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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Diritto processuale penale, Diritto urbanistico - edilizia Numero: 48178 | Data di udienza: 15 Settembre 2017

DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Permesso di costruzione – Violazione dell’obbligo di esposizione del cartello – Responsabilità del titolare del permesso, del direttore dei lavori e dell’esecutore – Art. 27, 29, 44, lett. a, d.P.R. n. 380 del 2001 – Giurisprudenza – "Google Eerth" – Utilizzazione dei fotogrammi scaricati dal sito internet – Prove documentali pienamente utilizzabili – Presupposti e limiti – Artt. 189 o 234, c.1, cod. proc. pen. – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Presupposti e limiti del sindacato di legittimità – Illogicità della motivazione come vizio denunciabile – Percepibilità "ictu oculi" – Diniego della concessione delle attenuanti generiche – Motivazione e considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti.


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 19 Ottobre 2017
Numero: 48178
Data di udienza: 15 Settembre 2017
Presidente: FIALE
Estensore: ACETO


Premassima

DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Permesso di costruzione – Violazione dell’obbligo di esposizione del cartello – Responsabilità del titolare del permesso, del direttore dei lavori e dell’esecutore – Art. 27, 29, 44, lett. a, d.P.R. n. 380 del 2001 – Giurisprudenza – "Google Eerth" – Utilizzazione dei fotogrammi scaricati dal sito internet – Prove documentali pienamente utilizzabili – Presupposti e limiti – Artt. 189 o 234, c.1, cod. proc. pen. – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Presupposti e limiti del sindacato di legittimità – Illogicità della motivazione come vizio denunciabile – Percepibilità "ictu oculi" – Diniego della concessione delle attenuanti generiche – Motivazione e considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti.



Massima

 



CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez.3^ 19/10/2017 (ud. 15/09/2017), Sentenza n.48178



DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Permesso di costruzione – Violazione dell’obbligo di esposizione del cartello – Responsabilità del titolare del permesso, del direttore dei lavori e dell’esecutore – Art. 27, 29, 44, lett. a, d.P.R. n. 380 del 2001 – Giurisprudenza.
 
La violazione dell’obbligo di esposizione del cartello indicante gli estremi del permesso di costruzione, qualora prescritto dal regolamento edilizio o dal provvedimento sindacale, configura una ipotesi di reato anche dopo la entrata in vigore del d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380, ex artt. 27, comma quarto, e 44 lett. a) del citato d.P.R. n. 380, a carico del titolare del permesso, del direttore dei lavori e dell’esecutore (Sez. 3, n. 29730 del 04/06/2013, Stroppini; Sez. 3, n. 16037 del 07/04/2006, Bianco). Premessa la continuità normativa con i vigenti artt. 27, comma 4, e 44, lett. a), d.P.R. n. 380 del 2001, la ‘ratio’ del precetto sta nel fatto che la sistemazione del prescritto cartello, contenente gli estremi del permesso di costruire e degli autori dell’attività costruttiva presso il cantiere, consente una vigilanza rapida, precisa ed efficiente e risponde all’altro scopo di permettere ad ogni cittadino di verificare se i lavori siano stati autorizzati dall’autorità competente; il che non è poco ai fini della trasparenza dell’attività della pubblica amministrazione. Tant’è, che anche l’esposizione, in maniera non visibile, del cartello che risulti comunque presente all’interno del cantiere viola il precetto penale (Sez. 3, n. 40118 del 22/05/2012, Zago).
 

DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – "Google Eerth" – Utilizzazione dei fotogrammi scaricati dal sito internet – Prove documentali pienamente utilizzabili – Presupposti e limiti – Artt. 189 o 234, c.1, cod. proc. pen..
 
I fotogrammi scaricati dal sito internet "Google Eerth", in quanto rappresentano fatti, persone o cose, costituiscono prove documentali pienamente utilizzabili ai sensi dell’art. 234, comma 1, cod. proc. pen., o 189, cod. proc. pen. Anche se ben diversa, ovviamente, è la questione relativa alla valutazione del loro contenuto e alla corrispondenza al vero di quanto in essi rappresentato.
 
 
DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Presupposti e limiti del sindacato di legittimità – Illogicità della motivazione come vizio denunciabile – Percepibilità "ictu oculi" – Giurisprudenza.
 
Il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato – per espressa volontà del legislatore – a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali. L’illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile "ictu oculi", dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento; b) la mancanza e la manifesta illogicità della motivazione devono risultare dal testo del provvedimento impugnato, sicché dedurre tale vizio in sede di legittimità significa dimostrare che il testo del provvedimento è manifestamente carente di motivazione e/o di logica, e non già opporre alla logica valutazione degli atti effettuata dal giudice di merito una diversa ricostruzione, magari altrettanto logica, per cui una volta che il giudice abbia coordinato logicamente gli atti sottoposti al suo esame, a nulla vale opporre che questi atti si prestavano a una diversa lettura o interpretazione, munite di eguale crisma di logicità; c) il travisamento della prova è configurabile solo quando si introduce nella motivazione una informazione rilevante che non esiste nel processo o quando si omette la valutazione di una prova decisiva ai fini della pronuncia, non quando oggetto di censura è la valutazione della prova stessa; il relativo vizio, inoltre, ha natura decisiva solo se l’errore accertato sia idoneo a disarticolare l’intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa del dato processuale/probatorio (Sez. 6, n. 5146 del 16/01/2014, Del Gaudio; Sez. 2, n. 47035 del 03/10/2013, Giugliano).
 
 
DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Diniego della concessione delle attenuanti generiche – Motivazione e considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti.
 
Nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altri disattesi o superati da tale valutazione (Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Lule, Rv. 259899).
 
 
(dichiara inammissibili i ricorsi avverso sentenza del 21/01/2016 della CORTE DI APPELLO DI ANCONA) Pres. FIALE, Rel. ACETO, Ric. Bezziccheri ed altri

Allegato


Titolo Completo

CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez.3^ 19/10/2017 (ud. 15/09/2017), Sentenza n.48178

SENTENZA

 

 
 
 
 
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez.3^ 19/10/2017 (ud. 15/09/2017), Sentenza n.48178
 
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
 
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
 
omissis
 
ha pronunciato la seguente
 
SENTENZA 
 
sui ricorsi proposti da:
 
I. Bezziccheri Augusto, nato a Sant’Angelo in Lizzola (PU) il 25/01/1960,
 
2. Mariani Paolo, nato a Sant’Angelo in Lizzola (PU) il 26/04/1964,
 
3. Marzi Gabriele, nato a Ginevra (Svizzera) il 18/10/1964,
 
4. Mulazzani ltalino, nato a Montegrifoldo (RN) il 23/08/1934,
 
 
avverso la sentenza del 21/01/2016 della Corte di appello di Ancona;
 
 
 
visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
 
udita la relazione svolta dal consigliere Aldo Aceto;
 
udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Stefano Tacci, che ha concluso per l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata limitatamente al reato di cui al capo B perché il fatto non sussiste e per l’inammissibilità, nel resto, dei ricorsi;
 
uditi i difensori, avv. Giuseppe Bucca, in sostituzione dell’avv. Gianluca Bollici, per il Mulazzani, avv. Aldo Valentini per il Bezziccheri, avv. Roberto Tonti per il Marzi ed il Mariani, che hanno concluso riportandosi ai motivi dei rispettivi ricorsi, insistendo per il loro accoglimento e il conseguente annullamento della sentenza impugnata; l’avv. Bucca ha eccepito, in subordine, la prescrizione dei reati. 
 
