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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Diritto processuale penale, Rifiuti Numero: 38670 | Data di udienza: 16 Marzo 2018

RIFIUTI – Gestione di rifiuti – Trasporto di ingenti quantità di rifiuti speciali, pericolosi e non – Assenza delle autorizzazioni, iscrizioni, comunicazioni – Registri di carico e scarico, F.I.R. e iscrizione all’Albo nazionale dei gestori – Sequestro preventivo e confisca obbligatoria dei mezzi – Mero possesso della licenza d’ambulante – Esclusione dell’applicabilità della deroga – Artt. 188, 252, 256, 259, 260 e 266 d.lgs n.152/2006 – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Pronuncia ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen. – Giurisprudenza – Art. 321 c.p.p. – Cosa sequestrata appartenente a terzo estraneo al reato – Onere della Prova.


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 21 Agosto 2018
Numero: 38670
Data di udienza: 16 Marzo 2018
Presidente: RAMACCI
Estensore: MACRI'


Premassima

RIFIUTI – Gestione di rifiuti – Trasporto di ingenti quantità di rifiuti speciali, pericolosi e non – Assenza delle autorizzazioni, iscrizioni, comunicazioni – Registri di carico e scarico, F.I.R. e iscrizione all’Albo nazionale dei gestori – Sequestro preventivo e confisca obbligatoria dei mezzi – Mero possesso della licenza d’ambulante – Esclusione dell’applicabilità della deroga – Artt. 188, 252, 256, 259, 260 e 266 d.lgs n.152/2006 – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Pronuncia ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen. – Giurisprudenza – Art. 321 c.p.p. – Cosa sequestrata appartenente a terzo estraneo al reato – Onere della Prova.



Massima

 

 

 
 
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez.3^ 21/08/2018 (Ud. 16/03/2018), Sentenza n.38670
 
 
RIFIUTI – Gestione di rifiuti – Trasporto di ingenti quantità di rifiuti speciali, pericolosi e non – Assenza delle autorizzazioni, iscrizioni, comunicazioni – Registri di carico e scarico, F.I.R. e iscrizione all’Albo nazionale dei gestori – Sequestro preventivo e confisca obbligatoria dei mezzi – Mero possesso della licenza d’ambulante – Esclusione dell’applicabilità della deroga – Artt. 188, 252, 256, 259, 260 e 266 d.lgs n.152/2006 – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Pronuncia ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen. – Giurisprudenza – Art. 321 c.p.p. – Cosa sequestrata appartenente a terzo estraneo al reato – Onere della Prova.
 
Ai sensi dell’art. 259, comma 2, d. Lgs. 152/2006, è disposta la confisca obbligatoria dei mezzi utilizzati per i trasporti ed i traffici (incombendo al titolare la prova della sua estraneità ai fatti e la completa buona fede, come da sentenza Sez. 3, n. 18515/15, Ruggeri), anche in caso di pronuncia ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., sulla base di una chiara ratio legis: impedire a chiunque delinqua in questo settore di continuare a delinquere, sotto ogni veste diretta o indiretta, sottraendo dalla sua disponibilità operativa i veicoli che sono il mezzo unico e basilare per continuare l’attività illecita. In tema tra le sentenze più recenti sez. 3, n. 2284/18, Benedetti, secondo cui il disposto di cui al comma 4-bis dell’art. 260 d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, introdotto dall’art. 1, comma 3 della legge 22 maggio 2015, n. 68, si applica anche ai fatti precedenti all’entrata in vigore della disposizione anzidetta in quanto, con questa, il legislatore ha normalizzato il principio giurisprudenziale, preesistente alla novella, secondo cui, in tema di gestione illecita di rifiuti, è obbligatoria, ai sensi dell’art. 259 del d.lgs. n. 152 del 2006, la confisca dei mezzi di trasporto impiegati per il traffico illecito di rifiuti di cui all’art. 260 del T.U. Ambientale. Fattispecie: sequestro preventivo dei mezzi utilizzati per il trasporto di ingenti quantità di rifiuti speciali, pericolosi e non, conferiti alle ditte riconducibili ad altro soggetto, senza le prescritte autorizzazioni, iscrizioni, comunicazioni previste dall’art. 256, comma 1, d. Lgs. 152/2006, in cambio di corrispettivo.
  
