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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Diritto processuale penale, Rifiuti Numero: 3024 | Data di udienza: 8 Febbraio 2018

RIFIUTI – Realizzazione di un deposito incontrollato di rifiuti speciali pericolosi – Abbandono di rifiuti – Produzione e deposito di terzi all’insaputa del proprietario – APPALTI – Contratto di appalto per lo smaltimento – Ditta Inadempiente – Effetti – Responsabilità colposa dell’appaltante – Artt. 192, 256 d. lgs. n.152/2006 – Art. 40 c.p. – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Giudizio di Cassazione – Rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione – Preclusione – Censure attinenti a vizi della motivazione – Limiti.


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 6 Luglio 2018
Numero: 3024
Data di udienza: 8 Febbraio 2018
Presidente: RAMACCI
Estensore: SOCCI


Premassima

RIFIUTI – Realizzazione di un deposito incontrollato di rifiuti speciali pericolosi – Abbandono di rifiuti – Produzione e deposito di terzi all’insaputa del proprietario – APPALTI – Contratto di appalto per lo smaltimento – Ditta Inadempiente – Effetti – Responsabilità colposa dell’appaltante – Artt. 192, 256 d. lgs. n.152/2006 – Art. 40 c.p. – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Giudizio di Cassazione – Rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione – Preclusione – Censure attinenti a vizi della motivazione – Limiti.



Massima

 

 
 
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez.3^ 06/07/2018 (Ud. 08/02/2018), Sentenza n.30624
 

RIFIUTI – Realizzazione di un deposito incontrollato di rifiuti speciali pericolosi – Abbandono di rifiuti – Produzione e deposito di terzi all’insaputa del proprietario – APPALTI – Contratto di appalto per lo smaltimento di rifiuti – Ditta Inadempiente – Effetti – Responsabilità colposa dell’appaltante – Artt. 192, 256 d. lgs. n.152/2006 – Art. 40 c.p..
 
In materia di rifiuti, l’esclusione dell’applicazione dell’art. 40, cod. pen. è relativa alla produzione e deposito di terzi all’insaputa del proprietario. Pertanto, non è configurabile in forma omissiva il reato di cui all’art. 256, comma secondo, D.Lgs. n. 152 del 2006, nei confronti del comproprietario di un terreno sul quale il coniuge abbia abbandonato o depositato rifiuti in modo incontrollato, anche nel caso in cui non si attivi per la rimozione dei rifiuti. (In motivazione, la Corte ha affermato che tale responsabilità sussiste solo in presenza di un obbligo giuridico di impedire la realizzazione o il mantenimento dell’evento lesivo, che il proprietario può assumere solo ove compia atti di gestione o movimentazione dei rifiuti e che non può invece fondarsi sull’esistenza del rapporto di coniugio) (Sez. 3, n. 28704 del 05/04/2017 – dep. 09/06/2017, Andrisani e altro). Nella specie: il fatto che l’impresa incaricata allo smaltimento nel giugno 2009 (dunque circa nove mesi prima l’accertamento del reato) sia stata (asseritamente) inadempiente (circostanza questa peraltro solo dedotta, ma non adeguatamente provata), tale inadempimento non fa in ogni caso venir meno la responsabilità colposa del’appellante, il quale ha evidentemente quantomeno omesso con imprudenza, negligenza ed imperizia, di verificare per almeno nove mesi lo smaltimento asserita mente richiesto. Sicché, l’eventuale colpa della ditta incaricata per lo smaltimento (inadempiente), non esenta da responsabilità il ricorrente (appaltante) per una sua colpa (in vigilando), pur risultando solo accessoria alla già individuata responsabilità diretta, e comunque non illogica o errata giuridicamente.
 
 
DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Giudizio di Cassazione – Rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione – Preclusione – Censure attinenti a vizi della motivazione – Limiti.
 
In tema di giudizio di Cassazione, sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito. Inoltre, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo; per cui sono inammissibili tutte le doglianze che "attaccano" la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento. Sicché, il vizio di motivazione non può essere utilmente dedotto in Cassazione solo perché il giudice abbia trascurato o disatteso degli elementi di valutazione che, ad avviso della parte, avrebbero dovuto o potuto dar luogo ad una diversa decisione, poiché ciò si tradurrebbe in una rivalutazione del fatto preclusa in sede di legittimità.
 
(dich. inammissibile il ricorso avverso sentenza del 02/03/2017 – CORTE APPELLO di BOLOGNA) Pres. RAMACCI, Rel. SOCCI, Ric. Gentile 

Allegato


Titolo Completo

CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez.3^ 06/07/2018 (Ud. 08/02/2018), Sentenza n.30624

SENTENZA

 

 

 
 
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez.3^ 06/07/2018 (Ud. 08/02/2018), Sentenza n.30624
 
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
 
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
 
omissis
 
ha pronunciato la seguente
 
SENTENZA 
 
sul ricorso proposto da GENTILE ANDREA nato a RAVENNA;
 
avverso la sentenza del 02/03/2017 della CORTE APPELLO di BOLOGNA;
 
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
 
udita la relazione svolta dal Consigliere ANGELO MATTEO SOCCI;
 
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore SANTE SPINACI che ha concluso per: "Annullamento senza rinvio per prescrizione".
 