RITENUTO IN FATTO
 
1. I sigg.ri Bezziccheri Augusto, Mariani Paolo, Marzi Gabriele e Mulazzani Italino ricorrono per l’annullamento della sentenza del 21/01/2016 della Corte di appello di Ancona che ha rigettato le impugnazioni da essi proposte avverso la sentenza del 04/12/2014 del Tribunale di Pesaro che li aveva condannati alla pena, rispettivamente, di due mesi di reclusione e 10.000,00 euro di ammenda, il Bezziccheri ed il Marzi, due mesi di reclusione il Mariani, diecimila euro di ammenda il Mulazzani.
 
Gli imputati, in particolare, sono stati ritenuti responsabili dei reati rubricati ai capi B (art. 44, lett. a, d.P.R. n. 380 del 2001) e e (artt. 110, 481, cod. pen.), ed assolti da quelli rubricati ai capi A (art. 44, lett. b, d.P.R. n. 380 del 2001) e D (artt. 110, 48, 479, cod. pen.) con la formula <<perché il fatto non sussiste>>. Nello specifico, il Bezziccheri ed il Marzi sono stati condannati per i reati di cui ai capi B e C, il Mariani per quello di cui al capo C, il Mulazzani per quello di cui al capo A.
 
2. Il Bezziccheri articola cinque motivi.
 
2.1. Con il primo eccepisce, ai sensi dell’art. 606, lett b) ed e), cod. proc. pen., l’erronea applicazione dell’art. 44, lett. a), d.P.R. n. 380 del 2001 e vizio di motivazione manifestamente illogica e contraddittoria.
 
Deduce, al riguardo, che il fatto costitutivo dell’obbligo di apporre il cartello contenente il richiamo al permesso di costruire e le altre notizie prescritte dall’art. 40, R.E.C., non si può identificare con la tipologia di intervento che si intende realizzare, bensì su quella che si è effettivamente realizzata. Nel caso di specie, si è trattato del ripristino di una strada già esistente e dunque di un’attività soggetta a regime di edilizia libera, come del resto riconosciuto dagli stessi Giudici di merito che hanno assolto tutti gli imputati dal reato di cui all’art. 44, lett. b), d.P.R. n. 380 del 2001, perché il fatto non sussiste. Tale formula assolutoria contraddice la condanna per il reato di cui al capo A visto che, oltretutto, non si era dato l’avvio a nessuno dei lavori previsti nel permesso di costruire, ma solo all’apertura dell’accesso, rappresentato dalla vecchia strada, e a mere attività di spostamento della cotica esistente, come pacificamente riconosciuto in giudizio.
 
2.2. Con il secondo, deducendo la mancanza di consapevolezza della falsità commessa, eccepisce, ai sensi dell’art. 606, lett b) ed e), cod. proc. pen., l’erronea applicazione degli artt. 42, 43 e 481, cod. pen. e vizio di motivazione manifestamente illogica e contraddittoria.
 
Lamenta, sotto un primo profilo, che la prova di tale consapevolezza è stata espressamente e illogicamente desunta da un documento del 23/12/2011 redatto in epoca successiva al sopralluogo del 14/10/2011 e che non ha, all’evidenza, alcun collegamento o connessione con il reato di falso, trattandosi di una mera presa d’atto di quanto risultava dagli accertamenti effettuati dalla Polizia Municipale due mesi prima.
 
Aggiunge, inoltre, che, contrariamente a quanto sostenuto dal Giudice, all’esito dell’istruttoria dibattimentale sono emersi plurimi elementi dai quali si può ricavare che egli non solo non avesse in animo di commettere un delitto di falso allorquando, in veste di proprietario-committente, sottoscrisse la domanda di permesso di costruire corredata dei necessari allegati, ma, prima ancora, neppure si fosse potuto anche solo prefigurare il rischio di una tale evenienza. In particolare, è stato provato che a lui, quale imprenditore molto impegnato, fanno capo numerose società aventi sede sia in Italia che all’estero, della cui direzione economica e produttiva egli si occupava personalmente, portandolo spesso a doversi assentare dall’Italia.
 
Nello specifico è emerso che:
i) il settore nel quale opera prevalentemente è quello della produzione degli imballaggi, l’edilizia occupa un settore marginale dei suoi interessi;
ii) fu la società da diversi anni affittuaria del casolare a sollecitare un intervento di risistemazione in ragione delle precarie condizioni dell’immobile, distante circa sette/otto chilometri dalla propria abitazione e situato in luoghi da lui non frequentati;
iii) come altre volte in passato, anche in questa occasione si era affidato allo studio tecnico associato di Marzi e Mariani, delegando loro, in virtù della loro professionalità e della fiducia riposta, la cura dell’iter amministrativo per il rilascio del permesso di costruire;
iv) chiamato a sottoscrivere la domanda di permesso e la relazione tecnica, non avrebbe mai potuto rappresentarsi il concreto rischio di commettere un falso, né dal processo è emerso alcunché che legittimasse un sospetto di tal genere o che le fotografie rappresentassero uno stato dei luoghi diverso dalla realtà;
v) la semplice firma del documento datato 23/12/2011 non dimostra la sua mala fede, ma solo la sua piena fiducia nei propri tecnici ai quali si era pienamente affidato.
 
2.3. Con il terzo motivo eccepisce, ai sensi dell’art. 606, lett b) ed e), cod. proc. pen., l’erronea applicazione degli artt. 481, cod. pen. e 530, comma 2, cod. proc. pen. e vizio di motivazione manifestamente illogica e contraddittoria.
 
