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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Inquinamento acustico Numero: 50128 | Data di udienza: 28 Giugno 2018

* INQUINAMENTO ACUSTICO – Rumore – Emissioni sonore ad alto volume – Disturbato il riposo e la quiete dei soggetti residenti negli stabili limitrofi al locale – Responsabilità del legale rappresentante della società che detiene le autorizzazioni commerciali per la conduzione del locale – Cessione della materiale gestione del locale a terzi – Attività di sorveglianza – Omissione – Normale tollerabilità – Reato di cui all’art. 659 cod. pen. – Configurabilità.


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 7 Novembre 2018
Numero: 50128
Data di udienza: 28 Giugno 2018
Presidente: ROSI
Estensore: GENTILI


Premassima

* INQUINAMENTO ACUSTICO – Rumore – Emissioni sonore ad alto volume – Disturbato il riposo e la quiete dei soggetti residenti negli stabili limitrofi al locale – Responsabilità del legale rappresentante della società che detiene le autorizzazioni commerciali per la conduzione del locale – Cessione della materiale gestione del locale a terzi – Attività di sorveglianza – Omissione – Normale tollerabilità – Reato di cui all’art. 659 cod. pen. – Configurabilità.



Massima

 

 

CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez.3^ 07/11/2018 (Ud.  28/06/2018), Sentenza n.50128

 
INQUINAMENTO ACUSTICO – Rumore – Emissioni sonore ad alto volume – Disturbato il riposo e la quiete dei soggetti residenti negli stabili limitrofi al locale – Responsabilità del legale rappresentante della società che detiene le autorizzazioni commerciali per la conduzione del locale – Cessione della materiale gestione del locale a terzi – Attività di sorveglianza – Omissione – Normale tollerabilità – Reato di cui all’art. 659 cod. pen. – Configurabilità.

La qualifica di legale rappresentante di una società che gestisce un locale pubblico da cui promanano le immissioni sonore, non viene meno con la materiale gestione del locale ceduta dalla società amministrata ad altre persone; va, peraltro, precisato che, seppure tale circostanza fosse stata oggetto di dimostrazione in sede processuale, ciò non avrebbe sottratto il legale rappresentante dalla responsabilità per la violazione dell’art. 659 cod. pen., ove lo stesso, titolare nella sua predetta qualità delle autorizzazioni commerciali per la conduzione del locale, non avesse fornito la prova anche di avere, quanto meno, impartito ai materiali gestori del locale idonee istruzioni onde non provocare le immissioni di cui alla imputazione e non avesse dimostrato di avere svolto un’attività di sorveglianza in ordine al rispetto di esse.
 
(dich. inammissibile il ricorso avverso sentenza n. 12015/17 – TRIBUNALE DI ROMA – 16/10/2017) Pres. ROSI, Rel. GENTILI, Ric. Lenzini 

Allegato


Titolo Completo

CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez.3^ 07/11/2018 (Ud. 28/06/2018), Sentenza n.50128

SENTENZA

 

 

 
 
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez.3^ 07/11/2018 (Ud.  28/06/2018), Sentenza n.50128
 
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
 
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
 
omissis
 
ha pronunciato la seguente
 
SENTENZA 
 
sul ricorso proposto da LENZINI Giorgia, nata a Roma;
 
avverso la sentenza n. 12015/17 del Tribunale di Roma del 16 ottobre 2017;
 
letti gli atti di causa, la sentenza impugnata e il ricorso introduttivo;
 
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. Andrea GENTILI;
 
sentito il PM, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Pietro GAETA, il quale ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per prescrizione;
 
sentito, altresì, per la ricorrente, l’avv. Fabio Massimo GUAITOLI, del foro di Roma, che ha insistito per l’accoglimento del ricorso. 
 
RITENUTO IN FATTO
 
Con sentenza del 16 ottobre 2017, il Tribunale di Roma, dichiarata la penale responsabilità di Lenzini Giorgia in ordine al reato di cui all’art. 659 cod. pen. per avere, in qualità di titolare di un locale pubblico, mediante emissioni sonore ad altro volume, disturbato il riposo e la quiete dei soggetti residenti negli stabili limitrofi al locale in questione, la ha condannata alla pena di euro 300,00 di ammenda.
 
