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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Rifiuti Numero: 48437 | Data di udienza: 28 Settembre 2017

RIFIUTI – Gestione dei rifiuti – Attività di raccolta e trasporto dei rifiuti urbani e speciali prodotti da terzi (rottami ferrosi) – Liberalizzazione dell’attività di ambulante – Iscrizione nell’albo dei gestori ambientali – Art. 212, 256, 266, d. Lgs. 152/06.


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 23 Ottobre 2017
Numero: 48437
Data di udienza: 28 Settembre 2017
Presidente: AMOROSO
Estensore: MACRI'


Premassima

RIFIUTI – Gestione dei rifiuti – Attività di raccolta e trasporto dei rifiuti urbani e speciali prodotti da terzi (rottami ferrosi) – Liberalizzazione dell’attività di ambulante – Iscrizione nell’albo dei gestori ambientali – Art. 212, 256, 266, d. Lgs. 152/06.



Massima

 



CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 23/10/2017 (Ud. 28/09/2017) Sentenza n.48437


RIFIUTI – Gestione dei rifiuti – Attività di raccolta e trasporto dei rifiuti urbani e speciali prodotti da terzi (rottami ferrosi) – Liberalizzazione dell’attività di ambulante – Iscrizione nell’albo dei gestori ambientali – Art. 212, 256, 266, d. Lgs. 152/06.
 
L’abrogazione degli art. 121 e 124 TULPS non ha comportato la liberalizzazione dell’attività di ambulante (Cass., Sez. 3, n. 27290/12, e n. 6602/11, cui è da aggiungersi la n. 34917/15) e quindi rimane pur sempre necessaria l’abilitazione di cui all‘art. 266, comma 5, d. Lgs. 152/06. Pertanto, il reato di attività di gestione dei rifiuti è comune e può essere commesso anche da chi svolge l’attività di gestione dei rifiuti in modo secondario e consequenziale all’esercizio di un’attività primaria diversa (Cass., Sez. 3, n. 29077/13). Sicché, è irrilevante il dato formale della qualifica di soggetto imprenditore o professionista, dovendosi far riferimento al concetto di "attività" e "concrete modalità di svolgimento della stessa" (Cass., Sez. 3, n. 24431/11).  Nella specie, integra il reato di cui all’art. 256, comma 1, lett. a), d. Lgs. 152/06, l’effettuare attività di raccolta e trasporto dei rifiuti urbani e speciali prodotti da terzi, per lo più rottami ferrosi, senza l’iscrizione nell’albo dei gestori ambientali di cui all’art. 212 dello stesso decreto. 
 
 
(dich. inammissibile il ricorso avverso sentenza in data 6.12.2016 del TRIBUNALE DI ASTI) Pres. AMOROSO, Rel. MACRI’, Ric. El  Missaoui

Allegato


Titolo Completo

CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 23/10/2017 (Ud. 28/09/2017) Sentenza n.48437

SENTENZA

 

 

 
 
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 23/10/2017 (Ud. 28/09/2017) Sentenza n.48437
 
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
 
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
 
omissis
 
ha pronunciato la seguente
 
SENTENZA
 
sul ricorso proposto da El Missaoui Younes, nato in Marocco il 30.12.1982;
 
avverso la sentenza in data 6.12.2016 del Tribunale di Asti;
 
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
 
udita la relazione svolta dal consigliere Ubalda Macrì;
 
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Sante Spinaci, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso
 
RITENUTO IN FATTO
 
1. Con sentenza in data 6.12.2016 il Tribunale di Asti ha condannato El Missauoi Younes alla pena di € 2.000,00 di ammenda, oltre spese, per il reato di cui all’art. 256, comma 1, d. Lgs. 152/06, perché, senza l’iscrizione nell’albo dei gestori ambientali di cui all’art. 212 dello stesso decreto, aveva effettuato attività di raccolta e trasporto dei rifiuti urbani e speciali prodotti da terzi, per lo più rottami ferrosi, in Castagnito nel corso del 2012.
 
2. Con il primo motivo di ricorso, il Difensore dell’imputato deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p., in relazione all’art. 460, comma 4, c.p.p., stante la mancata restituzione degli atti al Pubblico ministero a seguito dell’impossibilità della notificazione al suo assistito del decreto penale di condanna, con conseguente omissione dell’avviso ex art. 415bis c.p.p..
 
Con il secondo motivo, eccepisce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e), in relazione agli art. 96 e 179, comma 1, c.p.p. Giunto a conoscenza del processo in data 22.9.2016 con la notifica del decreto di citazione a giudizio e dei verbali d’udienza, l’imputato aveva nominato il suo difensore di fiducia che, in data 17 .11.2016, aveva depositato in cancelleria l’istanza di ammissione dell’assistito al beneficio del patrocinio a spese dello Stato, contenente nella prima pagina la sua nomina ex art. 96 c.p.p., con revoca del precedente difensore; alla successiva udienza del 6.12.2016, però, il processo si era concluso alla presenza del difensore d’ufficio, ignorando la nomina del difensore di fiducia.
 
Con il terzo motivo, lamenta la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p. in relazione all’art. 420ter, commi 1 e 5, c.p.p., siccome il Giudice aveva implicitamente rigettato l’istanza di rinvio per impedimento a comparire per forza maggiore del difensore di fiducia.
 
