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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Rifiuti Numero: 21 | Data di udienza: 25 Ottobre 2017

* RIFIUTI – Iscrizione all’Albo Nazionale dei Gestri Ambientali – Applicazione delle informative interdittive antimafia – Superamento del sistema basato sulla rigida bipartizione tra comunicazioni e informative antimafia – L. n. 136/2010 – Art. 89 bis d.lgs. n. 159/2011 – Art. 10 d.m. n. 120/2014 – Interpretazione conforme alla disciplina di rango primario – Elenco dei requisiti per l’iscrizione e delle cause di cancellazione dall’Albo – Carattere non tassativo.


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 1^
Regione: Lombardia
Città: Milano
Data di pubblicazione: 4 Gennaio 2018
Numero: 21
Data di udienza: 25 Ottobre 2017
Presidente: De Zotti
Estensore: Cattaneo


Premassima

* RIFIUTI – Iscrizione all’Albo Nazionale dei Gestri Ambientali – Applicazione delle informative interdittive antimafia – Superamento del sistema basato sulla rigida bipartizione tra comunicazioni e informative antimafia – L. n. 136/2010 – Art. 89 bis d.lgs. n. 159/2011 – Art. 10 d.m. n. 120/2014 – Interpretazione conforme alla disciplina di rango primario – Elenco dei requisiti per l’iscrizione e delle cause di cancellazione dall’Albo – Carattere non tassativo.



Massima

 

TAR LOMBARDIA, Milano, Sez. 1^ – 4 gennaio 2018, n. 21


RIFIUTI – Iscrizione all’Albo Nazionale dei Gestri Ambientali – Applicazione delle informative interdittive antimafia – Superamento del sistema basato sulla rigida bipartizione tra comunicazioni e informative antimafia – L. n. 136/2010 – Art. 89 bis d.lgs. n. 159/2011

 La disciplina contenuta nel Codice delle leggi antimafia consente l’applicazione delle informative interdittive antimafia anche ai provvedimenti di tipo abilitativo-autorizzativo, quale l’iscrizione all’Albo Nazionale Gestori Ambientali. La tendenza del legislatore muove, in questa materia, verso il superamento del sistema basato sulla rigida bipartizione e tradizionale alternatività tra comunicazioni antimafia – applicabili ai titoli abilitativi – e informative antimafia – applicabili ad appalti, concessioni, contributi ed elargizioni pubbliche – rivelatosi inadeguato ed entrato in crisi di fronte alla tendenza delle organizzazioni di tipo mafioso ad infiltrarsi capillarmente in tutte le attività economiche, anche in quelle soggette a regime autorizzatorio. L’art. 2, comma 1, lett. c, della legge delega n. 136/2010 si riferisce infatti a tutti i rapporti con la pubblica amministrazione, senza differenziare i titoli abilitativi dalle concessioni e dai contratti pubblici, come fanno, invece, espressamente le lett. a) e b): la lett c) si riferisce, cioè, anche ai rapporti – come quelli derivanti dal diniego di rinnovo dell’iscrizione dell’impresa ricorrente all’Albo Nazionale Gestori Ambientali – i quali, per quanto oggetto di mera abilitazione o autorizzazione, hanno un impatto rilevante su beni e interessi pubblici, come nelle attività di raccolta, trasporto e conferimento di rifiuti urbani o speciali, pericolosi o non pericolosi. Di qui la legittimità dell’applicazione dell’informativa interdittiva antimafia anche ai titoli abilitativi, già alla stregua delle originarie previsioni contenute nel Codice delle leggi antimafia, attuative dei fondamentali principi contenuti in nuce nell’art. 2 della l. n. 136/2010, e, successivamente, con l’introduzione – ad opera dell’art. 2 del d.lgs. n. 153/2014 – dell’art. 89 bis del d.lgs. n. 159/2011. Ed invero, la prevenzione contro l’inquinamento dell’economia legale ad opera del fenomeno criminale di tipo mafioso ha costituito e costituisce tuttora una priorità per la legislazione del settore, che ha indotto, dapprima, il legislatore delegante e, poi, quello delegato, nelle previsioni originarie del Codice delle leggi antimafia e dei successivi correttivi, ad estendere la portata delle informazioni antimafia anche ad ambiti tradizionalmente e precedentemente ad esse estranei. Queste considerazioni consentono escludere sia  una rigida bipartizione tra informativa e comunicazione antimafia, sia l’assunto dell’operatività della decadenza dall’Albo Nazionale Gestori Ambientali soltanto in caso di adozione della seconda tipologia di misura.
 

