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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Diritto urbanistico - edilizia Numero: 275 | Data di udienza: 14 Gennaio 2019

* DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Successione di norme edilizie – Ius superveniens – Inapplicabilità di norme più restrittive in vaso di costruzioni già sorte – Nozione di costruzione esistente.


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 2^
Regione: Campania
Città: Salerno
Data di pubblicazione: 13 Febbraio 2019
Numero: 275
Data di udienza: 14 Gennaio 2019
Presidente: Abbruzzese
Estensore: Severini


Premassima

* DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Successione di norme edilizie – Ius superveniens – Inapplicabilità di norme più restrittive in vaso di costruzioni già sorte – Nozione di costruzione esistente.



Massima

 

TAR CAMPANIA, Salerno, Sez. 2^ – 13 febbraio 2019, n. 275


DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Successione di norme edilizie – Ius superveniens – Inapplicabilità di norme più restrittive in vaso di costruzioni già sorte – Nozione di costruzione esistente.

 In caso di successione di norme edilizie il principio dell’immediata applicazione dello "ius superveniens" deve essere armonizzato con l’esigenza del rispetto dei diritti quesiti, talché nell’ipotesi che le nuove norme siano più restrittive, la nuova disciplina non è applicabile alle costruzioni che al momento della sua entrata in vigore possano considerarsi già sorte; il concetto di costruzione esistente postula la possibilità di individuazione della stessa come identità strutturale, in modo da farla giudicare presente nella realtà materiale quale specifica entità urbanistico – edilizia esistente nell’attualità; deve, pertanto, trattarsi di manufatto che, a prescindere dalla circostanza che sia abitato o abitabile, possa comunque essere individuato nei suoi connotati essenziali, come identità strutturale, in relazione anche alla sua destinazione. 

Pres. Abbruzzese, Est.  Severini –G.D.M. (avv.ti Lanocita e Filosa) c. Comune di Salern (avv.ti Rinaldi, Mea e Piscitelli)


Allegato


Titolo Completo

TAR CAMPANIA, Salerno, Sez. 2^ - 13 febbraio 2019, n. 275

SENTENZA

 

TAR CAMPANIA, Salerno, Sez. 2^ – 13 febbraio 2019, n. 275

Pubblicato il 13/02/2019
N. 00275/2019 REG.PROV.COLL.
N. 01438/2008 REG.RIC.
N. 00163/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

sezione staccata di Salerno (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso, numero di registro generale 1438 del 2008, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
Giuseppe De Martino, rappresentato e difeso dagli Avv. Francesco Lanocita e Giovanni Filosa, con domicilio eletto, in Salerno, alla via Roma, 61, presso l’Avv. Lanocita;

contro

Comune di Salerno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli Avv. Luigi Rinaldi, Luigi Mea, Antonio Piscitelli, con domicilio eletto, in Salerno, in via Roma – Palazzo di Città;

sul ricorso, numero di registro generale 163 del 2012, proposto da:
Giuseppe De Martino, rappresentato e difeso dagli Avv. Francesco Lanocita, Stefania Vecchio, e Giuseppe Lanocita, con domicilio eletto in Salerno, alla via Roma, 61;

contro

Comune di Salerno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Luigi Mea e Maria Grazia Graziani, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto, in Salerno, alla via Roma – Palazzo di Città;
Sportello Unico per l’Edilizia – Servizio Trasformazioni Edilizie del Comune di Salerno, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituito in giudizio;

per l’annullamento

quanto al ricorso n. 1438 del 2008:

(atto introduttivo del giudizio)

– a) del provvedimento prot. n. 109280 del 3/07/2008, con il quale il Dirigente dello Sportello Unico per l’Edilizia del Comune di Salerno ha respinto la richiesta di variante al permesso di costruire n. 260/06;

– b) d’ogni altro atto connesso, collegato, presupposto e consequenziale;

(atto di motivi aggiunti)

a) dell’atto, prot. 233156/2010 ricevuto il 10.12.2010, con il quale la Dirigente del Servizio Trasformazioni Edilizie – Sportello unico per l’Edilizia, Settore Urbanistica del Comune di Salerno, ha disposto il diniego “ad horas di prosecuzione dell’attività edilizia”, ingiungendo “(…) la rimozione degli effetti dannosi conseguenti ai lavori eventualmente eseguiti”, relativamente alla segnalazione certificata di inizio attività, ex art. 19 l. 241/90, presentata dal ricorrente in merito ad un fabbricato rurale, realizzato giusta p. di c. 260/2006;

b) d’ogni altro atto connesso, presupposto, consequenziale;

quanto al ricorso n. 163 del 2012:

a) dell’atto, prot. 104695 del 31.05.2011, a firma del Dirigente del Servizio Trasformazioni Edilizie del Comune di Salerno;

b) di tutti gli atti ad esso connessi, collegati, presupposti e consequenziali;

Visti i ricorsi, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Salerno;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;

Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 14 gennaio 2019, il dott. Paolo Severini;

Uditi per le parti i difensori, come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato, in fatto e in diritto, quanto segue;

FATTO

Con l’atto introduttivo del primo dei gravami in epigrafe, il ricorrente, titolare del permesso a costruire n. 260/2006, originariamente rilasciato a Umberto Marini e, successivamente, volturato in proprio favore (con provvedimento, prot. n. 150974), finalizzato alla realizzazione di un fabbricato rurale, in località Ogliara, alla via Montestella, che prevedeva, conformemente a quanto previsto dal P. R. G., all’epoca vigente, la realizzazione d’una piccola casa rurale, su due livelli fuori terra e un piano interrato, con annessi agricoli; premesso che, nel corso dell’esecuzione delle opere, aveva riscontrato la necessità d’apportare delle varianti al progetto assentito, conformemente a quanto disposto dal nuovo strumento urbanistico (P. U. C.), nelle more approvato; che, pertanto, con istanza del 29/04/2008, aveva ipotizzato:

– 1) l’apertura di un accesso al piano interrato, al fine di destinarlo ad autorimessa;

– 2) una modifica della sagoma del piano terra, tale da determinare la realizzazione di due porticati;

– 3) un ampliamento del 20% della cubatura assentita, da realizzare mediante lo spostamento, dall’interno all’esterno, della scala di collegamento tra i piani e la parziale copertura del lastrico assentito, per l’adeguamento igienico – sanitario dell’intera struttura;

ma che, con provvedimento prot. n. 86830 del 29/05/2008, il dirigente dello Sportello Unico per l’Edilizia aveva comunicato, ai sensi dell’art. 10 bis della l. 241/90, i motivi ostativi all’accoglimento della richiesta variante; che, nei termini, aveva formulato le proprie osservazioni, rappresentando, in particolare, “l’erronea qualificazione dell’intervento e, quindi, la travisante applicazione, alla fattispecie, delle N. T. A., richiamate dal Dirigente dello Sportello Unico per l’Edilizia” (in particolare, il progettato intervento era stato assentito, precedentemente all’adozione del P. U. C., alla stregua del P. R. G. che richiedeva, quale lotto minimo, 5.000 mq. di terreno, in zona E2); lamentava che “nel riproporre i motivi, già espressi nel parere sfavorevole, n. 135/2008”, e “senza operare alcun riferimento alle osservazioni presentate”, il Dirigente del S. U. E. del Comune di Salerno, con provvedimento, prot. n. 109280 del 3/07/2008, aveva denegato l’intervento in variante; avverso il medesimo, articolava le seguenti censure in diritto:

I) VIOLAZIONE e FALSA APPLICAZIONE di LEGGE (art. 97 Cost.; artt. 2, 3 e ss. l. 241/90) – VIOLAZIONE e FALSA APPLICAZIONE artt. 114, 117 e 119 Norme Tecniche d’Attuazione del P. U. C., approvato con Decreto del Presidente della Provincia, n. 147 del 28/12/2006 – ECCESSO di POTERE (difetto dei presupposti, carenza d’istruttoria, travisamento e illogicità):

premesso che, nelle more della realizzazione del fabbricato, il Comune di Salerno s’era dotato di un nuovo Piano Urbanistico, approvato – in una alle N. T. A. – con D. P. n. 147 del 28/12/2006, pubblicato sul B. U. R. C. n. 2 dell’8/01/2007 e in vigore a far data dal 24/01/2007, col quale era stata fissata una nuova tipologia di casa colonica, con la possibilità della realizzazione d’una più ampia superficie, da destinare ad uso abitativo, e della dislocazione, autonoma e distante dalla residenza, dei volumi, destinati all’attività agricola; in particolare, con gli artt. 119, 120 e 121 delle N. T. A. erano state disciplinate, specificamente, le abitazioni agricole, consentendo per le stesse, “nel sedime del fabbricato a destinazione residenziale la realizzazione di un’autorimessa interrata di altezza non superiore a mt. 2,40”; contrariamente a quanto previsto con il vecchio P. R. G., inoltre, con l’art. 120 delle N. T. A. del P. U. C. era stata prevista la realizzazione, a 20 mt. di distanza dai fabbricati residenziali, di stalle, silos, magazzini, serre etc., la cui volumetria era conteggiata autonomamente dalle volumetrie, assentite per le abitazioni agricole; tale scelta era coerente con gli obiettivi di conservazione dell’integrità paesaggistica dei luoghi collinari, con particolare riferimento alla destinazione agricola delle singole zone, in una al rafforzamento dei nuclei urbani, garantendo la presenza dei necessari servizi e adeguando la dimensione urbanistica delle residenze (cfr. artt. 103 e ss. N. T. A.); conseguentemente, al fine di rendere omogenee le antiche costruzioni agricole alla nuova tipologia residenziale, l’art. 114 delle N. T. A. aveva previsto che “(…) Le esistenti costruzioni a destinazione agricola, in caso di necessità connesse ad esigenze igienico – sanitarie, possono essere ampliate fino ad un massimo del 20% dell’esistente cubatura, purché esse siano direttamente utilizzate per la conduzione del fondo opportunamente documentate”; tanto premesso, rilevava che, in quanto titolare del permesso a costruire, rilasciato alla stregua della precedente disciplina urbanistica, e sussistendone i presupposti, aveva inoltrato richiesta di variante, ai sensi della nuova previsione urbanistica, contenendo l’incremento di volumetria per esigenze igienico – sanitarie, nel limite del 20% della volumetria assentita, e proponendo la realizzazione dell’autorimessa, nella parte interrata del fabbricato, in conformità all’art. 119, co. 2 delle N. T. A.; il dirigente del S. U. E., invece, “tralasciando di considerare che il fabbricato rurale in corso di realizzazione era stato assentito in virtù della precedente disciplina urbanistica, aveva qualificato l’intervento in variante quale nuova costruzione, applicando illegittimamente la novella regolamentazione urbanistica sul lotto minimo edificabile”; contrariamente a quanto sostenuto dal dirigente comunale, però, la verifica dei presupposti per il rilascio del permesso a costruire e, in particolare, sull’estensione del lotto minimo, era “stata già favorevolmente effettuata in occasione del rilascio del titolo sulla base della disciplina urbanistica previgente, residuandogli unicamente la competenza a valutare la sussistenza dei presupposti, richiesti dagli artt. 114 e 119 N. T. A., per assentire l’ampliamento di volumetria e l’autorimessa”; l’errore, insomma, in cui era incorso il dirigente comunale, concerneva la qualificazione dell’intervento in variante, da sussumersi nelle ipotesi d’ampliamento di costruzioni esistenti, attesa peraltro la sostanziale ultimazione dei lavori assentiti, relativamente alla struttura in c. a., alla copertura ed alla tompagnatura esterna ed agli intramezzi interni (cfr. collaudo statico del 30.07.2008); nel riferirsi, cioè, alle costruzioni esistenti, l’art. 114 delle N. T. A. si riferiva a “tutte le costruzioni assentite, in termini definitivi, in conformità a previgenti discipline urbanistiche”, e la “mancata ultimazione dei lavori assentiti, al momento della richiesta d’ampliamento”, non poteva rappresentare un valido ostacolo all’applicazione dell’art. 114, con la sussunzione della specie nell’ambito delle nuove costruzioni (la conseguenza sarebbe stata unicamente quella di posticipare, successivamente all’ultimazione del fabbricato, la realizzazione delle opere d’ampliamento richieste); tale motivo era assorbente, “dando atto della conformità della variante alle nuove regole urbanistiche”; posto che l’ampliamento proposto, contenuto nel limite del 20%, era funzionale all’adeguamento igienico – sanitario della struttura, quindi “assentibile ai sensi dell’art. 114”; quanto all’autorimessa, poi, si sottolineava che la conformità della stessa, alle previsioni dell’art. 119, non era stata affatto contestata, dal dirigente comunale; sotto altro profilo, eccepiva “l’apoditticità del diniego e l’assenza dì motivazione, in ordine al rigetto delle controdeduzioni, formulate dal ricorrente in occasione della comunicazione dei motivi, ostativi all’accoglimento dell’istanza”; e ciò tanto più, che il dirigente comunale non aveva “assolutamente provveduto a confutare la fondatezza delle osservazioni, formulate con nota prot. n. 95924 del 13/06/2006”, con cui aveva rappresentato “l’erronea qualificazione dell’intervento e la necessità che lo stesso fosse valutato, alla stregua dell’art. 114 delle N. T. A.”, respingendo l’istanza di variante, perché: “il richiedente non ha dimostrato di avere titolo alla realizzazione del fabbricato rurale de quo, in quanto: il lotto edificabile è inferiore ai mq. 10,000 ed è stata prevista la creazione di ulteriore volume e superfici, rispetto a quanto giù autorizzato, in contrasto con le vigenti N. T. A. del P. U. C. – artt. 117, 119, 120 e 121; il progetto di cui agli estremi di riferimento sopra riportati, non trova accoglimento in quanto prioritariamente dalla valutazione tecnica sulla conformità alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente, a monte risulta in contrasto con gli artt. 117, 119, 120 e 121 sopra riportati espressamente”; sicché “l’assenza, nel provvedimento impugnato, d’argomentazioni a supporto dell’inapplicabilità alla fattispecie del menzionato art. 114”, avrebbe reso l’atto illegittimo; era, del resto, “di tutta evidenza” la violazione degli artt. 2, 3 e seguenti della l. 241/90 sull’obbligo di motivare, anche in ordine alle osservazioni, formulate ai sensi dell’art. 10 bis.