Deduce che è stato trascurato del tutto il fatto che, da un punto di vista urbanistico, vi è perfetta coincidenza tra lo stato di fatto rappresentato nella documentazione fotografica allegata alla domanda di permesso di costruire del 27/05/2010 e quello ritratto nella fotografia del 16/03/2007 agli archivi della Polizia Municipale di Pian del Bruscolo; in entrambi i casi l’edificio, ancorché fatiscente, si presenta in condizioni tali da poterne ancora apprezzare il volume e la conformazione (si richiama al riguardo la testimonianza del consulente tecnico della difesa). Il che significa che in entrambi i casi risultano soddisfatti i parametri urbanistici necessari per giustificare e legittimare un intervento di restauro e risanamento conservativo di un fabbricato ovvero la possibilità di ricostruirne la preesistente conformazione volumetrica, i prospetti, il numero dei piani e le superfici utili (vengono richiamate, a sostegno, la relazione del consulente tecnico e la comunicazione del 02/12/2012 dell’Ufficio Urbanistica del Comune di Tavullia ad essa allegata). La fotografia dell’immobile tratta dal sito
"Google Earth" è di tre mesi successiva alla data di presentazione della domanda di permesso di costruire (27/05/2010) per cui non è ragionevole ritenere in modo automatico che la sua condizione e consistenza fisica corrispondesse a quella di tre mesi o, peggio ancora, tre anni prima. E’ un dato di fatto che fino al 2007, anno della fotografia in possesso della Polizia Municipale e presumibilmente delle fotografie allegate alla pratica edilizia, il casolare si fosse mantenuto pressoché integro nel volume. Le fotografie scattate nel corso del sopralluogo del 14 e del 18 ottobre 2011 raffigurano solo un modestissimo cumulo di macerie, di entità inferiore a quella che dovrebbe risultare in ipotesi di crollo completo; il tutto nell’arco di quattro anni, il che – escluso l’interesse degli imputati – rende ragionevole l’ipotesi dell’intervento umano di asportazione furtiva di materiale edilizio, consumato in un lasso repentino di tempo e ciò sul rilievo che alcuni elementi che componevano il fabbricato (che risale alla seconda metà dell’800), quali coppi, mattoni, pianelle, erano economicamente appetibili sul mercato dei restauri e delle ristrutturazioni di pregio ed avevano, perciò, un certo valore.
 
Il giudice dell’appello ha inoltre riconosciuto piena valenza probatoria ai rilevamenti tratti da "Google Earth" senza neppure rispondere ai dubbi sollevati dalle difese circa la provenienza, la data e i metodi del rilevamento.
 
Parimenti errata è la valutazione dell’ordine di sospensione parziale dei lavori del 14/09/2011, depositato in allegato alla domanda per il riesame della pratica edilizia del 23/12/2011, con il quale il direttore dei lavori dava atto del crollo pressoché integrale del fabbricato, e che secondo la Corte di appello sarebbe stato creato "ad hoc".
 
L’ulteriore prova che il casolare fosse ancora in piedi alla data del 21/05/2010 è fornita dalla circostanza che a quella data, con il toponimo "Cà Giardino", l’immobile fu preso quale punto fiduciario per una misurazione catastale.
 
2.4. Con il quarto motivo, lamentandone l’omessa considerazione da parte della Corte di appello, eccepisce, ai sensi dell’art. 606, lett. b) ed e), cod. proc. pen., l’inosservanza dell’art. 30, d.l. n. 69 del 2013, convertito con legge n. 98 del 2013, che consente, con effetto retroattivo, la ristrutturazione anche di edifici interamente crollati o demoliti (cd. ruderi) purché sia possibile accertarne, come nel caso di specie, la consistenza preesistente.
 
2.5. Con il quinto motivo, deducendo di esser meritevole delle circostanze attenuanti generiche in considerazione del suo minimo apporto alla realizzazione dei reati, della fiducia riposta nei professionisti, del suo buon comportamento processuale, eccepisce, ai sensi dell’art. 606, lett. b) ed e), cod. proc. pen., l’erronea applicazione dell’art. 62-bis, cod. pen., posto che la Corte di appello ha escluso tali circostanze in considerazione della affermata gravità dei fatti e del suo comportamento definito come spregiudicato, nonostante – come detto – gli indici di natura contraria appena indicati, alla luce anche del fatto che il casolare non è stato oggetto di interventi di alcun tipo e della normativa sopravvenuta in materia di ristrutturazioni.
 
3. Gabriele Marzi articola cinque motivi.
 
3.1. Con il primo eccepisce la mancanza, la contraddittorietà o la manifesta illogicità della motivazione per travisamento del fatto e della prova ai sensi dell’art. 606, lett. e), cod. proc. pen..
 
Sotto un primo profilo deduce che la sentenza impugnata è frutto di travisamento del fatto perché poggia sulla premessa errata, o comunque non provata, che alla data della domanda di permesso di costruire il crollo del fabbricato si fosse già verificato. Tale dato non è suffragato da alcun elemento idoneo e dunque deve ritenersi tutt’altro che pacifico. L’unica cosa certa è che il fabbricato crollò effettivamente nell’ottobre 2011, ma nulla prova che il crollo si fosse già verificato con certezza nel mese di maggio dell’anno 2010.
 
Sotto un secondo profilo lamenta che la motivazione attribuisce valenza probatoria fondamentale a testimonianze generiche, imprecise, che non hanno fornito alcuna prova certa ed univoca a sostegno dell’ipotesi accusatoria della dolosa falsa rappresentazione dello stato dei luoghi. In questo senso la motivazione è illogica.
 
L’illogicità della motivazione emerge anche dal fatto che il convincimento della Corte si fonda su mere ipotesi o deduzioni che non superano il ragionevole dubbio sull’epoca del crollo, non essendo idonei i rilevamenti tratti da Google Earth prodotti in giudizio cui i Giudici di appello attribuiscono piena valenza probatoria.
 
Sotto un ultimo profilo, la illogicità della motivazione si palesa allorquando viene negata valenza probatoria a risultanze decisive a sostegno della resi difensiva. Il riferimento è ai rilievi catastali oggetto del terzo motivo di ricorso del Bezziccheri che provano come alla data del 27/05/2010 l’immobile non fosse ancora crollato e non si trovasse in uno stato tale da impedire la lettura delle dimensioni e volumetria, più che sufficienti ai fini dell’intervento richiesto. Nulla esclude che il crollo repentino possa essere stato causato dall’asportazione furtiva di materiali di pregio che ha aggravato le condizioni dell’edificio già interessato da crolli parziali.
 
3.2. Con il secondo ed il terzo motivo, deducendo che le opere realizzate erano in ogni caso soggette a regime di attività edilizia libera, eccepisce, ai sensi dell’art. 606, lett. b), cod. proc. pen., l’erronea applicazione dell’art. 44, lett. a), d.P.R. n. 380 del 2001.
 