RIFIUTI – Iscrizione all’Albo Nazionale dei Gestori Ambientali – Acquisizione dell’informativa antimafia – Art. 10 d.m. n. 120/2014 – Interpretazione conforme alla disciplina di rango primario – Elenco dei requisiti per l’iscrizione e delle cause di cancellazione dall’Albo – Carattere non tassativo.

L’art. 10 del d.m. n. 120/2014 deve essere interpretato – in conformità alla disciplina di rango primario  di cui al d.lgs. n. 159/2011 ed alla sottesa ratio di allargamento delle barriere contro l’infiltrazione mafiosa nelle attività imprenditoriali. E cioè nel senso che “le iscrizioni o provvedimenti a contenuto autorizzatorio, concessorio o abilitativo per lo svolgimento di attività imprenditoriali, comunque denominati” – quale, appunto, l’iscrizione all’Albo Nazionale Gestori Ambientali – non si sottraggono all’onere di acquisizione dell’informativa antimafia (cfr. artt. 83, comma 1, e 91, comma 1, del d.lgs. n. 159/2011) ed ai suoi eventuali effetti interdittivi, la relativa adozione imponendosi comunque, ai sensi dell’art. 89 bis, all’autorità prefettizia, una volta acclarato il pericolo di condizionamento da parte della criminalità organizzata in sede di consultazione della Banca dati nazionale unica; e che, quindi, l’elenco dei requisiti per l’iscrizione e delle cause di cancellazione dall’Albo anzidetto (che menzionano le sole cause di sospensione di cui all’art. 67 del d.lgs. n. 159/2011) non rivesta carattere tassativo (Tar Campania, Napoli, sent. n. 3865/2017).

Pres. De Zotti, Est. Cattaneo – Omissis (avv. Salomoni) c. Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare (Avv. Stato) e altro (n.c.)


Allegato


Titolo Completo

TAR LOMBARDIA, Milano, Sez. 1^ - 4 gennaio 2018, n. 21

SENTENZA

 

TAR LOMBARDIA, Milano, Sez. 1^ – 4 gennaio 2018, n. 21

Pubblicato il 04/01/2018

N. 00021/2018 REG.PROV.COLL.
N. 01515/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1515 del 2017, proposto da:
-OMISSIS-, in veste di titolare dell’omonima impresa individuale, rappresentato e difeso dall’avvocato Luciano Salomoni, presso il cui studio in Milano, via Caradosso, 8, è elettivamente domiciliato;

contro

Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura distrettuale dello Stato, domiciliato in Milano, via Freguglia, 1;
Ministero dell’Interno non costituito in giudizio;

per l’annullamento

della nota dell’Albo Nazionale Gestori Ambientali – Sezione regionale della Lombardia prot. n. 31368 ricevuta in data 31.5.2017 e del successivo provvedimento del medesimo ente prot. n. 31383, ricevuto in data 15.6.2017, con cui è stato disposto il diniego della domanda di rinnovo dell’iscrizione presentata dalla ricorrente in categoria 4 classe E prot. n. 5006/2017 del 28.1.2017, nonché di ogni atto presupposto, conseguente, connesso ancorché non conosciuto.

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 25 ottobre 2017 la dott.ssa Silvia Cattaneo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Il sig. -OMISSIS- – in veste di titolare dell’omonima impresa individuale – ha impugnato il provvedimento dell’Albo Nazionale Gestori Ambientali – Sezione regionale della Lombardia prot. n. 31368 del 31 maggio 2017, con cui è stata rigettata la domanda di rinnovo di iscrizione presso l’Albo Nazionale Gestori Ambientali (presentata per la categoria 4 classe E con nota prot. n. 5006/2017 del 28.1.2017).

2. Queste le censure dedotte:

I. violazione di legge ed eccesso di potere – travisamento dei presupposti di fatto e diritto – violazione e falsa applicazione artt. 10 e 20 del d.m. 120/2014 – violazione artt. 67 e 84 d.lgs. 159/2011 – difetto di motivazione e di istruttoria – manifesta illogicità – sviamento;

II. violazione di legge ed eccesso di potere – travisamento dei presupposti di fatto e diritto – violazione e falsa applicazione art. 21 d.m. 120/2014, art. 10 l. 241/1990 – difetto di istruttoria – sviamento.