Si costituiva in giudizio il Comune di Salerno, rappresentando che, giusta copia collaudo statico in corso d’opera del 9.05.2008, depositato in atti, il ricorrente, dal 12.12.2007 al 9.05.2008, aveva già eseguito i lavori strutturali, di cui alla variante, presentata in data 29.04.2008, per cui la procedura invocata non poteva essere ritenuta più idonea, dovendosi, allo stato, attivare il procedimento, ex art. 36 d. P. R. 380/2001; inoltre, evidenziava che l’intervento richiesto ricadeva:

– in zona omogenea E2, dov’era posizionato il fabbricato, mentre nella zona a valle del lotto parte in zona omogenea B e parte in zona standard, con destinazione parcheggio di progetto;

– in area a pericolosità potenziale, da frana P1, del vigente P. S. A. I.;

ancora, il lotto edificabile era inferiore a mq. 10.000 ed era stata prevista la creazione d’ulteriori volumi e superfici, rispetto a quanto già autorizzato, in contrasto con le vigenti N. T. A. del P. U. C. (artt. 117, 119, 120 e 121); per di più, confrontando gli elaborati grafici del p. di c. n. 260/2006, prot. 36340/2006 e della variante in corso d’opera, era emersa un’evidente diversità di sagoma, superficie e volume dell’opera, tale da far considerare il progetto come “nuova costruzione”; laddove l’art. 114 della N. T. A., al punto 01 (“Ampliamenti”) stabiliva che una delle condizioni per la sua l’applicabilità era l’essere riferita alle “esistenti costruzioni”; tuttavia, mentre il 26.10.2006, quando il ricorrente aveva comunicato l’inizio dei lavori (il 30.10.2006), era vigente la variante al P. R. G., approvata con delibera di Consiglio Comunale n. 71/89, dal collaudo statico in corso d’opera s’evinceva l’effettivo inizio dei lavori, il 12.12.2007, e il completamento delle strutture, il 9.05.2008, date in cui era vigente l’attuale P. U. C.; sicché, in data 29.04.2008, di presentazione della domanda di variante al p. di c. 260/06, il fabbricato era in corso di realizzazione, quanto alle sole strutture portanti, come confermato dall’atto di compravendita e dall’allegato certificato urbanistico, nella parte in cui il venditore, alla data della compravendita (29.08.2007), dichiarava che “allo stato sono stati eseguiti i soli lavori di scavo e installazione cantiere”; insomma, alla luce di tali riscontri, gli artt. 114 e ss. delle N. T. A. non trovavano applicazione, non risultando alcuna “esistente costruzione”, sin dalla data del rogito notarile e della successiva istanza di variante in corso d’opera; pertanto l’Ufficio preposto, non potendo applicare l’art. 114, aveva valutato che la variazione sostanziale dell’opera (consistente in un incremento volumetrico, stimato dallo stesso richiedente in almeno mc. 80,61) eccedeva, rispetto ai mc. 498,47, assentiti con il p. di c. n. 260/06; contrariamente a quanto riportato in ricorso – relativamente all’autorimessa, la cui conformità non sarebbe stata contestata – la difesa dell’ente precisava che, nel provvedimento impugnato, l’Ufficio, nel riservarsi ulteriori accertamenti e valutazioni tecniche sull’intero fabbricato, aveva, comunque, riscontrato un “ulteriore incremento delle altezze del fabbricato, con creazione di ulteriore volume fuori terra da quello autorizzato”; infine, non era stata fornita alcuna dimostrazione, attraverso una valutazione tecnico – agronomica, circa la superficie degli annessi agricoli progettati, rispetto alle destinazioni colturali in atto, come previsto dall’art. 117 delle N. T. A.

La Sezione, con ordinanza, resa all’esito all’udienza in c. di c. del 31.10.2008, respingeva la domanda cautelare, proposta dal ricorrente, con la seguente motivazione:

“Rilevato che il ricorso, ad un primo sommario esame, non pare favorevolmente valutabile in sede cautelare, in considerazione sia dell’assenza di prova idonea circa l’irreparabilità del dedotto pregiudizio, sia, prima facie, dell’impossibilità di qualificare il fabbricato, in corso di edificazione, come “costruzione esistente”, ai sensi dell’art. 114 delle N. T. A. del P. U. C.”.

Seguiva il deposito, nell’interesse del ricorrente, di un atto di motivi aggiunti, diretto avverso l’atto specificato in epigrafe, nel quale il ricorrente rappresentava che, “dopo un’infruttuosa richiesta di variante al progetto, originariamente assentito, volta all’adeguamento dell’intervento alle nuove N. T. A. disciplinanti le costruzioni a destinazione agricola”, e “ultimati i lavori il 30/10/2009, come certificato 1’1/03/2010”, alla luce della l. r. 19/2009, in data 8.11.2010, con prot. 215879, aveva presentato segnalazione certificata d’inizio attività edilizia (S. C. I. A.), in cui aveva “ipotizzato l’aumento nei limiti del 20% della sola cubatura esistente, senza alcun aumento della complessiva superficie, originariamente assentita”; in sostanza, l’intervento proposto prevedeva l’aumento volumetrico, consentito dall’art. 4 della l. r. 19/2009, contenuto nei limiti della superficie originaria assentita, “operando, ovviamente, una rivisitazione della limitazione delle volumetrie, originariamente assentite”; precisava che il manufatto, oggetto dell’intervento, al momento della presentazione della S. C. I. A., “era stato già accatastato e, tranne per l’intonaco esterno, ultimato in ogni sua parte, conformemente a quanto assentito dal progetto originario, con minime varianti di natura tecnica non incidenti, in termini essenziali e determinanti, su superfici e volumetrie originariamente assentite”; in particolare, a modifica di quanto autorizzato con il p. di c. n. 260 del 2006, “era stata spostata all’esterno la scala interna di collegamento dei piani residenziali, con un limitatissimo aumento di volumetria, pari al 2,2%, del tutto ammissibile nell’ambito delle differenze tra l’assentito e il realizzato”; laddove, per il resto, “fermo restando il dato della completa conformità a quanto assentito delle facciate e del tetto realizzato, in corso d’opera erano state modificate le aperture sui prospetti, originariamente previste ad arco e, successivamente, realizzate con forma rettangolare” ed “erano state apportate modifiche distributive interne riguardanti la sola parte residenziale”; infine, relativamente al piano interrato, destinato a cantina – deposito e garage, “era stata realizzata un’intercapedine – camera d’aria, integralmente interrata e nettamente distinta dalla cantina e dal garage (realizzati come assentito) da pareti portanti, con l’obiettivo di preservare i volumi realizzati da infiltrazioni d’acqua ed umidità, come disposto dall’art. 228, comma 6, del R.U.E.C.; lamentava che, nonostante quanto sopra, “inopinatamente la Dirigente del Settore Urbanistica del Comune di Salerno, ha disposto il divieto ad horas di prosecuzione dell’attività edilizia, ingiungendo la rimozione degli asseriti effetti dannosi, conseguenti ai lavori già eseguiti, sulla base del falso presupposto che:

l) “il progetto ricade nei casi di esclusione previsti dalla l. r. Campania 19/2009 art. 3, comma 1 lett. a)”, attese le difformità, conseguenti alla trasposizione all’esterno della scala interna, alle modifiche distributive, alla copertura ed alla diversa conformazione delle aperture sui prospetti;

2) “il progetto costituisce un intervento di complessiva ristrutturazione perché coinvolge anche i volumi legittimamente assentiti con il p. di c. richiamato, di cui vengono previste parziali demolizioni e successivi incrementi della volumetria massima, consentita dalla l. r. 19/2009; per tali opere non è applicabile la deroga agli strumenti urbanistici, di cui al comma 1 dell’art. 4”;

3) “il progetto depositato è carente della documentazione di cui all’art. 4 comma 4 lett. a) e all’art. 9 comma 1 dell’inquadramento rispetto (al) piano per l’assetto idrogeologico di cui al progetto di variante adottato”;

tanto premesso, avverso detto provvedimento articolava le seguenti censure in diritto:

I) VIOLAZIONE DI LEGGE (art. 19 l. 241/90 come sostituito dall’art. 49 della l. 122/2010; artt. 4 e 6 bis l. r. 19/2009; art. 3 l. r. 19/2009) – ECCESSO DI POTERE (difetto del presupposto e d’istruttoria, illogicità, travisamento e sviamento): con la l. r. 19/2009, riportante “misure urgenti per il rilascio economico, per la riqualificazione del patrimonio esistente, per la prevenzione del rischio sismico e per la semplificazione amministrativa”, s’era voluta rilanciare l’attività edilizia, attraverso il “miglioramento strutturale del patrimonio edilizio esistente”, a tal fine, con l’art. 4, era stata stabilita la possibilità d’ampliare, in deroga agli strumenti urbanistici vigenti, fino al 20% della volumetria esistente, gli edifici residenziali “e comunque gli edifici di volumetria non superiore ai mille metri cubi”; il comma 7 dello stesso articolo, inoltre, aveva previsto, nelle zone agricole, la possibilità di “mutamenti di destinazione d’uso, non connessi a trasformazioni fisiche, di immobili o di loro parti regolarmente assentiti, per uso residenziale del nucleo familiare del proprietario del fondo agricolo”; la stessa legge regionale, all’art. 3, infine, aveva stabilito che: “gli interventi edilizi di cui agli articoli 4, 5 e 7 non possono essere realizzati su edifici che al momento della presentazione della DIA o della richiesta del permesso di costruire risultano realizzati in assenza o in difformità dal titolo abilitativo”; d’altro canto, con la modifica dell’art. 19 della l. 241/90, al fine d’una più celere definizione dei procedimenti riguardanti autorizzazioni, permessi, licenze il cui rilascio dipenda esclusivamente dall’accertamento di requisiti e presupposti richiesti dalla legge, era stata affermata la possibilità, per l’interessato, di pervenire all’ottenimento del titolo con una segnalazione, corredata da dichiarazioni sostitutive, osservazioni di tecnici abilitati, etc.; in base a detta segnalazione certificata, sostitutiva dei permessi, delle autorizzazioni e delle licenze sopra indicate, il segnalante poteva iniziare l’attività prevista, sin dalla data di presentazione della segnalazione stessa; sicché, “dalla lettura combinata delle norme sopra richiamate emerge evidente che nella fattispecie concreta la segnalazione certificata era stata legittimamente depositata e che il Settore Urbanistica del Comune di Salerno, sulla base delle osservazioni esplicitate, non poteva bloccare l’attività, ormai conclusa”; invero, com’emergeva “per tabulas”, le asserite difformità del realizzato con quanto assentito, determinanti l’inapplicabilità alla fattispecie della l. r. 19/2009, erano “circoscritte allo spostamento di una piccola scala di collegamento tra i piani del manufatto, dall’interno all’esterno della parte residenziale, con un incremento di volumetria pari al 2,2% della volumetria originariamente assentita”; e “la limitata portata dell’incremento volumetrico” non integrava la previsione di difformità sostanziale e grave, assunta dall’art. 3 della l. r. 19/09 come ostativa, ai fini del possibile ulteriore incremento volumetrico del 20%; né, a tal fine, poteva avere rilievo il dato che le finestre, previste ad arco, erano state realizzate in forma rettangolare; andava, poi, smentito “il falso presupposto dell’incompleta realizzazione dell’intervento, con la conseguente definizione di fabbricato non ultimato, “in quanto privo di finiture esterne” (il fabbricato non era intonacato esternamente, ma era completo in ogni sua parte, ivi comprese le grondaie e gli infissi); laddove, “al fine d’escludere a tutti i costi l’applicabilità, alla fattispecie, della l. r. 19/2009, nel provvedimento impugnato addirittura s’affermava, “contraddittoriamente, l’impossibilità di procedere all’incremento del 20% del volume, a mezzo di lavori d’ampliamento”; ciò, nonostante che il ricorrente avesse ipotizzato “una rimodulazione dei volumi nei limiti dell’ampiezza della superficie originariamente assentita, determinando in tal modo un aumento volumetrico senza la sostanziale alterazione fisica del manufatto”; laddove “illogicamente, con il provvedimento impugnato, si ritiene comunque inibita detta attività di riqualificazione del manufatto, pur essendo la stessa posta tra gli obiettivi primari della legge”; d’altronde, sarebbe apparsa “inapplicabile una norma regionale, posta in deroga agli strumenti urbanistici vigenti, prevedente l’aumento volumetrico dei manufatti esistenti, senza che sia garantita ed automaticamente consentita, a tal fine, la necessaria conseguente attività edilizia di ristrutturazione e di adeguamento dei manufatti, oggetto dell’intervento”; infine, “l’asserita carenza documentale della segnalazione”, concerneva, in realtà, “atti e documenti già in possesso della P. A. procedente, in quanto allegati in buona parte alla pratica, relativa al p. d.c . 260/06 e successiva richiesta di variante”; e, a tutto concedere, la carenza riscontrata poteva essere sanata, a semplice richiesta della P. A.”.

Seguiva il deposito, nell’interesse del Comune di Salerno, di una memoria sui riferiti motivi aggiunti, in cui, premesso che, avverso l’ordinanza della Sezione, n. 1096/08, il ricorrente aveva proposto appello innanzi al Consiglio di Stato (R. G. 688/09) che con ordinanza, n. 746/09 del 10.02.2009, l’aveva respinto, non essendo lo stesso sostenuto da adeguato fumus, “in quanto l’art. 114 N. T. A. non sembra applicabile al caso in esame (…) in ordine alle difformità dell’altezza fuori terra realizzata rispetto a quella di progetto”, e osservava che “nonostante le due pronunce giurisdizionali (cautelari: nde) sfavorevoli”, che avevano escluso la legittimità degli interventi in variante all’originario permesso di costruire n. 260/06, “il ricorrente, invece di rendere la costruzione conforme a quanto assentito originariamente, ha presentato al Settore Urbanistica del Comune di Salerno un’inammissibile S. C. I. A., datata 8.11.2010, per lavori di ampliamento”; e che, con la nota, prot. 233156 dell’1.12.2010, il Servizio Trasformazioni Edilizie aveva disposto il divieto di prosecuzione dell’attività edilizia e ingiunto la rimozione delle opere già eseguite, atto per l’appunto gravato con i motivi aggiunti in trattazione.

