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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Rifiuti Numero: 11267 | Data di udienza: 20 Ottobre 2017

* RIFIUTI – Veicoli fuori uso – Gestione dei rifiuti pericolosi – Fattispecie: Officina meccanica e attività "hobbistica – Criteri per l’individuazione dell’attività – Artt. 183, 184, 256 d. lgs. n.152/2006.


Provvedimento: Ordinanza
Sezione: 7^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 13 Marzo 2018
Numero: 11267
Data di udienza: 20 Ottobre 2017
Presidente: CAVALLO
Estensore: SCARCELLA


Premassima

* RIFIUTI – Veicoli fuori uso – Gestione dei rifiuti pericolosi – Fattispecie: Officina meccanica e attività "hobbistica – Criteri per l’individuazione dell’attività – Artt. 183, 184, 256 d. lgs. n.152/2006.



Massima

 

 

CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. 7^ 13/03/2018, (Ud. 20/10/2017), Ordinanza n.11267


RIFIUTI – Veicoli fuori uso – Gestione dei rifiuti pericolosi – Fattispecie: Officina meccanica e attività "hobbistica – Criteri per l’individuazione dell’attività – Artt. 183, 184, 256 d. lgs. n.152/2006.
 
In tema di gestione dei rifiuti, le autovetture fuori uso costituiscono rifiuti pericolosi (individuati come tali dal codice europeo dei rifiuti con numero identificativo 160104), stante la presenza di componenti, quali oli minerali esausti e liquidi di batterie (Sez. 3, n. 31155 del 06/06/2006 ­ dep. 20/09/2006, Pezone). Nella specie, i giudici territoriali, respingono la tesi della riferibilità "familiare" o "personale" dei predetti rifiuti indicando le ragioni (consistenza quantitativa; presenza di automezzi da lavoro tipici di officina meccanica; circostanza per cui all’atto del controllo il ricorrente fosse stato trovato intento a lavorare su un’autovettura che non era di sua proprietà), escludendo pertanto la riconducibilità del fatto ad un’attività "hobbistica". 
 
 
(dich. inammissibile il ricorso avverso sentenza del 07 /02/2017 – CORTE APPELLO di LECCE SEZ. DIST. di TARANTO) Pres. CAVALLO, Rel. SCARCELLA, Ric. Pisano

Allegato


Titolo Completo

CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. 7^ 13/03/2018, (Ud. 20/10/2017), Ordinanza n.11267

SENTENZA

 

 
 
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. 7^ 13/03/2018, (Ud. 20/10/2017), Ordinanza n.11267
 
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SETTIMA PENALE
 
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
 
omissis
 
ha pronunciato la seguente
 
ORDINANZA 
 
sul ricorso proposto da PISANO ANTONIO nato il 27/11/1968 a TARANTO;
 
avverso la sentenza del 07 /02/2017 della CORTE APPELLO di LECCE SEZ. DIST. di TARANTO dato avviso alle parti;
 
sentita la relazione svolta dal Consigliere ALESSIO SCARCELLA; 
 
RITENUTO IN FATTO
 
1. Con sentenza emessa in data 7.02.2017, la Corte d’appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Taranto del 30.06.2015, appellata dal PISANO, riconosceva il beneficio della non menzione ex art. 175 c.p., confermando nel resto l’appellata sentenza che lo aveva riconosciuto colpevole del reato di raccolta di rifiuti speciali pericolosi (art. 256, co. 1, lett. b), d. lgs. n. 152 del 2006), in relazione a fatti del 23.08.2011, condannandolo alla pena condizionalmente sospesa di mesi 4 di arresto ed € 1800,00 di ammenda.
 
2. Ha proposto ricorso per cassazione l’imputato a mezzo del difensore di fiducia iscritto all’albo speciale ex art. 613 c.p.p., deducendo due motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen..
 
In particolare si evoca: a) con il primo motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. b), e) ed e), cod. proc. pen. in relazione all’art. 256, d. lgs. n. 152 del 2006 ed all’art. 416 c.p., e correlato vizio di mancanza, manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione (in sintesi si sostiene che la sentenza della Corte d’appello sarebbe mancante della motivazione in ordine alle ragioni per le quali non ha accolto le censure di cui all’atto di appello relative alla sussistenza del reato; i giudici avrebbero fondato il giudizio di colpevolezza sulla base di elementi indiziari privi dei requisiti di cui all’art. 192 c.p.p., limitandosi a condividere le motivazione della sentenza di primo grado; tale automatica trasposizione integrerebbe la violazione dell’art. 546 c.p.p.; non risponderebbe, poi al vero quanto contestatogli, non potendosi muovere alcun rimprovero penale al ricorrente, essendo anzi emerso con certezza che egli si fosse sempre rivolto ad un centro specializzato per lo smaltimento dei rifiuti dello stesso tipo di quelli sequestrati; sarebbe "plausibile" quindi che quanto rinvenuto provenisse da veicoli di proprietà del ricorrente medesimo o della sua famiglia, in ciò non condividendo il ricorrente quanto affermato dai giudici di merito, i quali avevano ritenuto che gli elementi acquisiti fossero assolutamente incompatibili con l’esercizio di attività meramente hobbistica); b) con il secondo motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. b), cod. proc. pen. in relazione all’art. 157 ed all’art. 161 c.p. (in sintesi si sostiene che, tenuto conto dei periodi di sospensione, calcolati dai giudici di merito, il termine di prescrizione sarebbe interamente decorso alla data del 7.03.2017; la sentenza è stata emessa il 7.02.2017, ma il termine per impugnarla a seguito della notifica dell’estratto contumaciale decorreva in data 7.05.2017, quindi successivamente all’integrale decorso del termine di prescrizione del reato).
 