3. Si è costituito in giudizio il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, chiedendo il rigetto nel merito del ricorso.

4. All’udienza del 25 ottobre 2017 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

5. Con il primo motivo il ricorrente ha contestato che il provvedimento impugnato, di rigetto della domanda di rinnovo di iscrizione presso l’Albo Nazionale Gestori Ambientali, sarebbe stato adottato in violazione dell’art. 10, d.m. n. 120/2014 – ai sensi del quale possono ottenere l’iscrizione all’Albo le imprese nei cui confronti non sussistano le cause di divieto, di decadenza o di sospensione di cui all’articolo 67 del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159 – e degli artt. 67 e 84, d.lgs. n. 159/2011 in quanto l’assenza di informative antimafia non rientrerebbe tra i requisiti per l’iscrizione all’Albo Gestori Ambientali; la misura emessa nei confronti dell’impresa -OMISSIS- consiste in una interdittiva antimafia adottata per la sussistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa e non una misura di prevenzione di cui all’art. 67, d.lgs. n. 159/2011.

6. La censura non merita accoglimento alla luce degli indirizzi dettati da Cons. Stato, sez. III, 8 marzo 2017, n. 1109, da cui il Collegio non ritiene di doversi discostare e di cui si riportano di seguito i passaggi essenziali.

7. La disciplina contenuta nel Codice delle leggi antimafia consente l’applicazione delle informative interdittive antimafia anche ai provvedimenti di tipo abilitativo-autorizzativo (quale, appunto, l’iscrizione all’Albo Nazionale Gestori Ambientali).

La tendenza del legislatore muove, in questa materia, verso il superamento del sistema basato sulla rigida bipartizione e tradizionale alternatività tra comunicazioni antimafia – applicabili ai titoli abilitativi – e informative antimafia – applicabili ad appalti, concessioni, contributi ed elargizioni pubbliche – rivelatosi inadeguato ed entrato in crisi di fronte alla tendenza delle organizzazioni di tipo mafioso ad infiltrarsi capillarmente in tutte le attività economiche, anche in quelle soggette a regime autorizzatorio.

Il riordino della materia si è avuto con la legge delega n. 136/2010 (“Piano straordinario contro le mafie, nonché delega al Governo in materia di normativa antimafia”), da cui è scaturito il Codice delle leggi antimafia.

In particolare, l’art. 2, comma 1, lett. c, della legge delega ha istituto la Banca dati nazionale unica della documentazione antimafia, con immediata efficacia delle informative antimafia negative su tutto il territorio nazionale e “con riferimento a tutti i rapporti, anche già in essere, con la pubblica amministrazione, finalizzata all’accelerazione delle procedure di rilascio della medesima documentazione e al potenziamento dell’attività di prevenzione dei tentativi di infiltrazione mafiosa nell’attività di impresa”.

Tale disposizione si riferisce a tutti i rapporti con la pubblica amministrazione, senza differenziare i titoli abilitativi dalle concessioni e dai contratti pubblici, come fanno, invece, espressamente le lett. a) e b): la lett c) si riferisce, cioè, anche ai rapporti – come, nella specie, quelli derivanti dal diniego di rinnovo dell’iscrizione dell’impresa ricorrente all’Albo Nazionale Gestori Ambientali – i quali, per quanto oggetto di mera abilitazione o autorizzazione, hanno un impatto rilevante su beni e interessi pubblici, come nelle attività di raccolta, trasporto e conferimento di rifiuti urbani o speciali, pericolosi o non pericolosi.

Di qui la legittimità dell’applicazione dell’informativa interdittiva antimafia anche ai titoli abilitativi, già alla stregua delle originarie previsioni contenute nel Codice delle leggi antimafia, attuative dei fondamentali principi contenuti in nuce nell’art. 2 della l. n. 136/2010, ossia prima dell’introduzione – ad opera dell’art. 2 del d.lgs. n. 153/2014 – dell’art. 89 bis del d.lgs. n. 159/2011.