(dich. inammissibile il ricorso avverso ordinanza in data 22/4/2017 – TRIBUNALE DI REGGIO CALABRIA) Pres. RAMACCI, Rel. MACRI’, Ric. Curte 

Allegato


Titolo Completo

CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez.3^ 21/08/2018 (Ud. 16/03/2018), Sentenza n.38670

SENTENZA

 

 

 
 
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez.3^ 21/08/2018 (Ud. 16/03/2018), Sentenza n.38670
 
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE,
 
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
 
omissis
 
ha pronunciato la seguente
 
SENTENZA
 
sul ricorso proposto da Curte Ciprian, nato in Romania il 16.7.1984;
 
avverso l’ordinanza in data 22.4.2017 del Tribunale di Reggio Calabria;
 
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
 
udita la relazione svolta dal consigliere Ubalda Macrì;
 
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Sante
 
Spinaci, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso
 
RITENUTO IN FATTO
 
1. Con ordinanza in data 22.4.2017 il Tribunale di Reggio Calabria ha confermato il sequestro preventivo pronunciato dal Giudice per le indagini preliminari in data 1.3.2017 di svariati autoveicoli, tra cui quello di Curte Ciprian, indagato per aver effettuato il trasporto di ingenti quantità di rifiuti speciali, pericolosi e non, conferiti alle ditte riconducibili ad altro soggetto, senza le prescritte autorizzazioni, iscrizioni, comunicazioni previste dall’art. 256, comma 1, d. Lgs. 152/2006, in cambio di corrispettivo.
 
 
2. Con il primo motivo, il ricorrente deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., in relazione agli art. 321, comma 1 e 2, cod. proc. pen., 110 cod. pen., 260, comma 1 e 266, comma 5, d. Lgs. 152/2006. Il sequestro era stato disposto nell’ambito di una più ampia attività investigativa che aveva colpito 52 soggetti diversi accusati, a vario titolo, di aver concorso nell’attività di gestione di rifiuti non autorizzata (nello specifico di materiale ferroso ed altri metalli) nell’arco temporale tra il 30.3.2012 ed il 23.6.2016. Il capo d’imputazione provvisorio aveva distinto due diverse categorie di partecipi nell’attività di gestione abusiva dei rifiuti che, rispettivamente, conferendo o ricevendo materiali ferrosi e metallici, erano da ritenersi compartecipi nel reato contestato. Dagli atti d’indagine era emerso che il presupposto logico e normativo della contestazione risiedeva nell’assenza in capo ai soggetti indagati delle autorizzazioni al trattamento dei rifiuti prescritte dal d. Lgs. 152/2006 e, specificamente, nella mancata iscrizione all’albo nazionale dei gestori ambientali di cui all’art. 252 del citato decreto legislativo. Precisa che era pacifico che aveva effettuato solo accessi finalizzati al conferimento del materiale ferroso senza fare prelievi; che dall’aprile 2011 era stato titolare di una ditta individuale avente ad oggetto attività di recupero, preparazione per riciclaggio, cascami e rottami; che, all’epoca dei fatti, era titolare dell’autorizzazione n. 1470 all’esercizio dell’attività di commercio sull’area pubblica di tipo B (itinerante), rilasciata dal Comune di Reggio Calabria con carattere permanente ed avente ad oggetto la raccolta di materiale ferroso oggetto del suo commercio itinerante, ai sensi dell’art. 266, comma 5, d. Lgs. 152/2006; che, durante tutto il periodo di monitoraggio del sito, compreso tra il marzo 2012 ed il 23.6.2016, aveva effettuato 36 accessi e non 37, tra l’1.6.2012 ed il 24.11.2012, a fronte di circa 1903 accessi complessivamente contestati agli altri coindagati tra il marzo-aprile 2012 ed il ‘giugno 2016. 
 
