazione nel caso in esame la giurisprudenza consolidata di questa Corte secondo cui è inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi non specifici, ossia generici ed indeterminati, che ripropongono le stesse ragioni già esaminate e ritenute infondate dal giudice del gravame o che risultano carenti della necessaria correlazione tra le argomentazioni riportate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione (v., tra le tante: Sez.. 4, n. 18826 del 09/02/2012 – dep. 16/05/2012, Pezzo, Rv. 253849).
 
7. I motivi, come detto, sono anche manifestamente infondati.
 
La realizzazione di un fabbricato di due piani, infatti, è intervento edilizio soggetto al permesso di costruire in quanto nuova costruzione ai sensi dell’art. 10, d.p.R. n. 380 del 2001 che, nel disciplinare gli «Interventi subordinati a permesso di costruire», stabilisce inequivocamente che “1. Costituiscono interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio e sono subordinati a permesso di costruire: a) gli interventi di nuova costruzione; omissis). E tal proposito, questa Corte ha chiarito che in tema di tutela del territorio, costituisce “costruzione” in senso tecnico – giuridico qualsiasi manufatto tridimensionale, comunque realizzato, che comporti una ben definita occupazione del terreno e dello spazio aereo. (Sez. 3, n. 5624 del 17/11/2011 – dep. 14/02/2012, Trovato, Rv. 251904).
 
Non v’è dubbio, poi, che ricorra anche la violazione sub b) ed e) della rubrica, in quanto nella costruzione del fabbricato è stato accertato l’impiego di cemento armato per di più in zona sismica, senza che siano state seguite le indicazioni normative richieste dalle norme indicate nei capi di imputazione relativi.
 
Per analoghe ragioni, infine, è manifestamente infondata la doglianza relativa alla asserita non configurabilità del reato di cui all’art. 734 c.p., avendo infatti dato atto la Corte d’appello che, per la realizzazione della nuova costruzione, era stata  eseguita un’attività di sbancamento e sfoltimento della vegetazione per far luogo alla creazione del fabbricato. Ed è pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che le bellezze paesaggistiche sono il risultato di componenti varie (la conformazione del terreno, la vegetazione naturale, la distribuzione, il tipo e l’ubicazione dei fabbricati esistenti, il paesaggio e la cornice complessiva), per cui anche il semplice spianamento del terreno e la distruzione della vegetazione integrano il reato di cui all’articolo 734 cod. pen. (nella specie trattavasi di sbancamento e livellamento di terreno collinare in località sottoposta a vincolo ai sensi del d.m. 14 aprile 1975: Sez. 3, n. 1803 del 02/12/1981 – dep. 19/02/1982, MARCON, Rv. 152403). Per la realizzazione del reato previsto dall’art. 734 cod. pen., non è infatti necessaria l’irreparabile distruzione o alterazione della bellezza naturale di un determinato luogo soggetto a vincolo paesaggistico, essendo sufficiente che, a causa delle nuove opere edilizie, siano in qualsiasi modo alterate o turbate le visioni di bellezza estetica e panoramica offerte dalla natura (Sez. 6, n. 11929 del 21/03/1977 – dep. 29/09/1977, ORICCHIO, Rv. 136871).
 
8. Ad analogo approdo deve pervenirsi quanto alla ritenuta estraneità della Gargiulo oggetto del secondo motivo, cui si ricollega anche il terzo motivo afferente alla presunta mancata assunzione della prova decisiva del verbalizzante Cinque circa l’individuazione del soggetto committente, motivi, entrambi, da valutarsi congiuntamente al primo motivo con cui si evidenziano presunti deficit motivazionali della sentenza sulla questione.
 
Sul punto, la Corte d’appello (pag. 5) attribuisce rilievo non solo alla proprietà del suolo su cui è stato edificato il manufatto (affermazione, questa, contestata dalla ricorrente nell’impugnazione in sede di legittimità), ma anche ad ulteriori elementi di tipo indiziario fondanti la responsabilità della donna in relazione ai reati contestati; in particolare, sottolineano i giudici territoriali come la Gargiulo concorreva nella commissione dei reati quantomeno sotto il profilo della partecipazione morale, in quanto la decisione di utilizzare il manufatto abusivo fosse stata frutto di una scelta di ambedue i coniugi (elemento, questo, nemmeno contestato nel ricorso per cassazione); si aggiunge in sentenza che gli stessi coniugi avevano un evidente interesse a realizzare la costruzione abusiva, che avrebbe accresciuto in termini economici, il patrimonio comune e soddisfatto esigenze di vita che andavano a beneficio dell’intero nucleo familiare. In definitiva, dunque, per i giudici della Corte territoriale una serie di elementi militavano nel senso del coinvolgimento della Gargiulo a titolo di concorso nei reati contestati, elementi rispetto ai quali la questione della proprietà (rectius, comproprietà) dell’area assume rilievo secondario (i coniugi erano conviventi; l’abuso era stato realizzato nel luogo in cui i due coniugi risiedono; il manufatto era destinato a soddisfare le esigenze del nucleo familiare; la Gargiulo – in linea peraltro con quanto affermato dalla giurisprudenza di questa Corte: v., in termini, Sez. 3, n. 7314 del 10/02/2000 – dep. 22/06/2000, Isaia F ed altro, Rv. 216971 – non ha offerto alcuna prova concreta della sua estraneità al fatto e dell’inconsapevolezza di quanto stesse accadendo). 
 