Si tratta, in particolare: – dell’art. 83, comma 1, laddove prevede che le amministrazioni devono acquisire la documentazione ex art. 84, prima di adottare i provvedimenti di cui all’art. 67 (ivi compresi “le iscrizioni o provvedimenti a contenuto autorizzatorio, concessorio o abilitativo per lo svolgimento di attività imprenditoriali, comunque denominati” di cui alla lett. f); – dell’art. 91, comma 1, laddove prevede che le amministrazioni devono acquisire l’informativa prima di rilasciare o consentire anche i provvedimenti indicati nell’art. 67; – dell’art. 91, comma 7, che prevede che con regolamento ministeriale siano individuate “le diverse tipologie di attività suscettibili di infiltrazione mafiosa nell’attività di impresa per le quali, in relazione allo specifico settore di impiego e alle situazioni ambientali che determinano un maggiore rischio di infiltrazione mafiosa, è sempre obbligatoria l’acquisizione della documentazione indipendentemente dal valore del contratto, subcontratto, concessione, erogazione o provvedimento di cui all’art. 67”, dovendosi ricordare che l’art. 67 tra l’altro prevede, alla lett. f, proprio le “altre iscrizioni o provvedimenti a contenuto autorizzatorio, concessorio o abilitativo per lo svolgimento di attività imprenditoriali, comunque denominate”.

L’art. 89 bis del d.lgs. n. 159/2011 – introdotto dall’art. 2 del d.lgs. n. 153/2014 – prevede, al comma 1, che "quando in esito alle verifiche di cui all’articolo 88, comma 2, venga accertata la sussistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa, il prefetto adotta comunque un’informazione interdittiva antimafia e ne dà comunicazione ai soggetti richiedenti di cui all’articolo 83, commi 1 e 2, senza emettere la comunicazione antimafia" e in tal caso, come espressamente sancisce il comma 2, "l’informazione antimafia adottata ai sensi del comma 1 tiene luogo della comunicazione antimafia richiesta".

Con questa previsione – che non ha natura attributiva di un nuovo potere sostanziale, invero già rinvenibile nei dati di diritto positivo sopra evidenziati, ma ha al più carattere specificativo e procedimentale – il codice delle leggi antimafia ha inteso chiarire e disciplinare l’ipotesi nella quale il Prefetto, nell’eseguire la consultazione della Banca dati nazionale unica per il rilascio della comunicazione antimafia, appuri che vi sia il pericolo di infiltrazione mafiosa all’interno dell’impresa.

L’art. 98, comma 1, del d.lgs. n. 159/2011, come è noto, prevede che nella menzionata Banca dati nazionale unica – ora operativa in virtù del d.p.c.m. n. 193/2014 (regolamento recante le modalità di funzionamento, tra l’altro, della Banca dati nazionale unica della documentazione antimafia, istituita ai sensi dell’art. 96 del d.lgs. n. 159/2011) – “sono contenute le comunicazioni e le informazioni antimafia, liberatorie ed interdittive”, e, quindi, tutti i provvedimenti che riguardano la posizione ‘antimafia’ dell’impresa. Tale Banca dati consente, ai sensi del successivo comma 2, la consultazione dei dati acquisiti nel corso degli accessi nei cantieri delle imprese interessate all’esecuzione di lavori pubblici, disposti dal Prefetto, e tramite il collegamento ad altre banche dati, ai sensi del comma 3, anche la cognizione di eventuali ulteriori dati anche provenienti dall’estero.

Ciò posto, giova, a questo punto, rammentare che il Prefetto, una volta richiesto di rilasciare la documentazione antimafia, può emettere la comunicazione antimafia liberatoria, attestando che la stessa è stata emessa utilizzando il collegamento alla Banca dati, in due ipotesi: a) quando non emerge, a carico dei soggetti censiti, la sussistenza di cause di decadenza, di sospensione o di divieto di cui all’art. 67 del d.lgs. n. 159/2011 (cfr. art. 88, comma 1: c.d. comunicazione de plano); b) quando, emersa la sussistenza di una di dette cause ed effettuate le necessarie verifiche, ai sensi dell’art. 88, comma 2, per accertare la “corrispondenza dei motivi ostativi emersi dalla consultazione della Banca dati nazionale unica alla situazione aggiornata del soggetto sottoposto ad accertamenti”, queste abbiano dato un esito negativo e non sussista più, nell’attualità, alcuna causa di decadenza, di sospensione o di divieto (art. 88, comma 1).