Avverso la predetta sentenza ha interposto ricorso in appello la Lenzini, assistita dal proprio difensore fiduciario, deducendo la insussistenza del fatto o comunque la non attribuibilità di esso alla imputata o, in ulteriore subordine, la sua non punibilità ai sensi dell’art. 131-bis cod. pen.
 
CONSIDERATO IN DIRITTO
 
Il ricorso è inammissibile.
 
Deve preliminarmente rilevarsi che, avendo la sentenza impugnata disposto la condanna della imputata esclusivamente alla pena della ammenda, la stessa non è suscettibile di essere impugnata in sede di appello.
 
Il ricorso presentato dalla Lenzini, pertanto, deve essere convertito, in ossequio al principio del favor impugnationis,in ricorso per cassazione.
 
Fatta questa premessa, rileva, tuttavia il Collegio, che le ragioni di censura formulata dalla imputata sono inammissibili in questa sede di legittimità.
 
Invero la ricorrente deduce, in termini peraltro piuttosto generici, elementi di fatto, quali l’avvenuta misurazione da parte dei tecnici della Regione Lazio del livello di immissioni sonore che sarebbe stato da questi considerato nell’ambito della normale tollerabilità; quali la circostanza che mai gli interventi eseguiti sul luogo dei fatti dalle forze dell’ordine abbiano portato all’accertamento delle molestie e delle immissione sonore tali da impedire il riposo e la quiete dei soggetti dimoranti nelle immediate prossimità del locale pubblico gestito dalla imputata; quali il fatto che, in ogni caso, le lamentele erano tutte provenienti esclusivamente dagli abitanti di un solo palazzo, limitrofo al locale della Lenzini.
 
Si tratta, come è evidenti di elementi tutti volti alla rivalutazione dei fatti di causa, la cui deduzione poteva ritenersi congrua rispetto all’originario mezzo di impugnazione prescelto dalla difesa della imputata; ma essa è, 
invece, inammissibile una volta convertita, come era doveroso fare, la impugnazione in questione in ricorso per cassazione.
 
Parimenti relativo a profili di merito è il motivo di impugnazione riferito alla attribuibilità personale del fatto di reato alla Lenzini; questa è stata desunta dalla circostanza che la Lenzini ha la qualifica di legale rappresentante della società che gestisce il locale pubblico da cui promanano le immissioni sonore di cui alla imputazione; circostanza di mero fatto, peraltro non oggetto di istruttoria dibattimentale, è che la materiale gestione del locale sia stata ceduta dalla società amministrata dalla Lenzini ad altre persone; va, peraltro, osservato che, seppure tale circostanza fosse stata oggetto di dimostrazione in sede processuale, ciò non avrebbe sottratto la imputata dalla responsabilità per la violazione dell’art. 659 cod. pen., ove la stessa, titolare nella sua predetta qualità delle autorizzazioni commerciali per la conduzione del locale, non avesse fornito la prova anche di avere, quanto meno, impartito ai materiali gestori del locale idonee istruzioni onde non provocare le immissioni di cui alla imputazione e non avesse dimostrato di avere svolto un’attività di sorveglianza in ordine al rispetto di esse.
 
Infine, quanto alla richiesta applicazione della speciale causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen., anche in questo caso la deduzione difensiva è inammissibile in questa sede, atteso che, secondo quanto emerge dallo stesso atto impugnatorio, che sul punto non fa riferimento ad una qualche manchevolezza motivazionale della sentenza gravata, lo stesso non aveva formato oggetto di discussione in sede di giudizio di merito (sulla inammissibilità in sede di legittimità della articolazione per la prima volta della censura avente ad oggetto la mancata qualificazione del fatto come particolarmente tenue ai fini di cui all’art. 131-bis cod. pen.: Corte di cassazione, Sezione III penale, 23 maggio 2018, n. 23174).
 
Sulla base dei rilievi che precedono, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e, visto l’art. 616 cod. proc. pen., la ricorrente va condannata al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 2000,00 in favore della Cassa delle ammende.
 
PQM
 
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende. 
 
Così deciso in Roma, il 28 giugno 2018
 

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