Tanto premesso, la difesa dell’ente eccepiva, preliminarmente, l’improcedibilità del ricorso e dei motivi aggiunti, per sopravvenuta carenza di interesse, in quanto il ricorrente aveva presentato, successivamente, una richiesta d’accertamento di conformità, ex art. 37 D. Lgs. 380/01, prot. 60988 del 30.03.2011, denegata ed oggetto di autonomo giudizio (R. G. 163/2012), pendente innanzi alla Sezione; nel merito, osservava che gli interventi, realizzati in difformità rispetto al p. d. c. 260/2006 non erano legittimi e non erano stati oggetto di provvedimento abilitativo in sanatoria; sicché tale circostanza rendeva la costruzione, in difformità dal titolo abilitativo, determinando la causa d’esclusione, prevista dall’art. 3, comma 1, lettera a), della l. r. C. n. 19/2009 (cd. Piano Casa); invero, ai sensi del citato articolo, “gli interventi edilizi di cui agli articoli 4, 5, 6 bis e 7 non possono essere realizzati su edifici che al momento della presentazione della denuncia di inizio di attività edilizia (DIA oggi SCIA) o della richiesta del permesso a costruire risultano a) realizzati in assenza o in difformità al titolo abilitativo per i quali non sia stata rilasciata concessione in sanatoria”; e l’esclusione dell’applicazione del Piano Casa, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, non dipendeva affatto dalla gravità della difformità, quanto, piuttosto, “dal semplice fatto che la costruzione è difforme dal titolo abilitativo originario”; peraltro, la difformità riscontrata nella specie era da reputarsi grave, “in quanto (…) la variante in corso d’opera al PDC n. 260/06 ha comportato una modifica di sagoma e un incremento di superficie e volume non consentito dall’attuale strumento urbanistico. Inoltre, l’intervento richiesto con la S. C. I. A. non era eseguibile, in quanto costituiva “un intervento di complessiva ristrutturazione non consentito dal Piano Casa”: in particolare, “dal confronto degli elaborati grafici e della tabella per la determinazione di superfici e volumi allegati al p. di c., con gli elaborati grafici allegati alla S. C. I. A., risultava che l’ampliamento, ex art. 4 della l. r. C. n. 19/09, era stato realizzato, anche computando parte dei volumi al piano terra, a destinazione depositi agricoli, trasformandoli in volumi residenziali al 1° piano: il volume residenziale al 1° piano assentito era, infatti, pari a mc. 149,98, l’ampliamento nella misura del 20% consentito dalla legge regionale era, dunque, pari a mc. 29,99 e conseguentemente il volume ampliato della parte residenziale al 1° piano sarebbe dovuto essere di mc. 179,17, mentre nell’elaborazione progettuale della S. C. I. A. risultava essere, invece, pari a mc. 202,17, quindi superiore a quello, ipoteticamente consentito”; era, infine, sussistente l’eccepita carenza documentale della S. C. I. A., posto che, ai sensi dell’art. 4, comma 4, della l. r. C. 19/09, per la realizzazione dell’ampliamento era obbligatorio l’utilizzo di tecniche costruttive, con criteri di sostenibilità e utilizzo di materiale eco – compatibile, che garantissero prestazioni energetico – ambientali, nel rispetto dei parametri stabiliti dagli atti d’indirizzo regionali e dalla vigente normativa; né risultava esservi l’esatto inquadramento dell’immobile, con riferimento al nuovo piano stralcio per l’assetto idrogeologico, in vigore dal luglio 2010.

Seguiva il deposito di memoria di replica, per il ricorrente.

All’udienza pubblica del 14.01.2019, il ricorso e i motivi aggiunti erano trattenuti in decisione.

Con il secondo dei gravami in epigrafe, il ricorrente, premesso che per l’intervento, di cui alla S. C. I. A. dell’8.11.2010, inibita dal Comune di Salerno con il provvedimento, gravato in sede di motivi aggiunti del ricorso precedente, aveva inoltrato, in data 30.03.2011, ex art. 36 del d. P. R. 380/2001, domanda d’accertamento di conformità, prot. 60988, la quale era stata riscontrata con la nota impugnata, prot. 104695 del 31.05.2011, a firma del Dirigente del Servizio Trasformazioni Edilizie del Comune di Salerno (con cui si comunicava che il procedimento previsto dall’art. 37 del T. U. E. non s’era formalizzato, mercé l’emanazione del provvedimento dirigenziale di determinazione della sanzione pecuniaria, onde la richiesta era “da ritenersi rifiutata”; e che comunque – decorsi 60 gg. dalla presentazione della domanda d’accertamento di conformità, senza l’emanazione d’alcun provvedimento esplicito – la stessa doveva intendersi (ex lege: nde), respinta), nonché premesso che detta nota era stata impugnata, con ricorso straordinario al P. d. R., notificato in data 3.11.2011, relativamente al quale il Comune di Salerno aveva chiesto, in data 3.12.2011, la trasposizione in s. g., si costituiva in giudizio, innanzi alla Sezione, e chiedeva l’accoglimento del suddetto ricorso, proposto avverso la citata nota comunale, articolando i seguenti motivi di ricorso:

1) Violazione e falsa applicazione dell’art. 3 l. 241/90; eccesso di potere per carenza di motivazione, omessa indicazione dei termini e dell’Autorità, cui proporre ricorso, illogicità e apoditticità): nel detto provvedimento non era riportata alcuna motivazione, circa i motivi del diniego dell’istanza, ex art. 36 T. U. E., né erano stati indicati i termini e l’Autorità cui proporre ricorso, con la conseguenza che il gravame era da considerarsi tempestivo;

2) Violazione e falsa applicazione dell’art. 97 della Cost. e degli artt. 2 e 3 e ss. della l. 241/90, nonché degli artt. 114, 117 e 119 delle N. T. A. al P. U. C., approvato con D. P. della Provincia n. 147 del 28.12.2006; eccesso di potere per difetto dei presupposti, carenza d’istruttoria, travisamento ed illogicità: era sostanzialmente ribadita, nel merito, la censura, sub I) dell’atto introduttivo del primo degli epigrafati ricorsi;

3) Violazione e falsa applicazione dell’art. 97 della Cost., degli artt. 2 e 3 e ss. della l. 241/90, degli artt. 36 e 37 del d. P. R. 380/2001 e degli artt. 3, 4 e 6 bis della l. r. C. n. 19/2009; eccesso di potere per difetto dei presupposti, carenza d’istruttoria, travisamento, illogicità e sviamento: era sostanzialmente ribadita la censura, sub I) dei motivi aggiunti al primo degli epigrafati ricorsi.

Si costituiva in giudizio il Comune di Salerno, nella quale, premesso che – quanto all’accertamento di conformità, ex art. 37 del D. Lgs. 380/01, richiesto dal ricorrente per opere eseguite in assenza/in difformità di S. C. I. A. (ex D.I.A.) – il Servizio Trasformazioni Edilizie, “non potendo emettere un provvedimento dirigenziale di determinazione della sanzione pecuniaria ex art. 37, comma 4, ha comunicato, con nota prot. 104695 del 31.05.2011, agli uffici competenti all’emissione degli ulteriori provvedimenti e, solo per conoscenza al sig. De Martino, che la richiesta d’accertamento di conformità doveva intendersi rifiutata”, eccepiva, preliminarmente, l’inammissibilità e/o improcedibilità del ricorso, in quanto oggetto d’impugnazione sarebbe stata “una mera comunicazione, non avente carattere provvedimentale e nella quale si rappresenta soltanto il formarsi del silenzio –diniego sull’istanza d’accertamento di conformità”; nel merito, comunque, affermava che il gravame era da ritenersi infondato, posto che “la richiesta d’accertamento di conformità in sanatoria è stata inoltrata, ai sensi dell’art. 37 cit. e come tale è stata istruita”; sicché “illegittimo (…) appare il tentativo di parte ricorrente di voler trasformare un’istanza presentata ai sensi dell’art. 37 in una richiesta di permesso di costruire in sanatoria, ai sensi dell’art. 36 dello stesso d. P. R. 380/01”; in ogni caso, contrariamente a quanto affermato da controparte, evidenziava che “le opere abusive di cui si chiede la sanatoria ai sensi dell’art. 37 hanno comportato un’alterazione della sagoma planimetrica e plano-volumetrica assentita, con aumento della superficie non residenziale”; onde si trattava di “opere per le quali non si può applicare il regime residuale della SCIA in sanatoria”; né poteva essere “accolta la tesi di parte ricorrente, che qualifica le opere abusive conformi allo strumento urbanistico vigente e che non vanno a incidere sulle volumetrie assentite”, laddove era “giurisprudenza pacifica che costituisce nuova opera, come tale soggetta a permesso di costruire, la costruzione di nuovi volumi che modificano, come nel caso di specie, la sagoma della costruzione preesistente” e che “l’ampliamento di un immobile preesistente è qualificabile nuova costruzione, in quanto comporta sempre un aumento della volumetria, della superficie di ingombro e modificazione dei parametri edilizi”; e il disposto del comma 4 dell’art. 37 cit. prescriveva viceversa la regola, cd. della doppia conformità (alla disciplina edilizia e urbanistica, vigente al momento della realizzazione e al momento della richiesta), condizione insussistente nella specie; in particolare, come risultava dalla relazione istruttoria dell’Ufficio Tecnico (nota prot. 104695 del 31.5.2011), il p. di c. n. 260/2006 era stato rilasciato, per l’edificazione di un volume complessivo di mc. 499,35 in conformità al P. R. G. vigente all’epoca, che prevedeva per i fabbricati rurali un lotto minimo di mq. 5000 e una volumetria complessiva (residenziale e degli annessi agricoli, posti all’interno dello stesso fabbricato) non superiore a mc. 500; sicché l’incremento volumetrico di mc. 99,37, oggetto della richiesta di sanatoria, non era consentito, all’epoca della realizzazione, né era consentito, con il nuovo P. U. C., che per l’edificazione dei fabbricati rurali prescriveva il lotto minimo non inferiore a mq. 10.000 con volumetria residenziale da edificare a distanza di mt. 20 dalla volumetria degli annessi agricoli, escludendo quindi la possibilità di realizzare fabbricati promiscui, dove allocare residenza e pertinenze agricole.