L’ordinanza del Tribunale aveva affermato la sussistenza del fumus commissi delicti, sufficiente a sostenere la legittimità del provvedimento di sequestro. Nell’ordinanza si era sostenuto che il possesso dell’autorizzazione comunale al commercio ambulante di rifiuti ferrosi sarebbe stata irrilevante ai fini dell’accertamento del reato, in quanto, anche prima della novella dell’art. 188 d. Lgs. 152/2006, il soggetto autorizzato al commercio ambulante di rifiuti ferrosi non avrebbe potuto cedere i medesimi a ditte che si occupavano del trattamento dei rifiuti, quali l’Ambiente e Servizi S.r.l. L’abolizione della deroga prevista nell’art. 266, comma 5, e la modifica dell’art. 188 d. Lgs. 152/2006 non erano da intendersi come innovazione che avevano introdotto vincoli ad attività prima liberamente esercitabili, ma costituivano mera codificazione dell’orientamento giurisprudenziale che riconosceva la natura di reato comune alla fattispecie in esame. 
 
Ai fini della legittimità del sequestro, non era mai stata sollevata la questione della natura comune o propria del reato contestato, ma si era rilevata l’impossibilità di considerare concorrente nel medesimo il soggetto che, operando nell’ambito di una specifica attività commerciale ambulante, regolarmente autorizzata, si era limitato a conferire i rifiuti ferrosi all’unica ditta operante nel settore e presente sul territorio.
 
Precisa che le modifiche apportate dalla L. 221/2015 avevano escluso l’applicabilità della deroga di cui all’art. 266, comma 5, nel caso in cui l’attività di raccolta dei rifiuti avesse avuto ad oggetto rifiuti di rame e materiali ferrosi. In caso di attività di carattere ambulante, il soggetto era tenuto all’osservanza degli obblighi previsti per i gestori ambientali ed aveva l’obbligo di conferire i materiali presso un soggetto espressamente autorizzato ai sensi dell’art. 188, comma 1- bis, d. Lgs. 152/2006. Il dato normativo vigente era neutro rispetto alla fattispecie concreta perché i conferimenti di materiale ferroso erano avvenuti tra giugno e novembre 2012 e, quindi, in epoca anteriore alla norma che aveva eliminato la deroga di cui all’art. 266, comma 5, d. Lgs. 152/2006.
 
Argomenta che la decisione del Tribunale del riesame era il frutto di un’erronea e falsa interpretazione del dato normativo e dei precedenti giurisprudenziali in materia. La sussistenza dell’autorizzazione al commercio ambulante che aveva come unico oggetto proprio il materiale ferroso e la consumazione di condotte in epoca anteriore all’eliminazione della deroga di cui all’art. 266, comma 5, d. Lgs. 152/2006, escludevano qualsiasi possibilità di affermare la sussistenza del fumus commissi delicti.
 
 
Con il secondo motivo, deduce la violazione di legge e manifesta illogicità e carenza di motivazione in relazione all’art. 259, comma 2, d. Lgs. 152/2006. Il titolare del mezzo era risultato completamente estraneo alle condotte rilevate, gli aveva affidato il veicolo in buona fede, tale atteggiamento psicologico poteva pacificamente desumersi dal mero possesso della licenza d’ambulante. Non era astrattamente configurabile alcun addebito di negligenza in capo al terzo estraneo alle condotte contestate né si comprendeva come, stante la consumazione delle condotte in data anteriore alla L. 221/2015, il titolare del mezzo potesse prefigurarsi la potenziale commissione del reato da parte dell’affidatario, comunque possessore dell’autorizzazione comunale alla raccolta dei materiali ferrosi.
 
Era illogico e contraddittorio argomentare la legittimità del sequestro del bene, prima sostenendo la sufficienza del solo fumus commissi delicti e poi paventando la sussistenza del periculum in mora. Tale valutazione era da ritenersi del tutto infondata in fatto ed incoerente rispetto ai motivi del riesame, tenendo conto che i conferimenti dei materiali ferrosi presso l’Ambiente e Servizi S.r.l. erano avvenuti esclusivamente tra il giugno ed il novembre 2012, risultando oggettivamente risalenti nel tempo e non più reiterati nei quattro anni successivi di attività investigativa. Tale circostanza escludeva qualsiasi attuale e concreta possibilità di aggravamento o protrazione della condotta contestata, tanto più ove si considerava che i riscontri investigativi davano atto di un complesso di azioni che per i coindagati si erano protratte fino al giugno 2016. Anche sulla scorta del mero riscontro cronologico, doveva pertanto escludersi qualsiasi possibilità di reiterazione della condotta nei quasi quattro anni trascorsi dai rilievi circa gli ingressi del veicolo presso il sito gestito dalla Ambiente e Servizi S.r.l., nonostante il costante monitoraggio della Polizia giudiziaria: infatti, il veicolo non aveva più effettuato alcun trasporto eventualmente rilevante ai fini della contestazione mossagli.
 