Il difensore presente, Avvocato SANGIORGI Gabriele, si riporta ai motivi del ricorso. 
 
RITENUTO IN FATTO
 
1. La Corte di appello di Bologna con sentenza del 2 marzo 2017 ha confermato la decisione del Tribunale di Ravenna del 27 giugno 2014 che aveva condannato Andrea Gentile alla pena di mesi 2 e giorni 20 di arresto e di € 1. 200,00 di ammenda, con le circostanze attenuanti generiche e la riduzione per il rito abbreviato, relativamente al reato di cui all’art. 256, comma 2, in relazione all’art. 192, d. lgs. 152/2006, per avere, rispettivamente in qualità, Gentile Andrea, di legale rappresentante della soc. Dock Cereali s.p.a., con stabilimento in Ravenna, via Classicana n. 59, e Dondini Stefano, di legale rappresentante della società Ediltecinica soc. coop. Consortile, incaricata di lavori di manutenzione all’interno dello stabilimento, realizzato un deposito incontrollato di rifiuti speciali pericolosi – costituiti da 9 lastre di copertura dismesse, contenenti amianto CER 170605 [ … ] – presso un’area aziendale priva dei requisiti tecnici di protezione ambientale previsti dalla normativa tecnica [ … ]. Accertato in Ravenna il 19 marzo 2012.
 
 
2. L’imputato ha proposto ricorso, tramite il difensore, per i motivi di seguito enunciati, nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.
 
 
2. 1. Contraddittorietà ed illogicità della motivazione della sentenza impugnata, relativamente alla responsabilità del ricorrente.
 
Il giudice di appello, nonostante abbia richiamato integralmente la sentenza di primo grado, ha tuttavia svolto considerazioni che si pongono in netto contrasto con quanto sostenuto nella sentenza del Tribunale. Infatti mentre il giudice di primo grado ha ricostruito con esattezza l’esatta dinamica degli eventi, ovvero che nel giugno del 2009 la società del ricorrente aveva stipulato un contratto di appalto, con la società Sismi S.r.l., per lavori di sostituzione delle coperture in Eternit presenti sui capannoni della società; alla società Sismi S.r.l. competeva lo smaltimento delle lastre di Eternit, nel rispetto della normativa vigente delle prescrizione eventualmente disposte dall’autorità amministrativa (pagina 2 della sentenza di primo grado).
 
Nell’ambito di tali operazioni di appalto, l’appaltatrice, Sismi S.r.l., ometteva di smaltire le lastre oggetto del presente procedimento che, pertanto, rimanevano impilate assieme ad altre depositate come eventuali ricambi. Proprio con riferimento a tale ultimo aspetto, vero è che lo stesso Tribunale di Ravenna aveva comunque compiuto un diverso incredibile errore ricostruttivo, nemmeno emendato dalla Corte di appello, segnalando che l’imputato stesso ammise che le lastre di Eternit erano state notate dai suoi dipendenti ma, confuse con ordinarie lastre di cemento, e non erano state rimosse; tale circostanza non risulta in alcuno dei documenti presenti nel fascicolo delle indagini.
 
 
2. 2. Violazione di legge, relativamente all’attribuzione all’imputato della responsabilità penale per una condotta omissiva, a fronte di una fattispecie attribuibile ad altro soggetto giuridicamente tenuto all’osservanza delle specifiche norme violate.
 
Il giudice di secondo grado ha totalmente ignorato la principale questione giuridica che afferisce al presente procedimento, ovvero l’insussistenza di responsabilità penale in capo al committente dei lavori quando l’appaltatore ometta di gestire correttamente il rifiuto.
 
Non è inoltre chiara l’esatta natura della responsabilità colposa omissiva contestata al ricorrente.
 
La responsabilità (quand’anche fosse ritenuta ex articolo 40, cod. pen.) non può giuridicamente in alcun modo essere trasferita in capo ad un soggetto estraneo alla gestione del rifiuto in questione (vedi Cassazione n. 25041/2011, 15165/2003 e 40618/2004). Il committente infatti ha unicamente il diritto di controllare lo svolgimento dei lavori nel suo interesse, e di ricevere in consegna l’opera ultimata, ma non ha certo il diritto/dovere di interferire sullo svolgimento dei lavori a tutela degli interessi ambientali e, pertanto, egli non può essere garante della corretta gestione dei rifiuti da parte dell’appaltatore, e di conseguenza non può essere ritenuto penalmente responsabile dell’abusiva gestione dei rifiuti commessa da quest’ultimo, in quanto non è possibile responsabilizzare un soggetto per non aver impedito un evento, quando egli non aveva alcun potere giuridico per impedirlo.
 
Ha chiesto quindi l’annullamento della sentenza impugnata.
 
CONSIDERATO IN DIRITTO
 
3. Il ricorso è inammissibile perché i motivi di ricorso sono manifestamente infondati, generici e ripetitivi dei motivi di appello, senza critiche specifiche alle motivazioni della sentenza impugnata. Inoltre il ricorso, articolato in fatto, valutato nel suo complesso richiede alla Corte di Cassazione una rivalutazione del fatto non consentita in sede di legittimità.
 