Nel corso di tali verifiche, quando emerga dalla Banca dati nazionale unica la presenza di provvedimenti definitivi di prevenzione ovvero di condanne definitive o non definitive, purché confermate in appello, per reati ex art. 51, comma 3 bis, cod. proc. pen., o comunque di dati che, ai sensi del richiamato art. 98, impongano una necessaria attività di verifica nell’impossibilità di emettere la comunicazione antimafia de plano, il Prefetto può riscontrare la sussistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa, in base all’art. 89 bis, ed emettere una informativa antimafia (positiva, ossia sfavorevole), sostitutiva della comunicazione richiesta.

Ciò può verificarsi, allorquando il Prefetto, nell’eseguire il collegamento alla Banca dati nazionale unica e le verifiche di cui all’art. 88, comma 2, del d.lgs. n. 159/2011, constati l’esistenza di “una documentazione antimafia interdittiva in corso di validità a carico dell’impresa”, quale, ad es., una pregressa informativa emessa in rapporto ad un contratto pubblico (nel caso in esame, l’informativa interdittiva antimafia del Prefetto di Pavia del 18 marzo 2014), secondo quanto prevede espressamente l’art. 24, comma 2, del d.p.c.m. n. 193/2014, ovvero acquisisca dati risultanti da precedenti accessi in cantiere, ai sensi del comma 2 dell’art. 98, o informazioni provenienti dall’estero, ai sensi del successivo comma 3.

L’istituzione della Banca dati nazionale unica consente ora al Ministero dell’Interno, e per esso ai Prefetti competenti, di monitorare le imprese sull’intero territorio nazionale e nello svolgimento di qualsivoglia attività economica (anche all’estero), sia soggetta a comunicazione sia soggetta a informazione antimafia, cosicché l’autorità prefettizia, richiesta di emettere una comunicazione antimafia liberatoria, ben può venire a conoscenza, nel collegarsi a detta Banca dati, che a carico dell’impresa verificata sussista una informativa interdittiva antimafia o ulteriori elementi di apprezzabile significatività, provvedendo ad emettere, ai sensi dell’art. 89 bis, comma 2, del d.lgs. n. 159/2011, una informativa antimafia in luogo della richiesta comunicazione.

E ciò, perfettamente in linea con la richiamata previsione dell’art. 2, comma 1, lett. c, della l. n. 136/2010, la quale – giova ribadirlo – ha istituto una Banca dati nazionale unica della documentazione antimafia “con riferimento a tutti i rapporti, anche già in essere, con la pubblica amministrazione, finalizzata all’accelerazione delle procedure di rilascio della medesima documentazione e al potenziamento dell’attività di prevenzione dei tentativi di infiltrazione mafiosa nell’attività di impresa”.

Una simile finalità di controllo allargato, chiaramente enunciata dal legislatore, giustifica appieno, ad avviso del Collegio, il potere prefettizio di emettere una informativa interdittiva antimafia, ricorrendone i presupposti ex artt. 84, comma 4, e dell’art. 91, comma 6, del d.lgs. n. 159/2011, in luogo e con l’effetto della richiesta comunicazione antimafia.

Ed invero, la prevenzione contro l’inquinamento dell’economia legale ad opera del fenomeno criminale di tipo mafioso ha costituito e costituisce tuttora una priorità per la legislazione del settore, che ha indotto, dapprima, il legislatore delegante e, poi, quello delegato, nelle previsioni originarie del Codice delle leggi antimafia e dei successivi correttivi, ad estendere la portata delle informazioni antimafia anche ad ambiti tradizionalmente e precedentemente ad esse estranei.

8. Queste considerazioni consentono di rigettare le doglianze incentrate sulla rigida bipartizione tra informativa e comunicazione antimafia e sull’assunto dell’operatività della decadenza dall’Albo Nazionale Gestori Ambientali soltanto in caso di adozione della seconda tipologia di misura.

Parimenti infondato è il profilo di censura secondo cui l’art. 10 del d.m. n. 120/2014 prevedrebbe il diniego di rinnovo dell’iscrizione all’Albo Nazionale Gestori Ambientali esclusivamente in presenza delle cause di decadenza, sospensione o divieto ex art. 67, e non anche in presenza di una misura ostativa antimafia ex art. 84, comma 3, e 91 del d.lgs. n. 159/2011.