Lamenta che era carente la successiva motivazione del Tribunale secondo cui era obbligatoria la confisca del veicolo che avrebbe corisentito la legittimità del sequestro e quindi di escludere qualsiasi possibilità di riforma del decreto del Giudice per le indagini preliminari. L’obbligatorietà della confisca ex art. 259, comma 2, d. Lgs. 152/2006 poteva essere affermata solo laddove il veicolo sequestrato fosse stato di proprietà del soggetto cui era stata contestata la condotta, ma non poteva, neanche analogicamente, essere estesa alle ipotesi in cui la cosa sequestrata appartenesse a terzi estranei al reato.
 
La corretta interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 259, comma 2, d. Lgs. 152/2006 avrebbe dovuto imporre al Tribunale del riesame di escludere la confisca automatica del veicolo di proprietà del terzo estraneo al reato, e conseguentemente di valutare in concreto, ai fini dell’affermazione della legittimità del sequestro, anche la sussistenza dell’attualità del pericolo di reiterazione o protrazione delle condotte oggetto di contestazione, operazione mai eseguita, ed anzi espressamente ritenuta superflua ed irrilevante.
 
Chiede pertanto l’annullamento senza rinvio dell’ordinanza impugnata
 
CONSIDERATO IN DIRITTO
 
3. Il ricorso è manifestamente infondato.
 
3.1. Il primo motivo, sebbene la rubrica reciti "violazione di legge" oltre che "manifesta illogicità e/o carenza della motivazione – violazione dell’art. 321, comma 1 e 2, c.p.p. in relazione agli art. 110 c.p., 260, comma 1 e 266, comma 5 d. lg.vo 152/2006", si risolve esclusivamente in una censura sull’apprezzamento dei fatti da parte del Tribunale del riesame, la cui cognizione è preclusa in questa sede per il limite dell’art. 325 cod. proc. pen. Ed invero, il ricorso per cassazione contro le ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli "errores in iudicando" o "in procedendo", sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (così, tra le più recenti, Sez. 2, n. 18951 del 14.3.2017, Napoli e altro, Rv 269656; Sez. 6, n. 6589 del 10/1/2013, Gabriele, Rv. 254893, SSUU., n. 25932 del 26 giugno 2008, Ivanov, Rv. 239692; in precedenza, con la sentenza Sez. U, n. 5876 del 13/2/2004, P.C. Ferazzi in proc. Bevilacqua, Rv. 226710, è stato precisato che mentre rientra nel sindacato di legittimità la mancanza di motivazione o la presenza di una motivazione meramente apparente, non vi rientra la sua eventuale illogicità manifesta). Infatti il controllo operato dai giudici di legittimità investe la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento (in tal senso, Sez. 6, n. 7472 del 21/1/2009, P.M. in proc. Vespoli e altri, Rv. 242916; Sez. 6, n. 3529 dell’l/2/1999, Sabatini, Rv. 212565; Sez. 4, n. 2050 del 24/10/1996, Marseglia, Rv. 206104).
 
Peraltro, va rilevato che la motivazione sul fumus del reato contestato è ampia e prende in esame tutti i profili problematici dell’applicazione della normativa. Era emerso che il Curte aveva conferito abitualmente rifiuti ferrosi ed elettrodomestici alla ditta di Praticò Domenico, verso corrispettivo, in assenza dell’iscrizione all’Albo nazionale dei gestori ambientali, ed era emerso altresì, dalla documentazione acquisita presso l’Ambiente e servizi S.r.l., che era munito di autorizzazione comunale ai sensi dell’art. 266, comma 5, d. Lgs. 152/2006, in virtù della quale non era obbligato a tenere i registri di carico e scarico, a compilar il F.I.R. e ad iscriversi all’Albo nazionale dei gestori. Secondo il Tribunale del riesame, tale circostanza non lo esimeva da responsabilità per i reati di cui agli art. 256, comma 1, d. Lgs. 152/2006, 110 cod. pen. e 260 d.Lgs. 152/2006. Egli infatti era titolare dell’autorizzazione comunale alla raccolta e commercio di materiale ferroso, mentre era stato sorpreso a conferire abitualmente rifiuti ferrosi ed elettrodomestici ad altra ditta, condotta esorbitante dall’autorizzazione e non consentita dalla deroga dell’art. 166, comma 5, d. Lgs. 152/2006, per la quale occorreva che il soggetto fosse in possesso del titolo abilitativo per l’esercizio di attività commerciale in forma ambulante ai sensi del d. Lgs. 114/1998 e che si trattasse di rifiuti che formavano oggetto del suo commercio, con la conseguenza che la norma non operava con riferimento a categorie di rifiuti che, per la loro peculiarità, erano autonomamente disciplinate (tra le più recenti, Cass., Sez. 3, n. 34917/15, PMT c. proc. Caccamo, Rv 264822 e n. 19209/17, Tutone e altri, Rv 270226).
 
