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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Procedimento amministrativo Numero: 7212 | Data di udienza: 22 Novembre 2018

* PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO – Accordi ex art. 11 l. n. 241/1990 – Vincolo del perseguimento dell’interesse pubblico – Esercizio del potere pubblicistico di autotutela – Annullamento d’ufficio – Legittimità.


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 6^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 24 Dicembre 2018
Numero: 7212
Data di udienza: 22 Novembre 2018
Presidente: Sabatino
Estensore: Lamberti


Premassima

* PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO – Accordi ex art. 11 l. n. 241/1990 – Vincolo del perseguimento dell’interesse pubblico – Esercizio del potere pubblicistico di autotutela – Annullamento d’ufficio – Legittimità.



Massima

 

CONSIGLIO DI STATO, Sez. 6^ – 24 dicembre 2018, n. 7212


PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO – Accordi ex art. 11 l. n. 241/1990 – Vincolo del perseguimento dell’interesse pubblico – Esercizio del potere pubblicistico di autotutela – Annullamento d’ufficio – Legittimità.

Gli accordi conclusi ai sensi dell’art. 11 della l. n. 241/90 sono atti che l’amministrazione pone in essere con il consenso del privato, ma comunque soggetti al vincolo di perseguimento dell’interesse pubblico: anche con il ricorso a moduli consensuali, lo svolgimento dell’azione amministrativa resta in ogni caso ancorato ai canoni tipici dell’agire dell’amministrazione e, in particolare, al vincolo teleologico posto a fondamento della preesistente tensione al perseguimento dell’interesse pubblico, informato, altresì, ai principi di imparzialità e buon andamento di cui all’art. 97 Cost.  Deve quindi ritenersi ammissibile l’esercizio di un potere pubblicistico di autotutela che, per la imprescindibile funzionalizzazione degli accordi in discorso, non può ritenersi paralizzato dall’assimilazione dell’accordo al contratto. L’esercizio del potere di recesso di cui al comma 4 del medesimo articolo non esaurisce, in altri termini, il novero di possibili modalità di esercizio del ius poenitendi rispetto alla fattispecie caratterizzata dalla conclusione dell’accordo. A prescindere dal mancato espresso richiamo da parte del legislatore – non può dubitarsi della possibilità per l’amministrazione di adottare altresì provvedimenti di annullamento d’ufficio al ricorrere dei presupposti di cui all’articolo 21-nonies della l. 241 del 1990 (cfr. Cons. St., Sezione V, 12 maggio 2017, n. 2231).

(Riforma TAR Campania, Napoli,  n. 404/2016) – Pres. f.f. Sabatino, Est. Lamberti – S. s.r.l. (avv.ti Pellegrino e  Lemmo ) c. Comune di Vico Equense  (avv. Furno)


Allegato


Titolo Completo

CONSIGLIO DI STATO, Sez. 6^ - 24 dicembre 2018, n. 7212

SENTENZA

 

CONSIGLIO DI STATO, Sez. 6^ – 24 dicembre 2018, n. 7212

Pubblicato il 24/12/2018

N. 07212/2018REG.PROV.COLL.
N. 06867/2016 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6867 del 2016, proposto da
Sica S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Gianluigi Pellegrino e Gianluca Lemmo, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Gianluigi Pellegrino in Roma, corso del Rinascimento, n. 11;


contro

Comune di Vico Equense, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Erik Furno, con domicilio eletto presso lo studio Dorina Furno Guerriero in Roma, viale dei Colli Portuensi, n. 187;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania n. 404/2016.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Vico Equense;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 22 novembre 2018 il Cons. Giordano Lamberti e uditi per le parti gli avvocati Gianluigi Pellegrino, Gianluca Lemmo ed Erik Furno;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1 – La s.r.l. Sica era proprietaria di un complesso edilizio destinato a struttura alberghiera su un costone roccioso della costiera sorrentina in località Alimuri nel comune di Vico Equense.

Di tale complesso, la cui licenza edilizia risale al 1964, era stato realizzato soltanto lo scheletro di cemento armato. L’intero progetto non era stato terminato per una serie articolate di vicende societarie, giudiziarie ed amministrative.

2 – In data 19 luglio 2007, è stato stipulato un accordo ai sensi dell’art. 11 L. 241/1990, sottoscritto dalla allora società proprietaria (Sa.An) e dalle amministrazione interessate (tra cui il Ministero dei Beni culturali, la Regione Campania e il Comune di Vico Equense). Il progetto di riqualificazione dell’area, a cui era funzionale l’accordo, non è mai stato portato a termine, anche in considerazione dell’esito negativo della conferenza di servizi convocata a tal fine dal Comune di Vico Equense.