Quanto al secondo e al terzo motivo di ricorso, la difesa dell’Amministrazione si riportava a quanto controdedotto, nell’ambito del ricorso, R. G. 1438/2008.

Seguiva il deposito di memoria di replica, per il ricorrente, che evidenziava come, quanto alla S. C. I. A., presentata nel 2009, ai sensi del cd. Piano Casa, ex l. r. 19/2009, “nel tentativo di raggiungere gli obiettivi consentiti dall’art. 114 delle N.T.A., e solo nella denegata ipotesi di reiezione del ricorso principale”, era stato “proposto l’intervento, ex l. r. C. n. 19/2009”; invero, “ultimati definitivamente i lavori il 30.10.2009, alla luce della l. r. n. 19/2009 l’8.11.2009, con prot. n. 215879, il ricorrente aveva presentato “specifica S. C. I. A., come richiesto dalla norma regionale”; e sottolineava che, relativamente all’istanza d’accertamento di conformità urbanistica, ex art. 36 presentata il 30.03.2011, prot. 60988:

– “a) è provata la doppia conformità delle opere realizzate, atteso che il nuovo PUC e le conseguenti NTA sono entrate in vigore il 24.01.2007 e gli interventi contestati sono stati realizzati successivamente;

– b) l’istanza è stata proposta, come emerge per tabulas, ai sensi e per gli effetti dell’art. 36 d. P. R. 380/2001 e non, come rappresentato dalla difesa del Comune, ai sensi dell’art. 37 d. P. R. 380/2001;

– c) l’istanza è stata definitivamente respinta con la nota, indirizzata al ricorrente e impugnata originariamente con ricorso straordinario al Capo dello Stato;

– d) le opere, oggetto dell’istanza, erano esclusivamente quelle, individuate dalla S. C. I. A., presentata l’8.11.2010 e consistenti nella traslazione all’esterno della scala interna, nella realizzazione di aperture diverse per disegni ed architettura e nella realizzazione di modifiche distributive interne, laddove nulla era “riconducibile all’asserita istanza ex art. 37 c. 4 d. P. R. 380/2001”.

All’udienza pubblica del 14.01.2019, anche il secondo ricorso era trattenuto in decisione.


DIRITTO

Preliminarmente, va disposta la riunione dei due ricorsi in epigrafe, stante l’emergenza d’evidenti ragioni di connessione soggettiva ed oggettiva, tra i medesimi.

Ciò posto, si rileva che il ricorso introduttivo e i motivi aggiunti del primo dei due giudizi (in disparte l’eccepita – dal Comune – improcedibilità degli stessi, per sopravvenuta carenza d’interesse, stante la successiva presentazione, da parte del ricorrente, della richiesta d’accertamento di conformità, denegata dall’ente, oggetto del secondo degli epigrafati gravami) sono infondati.

Quanto al ricorso introduttivo, rileva il Collegio (sviluppando il rilievo, effettuato in sede cautelare, e confermato in sede d’appello, dell’impossibilità di qualificare il fabbricato, in corso d’edificazione, come “costruzione esistente”, ai sensi dell’art. 114 delle N. T. A. del P. U. C.), come la fondamentale questione interpretativa s’incentri sul significato da ascrivere al testo del citato art. 114 delle N. T. A. del P. U. C. del Comune di Salerno, secondo cui: “114.01. Le esistenti costruzioni a destinazione agricola, in caso di necessità connesse ad esigenze igienico – sanitarie, possono essere ampliate fino ad un massimo del 20% dell’esistente cubatura, purché esse siano direttamente utilizzate per la conduzione del fondo opportunamente documentata”.

Secondo il ricorrente, nel riferirsi alle “costruzioni esistenti”, l’art. 114 delle N. T. A. si sarebbe riferito a “tutte le costruzioni assentite, in termini definitivi, in conformità a previgenti discipline urbanistiche”, onde la “mancata ultimazione dei lavori assentiti, al momento della richiesta d’ampliamento”, non avrebbe potuto rappresentare un efficace ostacolo all’applicazione dell’art. 114, sub specie della contestata sussunzione del manufatto, nell’ambito delle “nuove” costruzioni.

Laddove il Comune di Salerno, nell’affermare che “il richiedente non ha dimostrato di avere titolo alla realizzazione del fabbricato rurale de quo, in quanto il lotto edificabile è inferiore a mq. 10.000 ed è stata prevista la creazione di ulteriore volume e superfici rispetto a quanto già autorizzato, in contrasto con le vigenti N. T. A. del P. U. C. – artt. 117, 119, 120 e 121”, ha implicitamente ma idoneamente opposto, all’istante, che, per costruzione esistente, dovesse intendersi quanto già edificato, piuttosto che quanto soltanto assentito (ma, ancora, non completamente realizzato); e ciò valeva tanto più, se si considerava che, “confrontando gli elaborati grafici del p. di c. n. 260/2006, prot. 36340/2006 e della variante in corso d’opera, era emersa un’evidente diversità di sagoma, superficie e volume dell’opera, tale da far considerare (anche sotto tale aspetto: nde) il progetto come nuova costruzione”.

Ebbene, il Collegio osserva, al riguardo, come non possa accedersi alla tesi del ricorrente, posto che l’esegesi della locuzione “esistenti costruzioni a destinazione agricola” non può, evidentemente, che riferirsi a quanto già, materialmente, edificato ed esistente nella realtà; sicché, essendo medio tempore (tra la data del rilascio del precedente p. di c., e quella della presentazione della richiesta di variante) entrata in vigore (a far data dal 24/01/2007) una nuova disciplina urbanistica (vale a dire il Piano Urbanistico Comunale, approvato – in una alle N. T. A. – con D. P. P. n. 147 del 28/12/2006, pubblicato sul B. U. R. C. n. 2 dell’8/01/2007), erano le disposizioni di quest’ultimo a dover trovare applicazione, piuttosto che quelle previgenti, in tal modo inverandosi l’evidenziato contrasto, dell’intervento edilizio, come variato, rispetto alle sopravvenute N. T. A. del P. U. C. (artt. 117, 119, 120 e 121).