3.3. Con il quarto motivo, lamentando la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, eccepisce, ai sensi dell’art. 606, lett. b), cod. proc. pen., la erronea applicazione dell’art. 62-bis, cod. pen..
 
Stigmatizza la manifesta illogicità della motivazione che ha attribuito il carattere della particolare gravità ad una condotta che non può essere definita oggettivamente né grave, né artificiosa. Depongono in tal senso: la propria incensuratezza, le carenze probatorie sulla effettiva consumazione della condotta, il venir meno del suo carattere antigiuridico, il buon comportamento processuale.
 
3.4. Con l’ultimo motivo, invocando, a fini assolutori, la retroattività della legge sopravvenuta più favorevole, eccepisce, ai sensi dell’art. 606, lett. b), cod. proc. pen., l’erronea applicazione della normativa vigente in base alla quale è possibile effettuare un intervento edilizio anche in presenza di un rudere interamente demolito.
 
4.Paolo Mariani articola tre motivi del tutto identici, per titolo e contenuto, al primo, quarto e quinto motivo del ricorso del Marzi.
 
5. Italino Mullazzani propone un unico motivo con il quale, richiamando gli argomenti già oggetto del primo motivo di ricorso del Bezziccheri, eccepisce, ai sensi dell’art. 606, lett. b), cod. proc. pen., l’erronea applicazione dell’art. 44, lett. a), d.P.R. n. 380 del 2001.
 
Aggiunge che l’art. 40, R.E.C. impone l’affissione della tabella contenente i dati della concessione, il che esclude che l’estensione dell’obbligo agli interventi di cd. "edilizia libera", quali quelli effettuati nel caso di specie.
 
CONSIDERATO IN DIRITTO
 
6. I ricorsi sono inammissibili per le ragioni di seguito illustrate.
 
7. I ricorrenti rispondono dei seguenti, residui reati: 
 
7.1. il Bezziccheri, il Marzi ed il Mulazzani <<del reato di cui all’art. 44, lett. a), d.P.R. n. 380 del 2001, perché, nelle rispettive qualità di legale rappresentante della società titolare del permesso di costruire n. 37/2010 del 03/02/2011, il Bezziccheri, di progettista e direttore dei lavori il Marzi, di titolare dell’impresa esecutrice dei lavori il Mulazzani, avevano realizzato le opere oggetto di permesso in assenza della prescritta tabella di cantiere, come previsto dall’art. 40 del regolamento edilizio comunale>> (capo B);
 
7.2. il Bezziccheri, il Marzi ed il Mariani <<del reato di cui agli artt. 110, 481, cod. pen., perché, in concorso ed accordo tra loro, il Bezziccheri ed il Marzi nelle loro qualità già indicate, il Mariani quale progettiste, nella planimetria depositata presso il Comune di Tavullia il 27/05/2010 a corredo della richiesta di permesso di costruire per il restauro e il risanamento conservativo di un fabbricato rurale esistente di proprietà della società del Bezziccheri e ripristino della strada di accesso, e nella relazione tecnica di progetto ad essa allegata (con corredo di fotografie risalenti ad epoca diversa e precedente a quella del deposito), avevano falsamente attestato uno stato di fatto assolutamente difforme dal vero, dichiarando che "l’edificio si presenta in pessimo stato di conservazione, parti dell’edificio sono crollate, le murature perimetrali risultano in diversi punti danneggiate, la copertura è pericolante .. ". laddove l’immobile era da tempo completamente crollato>> (capo C).
 
7.3. Per completezza, visto che ne fanno argomento di contraddizione con la condanna per il reato di cui al capo B, occorre dar conto anche del reato rubricato al capo A dal quale i ricorrenti sono stati assolti perché il fatto non sussiste: <<del reato di cui all’art. 44, lett. b), d.P.R. n. 380 del 2001 perché, nelle loro già indicate qualità, avevano effettuato un intervento edilizio, in assenza di permesso di costruire, consistito in un tracciato stradale non ancora ultimato, costituito da una trincea profonda da mt. 0,70 a mt. 0,80, larga mt. 0,60 e lunga mt. 150,00, colmata e compressa con materiali inerti, di accesso al fabbricato rurale oggetto del permesso di costruire n. 37/2010 rilasciato per lavori di restauro e risanamento conservativo del fabbricato esistente e ripristino strada, permesso successivamente annullato dal Comune perché, essendo emerso che l’immobile era completamente crollato, l’intervento era in contrasto con il divieto di demolizione totale o prevalente dell’edificio e di sua ricostruzione sancito dall’art. 4. 7.2. del PRG. >>.
 
8. Tanto premesso, le eccezioni relative alla insussistenza del reato di cui al capo B (omessa affissione della tabella di cantiere) proposte dal Bezziccheri, dal Marzi e dal Mulazzani, sono manifestamente infondate.
 
8.1. In termini generali, occorre ribadire che la violazione dell’obbligo di esposizione del cartello indicante gli estremi del permesso di costruire, qualora prescritto dal regolamento edilizio o dal provvedimento sindacale, configura una ipotesi di reato anche dopo la entrata in vigore del d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380, ex artt. 27, comma quarto, e 44 lett. a) del citato d.P.R. n. 380, a carico del titolare del permesso, del direttore dei lavori e dell’esecutore (Sez. 3, n. 29730 del 04/06/2013, Stroppini, Rv. 255836; Sez. 3, n. 16037 del 07/04/2006, Bianco, Rv. 234330). L’insegnamento risale a Sez. U, n. 7978 del 29/05/1992, Aramini, Rv. 191176, secondo cui l’art. 4, comma quarto, legge 28 febbraio 1985 n. 47 (oggi art. 27, comma 4, d.P.R. n. 380 del 2001) prevedeva due obblighi a carico di coloro che costruiscono: la tenuta in cantiere della concessione edilizia e la esposizione di un cartello contenente gli estremi della concessione e degli autori dell’attività costruttiva. La violazione di tali obblighi era penalmente sanzionata a norma dell’art. 20, comma primo, lett. a) della detta legge, ma solo a condizione che gli stessi fossero espressamente previsti dai regolamenti edilizi o dalla concessione. Ciò sul rilievo che l’art. 20, comma primo, lett. a) legge n. 4 7 del 1985 era una cosiddetta norma penale in bianco, in quanto mentre la sanzione è determinata, il precetto ha un carattere generico, stante il rinvio ad un dato esterno – concessione, regolamento edilizio, ecc..
 