3 – Con atto di indirizzo n. 36 deliberato dalla Giunta comunale di Vico Equense, in data 27 marzo 2014, gli uffici compenti erano invitati ad "accertamenti volti alla verifica della legittimità della costruzione, incentrati in particolare sulla conformità delle opere ai grafici progettuali relativi all’autorizzazione paesaggistica n. 5666 del 23.11.1963".

3.1 – A tale delibera hanno fatto seguito:

a) la determinazione n. 8286 del 31 marzo 2014, con cui è stata disposta la demolizione delle opere predette ai sensi dell’art. 27 del DPR n. 380/01.

Tale provvedimento è stato impugnato con il ricorso n. 2518/14 ed ha già avuto compiuta esecuzione, avendo il TAR respinto con ordinanza n. 944/14 l’istanza cautelare proposta dalla Società;

b) il decreto n. 130 del 18 settembre 2014 n. 130, con cui il Comune ha disposto l’annullamento dell’accordo del 19 luglio 2007, impugnato dalla Società con i motivi aggiunti.

4 – Con la sentenza n. 104 del 2016, il T.A.R. per la Campania, Sede di Napoli, ha rigettato sia il ricorso, sia i motivi aggiunti, condannando la ricorrente alla refusione delle spese di giudizio in favore dell’Amministrazione comunale di Vico Equense.

Avverso tale decisone la società ha proposto appello per i motivi di seguito esaminati.

5 – All’udienza del 22 novembre 2018, parte appellante ha precisato di rinunciare all’impugnazione dell’ordinanza di demolizione; ne consegue che il ricorso nei confronti di tale provvedimento deve essere dichiarato improcedibile, senza la necessità di esaminare i relativi motivi di appello.

6 – Tanto precisato, con il primo motivo di appello si censura la mancata acquisizione durante il giudizio di primo grado dell’accordo concluso ai sensi dell’art. 11 della l. n. 241/90 presso la Presidenza del Consiglio in data 19.07.2007.

6.1 – La censura è infondata. Va infatti osservato che il principio dispositivo con metodo acquisitivo, che opera nel processo amministrativo al fine di neutralizzare la disuguaglianza di posizione fra Amministrazione pubblica e privato, non consente al giudice di sostituirsi alla parte onerata, disponendo d’ufficio le acquisizioni istruttorie a cui era tenuta quest’ultima.

La ricorrente, che è subentrata alla società che originariamente ha stipulato l’accordo, doveva ragionevolmente ritenersi nella disponibilità dell’accordo, in quanto parte dello stesso, sicché rientrava nella sua autonoma valutazione la scelta di produrlo o meno in giudizio.

7 – Prima di esaminare le doglianze che coinvolgono sotto diverse prospettive il detto accordo, censurando le modalità con le quali il Comune se ne sarebbe sottratto, giova ricordare che gli accordi conclusi ai sensi dell’art. 11 della l. n. 241/90 sono atti che l’amministrazione pone in essere con il consenso del privato, ma comunque soggetti al vincolo di perseguimento dell’interesse pubblico.

Infatti, gli accordi in discorso, essendo un’alternativa al provvedimento, non possono non partecipare della sua stessa natura. A differenza di quanto accade nelle fattispecie contrattuali, l’interesse affidato alla cura di una delle due parti, il soggetto pubblico, assume all’interno dell’accordo un ruolo del tutto differente rispetto a quello del privato: l’accordo deve essere stipulato “in ogni caso nel perseguimento dell’interesse pubblico”.

In altri termini, la validità dell’accordo e la sua vincolatività sono subordinate alla compatibilità con l’interesse pubblico, il quale ne diviene così elemento definitorio (cfr. Cons. St. n. 2258 del 2017; Cort. Cost. n. 179 del 2016).

La giurisprudenza in più occasioni ne ha ribadito il collegamento con l’esercizio del potere, avendo chiarito che gli accordi costituiscono una modalità di esercizio del potere amministrativo attuata attraverso un modulo bilaterale e consensuale, pur rimanendo “pubblica” la potestà esercitata e, quindi, istituzionalmente funzionalizzata al perseguimento dell’interesse pubblico di cui è titolare l’amministrazione e soggetta alle regole generali dell’attività amministrativa, in parte diverse da quelle che disciplinano l’attività contrattuale privatistica (cfr. Cons. Stato, sez. V, 14 ottobre 2013). Ciò si spiega in quanto anche con il ricorso a moduli consensuali, lo svolgimento dell’azione amministrativa resta in ogni caso ancorato ai canoni tipici dell’agire dell’amministrazione e, in particolare, al vincolo teleologico posto a fondamento della preesistente tensione al perseguimento dell’interesse pubblico (cd. vincolo di scopo), informato, altresì, ai principi di imparzialità e buon andamento di cui all’art. 97 Cost.