La decisione della Corte di appello (e la sentenza di primo grado) contiene adeguata motivazione, senza contraddizioni e senza manifeste illogicità, sulla responsabilità del ricorrente.
 
In tema di giudizio di Cassazione, sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito. (Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015 – dep. 27/11/2015, Musso, Rv. 265482).
 
In tema di motivi di ricorso per Cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo; per cui sono inammissibili tutte le doglianze che "attaccano" la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento. (Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015 dep. 31/03/2015, O., Rv. 262965). In tema di impugnazioni, il vizio di motivazione non può essere utilmente dedotto in Cassazione solo perché il giudice abbia trascurato o disatteso degli elementi di valutazione che, ad avviso della parte, avrebbero dovuto o potuto dar luogo ad una diversa decisione, poiché ciò si tradurrebbe in una rivalutazione del fatto preclusa in sede di legittimità. (Sez. 1, n. 3385 del 09/03/1995 – dep. 28/03/1995, Pischedda ed altri, Rv. 200705).
 
4. La Corte di appello (e il Giudice di primo grado), come visto, ha con esauriente motivazione, immune da vizi di manifesta illogicità o contraddizioni, dato conto del suo ragionamento che ha portato alla affermazione di responsabilità di Andrea Gentile, rilevando che: «deve osservarsi in primo luogo come sia pacifico e non contestato non solo il fatto materiale dell’esistenza di un deposito incontrollato di rifiuti pericolosi costituiti dalle nove lastre di eternit (impilate e bene in vista), ma anche la piena consapevolezza dell’imputato dell’esistenza di tale deposito (rispetto al quale aveva l’obbligo giuridico della sua eliminazione), tanto che ha incaricato apposita ditta per lo smaltimento nel giugno 2009. In questo pacifico contesto, il fatto che l’impresa incaricata allo smaltimento nel giugno 2009 (dunque circa nove mesi prima l’accertamento del reato) sia stata (asseritamente) inadempiente (circostanza questa peraltro solo dedotta, ma non adeguatamente provata, posto che non vi è prova che la Docks abbia disposto lo smaltimento proprio di quelle nove lastre ben impilate e visibili), tale inadempimento non fa in ogni caso venir meno (come esattamente ha rilevato il primo giudice) la responsabilità colposa del’appellante, il quale ha evidentemente quantomeno omesso con imprudenza, negligenza ed imperizia, di verificare per almeno nove mesi lo smaltimento asserita mente richesto».
 
Si tratta di un evidente accertamento di fatto, insindacabile in sede di legittimità, ove adeguatamente motivato, come nel caso in giudizio.
 
3. 1. Inoltre l’argomentazione utilizzata dalla Corte di appello sulla "eventuale" colpa della ditta incaricata per lo smaltimento, e della responsabilità, anche in questo caso, del ricorrente per una sua colpa, risulta solo accessoria alla già individuata responsabilità diretta, e comunque non illogica o errata giuridicamente.
 
Infatti opina la Corte di merito: «pur ipotizzando una colpa nella condotta della ditta incaricata dello smaltimento (cui però non può trasferirsi con un semplice contratto l’obbligo giuridico di eliminare un deposito incontrollato di rifiuti pericolosi), questa non fa venir meno la grave colpa del titolare dell’obbligo giuridico di non realizzare depositi incontrollati di rifiuti pericolosi».
 
L’esclusione dell’applicazione dell’art. 40, cod. pen. (prospettata dal ricorrente nel ricorso per Cassazione) è relativa alla produzione e deposito di terzi all’insaputa del proprietario: «In materia di rifiuti, non è configurabile in forma omissiva il reato di cui all’art. 256, comma secondo, D.Lgs. n. 152 del 2006, nei confronti del comproprietario di un terreno sul quale il coniuge abbia abbandonato o depositato rifiuti in modo incontrollato, anche nel caso in cui non si attivi per la rimozione dei rifiuti. (In motivazione, la Corte ha affermato che tale responsabilità sussiste solo in presenza di un obbligo giuridico di impedire la realizzazione o il mantenimento dell’evento lesivo, che il proprietario può assumere solo ove compia atti di gestione o movimentazione dei rifiuti e che non può invece fondarsi sull’esistenza del rapporto di coniugio)» (Sez. 3, n. 28704 del 05/04/2017 – dep. 09/06/2017, Andrisani e altro, Rv. 27034001).
 
Nel caso in odierno giudizio, invece, era proprio il ricorrente che si era attivato per la rimozione dell’amianto, e, come evidenziato adeguatamente nelle decisioni di merito, a distanza di nove mesi, dalla fine dell’incarico della ditta designata per lo smaltimento, il materiale in questione era ancora presente nella sua azienda, in modo ben visibile.
 
Alla dichiarazione di inammissibilità consegue il pagamento in favore della Cassa delle ammende della somma di € 2.000,00, e delle spese del procedimento, ex art 616 cod. proc. pen.
 
P.Q.M.
 
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
 
Così deciso, il 8/02/2018
 

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