8.2. Premessa la continuità normativa con i vigenti artt. 27, comma 4, e 44, lett. a), d.P.R. n. 380 del 2001, (in questo senso, esplicitamente, Sez. 3, n. 16037 del 07/04/2006, Bianco, Rv. 234330) la ‘ratio’ del precetto sta nel fatto che <<la sistemazione del prescritto cartello, contenente gli estremi della concessione edilizia e degli autori dell’attività costruttiva presso il cantiere, consente una vigilanza rapida, precisa ed efficiente e risponde all’altro scopo di permettere ad ogni cittadino di verificare se i lavori siano stati autorizzati da/l’autorità competente; il che non è poco ai fini della trasparenza dell’attività della pubblica amministrazione>> (così, in motivazione, Sez. U, cit.). Tant’è, che anche l’esposizione, in maniera non visibile, del cartello che risulti comunque presente all’interno del cantiere viola il precetto penale (Sez. 3, n. 40118 del 22/05/2012, Zago, Rv. 253673).
 
8.3. Il fatto che il regolamento edilizio del Comune di Tavullia imponesse l’obbligo di esporre il cartello recante i dati della concessione non è contestato ed è esplicitamente invocato dal Mulazzani a fondamento delle proprie difese. Gli imputati, come visto, obiettano che i lavori soggetti a permesso di costruire non fossero ancora iniziati e che il ripristino della strada di accesso costituisse intervento edilizio cd. libero.
 
8.4. L’eccezione così formulata è totalmente infondata perché presuppone un’interpretazione della norma errata, avuto riguardo al suo tenore letterale ed alla sua "ratio".
 
8.5. Quel che rileva ai fini della sussistenza dell’obbligo sanzionato dall’art. 44, lett. a), d.P.R. n. 380 del 2001, è il positivo rilascio in sé del permesso di costruire i cui dati devono essere necessariamente riportati nel cartello. Ciò proprio al fine di soddisfare quell’esigenza di controllo preventivo sopra indicata che esclude, ai fini della sussistenza dell’obbligo, una valutazione postuma o, peggio ancora, frazionata del regime edilizio degli interventi concretamente eseguiti. Il fatto costitutivo dell’obbligo è il rilascio del permesso, a prescindere da ogni ulteriore considerazione (anche postuma) sulla effettiva necessità del titolo. E’ sufficiente osservare che la valutazione (anche solo a fini classificatori) del tipo di intervento realizzato presuppone comunque l’esercizio di quel controllo che l’esposizione del cartello intende agevolare.
 
8.6. Di conseguenza è priva di pregio l’ulteriore eccezione secondo la quale gli specifici interventi di restauro e risanamento del fabbricato (gli unici per i quali sarebbe stato astrattamente necessario il permesso di costruire) non erano ancora iniziati all’epoca dell’accertamento del fatto, visto che comunque i lavori di ripristino della strada di accesso erano parte integrante del progetto unitariamente autorizzato e ne segnavano l’inizio.
 
8.7. Per lo stesso motivo, anche l’eccezione che i lavori di ristrutturazione di edifici crollati o demoliti dei quali sia possibile accertare la preesistente consistenza non sarebbero più subordinati al permesso di costruire, ai sensi dell’art. 30, d.l, n. 69 del 2013, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, è irrilevante.
 
8.8. Ne consegue che non v’è alcuna contraddizione tra l’assoluzione per il reato di cui al capo A e la condanna per il reato di cui al capo B.
 
9. I motivi di ricorso che riguardano la sussistenza del reato di cui all’art. 481, cod. pen., proposti dal Bezziccheri, dal Marzi e dal Mariani, sono inammissibili perché manifestamente infondati e proposti per motivi non consentiti nel giudizio di legittimità.
 
9.1. Preliminarmente deve essere ribadito che: a) l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato – per espressa volontà del legislatore – a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali. L’illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile "ictu oculi", dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794); b) la mancanza e la manifesta illogicità della motivazione devono risultare dal testo del provvedimento impugnato, sicché dedurre tale vizio in sede di legittimità significa dimostrare che il testo del provvedimento è manifestamente carente di motivazione e/o di logica, e non già opporre alla logica valutazione degli atti effettuata dal giudice di merito una diversa ricostruzione, magari altrettanto logica (Sez. U, n. 16 del 19/06/1996, Di Francesco, Rv. 205621), per cui una volta che il giudice abbia coordinato logicamente gli atti sottoposti al suo esame, a nulla vale opporre che questi atti si prestavano a una diversa lettura o interpretazione, munite di eguale crisma di logicità (Sez. U, n. 30 del 27/09/1995, Mannino, Rv. 202903); e) il travisamento della prova è configurabile solo quando si introduce nella motivazione una informazione rilevante che non esiste nel processo o quando si omette la valutazione di una prova decisiva ai fini della pronuncia, non quando oggetto di censura è la valutazione della prova stessa; il relativo vizio, inoltre, ha natura decisiva solo se l’errore accertato sia idoneo a disarticolare l’intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa del dato processuale/probatorio (Sez. 6, n. 5146 del 16/01/2014, Del Gaudio, Rv. 258774; Sez. 2, n. 47035 del 03/10/2013, Giugliano, Rv. 257499).
 
9.2.Ne consegue che: a) il vizio di motivazione non può essere utilizzato per spingere l’indagine di legittimità oltre il testo del provvedimento impugnato, nemmeno quando ciò sia strumentale a una diversa ricomposizione del quadro probatorio che, secondo gli auspici del ricorrente, possa condurre il fatto fuori dalla fattispecie incriminatrice applicata; b) l’esame può avere ad oggetto direttamente la prova solo quando se ne denunci il travisamento, purché di travisamento effettivamente si tratti, l’atto processuale che la incorpora sia allegato al ricorso (o ne sia integralmente trascritto il contenuto) e possa scardinare la logica del provvedimento creando una insanabile frattura tra il giudizio e le sue basi fattuali; c) la natura manifesta della illogicità della motivazione del provvedimento impugnato costituisce un limite al sindacato di legittimità che impedisce alla Corte di cassazione di sostituire la propria logica a quella del giudice di merito e di avallare, dunque, ricostruzioni alternative del medesimo fatto, ancorché altrettanto ragionevoli.
 
9.3. Il travisamento della prova (e non del fatto, come erroneamente proposto dal Marzi e dal Mariani) costituisce pur sempre un vizio di motivazione che non riguarda la ricostruzione del fatto in via diretta, bensì la tenuta logica del ragionamento posto in crisi dalla sua erronea o parziale base fattuale. In ultima analisi, il giudice di legittimità non concorre alla ricostruzione del fatto ma deve limitarsi a ripercorrere il ragionamento seguito dal giudice nella sua ricostruzione e rilevare se l’eventuale erronea percezione della prova, ovvero la sua omessa considerazione lo possono astrattamente deviare verso conclusioni diverse da quella adottata.
 