Trattasi di valutazione del tutto corretta e rispondente ai principi più volte affermata da questa Corte, anche più recente, secondo cui se è ben vero che la prova della responsabilità del proprietario non committente delle opere abusive non può essere desunta esclusivamente dalla piena disponibilità giuridica e di fatto del suolo e dall’interesse specifico ad edificare la nuova costruzione, ma necessita di ulteriori elementi, sintomatici della sua compartecipazione, anche morale, alla realizzazione del manufatto (quali la presentazione della domanda di condono edilizio, i rapporti di parentela o affinità tra esecutore materiale dell’opera e proprietario, la presenza di quest’ultimo “in loco” e lo svolgimento di attività di vigilanza nell’esecuzione dei lavori o il regime patrimoniale dei coniugi), è altrettanto vero, nel caso di specie, vi erano alcuni degli elementi sopra indicati (rapporti di parentela o affinità tra esecutore materiale dell’opera e proprietario; regime patrimoniale dei coniugi) che, aggiunti alla piena disponibilità giuridica e di fatto del suolo ed all’interesse specifico (e comune al coniuge dichiaratosi in via esclusiva committente) ad edificare la nuova costruzione, consentivano di ritenere provata detta compartecipazione morale della Gargiulo (v., da ultimo: Sez. 3, n. 38492 del 16/09/2016, Avanzato, Rv. 268014).
 
In considerazione di quanto sopra, peraltro, perde di spessore argomentativo la censura difensiva tendente a far rilevare un presunto vizio di mancata assunzione di prova decisiva, essendo stata infatti desunta la responsabilità a titolo di compartecipazione morale della ricorrente – a prescindere dalla sua veste di committente – su elementi ulteriori rispetto al mero titolo di comproprietaria dell’area su cui i lavori abusivi erano stati eseguiti. La mancata valutazione della richiesta ex art. 603 c.p.p. che – in disparte la genericità della doglianza, non specificando in ricorso l’imputata se e in che termini fosse stata prospettata alla Corte d’appello la predetta istanza, risolvendosi in realtà la doglianza nella mera censura del comportamento del primo giudice che avrebbe revocato l’ordinanza ammissiva della prova testimoniale nonostante l’opposizione – risulta, quindi, non avere inficiato la sentenza, proprio in considerazione della ritenuta – evidentemente per implicito – superfluità dell’esame testimoniale, alla luce degli ulteriori elementi indiziari e valutati in chiave di individuazione della compartecipazione morale dell’imputata al fatto. A ciò, peraltro, dovendosi aggiungere che la mancata rinnovazione dell’istruzione dibattimentale nel giudizio di appello, può costituire violazione dell’art. 606, comma primo, lett. d) cod.proc.pen., solo nel caso di prove sopravvenute o scoperte dopo la sentenza di primo grado (Sez. 1, n. 3972 del 28/11/2013 – dep. 29/01/2014, Inguì, Rv. 259136), situazione che non ricorre nel caso in esame, atteso che il teste Cinque era inserito nella lista ex art. 468 c.p.p. depositata dallo stesso P.M.
 