Con il quarto motivo, denuncia la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b), c.p.p., in relazione all’art. 256, comma 1, d. Lgs. 152/06, perché la norma faceva riferimento al concetto di "attività" di raccolta, trasporto, recupero, smaltimento, commercio ed intermediazione di rifiuti, il che comportava che la condotta incriminata aveva per oggetto lo svolgimento di un complesso unitario di atti di gestione di rifiuti e non la realizzazione di singole operazioni, con la punizione non del comune cittadino, bensì del titolare dell’impresa o del soggetto che di fatto svolgeva in modo non occasionale l’attività di gestione dei rifiuti. Egli era responsabile di poche operazioni di trasporto e conferimento di rifiuti per ricavi economici assolutamente modesti e per un lasso di tempo alquanto breve.
 
Con il quinto motivo, lamenta la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b), in relazione all’art. 5 c.p. perché non gli poteva essere mosso il rimprovero della mancata conoscenza di norme speciali.
 
Con il sesto motivo, infine, eccepisce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b), c.p.p., in relazione all’art. 131bis c.p., anche con riferimento al ricavo ottenuto dai conferimenti al lordo delle relative spese pari a poche centinaia di euro al mese.
 
Chiede pertanto di annullare il decreto di citazione a giudizio e di dichiarare nulli tutti gli atti successivi; in subordine di annullare gli atti compiuti all’udienza del 6.12.2016 e quelli successivi con rinvio al Tribunale di Asti nonché, in ulteriore subordine, di annullare la sentenza del Tribunale di Asti.
 
CONSIDERATO IN DIRITTO
 
3. Il ricorso è manifestamente infondato.
 
Quanto ai primi tre motivi di ordine processale deve osservarsi: a) che l’imputato risulta aver personalmente ritirato presso l’ufficio postale la copia notificata del decreto penale di condanna in data 31.8.2015; b) che il Giudice, sull’eccezione difensiva dell’omessa notifica del decreto di citazione all’udienza per discutere dell’opposizione al decreto penale di condanna, aveva ordinato la rinotifica del decreto con allegato verbale dell’udienza tenuta il 21.6.2016, adempimento correttamente eseguito a mani dell’imputato il 22.9.2016 (come ammesso del resto nello stesso ricorso); c) che manca agli atti la nomina del difensore di fiducia né il Difensore che ha redatto il ricorso per cassazione l’ha prodotta in allegato al ricorso, limitandosi a riferire che era allegata alla domanda di ammissione al gratuito patrocinio, documento anche questo non presente in atti; d) che non può ritenersi l’esistenza della nomina del difensore di fiducia sulla base della semplice richiesta di rinvio per impedimento.
 
Ne consegue l’inammissibilità di tutti e tre i motivi. Correttamente il Giudice ha proseguito il processo con il difensore d’ufficio, senza dar rilievo all’istanza di rinvio del sé dicente difensore di fiducia.
Vanno parimenti dichiarati inammissibili gli altri tre motivi di ricorso, attinenti a profili di merito.
 
Ed invero, il Giudice ha accertato in fatto che l’imputato aveva trasportato rifiuti urbani speciali, per lo più rottami ferrosi, in assenza di autorizzazione, per conferirli presso l’impianto di smaltimento della Magifer S.r.l., a titolo oneroso ed ha dedotto dalle modalità del fatto – uso del mezzo, elevato numero dei conferimenti attestato dalle fatture in atti, natura, quantità e tipo di rifiuti – la sussistenza di una vera e propria attività di raccolta abusiva di rifiuti, strutturata ed organizzata. Il Giudice ha anche spiegato che, secondo l’orientamento della giurisprudenza di legittimità, l’abrogazione degli art. 121 e 124 TULPS non aveva comportato la liberalizzazione dell’attività di ambulante (Cass., Sez. 3, n. 27290/12, Rv 253047 e n. 6602/11, Rv 251978, cui è da aggiungersi la n. 34917/15, Rv 264822) e quindi era pur sempre necessaria l’abilitazione di cui all’art. 266, comma 5, d. Lgs. 152/06; che il reato di attività di gestione dei rifiuti è comune e può essere commesso anche da chi svolge l’attività di gestione dei rifiuti in modo secondario e consequenzialeall’esercizio di un’attività primaria diversa (Cass., Sez. 3, n. 29077/13, Rv 256737); che è irrilevante il dato formale della qualifica di soggetto imprenditore o professionista, dovendosi far riferimento al concetto di "attività" e "concrete modalità di svolgimento della stessa" (Cass., Sez. 3, n. 24431/11, Rv 250614).
 
Il quarto ed il quinto motivo di ricorso non si confrontano con sì solida motivazione sia in punto di fatto che di diritto. Né il ricorrente ha allegato elementi per giustificare l’ignoranza incolpevole della legge.
 
Quanto al sesto motivo, infine, l’accertamento della pluralità degli episodi di conferimento, in presenza di un’attività strutturata ed organizzata, costituisce di per sé motivo ostativo all’applicazione dell’art. 131bis c.p., sicché deve ritenersi implicita la valutazione negativa della sentenza impugnata. 
 
Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza "versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
 
P.Q.M.
 
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende
 
Così deciso, il 28 settembre 2017.
 

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