9.4. Non è dunque ammissibile un’interlocuzione diretta con la Suprema Corte in ordine al contenuto delle prove volta a sollecitare una diversa valutazione delle prove stesse o una diversa ricostruzione del fatto.
 
Oggetto del giudizio di legittimità resta sempre e soltanto il provvedimento impugnato, dal cui contenuto non si può prescindere. Le prove ed il loro contenuto sono estranei alla cognizione della Corte di cassazione, per cui un ricorso modellato alla stregua di un’arringa difensiva che, come quella del Bezziccheri, si dilunghi nell’illustrazione delle prove e dei fatti, ricalcando quasi alla lettera l’appello avverso la sentenza del Tribunale, non è ammissibile.
 
9.5. Orbene, dalla lettura della sentenza di primo grado risultano indicati, quanto al reato di cui all’art. 481, cod. pen., i seguenti argomenti di prova:
a) a corredo della richiesta di permesso di costruire presentata il 27/05/2010, i ricorrenti avevano allegato fotografie del fabbricato scattate nell’anno 2007 (come ammesso dallo stesso testimone della difesa e come riscontrato dall’ufficiale di PG che, per altri motivi, ne aveva scattata una proprio quell’anno – pagg. 11 e 12 della sentenza di primo grado);
b) dai fotogrammi estrapolati dal sito "Google Earth", prodotti dall’ufficiale di PG in sede di testimonianza, risultava che il fabbricato era già crollato il 23/08/2010 (pag. 10 sentenza di primo grado);
c)la relazione tecnica allegata alla richiesta di permesso di costruire descriveva una situazione di fatto corrispondente a quella rilevabile dalle fotografie scattate nel 2007;
d) il 23/10/2010 il Marzi ed il Mariani avevano sottoscritto una dichiarazione di conformità in contrasto con il fatto che certamente a quella data il fabbricato era crollato;
e)il 13/08/2011 i lavori erano iniziati;
f) il 14/10/2011 era stato effettuato il sopralluogo della Polizia Municipale che aveva riscontrato, tra l’altro, il crollo del fabbricato;
g) il 23/12/2011 il Bezziccheri aveva presentato al Comune istanza di riesame della pratica edilizia allegando un ordine di servizio del 14/09/2011 a firma del direttore dei lavori (privo tuttavia di data certa) che dichiarava di aver accertato a quella data il crollo quasi integrale del fabbricato e aveva ordinato la sospensione del lavori;
h)l’ordine di sospensione dei lavori del 14/09/2011 contraddice la comunicazione integrativa di inizio lavori depositata in Comune quello stesso giorno;
i) la sottoscrizione da parte del Bezziccheri della richiesta di riesame del 23/12/2011 prova la sua malafede.
 
9.6. La Corte di appello, nel confermare il giudizio di responsabilità degli imputati, ha indicato le ulteriori testimonianze rese da chi aveva affermato che le condizioni del "rudere" rilevate nel 2011 erano pressoché identiche a quelle riscontrate nel 2009. La tesi di un crollo repentino successivo al maggio del 2010 secondo i Giudici distrettuali è perciò priva di minimo fondamento, considerando anche il fatto che, comparando lo stato dei luoghi del 2007 con quello del 2011, risultano essere state asportate tutte le macerie. A ciò aggiunge che non è coerente con le stesse deduzioni difensive (il crollo nel settembre 2011) la comunicazione dell’inizio dei lavori in coincidenza con la dedotta data del crollo. Quanto alla prova dell’esistenza del fabbricato nel 2007 desumibile dalla redazione del tipo di frazionamento effettuata nel maggio 2010, prova dedotta per la prima volta in appello, i Giudici distrettuali argomentano che il compimento delle misurazioni del tecnico in quella specifica data e la constatazione dello stato dei luoghi sono affidate esclusivamente alle valutazioni tecniche contenute nella memoria difensiva del Mariani e del Marzi che presuppongono la certezza di molte premesse fattuali indimostrate, mentre nessuna fonte di prova era mai stata indicata in primo o in secondo grado onde consentirne una verifica diretta.
 
10. Possono ora essere esaminati i motivi di ricorso del Bezziccheri, del Mariani e del Marzi (quello proposto dal Mulazzani è inammissibile per le ragioni già indicate).
 
Il ricorso Bezziccheri
 
11. Il secondo motivo è manifestamente infondato e proposto al di fuori dei casi consentiti dalla legge.
 
11.1. L’imputato, come già detto, tenta un’interlocuzione diretta con la Corte di cassazione alla quale propone una diversa valutazione degli elementi di prova già scrutinati in sede di merito e dei quali riporta, per sintesi, il contenuto. Il ricorrente eccepisce la manifesta illogicità della motivazione ma nel far ciò non si arresta all’analisi del testo del provvedimento impugnato, dal quale, anzi, prescinde completamente; le sue argomentazioni, infatti, attingono direttamente alle prove, delle quali, però, non eccepisce il travisamento bensì l’errata valutazione. E così, per esempio, nel criticare il ricorso al documento del 23/12/2011 quale prova della sua mala fede, ne propone un’interpretazione diversa richiamando le risultanze istruttorie che dimostrerebbero il suo incolpevole affidamento nell’operato dei propri tecnici e la marginalità dell’attività edilizia rispetto agli interessi prevalenti oggetto della sua impresa.
 
11.2. Così facendo, però, cade nell’errore di sottoporre all’attenzione del Collegio il fatto così come ricavabile dalle prove e di proporne l’utilizzo come metro di giudizio della logicità della motivazione, sollecitando la Corte di cassazione a rivalutare direttamente le prove piuttosto che il fatto descritto e la logica che presiede alla sua ricostruzione. La Corte non può sovrapporre il proprio giudizio a quello dei giudici di merito; la natura manifesta della illogicità della motivazione costituisce un limite al sindacato di legittimità che il ricorrente non considera affatto. Orbene, la logica del complessivo ragionamento condiviso dai Giudici di merito è chiara: non è ragionevole pensare che il ricorrente possa essersi completamente disinteressato di un investimento notevole che aveva ad oggetto un fabbricato tutt’altro che di modeste dimensioni. La produzione dell’istanza di riesame, in quest’ottica, è stata ritenuta coerente con il fine di non disperdere un investimento posto in essere per realizzare un intervento in contrasto con gli strumenti urbanistici e che la falsità della descrizione dello stato dei luoghi intendeva consentire. L’incongruenza logica (ordine di sospensione dei lavori coevo alla comunicazione integrativa del loro inizio) di tale documento, utilizzata dai Giudici a fondamento della falsità del suo contenuto, corrobora la relativa conclusione. Si aggiunga, sul punto, che la tesi del disinteresse e dell’affidamento incolpevole, mal si concilia con il fatto che il titolare del permesso di costruire è direttamente responsabile della conformità delle opere alla normativa urbanistica e alle previsioni di piano secondo quanto dispone l’art. 29, d.P.R. n. 380 del 2001.
 