9. Quanto, infine, alla censura sollevata con il quarto motivo, congiuntamente da esaminarsi al primo in cui si avanzano presunti deficit motivazionali afferenti al mancato riconoscimento del beneficio della sospensione condizionale della pena, trattasi all’evidenza – motivo manifestamente infondato, atteso che è la stessa Corte d’appello a motivare il diniego riferendosi alla precedente concessione, per due volte, del beneficio in questione, ostandovi dunque il combinato disposto degli artt. 163 e 164 cod. pen. (né, si noti, evidenziando nemmeno in ricorso l’imputato se si fosse trattato o meno di reati “depenalizzati”, trattandosi di questione che, al più, in tale ultima ipotesi, avrebbe potuto giustificare un approfondimento motivazionale). Da ultimo, si noti, a confutazione della censura di cui al ricorso, deve comunque ribadirsi che non vi è contrasto tra il diniego in appello della sospensione condizionale della pena perché i numerosi e specifici precedenti penali dell’imputato non consentono un giudizio prognostico favorevole sul fatto che lo stesso si asterrà in futuro dalla commissione di ulteriori reati e la concessione in primo grado delle attenuanti generiche, non ostandovi l’esistenza dei precedenti penali perché non di particolare gravità. Ed invero, si tratta di valutazioni diverse e con finalità differenti, l’una volta a considerare la personalità del reo ai fini della proporzionalità e dell’adeguatezza della pena nel contesto valutativo generale proprio delle attenuanti ex articolo 62 bis cod. pen. e, quindi, con riguardo alla natura e alla consistenza dei precedenti penali; l’altra orientata, invece, a prevenire, in funzione condizionale e quindi disincentivante, la commissione di ulteriori attività criminose e perciò a dar rilievo al numero, oltre che alla gravità, dei precedenti in un giudizio probabilistico in cui non può essere indifferente la propensione a delinquere (Sez. 3, n. 12828 del 18/10/1999 – dep. 11/11/1999, Dal Pont, Rv. 215636).
 
10. Alla luce di quanto sopra, l’impugnata sentenza dev’essere annullata limitata- mente al reato sub c) per essere lo stesso – previa riqualificazione nella contravvenzione di cui all’art. 181, comma primo, d. lgs. n. 42 del 2004 – estinto per prescrizione, con revoca del solo ordine di rimessione in pristino e trasmissione degli atti ad altra sezione della Corte d’appello di Napoli per la rideterminazione della pena, attesa la necessità di rimodulare il trattamento sanzionatorio individuando ex novo il reato più grave su cui individuare la pena base ed applicare l’aumento per la già riconosciuta continuazione, operazione che comportando un apprezzamento di merito dev’essere affidata al Giudice d’appello.
 
Il ricorso, nel resto, dev’essere ritenuto manifestamente infondato, con conseguente declaratoria di inammissibilità con riferimento ai residui reati contravvenzionali per cui è intervenuta condanna. Non rileva, peraltro, l’intervenuto decorso alla data odierna del termine di prescrizione massima in relazione ai reati contestati sub a), b), d) ed e) della rubrica (2.05.2016: prescrizione calcolata ut supra al§ 4), essendo stata pronunciata la sentenza d’appello in data 10.04.2015; trova pertanto applicazione il principio, ribadito più volte da questa Corte, secondo cui l’inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 cod. proc. pen. (Nella specie la prescrizione del reato maturata successivamente alla sentenza impugnata con il ricorso: Sez. U, n. 32 del 22/11/2000 – dep. 21/12/2000, D. L, Rv. 217266).
 
Peraltro, e conclusivamente, trattandosi di ricorso avverso una sentenza di condanna cumulativa, che riguardi più reati ascritti allo stesso imputato, l’autonomia dell’azione penale e dei rapporti processuali inerenti ai singoli capi di imputazione impedisce che l’ammissibilità dell’impugnazione per uno dei reati possa determinare l’instaurazione di un valido rapporto processuale anche per i reati in relazione ai quali i motivi dedotti siano inammissibili, con la conseguenza che per tali reati, nei cui confronti si è formato il giudicato parziale, è preclusa la possibilità di rilevare la prescrizione maturata dopo la sentenza di appello (Sez. U, n. 6903 del 27/05/2016 – dep. 14/02/2017, Aiello e altro, Rv. 268966).
 
11. Il parziale accoglimento dell’impugnazione, impedisce tuttavia l’applicazione del disposto dell’art. 616 c.p.p.
 
P.Q.M.
 
La Corte annulla senza rinvio la sentenza impugnata, riqualificato il fatto sub c) come contravvenzione ai sensi dell’art. 181, primo comma, D. Lgs. n. 42/2004, per essere il predetto reato estinto per prescrizione.
 
Revoca l’ordine di rimessione in pristino.
 
Dispone la trasmissione degli atti ad altra Sezione della Corte d’appello di Napoli per la rideterminazione del trattamento sanzionatorio. 
 
Dichiara inammissibili, nel resto, i ricorsi.
 
Così deciso in Roma, nella sede della S.C. di Cassazione, il 23 maggio 2017
 
 
 

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