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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Diritto urbanistico - edilizia Numero: 2855 | Data di udienza: 26 Settembre 2018

* DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Reati urbanistici – Limiti alla demolizione se pregiudica la porzione di fabbricato non abusiva – Procedura di cd. "fiscalizzazione" di cui all’art. 34 del d.P.R. n. 380/2001 – Ipotesi di parziale difformità – Giurisprudenza – Revoca o sospensione dell’ordine di demolizione del fabbricato – Poteri del giudice dell’esecuzione – Controllo circa la pendenza delle domande di sanatoria – Nuovi atti amministrativi incompatibili con la demolizione – Necessità – Insufficiente la mera pendenza di ricorso al TAR.


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 22 Gennaio 2019
Numero: 2855
Data di udienza: 26 Settembre 2018
Presidente: SAVANI
Estensore: CERRONI


Premassima

* DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Reati urbanistici – Limiti alla demolizione se pregiudica la porzione di fabbricato non abusiva – Procedura di cd. "fiscalizzazione" di cui all’art. 34 del d.P.R. n. 380/2001 – Ipotesi di parziale difformità – Giurisprudenza – Revoca o sospensione dell’ordine di demolizione del fabbricato – Poteri del giudice dell’esecuzione – Controllo circa la pendenza delle domande di sanatoria – Nuovi atti amministrativi incompatibili con la demolizione – Necessità – Insufficiente la mera pendenza di ricorso al TAR.



Massima

 

 

 
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez.3^ 22/01/2019 (Ud. 26/09/2018), Sentenza n.2855
 

DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Reati urbanistici – Limiti alla demolizione se pregiudica la porzione di fabbricato non abusiva – Procedura di cd. "fiscalizzazione" di cui all’art. 34 del d.P.R. n. 380/2001 – Ipotesi di parziale difformità – Giurisprudenza.
 
La possibilità di non eseguire la demolizione qualora possa derivarne pregiudizio per la porzione di fabbricato non abusiva, secondo la procedura di cd. "fiscalizzazione" di cui all’art. 34 del d.P.R. n. 380 del 2001, riguarda le sole ipotesi di parziale difformità (al netto del limite di tolleranza individuato dall’ultimo comma dell’articolo citato) fra quanto oggetto del permesso a costruire e quanto invece realizzato, rimanendo invece esclusa nel caso in cui le opere eseguite siano del tutto sprovviste del necessario assenso amministrativo (in specie era stata ritenuta illegittima la revoca dell’ingiunzione a demolire un manufatto completamente abusivo e del tutto nuovo, ancorché innestato su una preesistente struttura di per sé conforme agli strumenti ed alle prescrizioni urbanistiche)(Sez. 3, n. 16548 del 16/06/2016, dep. 2017, Porcelli).
 
 
DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Revoca o sospensione dell’ordine di demolizione del fabbricato – Poteri del giudice dell’esecuzione – Controllo circa la pendenza delle domande di sanatoria – Nuovi atti amministrativi incompatibili con la demolizione – Necessità – Insufficiente la mera pendenza di ricorso al TAR.
 
In materia di reati urbanistici, il giudice dell’esecuzione, al fine di disporre l’esecuzione dell’ordine di demolizione, deve valutare la compatibilità dell’ordine adottato con i provvedimenti assunti dall’autorità amministrativa o dalla giurisdizione amministrativa, e deve revocare l’ordine di demolizione emesso con la sentenza di condanna o di patteggiamento soltanto se i nuovi atti amministrativi siano assolutamente incompatibili con esso (con la precisazione che la sospensione di una statuizione di demolizione contenuta nella sentenza penale passata in giudicato può essere concessa dal giudice dell’esecuzione solo quando sia razionalmente e concretamente prevedibile che, nel giro di brevissimo tempo, sia adottato dall’autorità amministrativa o giurisdizionale un provvedimento che si ponga in insanabile contrasto con il detto ordine di demolizione, mentre non è invece sufficiente una mera possibilità del tutto ipotetica che si potrebbe verificare in un futuro lontano o comunque entro un tempo non prevedibile; in tal senso non può essere ritenuta sufficiente la pendenza di ricorso al TAR contro il diniego amministrativo di sanatoria edilizia per giustificare l’invocata sospensione della demolizione) (Cass.Sez. 3, n. 1388 del 30/03/2000, Ciconte e altri). 
 
(dich. inammissibile il ricorso avverso ordinanza del 19/06/2015 – CORTE DI APPELLO DI NAPOLI ) Pres. SAVANI, Rel. CERRONI, Ric. Mangiapia

Allegato


Titolo Completo

CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez.3^ 22/01/2019 (Ud. 26/09/2018), Sentenza n.2855

SENTENZA

 

 

 
 
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez.3^ 22/01/2019 (Ud. 26/09/2018), Sentenza n.2855
 
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
 
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
 
omissis
 
ha pronunciato la seguente
 
SENTENZA 
 
sul ricorso proposto da 2019 Mangiapia Anna, nata a Napoli;
 
avverso l’ordinanza del 19/06/2015 della Corte di Appello di Napoli;
 
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; 
 
udita la relazione svolta dal consigliere Claudio Cerroni; 
 
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Gianluigi Pratola, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso. 
 