11.3. Orbene quel che occorre chiedersi è se tale ragionamento, così come. espresso in sede di merito, è manifestamente illogico (questione cruciale elusa dal ricorrente): è evidente che non lo è.
 
11.4. A non diversi rilievi si espone il terzo motivo, anch’esso infarcito di inammissibili richiami extratestuali al contenuto delle prove e di valutazioni alternative fondate su ipotesi del tutto astratte. La tesi del furto dei materiali di pregio, favorito dalle condizioni di abbandono e isolamento dell’immobile, costituisce un’ipotesi del tutto astratta che non regge al confronto con le prove specificamente indicate dalla Corte di appello per escluderla e, sopratutto, con il fatto (valorizzato dai Giudici territoriali) della rimozione delle macerie (fatto che mal si concilia con l’istinto predatorio) e della sottoscrizione della dichiarazione di conformità dell’ottobre 2010 (a crollo già avvenuto). Di questi specifici argomenti di prova non v’è traccia in nessuno dei ricorsi proposti, tant’è che la reiterazione, in questa sede, della medesima tesi, fondata sull’illustrazione delle medesime prove e dei medesimi motivi proposti in appello, rende generico l’assunto difensivo. Anche la prova derivante dal tipo di frazionamento asseritamente redatto il 21/05/2010 viene riproposta tal quale senza il minimo accenno alle ragioni per le quali essa è stata disattesa dalla Corte di appello.
 
11.5. Il quarto motivo è assolutamente generico e irrilevante. Il ricorrente prescinde completamente dal fatto che nella zona di intervento gli strumenti urbanistici vigenti vietavano la demolizione totale o prevalente dell’edificio e la sua ricostruzione. Ed è proprio in questo divieto che i Giudici di merito hanno ravvisato il movente (e la rilevanza) della falsa rappresentazione dell’immobile come ancora esistente.
 
11.6. L’ultimo motivo è manifestamente infondato.
 
11.7. Premesso che il ricorrente fonda le proprie doglianze scostandosi, ancora una volta dal testo del provvedimento impugnato e proponendo una ricostruzione del fatto antitetica e diversa da quella che emerge dalla lettura della sentenza impugnata, resta il fatto che nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altri disattesi o superati da tale valutazione (Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Lule, Rv. 259899).
 
Il ricorso Marzi
 
12. Il primo motivo e inammissibile perché generico e manifestamente infondato.
 
12.1. Il ricorrente eccepisce il travisamento del fatto (e non della prova) ma in realtà oggetto della critica non è l’errore percettivo del contenuto della prova ovvero l’omesso esame di una prova decisiva, bensì il modo con cui i fatti sono stati valutati. Tant’è che il ricorrente non indica quale specifica prova sia stata travisata, né allega i relativi verbali.
 
12.2. Non diversamente dal Bezziccheri, anche il Marzi propone soluzioni ipotetiche, alternative e astratte sull’epoca del crollo del fabbricato senza però confrontarsi con il complessivo ragionamento seguito dai Giudici di merito per affermare il contrario. Viene in proposito eccepita la violazione del principio del ragionevole dubbio. Valgano, in proposito, le seguenti osservazioni.
 
12.3. La logica non è oggetto di codificazione, né il suo esercizio può essere oggetto di censura quando il ragionamento, che da essa deve esser sorretto, non devii macroscopicamente dai canoni della coerenza intrinseca e di quella estrinseca con i dati di fatto utilizzati per la decisione. Nella fase di merito un risultato può dirsi acquisito aldilà di ogni ragionevole dubbio quando le prove oggetto di valutazione siano tali da poter costruire il percorso che conduce dal fatto contestato a quello accertato, senza che possano intravedersi, lungo di esso, possibili deviazioni verso approdi diversi ed altrettanto ragionevolmente accettabili (Sez. 1, n. 41110 del 24/10/2011, Javaid, Rv. 251507).
 
12.4. Ne consegue che, come già detto, l’illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile "ictu oculi", dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794). La natura manifesta della illogicità della motivazione del provvedimento impugnato costituisce, come già detto, un limite al sindacato di legittimità che impedisce alla Corte di cassazione di sostituire la propria logica a quella del giudice di merito e di avallare, dunque, ricostruzioni alternative del medesimo fatto, ancorché altrettanto ragionevoli.
 
12.5. Occorre pertanto chiedersi se il ragionamento seguito dal Giudice che, partendo dai fatti noti è giunto alla conclusione contestata (l’epoca del crollo) segni una frattura logica evidente tra le premesse e le conclusioni e se vi fosse spazio a ipotesi alternative, a prescindere dal contributo dell’imputato nella ricostruzione del fatto stesso.
 
12.6. Secondo l’insegnamento di questa Corte, l’indizio è un fatto certo dal quale, per interferenza logica basata su regole di esperienza consolidate ed affidabili, si perviene alla dimostrazione del fatto incerto da provare secondo lo schema del cosiddetto sillogismo giudiziario. È possibile che da un fatto accertato sia logicamente desumibile una sola conseguenza, ma di norma il fatto indiziante è significativo di una pluralità di fatti non noti ed in tal caso può pervenirsi al superamento della relativa ambiguità indicativa dei singoli indizi applicando la regola metodologica fissata nell’art. 192, comma secondo, cod. proc. pen.. Peraltro l’apprezzamento unitario degli indizi per la verifica della confluenza verso un’univocità indicativa che dia la certezza logica dell’esistenza del fatto da provare, costituisce un’operazione logica che presuppone la previa valutazione di ciascuno singolarmente, onde saggiarne la valenza qualitativa individuale. Acquisita la valenza indicativa – sia pure di portata possibilistica e non univoca – di ciascun indizio deve allora passarsi al momento metodologico successivo dell’esame globale ed unitario, attraverso il quale la relativa ambiguità indicativa di ciascun elemento probatorio può risolversi, perché nella valutazione complessiva ciascun indizio si somma e si integra con gli altri, di tal che l’insieme può assumere quel pregnante ed univoco significato dimostrativo che consente di ritenere conseguita la prova logica del fatto; prova logica che non costituisce uno strumento meno qualificato rispetto alla prova diretta (o storica), quando sia conseguita con la rigorosità metodologica che giustifica e sostanzia il principio del cosiddetto libero convincimento del giudice (Sez. U, n. 6682 del 04/02/1992, Musumeci, Rv. 191230).
 
12.7. ln tale processo ricostruttivo del fatto il giudice deve confrontarsi con la (ed avvalersi della) regola di giudizio secondo cui la penale responsabilità dell’imputato può essere affermata solo quando non sussista Un ragionevole dubbio del contrario.
 