Il Tribunale del riesame ha altresì osservato che tale conclusione era stata confortata dalla modifica legislativa della L. 221/2015 che aveva aggiunto il comma 1-bis all’art. 188 d. Lgs. 152/2006, secondo cui, per la parte d’interesse, alla raccolta ed al trasporto dei rifiuti di rame e di metalli ferrosi e non ferrosi non si applicava la disciplina dell’art. 266, comma 5. Come spiegato da questa Sezione, con sentenza n. 23908/16, PM c. Butera e altri, Rv 267019, la norma non è innovativa ma ricognitiva dell’esistente secondo l’interpretazione cristallizzata nelle sentenze di questa Corte, con l’unica particolarità che, quando l’attività di raccolta di materiale ferroso sia stata compiuta prima della modifica intervenuta ad opera dell’art. 30 della legge n. 221 del 2015, incombe ancora sul giudice accertare l’esistenza e validità del titolo abilitante al commercio e la riconducibilità del rifiuto raccolto o trasportato all’attività autorizzata, mentre, se il fatto è posto in essere successivamente a tale modifica, la verifica, beninteso limitatamente ai rifiuti di rame e ai metalli ferrosi e non ferrosi, non sarebbe più necessaria, stante appunto l’inapplicabilità tout court della deroga di cui all’art. 266, comma 5, d. Lgs. 152/2006. Il Tribunale del riesame ha dimostrato di aver fatto puntuale applicazione del principio di diritto sopra indicato, che in questa sede si ribadisce.
 
3.2. Il secondo motivo attiene alla legittimità del sequestro preventivo funzionale alla confisca.
 
Il ricorrente ha dedotto di non essere proprietario del veicolo. Ne deriva la mancanza di legittimazione alla doglianza.
 
Il Tribunale del riesame ha però ritenuto il ricorrente proprietario ed ha legittimamente confermato il sequestro preventivo disposto dal Giudice per le indagini preliminari con motivazione diffusa e particolareggiata. Ai sensi dell’art. 259, comma 2, d. Lgs. 152/2006, infatti, è disposta la confisca obbligatoria dei mezzi utilizzati per i trasporti ed i traffici (incombendo al titolare la prova della sua estraneità ai fatti e la completa buona fede, come da sentenza Sez. 3, n. 18515/15, Ruggeri, Rv 263772), anche in caso di pronuncia ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., sulla base di una chiara ratio legis: impedire a chiunque delinqua in questo settore di continuare a delinquere, sotto ogni veste diretta o indiretta, sottraendo dalla sua disponibilità operativa i veicoli che sono il mezzo unico e basilare per continuare l’attività illecita. Si veda in tema tra le sentenze più recenti sez. 3, n. 2284/18, Benedetti, Rv 272798, secondo cui il disposto di cui al comma 4-bis dell’art. 260 d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, introdotto dall’art. 1, comma 3 della legge 22 maggio 2015, n. 68, si applica anche ai fatti precedenti all’entrata in vigore della disposizione anzidetta in quanto, con questa, il legislatore ha normalizzato il principio giurisprudenziale, preesistente alla novella, secondo cui, in tema di gestione illecita di rifiuti, è obbligatoria, ai sensi dell’art. 259 del d.lgs. n. 152 del 2006, la confisca dei mezzi di trasporto impiegati per il traffico illecito di rifiuti di cui al citato art. 260.
 
3.3. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza "versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
 
P.Q.M.
 
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende
 
Così deciso, il 16 marzo 2018.
 

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