RITENUTO IN FATTO 
 
1. Con ordinanza del 19 giugno 2015 la Corte di Appello di Napoli in funzione di giudice dell’esecuzione ha tra l’altro rigettato la richiesta, presentata per conto di Anna Mangiapia, di revoca o sospensione dell’ordine di demolizione del fabbricato di cui alla sentenza della medesima Corte territoriale. 
 
2. Avverso il provvedimento l’interessata ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione formulando due motivi di impugnazione. 
 
2.1. In particolare, col primo motivo è stato dedotto che la Corte napoletana non aveva operato alcun controllo circa la pendenza delle domande di sanatoria e sulle eventuali prossime determinazioni della Pubblica Amministrazione. In specie, sussistevano in astratto le condizioni per giungere alla chiesta sanatoria. 
 
2.2. Col secondo motivo è stata eccepita l’impossibilità di procedere alla demolizione, atteso che con idonea perizia era stata rappresentata l’irreparabilità del pregiudizio, in seguito alla demolizione, alle strutture legittime dell’edificio. 
 
In tal modo non era stata operata alcuna valutazione sulla effettuabilità della demolizione senza danno per i manufatti legittimi. 
 
3. Il Procuratore generale ha concluso per l’inammissibilità del ricorso. 
 
CONSIDERATO IN DIRITTO 
 
4. Il ricorso è inammissibile. 
 
4.1. In relazione al primo profilo, la ricorrente non ha neppure tenuto in considerazione il rilievo centrale dell’ordinanza impugnata, che ha osservato come l’istanza di condono era stata ritenuta improcedibile dalla stessa Amministrazione comunale di Napoli. 
 
Ciò posto, e data la struttura del provvedimento, va appena ricordato che il giudice dell’esecuzione, al fine di disporre l’esecuzione dell’ordine di demolizione, deve valutare la compatibilità dell’ordine adottato con i provvedimenti assunti dall’autorità amministrativa o dalla giurisdizione amministrativa, e deve revocare l’ordine di demolizione emesso con la sentenza di condanna o di patteggiamento soltanto se i nuovi atti amministrativi siano assolutamente incompatibili con esso (con la precisazione che la sospensione di una statuizione di demolizione contenuta nella sentenza penale passata in giudicato può essere concessa dal giudice dell’esecuzione solo quando sia razionalmente e concretamente prevedibile che, nel giro di brevissimo tempo, sia adottato dall’autorità amministrativa o giurisdizionale un provvedimento che si ponga in insanabile contrasto con il detto ordine di demolizione, mentre non è invece sufficiente una mera possibilità del tutto ipotetica che si potrebbe verificare in un futuro lontano o comunque entro un tempo non prevedibile; in tal senso non può essere ritenuta sufficiente la pendenza di ricorso al TAR contro il diniego amministrativo di sanatoria edilizia per giustificare l’invocata sospensione della demolizione)(ad es. Sez. 3, n. 1388 del 30/03/2000, Ciconte e altri, Rv. 216071). 
 
In specie, ed alla stregua delle svolte considerazioni, non appare sussistere alcuna possibilità di differenti determinazioni amministrative in tempi ragionevolmente ristretti. 
 
4.2. In relazione al secondo motivo, si osserva che la possibilità di non eseguire la demolizione qualora possa derivarne pregiudizio per la porzione di fabbricato non abusiva, secondo la procedura di cd. "fiscalizzazione" di cui all’art. 34 del d.P.R. n. 380 del 2001, riguarda le sole ipotesi di parziale difformità (al netto del limite di tolleranza individuato dall’ultimo comma dell’articolo citato) fra quanto oggetto del permesso a costruire e quanto invece realizzato, rimanendo invece esclusa nel caso in cui le opere eseguite siano del tutto sprovviste del necessario assenso amministrativo (in specie era stata ritenuta illegittima la revoca dell’ingiunzione a demolire un manufatto completamente abusivo e del tutto nuovo, ancorché innestato su una preesistente struttura di per sé conforme agli strumenti ed alle prescrizioni urbanistiche)(Sez. 3, n. 16548 del 16/06/2016, dep. 2017, Porcelli, Rv. 269624). 
 
In specie parte ricorrente si è invero limitata ad allegare l’impossibilità di demolizione senza danno alla parte legittima. 
 
In proposito, invece, la stessa ordinanza impugnata (in risposta ai rilievi dell’interessata in ordine alla circostanza che le opere contestate non avevano comportato aumenti di superficie) ha dato invero atto – senza specifica contestazione al riguardo – che la condotta abusiva ascritta alla ricorrente, e ritenuta fondata in sentenza, aveva ad oggetto proprio l’ampliamento della struttura preesistente (non sussistendo comunque prova dell’irreparabilità del pregiudizio). 
 
Su questo specifico profilo in diritto, che escludeva ogni ipotesi di cd. fiscalizzazione anche in relazione alla circoscritta applicabilità dell’art. 34 cit., nulla è stato aggiunto. 
 
5. La manifesta infondatezza dell’impugnazione non può che condurre quindi all’inammissibilità del ricorso. 
 
Tenuto altresì conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 2.000,00. 
 
P.Q.M. 
 
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende. 
 
Così deciso in Roma il 26/09/2018
 
 

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