CONSIDERATO IN DIRITTO
 
3. Il ricorso è inammissibile.
 
4. Ed invero, dall’esame congiunto delle sentenze di primo grado e di appello (che, com’è noto si integrano reciprocamente: Sez. 3, n. 44418 del 16/07 /2013 ­ dep. 04/11/2013, Argentieri, Rv. 257595), risulta palese, la manifesta infondatezza del primo motivo. La motivazione con cui i giudici di merito hanno ritenuto di dover disattendere la tesi difensiva è coerente e logica, richiamando i giudici le risultanze processuali rispetto alle quali le doglianze difensive tendono a sottoporre a questa Corte una rivalutazione, nel merito, dei fatti. La Corte territoriale indica le ragioni giuridiche per le quali il rifiuto era da considerarsi pericoloso, in particolare attraverso il richiamo all’art. 184, d. lgs. n. 152 del 2006, all. d), in cui vengono indicati gli scarti di olio motore come pericolosi ed anche gli accumulatori e le batterie esauste; del resto, si osserva, la giurisprudenza di questa Corte è consolidata nell’affermare che in tema di gestione dei rifiuti, le autovetture fuori uso costituiscono rifiuti pericolosi (individuati come tali dal codice europeo dei rifiuti con numero identificativo 160104), stante la presenza di componenti, quali oli minerali esausti e liquidi di batterie (Sez. 3, n. 31155 del 06/06/2006 ­ dep. 20/09/2006, Pezone, Rv. 235055). La Corte d’appello spiega, poi, le ragioni per le quali era da considerarsi giuridicamente configurabile il reato in esame, muovendo dalla stessa definizione dell’art. 183, d. lgs. n. 152 del 2006. I giudici territoriali, ancora, respingono la tesi della riferibilità "familiare" o "personale" dei predetti rifiuti indicando le ragioni (consistenza quantitativa; presenza di automezzi da lavoro tipici di officina meccanica; circostanza per cui all’atto del controllo il ricorrente fosse stato trovato intento a lavorare su un’autovettura che non era di sua proprietà), escludendo pertanto la riconducibilità del fatto ad un’attività "hobbistica".
 
5. Al cospetto di tale apparato argomentativo, le doglianze difensive si appalesano quindi manifestamente infondate, risolvendosi in un mero dissenso del ricorrente rispetto alla ricostruzione dei fatti ed alla valutazione degli elementi indiziari operata dalla Corte d’appello, critica non consentita in questa sede.
 
Deve, a tal proposito, essere ribadito che gli accertamenti (giudizio ricostruttivo dei fatti) e gli apprezzamenti (giudizio valutativo dei fatti) cui il giudice del merito sia pervenuto attraverso l’esame delle prove, sorretto da adeguata motivazione esente da errori logici e giuridici, sono sottratti al sindacato di legittimità e non possono essere investiti dalla censura di difetto o contraddittorietà della motivazione solo perché contrari agli assunti del ricorrente; ne consegue che tra le doglianze proponibili quali mezzi di ricorso, ai sensi dell’art. 606 cod. proc. pen., non rientrano quelle relative alla valutazione delle prove, specie se implicanti la soluzione di contrasti testimoniali, la scelta tra divergenti versioni ed interpretazioni, l’indagine sull’attendibilità dei testimoni e sulle risultanze peritali, salvo il controllo estrinseco della congruità e logicità della motivazione (v., tra le tante: Sez. 4, n. 87 del 27/09/1989 ­ dep. 11/01/1990, Bianchesi, Rv. 182961). Il controllo di legittimità sulla motivazione è, infatti, diretto ad accertare se a base della pronuncia del giudice di merito esista un concreto apprezzamento del materiale probatorio e/o indiziario e se la motivazione non sia puramente assertiva o palesemente affetta da vizi logici. Restano escluse da tale controllo sia l’interpretazione e la consistenza degli indizi e delle prove sia le eventuali incongruenze logiche che non siano manifeste, ossia macroscopiche, eclatanti, assolutamente incompatibili con altri passaggi argomentativi risultanti dal testo del provvedimento impugnato: ne consegue che non possono trovare ingresso in sede di legittimità i motivi di ricorso fondati su una diversa prospettazione dei fatti ne’ su altre spiegazioni, per quanto plausibili o logicamente sostenibili, formulate dal ricorrente (Sez. 6, n. 1762 del 15/05/1998 ­ dep. 01/06/1998, Albano L, Rv. 210923).
 
La sentenza, dunque, non merita alcuna censura sotto tale profilo.
 
6. Quanto, infine, all’eccezione di estinzione del reato per prescrizione, la stessa si appalesa manifestamente infondata essendo infatti pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che ai fini del computo della prescrizione rileva il momento della lettura del dispositivo della sentenza di condanna e non quello successivo del deposito della stessa (Sez. 1, n. 20432 del 27/01/2015 ­ dep. 18/05/2015, Lione, Rv. 263365). Ne discende, dunque, l’irrilevanza dell’intervenuto decorso alla data del 7 .03.2017 del termine di prescrizione massima in quanto successivo alla pronuncia della sentenza d’appello in data 7.02.2017, trovando applicazione il principio secondo cui l’inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 cod. proc. pen. (Nella specie la prescrizione del reato maturata successivamente alla sentenza impugnata con il ricorso: Sez. U, n. 32 del 22/11/2000 ­ dep. 21/12/2000, D. L, Rv. 217266). 
 
7. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento della somma, ritenuta adeguata, di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
 
P.Q.M.
 
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di duemila euro alla Cassa delle ammende.
 
Così deciso in Roma, nella sede della S.C. di Cassazione, il 20 ottobre 2017
 
 

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