7.1 – In ossequio alla funzionalizzazione pubblicistica dell’accordo, deve ritenersi che, anche dopo la stipula, l’amministrazione rimanga titolare di un potere pubblicistico, indipendentemente dai poteri e dalle facoltà riconosciuti nell’accordo (cfr. Cons. Stato, sez. V, 31 gennaio 2001, n. 354: “l’impegno assunto dall’amministrazione attraverso l’accordo non può risultare vincolante in termini assoluti, in quanto esso riguarda pur sempre l’esercizio di pubbliche potestà”).

In altre parole, deve ritenersi ammissibile l’esercizio di un potere pubblicistico di autotutela che, per la imprescindibile funzionalizzazione degli accordi in discorso, non può ritenersi paralizzato dall’assimilazione dell’accordo al contratto. Al riguardo, la stessa norma, art. 11 comma 2, richiama (solo) i “principi” in materia di obbligazioni e contratti” ritenendoli, oltretutto, applicabili solo “in quanto compatibili”.

7.2 – In definitiva, alla luce del condivisibile orientamento che configura in chiave pubblicistica degli accordi ex art. 11, deve convenirsi che l’esercizio del potere di recesso di cui al comma 4 del medesimo articolo non esaurisce il novero di possibili modalità di esercizio del ius poenitendi rispetto alla fattispecie caratterizzata dalla conclusione dell’accordo.

Invero, al riguardo, deve rilevarsi che in tali ipotesi – e a prescindere dal mancato espresso richiamo da parte del legislatore – non può dubitarsi della possibilità per l’amministrazione di adottare altresì provvedimenti di annullamento d’ufficio al ricorrere dei presupposti di cui all’articolo 21-nonies della l. 241 del 1990 (cfr. Cons. St., Sezione V, 12 maggio 2017, n. 2231).

8 – Tanto precisato, tornando alla fattispecie concreta all’esame del Collegio, deve ritenersi che il provvedimento di ritiro impugnato in primo grado sia qualificabile come annullamento d’ufficio ai sensi dell’articolo 21-nonies della l. 241, cit., sussistendo tutti gli elementi in fatto e in diritto idonei a supportare siffatta qualificazione.

Conferma l’assunto che prece il fatto che nell’atto di indirizzo approvato dalla Giunta si prevede "che l’UTC. e il Sindaco (quale sottoscrittore dell’accordo di programma) provvedano ad annullare in esercizio del generale potere di autotutela amministrativo l’accordo di programma sottoscritto il 19.07.2007 dandone preavviso alla società SAAN srl ai sensi dell’art. 10 bis della L n. 241190"; mentre il decreto n. 130/14 richiama esplicitamente il potere di autoannullamento di ufficio in via generale previsto dall’art. 21 nonies l. n. 241/90, precisando che il relativo presupposto sarebbe l’illegittimità dell’accordo in ragione dell’accertata abusività originaria dell’opera.

9 – Pur dovendosi ritenere in astratto configurabile un intervento in autotutela ai sensi dell’art. 21 nonies l. n. 241/90 per le ragioni innanzi spiegate, deve trovare accoglimento la censura di parte appellante che contesta le modalità con le quali l’accordo a suo tempo stipulato sia stato concretamente annullato dal comune.

In particolare, la società rileva che l’esercizio dell’autotutela sull’accordo avrebbe dovuto conseguire ad un concertotra le amministrazioni interessate, che sottoscrissero l’accordo (Ministero per i Beni e le Attività culturali, Regione Campania, Provincia di Napoli, Soprintendenza BAP-PASAE di Napoli e Provincia), non potendo il comune con un atto unilaterale annullare l’intero accordo.

9.1 – Come anticipato, la censura è fondata, non essendo possibile che anche il pur ammissibile esercizio del potere di autotutela di cui permane titolare l’amministrazione, possa porre nel nulla l’intero accordo al quale hanno partecipato più amministrazioni nel perseguimento dello specifico interesse a ciascuna affidato dall’ordinamento, attraverso un atto unilaterale di una sola delle amministrazioni, facenti parte dell’accordo, senza coinvolgere gli altri enti interessati dal medesimo accordo.