Come di recente affermato dalla giurisprudenza, l’invocata norma regolamentare deve, infatti, essere interpretata – pena, altrimenti, la sua disapplicazione – in conformità alla disciplina di rango primario sopra illustrata ed alla sottesa ratio di allargamento delle barriere contro l’infiltrazione mafiosa nelle attività imprenditoriali. E cioè nel senso che “le iscrizioni o provvedimenti a contenuto autorizzatorio, concessorio o abilitativo per lo svolgimento di attività imprenditoriali, comunque denominati” – quale, appunto, l’iscrizione all’Albo Nazionale Gestori Ambientali – non si sottraggono all’onere di acquisizione dell’informativa antimafia (cfr. artt. 83, comma 1, e 91, comma 1, del d.lgs. n. 159/2011) ed ai suoi eventuali effetti interdittivi, la relativa adozione imponendosi comunque, ai sensi dell’art. 89 bis, all’autorità prefettizia, una volta acclarato il pericolo di condizionamento da parte della criminalità organizzata in sede di consultazione della Banca dati nazionale unica; e che, quindi, l’elenco dei requisiti per l’iscrizione e delle cause di cancellazione dall’Albo anzidetto (che menzionano le sole cause di sospensione di cui all’art. 67 del d.lgs. n. 159/2011) non rivesta carattere tassativo (Tar Campania, Napoli, sent. n. 3865/2017).

9. Con il secondo motivo il ricorrente ha dedotto i vizi di difetto di istruttoria e violazione delle norme in tema di partecipazione al procedimento e, in particolare, dell’art. 21, d.m. n. 120/2014, poiché l’amministrazione non avrebbe sentito personalmente il ricorrente, come era stato richiesto, e dell’art. 10, l. n. 241/1990, poiché non avrebbe tenuto conto, nelle sue determinazioni finali, delle osservazioni presentate nel corso del procedimento, adottando un provvedimento riproduttivo del preavviso di rigetto.

Stante il carattere vincolato del provvedimento impugnato e la correttezza del suo contenuto dispositivo, per le ragioni sopra esposte, la mancata audizione del ricorrente, prevista all’art.21 del d.m. 3 giugno 2014 n.120, non può portare all’annullamento del provvedimento impugnato, così come disposto dall’art. 21 octies, l. n. 241/1990.

È, infine, infondato l’ultimo profilo di censura dovendo ritenersi sufficiente – a fronte delle osservazioni formulate nel corso del procedimento dall’istante, con cui veniva negato rilievo all’informativa antimafia adottata nei confronti dell’impresa -OMISSIS- ai fini dell’iscrizione all’Albo nazionale Gestori Ambientali – quanto affermato nella motivazione del provvedimento impugnato circa l’insussistenza del requisito di cui all’art. 10, c. 2, lett. f, d.m. 120/2014 proprio in conseguenza della circostanza che l’impresa è risultata destinataria di un’informativa antimafia.

La giurisprudenza è, invero, concorde nel ritenere che l’art. 10 bis, l. n. 241 del 1990 non imponga la puntuale, analitica confutazione delle osservazioni presentate dalla parte privata a seguito della ricezione della comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza, essendo sufficiente ai fini della giustificazione del provvedimento adottato la motivazione complessivamente resa a sostegno dell’atto stesso (T.A.R. Campania Napoli, sez. VII, 7 maggio 2010, n. 3072, T.A.R. Lazio Roma, sez. III, 23 dicembre 2009, n. 13300; T.A.R. Liguria Genova, sez. II, 11 aprile 2008, n. 543).

10. Per le ragioni esposte il ricorso è infondato e va, pertanto, respinto.

11. In considerazione della novità delle questioni oggetto del presente ricorso, il Collegio ritiene equo compensare integralmente tra le parti le spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, comma 2 D. Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare il ricorrente.

Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 25 ottobre 2017 con l’intervento dei magistrati:

Angelo De Zotti, Presidente
Elena Quadri, Consigliere
Silvia Cattaneo, Consigliere, Estensore

L’ESTENSORE
Silvia Cattaneo
        
IL PRESIDENTE
Angelo De Zotti
        
        
IL SEGRETARIO
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
 

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