12.8. Sicché, escluso che il giudice di merito possa limitarsi ad una valutazione atomistica e parcellizzata degli indizi o procedere ad una mera sommatoria di questi ultimi, e ribadito che deve preliminarmente valutare i singoli elementi indiziari per verificarne la certezza (nel senso che deve trattarsi di fatti realmente esistenti e non solo verosimili o supposti) e l’intrinseca valenza dimostrativa (di norma solo possibilistica), egli deve successivamente procedere ad un esame globale degli elementi certi, per accertare se la relativa ambiguità di ciascuno di essi, isolatamente considerato, possa in una visione unitaria risolversi, consentendo di attribuire il reato all’imputato "al di là di ogni ragionevole dubbio" e, cioè, con un alto grado di credibilità razionale, sussistente anche qualora le ipotesi alternative, pur astrattamente formulabili, siano prive di qualsiasi concreto riscontro nelle risultanze processuali ed estranee all’ordine naturale delle cose e della normale razionalità umana (così, da ultimo, Sez. 1, n. 20461 del 12/04/2016, Graziadei, Rv. 266941). Nel procedimento logico che, valorizzando la univoca convergenza probatoria dei singoli indizi (fatti noti), conduce verso l’informazione accusatoria da verificare (il fatto ignoto) l’assenza di ragionevoli ipotesi alternative deve trovare giustificazioni esclusivamente nel fatto processualmente accertato. Ciò significa che la tenuta logica del processo ricostruttivo del fatto (ignoto) oggetto di ricerca non può essere messa in discussione da meri atti di fede, magari riposti nell’insondabile intuizionismo del giudice; il dubbio circa la fondatezza di una possibile lettura alternativa del medesimo quadro indiziario deve essere "ragionevole" e dunque verificabile.
 
12.9. La motivazione è posta a garanzia non solo dell’imputato, ma anche della possibilità di controllare l’operato del giudice in base a elementi razionali, verificabili e controllabili (artt. 187, 192, comma 1, 546, comma 1, lett. e, cod. proc. pen.).
 
12.10. Soggezione dei giudici soltanto alla legge (art. 101, comma 2, Cost.), esercizio della funzione giurisdizionale da parte di magistrati autonomi e indipendenti (artt. 102, 104 e 106 Cost.), attuazione della giurisdizione mediante il giusto processo regolato per legge (art. 111, comma 1, Cost.), obbligo di motivazione di tutti i provvedimenti giurisdizionali (art. 111, comma 6, Cast.), controllo esercitabile dalla Corte di cassazione su tutte le sentenze e su tutti i provvedimenti che incidono sulla libertà personale pronunciati dagli organi giurisdizionali (art. 111, comma 7, Cost.), sono valori che qualificano, sul piano processuale, il "quomodo" della giurisdizione, e che sono posti, sul piano sostanziale, a presidio e garanzia del principio di legalità e, con specifico riferimento alla materia penale, del principio di riserva assoluta di legge (art. 25, comma 2, Cost.), nonché dell’inviolabilità della libertà personale (art. 13 Cost.), del domicilio (art. 14 Cost.), della libertà e segretezza della corrispondenza (art. 16 Cost.), del diritto di difesa (art. 24 Cost.).
 
12.11. In questo contesto, fa motivazione assolve all’onere di chiarire se, e come, la regola generale e astratta (la legge, in senso lato) sia stata esattamente applicata al caso concreto e di evitare, attraverso il controllo di merito e, infine, di legittimità, che essa affondi le sue radici in una volontà diversa da quella della legge cui il giudice è soggetto; essa assolve all’onere di spiegare perché il diritto inviolabile ha potuto esser compresso, se ed in che modo sia stato rispettato il diritto di difesa, se ed in che modo l’esercizio di tale diritto abbia potuto contribuire a confezionare la regola del caso concreto. La motivazione è la riaffermazione della funzione di garanzia del giudice, connaturale alla sua indispensabile terzietà, è il mezzo che consente di ripercorrere, sul piano razionale, la strada che collega la regola astratta al fatto concreto.
 
12.12. Orbene, nel caso di specie la valenza evocativa dei dati di fatto utilizzati dal Giudici di merito per ritenere fondata l’ipotesi accusatoria compendiata al capo C della rubrica rende, per le ragioni già illustrate in sede di esame del ricorso del Bezziccheri, non manifestamente illogica la motivazione della sentenza e conseguentemente irragionevole qualsiasi ipotesi alternativa, non perché in astratto il crollo successivo al fatto non sia possibile, ma perché, in concreto, una simile conclusione non si sarebbe ragionevole e si fonderebbe su affermazioni fideistiche, irragionevoli e non verificabili.
 
12.13. Il ricorrente non si confronta con gli specifici argomenti utilizzati dai Giudici di merito per confutare l’ipotesi alternativa del crollo successivo (la mancanza di macerie, il contrasto tra la dichiarazione di inizio lavori e la coeva sospensione a causa del crollo), né con le ragioni per le quali doveva ritenersi inattendibile la prova derivante dal frazionamento.
 
12.14. Infine, i fotogrammi scaricati dal sito internet "Google Eerth", in quanto rappresentano fatti, persone o cose, costituiscono prove documentali pienamente utilizzabili ai sensi dell’art. 234, comma 1, cod. proc. pen., o 189, cod. proc. pen. Il ricorrente, peraltro, non deduce nemmeno di essersi opposto alla loro acquisizione, né risulta che lo abbia fatto. Ben diversa, ovviamente, è la questione relativa alla valutazione del loro contenuto e alla corrispondenza al vero di quanto in essi rappresentato, questione che non è eccepita in modo diretto dal ricorrente.
 
12.15. Il secondo, il terzo ed il quinto motivo sono manifestamente infondati in conseguenza delle considerazioni svolte in sede di analisi del reato di cui all’art. 44, lett. a), d.P.R. n. 380 del 2001.
 
12.16. Il quarto motivo è totalmente infondato per le ragioni già indicate in sede di analisi dell’ultimo motivo di ricorso del Bezziccheri. 
 
Il ricorso Mariani
 
13. Il ricorso del Mariani che ricalca, come detto, i contenuti anche letterali di quello del Marzi, ne segue la medesima sorte ed è perciò inammissibile.
 
14. Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa dei ricorrenti (C. Cost. sent. 7-13 giugno 2000, n. 186), l’onere delle spese del procedimento nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si fissa equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di€ 2.000,00 ciascuno.
 
P.Q.M.
 
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 2.000,00, in favore della Cassa delle Ammende.
 
Così deciso in Roma, il 15/09/2017.
 

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