Nel caso di specie, invero, l’atto impugnato è chiaro nello specificare che il Comune annulla l’intero “accordo stipulato in data 19/07/2007 ai sensi dell’art. 21- nonies della l. 241/90”. Da tale inequivoco dispositivo, oltre che dal tenore complessivo dell’atto, da interpretarsi alla stregua degli artt. 1362 ss. c.c. (cfr. Cons Stato, Sez. V., 25 luglio 2013, n. 3964), e dunque privilegiando il loro tenore letterale, deve concludersi che il solo comune ha annullato l’intero accordo, senza in alcun modo considerare che dello stesso erano parti anche altre amministrazioni.

9.2 – Non può pertanto neppure supporsi che il Comune abbia semplicemente ritirato la propria partecipazione all’accordo per la parte di sua competenza, avendo invece esplicitato chiaramente di essere intervenuto per porre nel nulla l’intero accordo; ciò, oltre che senza il consenso del privato, circostanza di per sé ammissibile, come già spiegato, senza neppure il coinvolgimento degli altri Enti sottoscrittori dell’accordo.

9.3 – Osta ad una soluzione in tal senso il fatto che l’accordo è stato il frutto della volontà di più amministrazioni, che non possono vedere frustrata la loro posizione per la sola iniziativa di una di esse.

Al riguardo, giova ricordare che, nel differente ambito delle conferenze di servizi, la giurisprudenza ha già avuto occasione di precisare che: “l’adozione del provvedimento di autotutela con cui si travolgono gli effetti della determinazione motivata di conclusione, in quanto contrarius actus, deve pervenire all’esito di un procedimento in conferenza di servizi strutturato in modo simmetrico rispetto a quello che ha condotto all’adozione del provvedimento annullato o revocato. E infatti, laddove si propendesse per la soluzione opposta (nel senso che il potere di autotutela possa essere esercitato anche dalla sola amministrazione procedente) si consentirebbe ad uno solo dei soggetti coinvolti nella vicenda di comportarsi quale sostanziale dominus della conferenza e dei relativi effetti” (Cons. St. – Commissione speciale, 7 aprile 2016, parere n. 890/ 2016, cfr. anche Cons. St., Sez. V, 18 dicembre 2012, n. 6505).

Tali principi devono trovare applicazione anche nel caso di specie, al fine di evitare che il solo comune possa ergersi ad arbitro dell’intero accordo.

10 – Deve infine precisarsi che la soluzione non muta neppure se si aderisce all’impostazione che configura l’atto impugnato un atto di recesso alla stregua dell’art. 11, comma 4, dell’art. 1 della l. 241/90.

Anche in tale evenienza, infatti, ed a maggior ragione trattandosi in questo caso in sostanza di un revoca “per sopravvenuti motivi di interesse pubblico”, valgono i medesimi principi già esposti, con la conseguenza che il solo comune non può porre nel nulla anche le disposizioni relative a quegli ambiti riservati alle altre amministrazioni che avevano sottoscritto l’accordo.

Non contraddice tale assunto il fatto che l’art. 11 cit. si esprima nel senso che “l’amministrazione recede unilateralmente dell’accordo”, posto che il riferimento all’unilateralità deve essere ricondotto al modello di base di accordo, intercorso tra una amministrazione ed il privato, mentre nel caso di specie, essendo coinvolte più amministrazioni tale inciso non può che intendersi riferito alla parte di competenza di ciascuna di esse, non potendosi assumere, per le ragioni già spiegate, con una sola amministrazione determini l’inefficacia dell’intero accordo anche per le parti che interessano gli altri soggetti pubblici coinvolti.

11 – In definitiva, sotto tale profilo, l’appello deve trovare accoglimento, senza la necessità di esaminare le ulteriori censure svolte dall’appellante che restano assorbite dall’accoglimento del motivo di appello esaminato.

La complessità dei fatti oggetto di causa giustifica la compensazione tra le parti delle spese di lite.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando, accoglie parzialmente l’appello e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, dichiara improcedibile il ricorso originario ed accoglie il ricorso per motivi aggiunti.

Compensa tra le parti le spese di lite.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 22 novembre 2018 con l’intervento dei magistrati:

Diego Sabatino, Presidente FF
Vincenzo Lopilato, Consigliere
Francesco Mele, Consigliere
Giordano Lamberti, Consigliere, Estensore
Italo Volpe, Consigliere

L’ESTENSORE
Giordano Lamberti
        
IL PRESIDENTE
Diego Sabatino
        
        
IL SEGRETARIO

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