In argomento, cfr. la massima che segue di questo Tribunale: “Il concetto di costruzione esistente postula la possibilità di individuazione della stessa come identità strutturale, in modo da farla giudicare presente nella realtà materiale quale specifica entità urbanistico – edilizia esistente nell’attualità; sicché l’intervento edificatorio non costituisce trasformazione urbanistico edilizia del territorio rilevante in termini di nuova costruzione; deve, pertanto, trattarsi di manufatto che, a prescindere dalla circostanza che sia abitato o abitabile, possa comunque essere individuato nei suoi connotati essenziali, come identità strutturale, in relazione anche alla sua destinazione”.

Cfr., anche, Cassazione Civile, Sez. II, 2/12/1994, n. 10351: “In caso di successione di norme edilizie il principio dell’immediata applicazione dello "ius superveniens" deve essere armonizzato con l’esigenza del rispetto dei diritti quesiti, talché nell’ipotesi che le nuove norme siano più restrittive, la nuova disciplina non è applicabile alle costruzioni che al momento della sua entrata in vigore possano considerarsi già sorte (…)”.

E che la costruzione, al momento dell’entrata in vigore del P. U. C. (e, a fortiori, al momento della presentazione della richiesta di variante), non potesse considerarsi “già sorta”, è testimoniato, in modo inconfutabile, dall’atto pubblico di compravendita del 29.08.2007, col quale il ricorrente acquistava, per l’intero (da Murolo Felice), il diritto d’usufrutto dell’appezzamento di terreno, in località Ogliara, alla via Montestella, ov’era stata assentita la realizzazione del fabbricato rurale (giusta il progetto originario, indi oggetto di domanda di variante sostanziale), nel quale strumento notarile, la parte venditrice dichiarava: “È stata rilasciata a favore del suo dante causa signor Marini Umberto il permesso di costruire n. 260/2006 prot. n. 36340/2006 in data 20.10.2006, permesso volturato a favore del venditore con provvedimento del dirigente responsabile dello Sportello Unico per l’edilizia in data 22.06.2007, per la realizzazione di un fabbricato rurale secondo le modalità e in conformità dei progetti allegati all’istanza per l’ottenimento del permesso di costruire. Dichiara il venditore che allo stato sono stati eseguiti i soli lavori di scavo e installazione di cantiere”.

Ne consegue l’inaccoglibilità della tesi del ricorrente, espressa come segue: “La verifica dei presupposti per il rilascio del permesso a costruire e, in particolare, sull’estensione del lotto minimo, era stata già favorevolmente effettuata in occasione del rilascio del titolo sulla base della disciplina urbanistica previgente, residuandogli unicamente la competenza a valutare la sussistenza dei presupposti, richiesti dagli artt. 114 e 119 N. T. A., per assentire l’ampliamento di volumetria e l’autorimessa”.

Il motivo (di per sé solo, già dirimente, trattandosi di provvedimento pluri-motivato) – si ritiene che sia stato sufficientemente esplicitato, dall’Amministrazione, nel diniego censurato, giusta le considerazioni di cui sopra: ne deriva che non può ritenersi affatto verificato il dedotto vizio d’eccesso di potere, per difetto di congrua motivazione.

Ciò vale, anche in ordine all’asserita mancata confutazione delle osservazioni, formulate da parte ricorrente, ai sensi dell’art. 10 bis l. 241/90, le quali hanno, viceversa, ricevuto adeguato contrasto, per effetto delle argomentazioni, sviluppate dal Comune di Salerno nell’impugnato diniego, tanto più se si tiene presente l’orientamento giurisprudenziale, espresso come segue: “L’art. 10 bis, l. 7 agosto 1990, n. 241 non impone nel provvedimento finale la puntale e analitica confutazione delle singole argomentazioni svolte dalla parte privata, essendo sufficiente ai fini della sua giustificazione una motivazione complessivamente e logicamente resa a sostegno dell’atto stesso” (Consiglio di Stato, sez. V, 25/07/2018, n. 4523); tanto, a prescindere dalla natura vincolata del provvedimento, adottato dall’Amministrazione nella specie (giusta quanto sopra rilevato), onde varrebbe, in ogni caso, la sanatoria dei vizi formali, di cui alla prima parte del capoverso dell’art. 21 octies della legge generale sul procedimento (“Non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”).

Passando, quindi, alla disamina dei motivi aggiunti di parte ricorrente (nel primo degli epigrafati giudizi), osserva il Tribunale come anche il provvedimento del S. U. E., ivi gravato, si presenti pluri-motivato, assumendo in particolare, nella specie, carattere dirimente, ed assorbente degli ulteriori rilievi di parte ricorrente, il motivo, opposto dal suo firmatario, secondo cui “il progetto ricade nei casi di esclusione previsti dalla l. r. Campania 19/2009 art. 3, comma 1 lett. a), attese le rilevate difformità rispetto allo stato originario, come legittimato dal p. di c. 269/2006”.

Dette difformità, in particolare, come si ricava dalla lettura dello stesso atto impugnato, erano rappresentate dalle seguenti:

“Il piano interrato, il piano terra 1° ed il primo piano (vedasi planimetrie allegate alla SCIA) sono difformi ai corrispondenti elaborati grafici costituenti il p. di c. richiamato, per modifiche distributive e l’eliminazione di scala interna di collegamento;

Risulta realizzata un’intercapedine (non completa sul perimetro del piano interrato) in difformità dal titolo edilizio e la cui larghezza è in contrasto con l’art. 228.06 del RUEC:

Il 1° piano degli elaborati grafici allegati alla SCIA ed anche l’allegata planimetria catastale (fg. 6, p.lla 386) sono difformi dalle corrispondenti tavole (planimetrie e prospetti) allegate alla SCIA per l’avvenuta realizzazione in difformità di una scala esterna posta in angolo al fabbricato lato sud-ovest;

La copertura, nonché le aperture sui prospetti (vedasi foto allegate alla SCIA) sono difformi per materiali e disegno architettonico agli elaborati grafici allegati al p. di c.;

Il rilievo fotografico allegato rappresenta l’immobile non ultimato in quanto privo di finiture esterne;

(…) Il progetto di ampliamento del 20% del volume (pari a circa mc. 100) è realizzato attraverso la non consentita rimodulazione dei volumi (di mc. 25.86 del piano terra viene prevista la demolizione ed il successivo incremento sui mc. 100 consentiti) determinando, in tal modo, un intervento complessivo di ristrutturazione, anche rispetto all’edificio già assentito, per il quale non è giustificata alcuna deroga agli strumenti urbanistici”.

S’è trattato, cioè, di difformità senz’altro rilevanti, come correttamente osservato dalla difesa dell’Amministrazione (si rinvia a quanto in narrativa osservato, circa la specifica connotazione di tali difformità), le quali concretizzano, indubbiamente, la condizione ostativa, prevista dall’art. 3, comma 1, lett. a) della l. r. C. n. 19/2009 (“Gli interventi edilizi di cui agli articoli 4, 5, 6-bis e 7 non possono essere realizzati su edifici che al momento delle presentazione della Denuncia di inizio di attività di edilizia (DIA) o della richiesta del permesso a costruire risultano: a) realizzati in assenza o in difformità al titolo abilitativo per i quali non sia stata rilasciata concessione in sanatoria (…)”), giusta, per di più, la giurisprudenza rigorosa, formatasi riguardo all’interpretazione di tale disposizione legislativa regionale (cfr. Campania – Napoli, Sez. II, 26/06/2012, n. 3013: “L’art. 4 l. reg. Campania n. 19 del 2009 (cd. Piano Casa) non consente di sanare opere già realizzate in assenza di idoneo titolo abilitativo. Al riguardo, infatti, l’art. 3, citata l. reg. n. 19 del 2009 stabilisce, tra l’altro, che gli interventi edilizi di cui all’art. 4 non possono essere eseguiti su edifici "a) realizzati in assenza o in difformità al titolo abilitativo". In altri termini, la legislazione regionale non consente di ampliare l’oggetto della disciplina del condono edilizio attraverso un improprio cumulo dei benefici concessi dalle rispettive norme di favore, le quali operano su piani distinti, risultando ancorate a presupposti diversi”).

Vano è, pertanto, il tentativo, di parte ricorrente, di minimizzare le difformità, rilevate dal Comune, rispetto all’atto d’assenso, a suo tempo rilasciato al proprio dante causa, e altrettanto irrilevante si palesa, del resto, il tentativo d’introdurre – onde rendere, in concreto, applicabile la condizione ostativa de qua – la nozione di “difformità grave e sostanziale”, di cui, tuttavia, non v’è traccia alcuna, nella norma in commento (anche in ciò dovendosi condividere le osservazioni difensive, licenziate dall’Amministrazione Comunale di Salerno).

Stabilito, pertanto, che tanto l’atto introduttivo, quanto i motivi aggiunti del primo degli epigrafati ricorsi sono infondati e non meritano, pertanto, accoglimento, può passarsi all’analisi del secondo dei giudizi de quibus.

Per fare ciò, si reputa opportuna la previa ricognizione del contenuto testuale dell’atto, ivi impugnato.

In esso, diretto all’Ufficio Verifica Conformità e Demolizioni Edilizie e al Comando di Polizia Municipale in Sede, e p. c. al ricorrente, avente ad oggetto: “Art. 37 d. P. R. 380/2001 e ss. mm. e ii. Richiesta di accertamento di conformità, prot. n. 60988 del 30.03.2011, per opere eseguite in assenza/in difformità di denuncia d’inizio attività, oggi segnalazione certificata d’inizio attività, nell’immobile di via Montestella – località Ogliara – ditta richiedente De Martino Giuseppe”, il dirigente del S. U. E. comunale, in riferimento alla pratica in oggetto, comunicava, agli uffici in indirizzo, “che il procedimento amministrativo previsto dall’art. 37 del Testo Unico per l’Edilizia (…) non si è formalizzato con l’emissione del provvedimento dirigenziale di determinazione della sanzione pecuniaria”; e che la richiesta, pertanto, era “da intendersi rifiutata”; inoltre, lo stesso dirigente informava, altresì, “che lo stesso richiedente – cui la presente è comunque diretta – è al corrente, avendo egli sottoscritto apposita dichiarazione asseverata, contenuta a pag. 2 della richiesta d’accertamento di conformità in oggetto, che decorso il tempo di giorni 60 dalla data di richiesta senza che sia intervenuto il provvedimento sanzionatorio, la richiesta si intende rifiutata”.

Tal essendo il contenuto testuale del provvedimento gravato, anzitutto s’osserva che è priva di pregio l’eccezione preliminare, sollevata dalla difesa dell’ente, d’inammissibilità del ricorso, per essere, il medesimo, rivolto avverso un atto, sfornito di valore provvedimentale, in quanto comunicazione interna, inviata ai soli uffici dell’Amministrazione, sopra indicati, e, solo per conoscenza, al ricorrente.

Al contrario, reputa la Sezione come detto atto integri, invece, un vero e proprio atto amministrativo, sub specie di un (immotivato) diniego di sanatoria, giacché con il richiamare l’effetto legale tipico di silenzio – rigetto, proprio del decorso del termine di legge di sessanta giorni, senza l’emanazione d’alcun provvedimento esplicito, di cui all’ultimo comma dell’art. 36 d. P. R. 380/2001 (“Sulla richiesta di permesso in sanatoria il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale si pronuncia con adeguata motivazione, entro sessanta giorni decorsi i quali la richiesta si intende rifiutata”), e con l’inviare, il medesimo atto, anche al ricorrente (non importa se, assertivamente, solo per conoscenza), il dirigente del S. U. E. ha, di fatto, licenziato un provvedimento atipico, il quale tuttavia – contrariamente al caso dell’assenza di qualsivoglia provvedimento circa l’istanza, a valere come silenzio –rigetto e pacificamente non impugnabile, giusta pacifica giurisprudenza, per difetto di motivazione (cfr., ex multis, T. A. R. Campania – Napoli, Sez. II, 11/12/2014, n. 6513) – necessitava invece, a parere del Collegio, proprio perché formalmente esternato, d’essere adeguatamente giustificato.

Ciò vale tanto più nella specie, dov’è emerso un marcato contrasto, tra le parti, circa la stessa qualificazione giuridica dell’istanza di parte ricorrente, se la stessa vada, cioè, riferita al paradigma dell’art. 37 del d. P. R. 380/2001 (“Interventi eseguiti in assenza o in difformità dalla segnalazione certificata di inizio attività e accertamento di conformità”), come affermato dal Comune, ovvero, piuttosto, ai sensi dell’art. 36 del T. U. Ed., come asserito dal ricorrente e come, del resto, risulta dall’esame della copia della stessa istanza di sanatoria, in atti, ove si parla d’istanza d’accertamento di conformità, ex art. 36 cit., per opere in difformità rispetto al p. di c., n. 260/2006.

Ne deriva che è fondata e dirimente – con assorbimento delle censure di merito, sub 2) e 3) del secondo ricorso – la prima doglianza, di carattere formale, impingente nell’eccesso di potere, per difetto d’adeguata motivazione, dell’atto in questione, del resto non emendabile, per effetto delle argomentazioni difensive, spese dall’Amministrazione nel corso del presente giudizio, integranti a tutti gli effetti una giustificazione postuma, come tale chiaramente irrilevante, ai fini della valutazione della legittimità dell’atto, sotto tale profilo (cfr., al riguardo, tra le tante, T. A. R. Basilicata, Sez. I, 6/11/2017, n. 693).

In tali sensi e limiti, pertanto, il secondo ricorso si presta ad essere accolto, con conseguente annullamento dell’atto de quo.

Ne consegue, quale effetto conformativo della presente decisione, che l’Amministrazione Comunale di Salerno dovrà rieditare il potere – illegittimamente – esercitato, procedendo, previa instaurazione del contraddittorio con il ricorrente, dapprima alla giusta qualificazione dell’istanza de qua, ai sensi del T. U. Ed., e, quindi, a motivare, in forma necessariamente esplicita, circa le ragioni del suo accoglimento, o del suo rigetto.

Stante la reciproca soccombenza, le spese e i compensi di lite possono compensarsi tra le parti.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania – Sezione staccata di Salerno (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sui ricorsi, come in epigrafe proposti, e sui motivi aggiunti del primo di essi, previa loro riunione, così provvede:

respinge il ricorso n. 1438 del 2008 ed i relativi motivi aggiunti;

accoglie, nei sensi e limiti di cui in parte motiva, il ricorso n. 163 del 2012, e per l’effetto annulla l’atto, ivi gravato;

compensa le spese e le competenze di lite tra le parti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso, in Salerno, nella camera di consiglio del giorno 14 gennaio 2019, con l’intervento dei magistrati:

Maria Abbruzzese, Presidente
Paolo Severini, Consigliere, Estensore
Maria Colagrande, Primo Referendario

L’ESTENSORE
Paolo Severini
        
IL PRESIDENTE
Maria Abbruzzese
        
        
IL SEGRETARIO
 

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