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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Beni culturali ed ambientali, Diritto processuale penale, Diritto urbanistico - edilizia Numero: 6359 | Data di udienza: 25 Ottobre 2018

* DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Direttore dei lavori – Posizione di garanzia – Obbligo di vigilare sulla corretta esecuzione delle opere – Responsabilità ed esonero – Irregolare vigilanza sull’esecuzione delle opere edilizie – Ottemperando agli obblighi di comunicazione e rinuncia all’incarico – Comunicazione resa al dirigente UTC – Art. 29 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 – Recesso tempestivo dalla direzione dei lavori – Artt. 11, 29, 44 lett. C) e 83-95 D.P.R. n. 380/2001 – Giurisprudenza – BENI CULTURALI ED AMBIENTALI – Effetti in bonam partem della pronuncia della Corte Costituzionale n.56/2016 – Art. 181 c.1 bis d.lgs n. 42/2004 – Giudizi ancora in corso – Invalidità originaria della norma – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Notificazione al difensore mediante invio dell’atto tramite posta elettronica certificata (c.d. pec) – Invio di un’unica copia dell’atto da notificare non dà luogo ad alcuna irregolarità – Presupposti e limiti. 


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 11 Febbraio 2019
Numero: 6359
Data di udienza: 25 Ottobre 2018
Presidente: RAMACCI
Estensore: ZUNICA


Premassima

* DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Direttore dei lavori – Posizione di garanzia – Obbligo di vigilare sulla corretta esecuzione delle opere – Responsabilità ed esonero – Irregolare vigilanza sull’esecuzione delle opere edilizie – Ottemperando agli obblighi di comunicazione e rinuncia all’incarico – Comunicazione resa al dirigente UTC – Art. 29 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 – Recesso tempestivo dalla direzione dei lavori – Artt. 11, 29, 44 lett. C) e 83-95 D.P.R. n. 380/2001 – Giurisprudenza – BENI CULTURALI ED AMBIENTALI – Effetti in bonam partem della pronuncia della Corte Costituzionale n.56/2016 – Art. 181 c.1 bis d.lgs n. 42/2004 – Giudizi ancora in corso – Invalidità originaria della norma – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Notificazione al difensore mediante invio dell’atto tramite posta elettronica certificata (c.d. pec) – Invio di un’unica copia dell’atto da notificare non dà luogo ad alcuna irregolarità – Presupposti e limiti. 



Massima

 

 

CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. 3^ 11/02/2019 (Ud. 25/10/2018), Sentenza n.6359
  

DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Direttore dei lavori – Posizione di garanzia – Obbligo di vigilare sulla corretta esecuzione delle opere – Responsabilità ed esonero – Irregolare vigilanza sull’esecuzione delle opere edilizie – Ottemperando agli obblighi di comunicazione e rinuncia all’incarico – Comunicazione resa al dirigente UTC – Art. 29 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 – Recesso tempestivo dalla direzione dei lavori – Artt. 11, 29, 44 lett. C) e 83-95 D.P.R. n. 380/2001.
 
In tema di reati edilizi, il direttore dei lavori riveste una posizione di garanzia circa la regolare esecuzione delle opere, con la conseguente responsabilità per le ipotesi di reato configurate, dalla quale può andare esente solo ottemperando agli obblighi di comunicazione e rinuncia all’incarico previsti dall’art. 29, comma secondo, del d.P.R. n. 380 del 2001, sempre che il recesso dalla direzione dei lavori sia stato tempestivo, ossia sia intervenuto non appena l’illecito edilizio si sia evidenziato in modo obiettivo, o non appena abbia avuto conoscenza che le direttive impartite erano state disattese o violate, essendo stato chiarito (Sez. 3, n. 38924 del 7/11/2006) che, proprio per la posizione di "garante" assunta dal direttore dei lavori e per il suo precipuo obbligo di vigilare sulla corretta esecuzione delle opere, questi risponde penalmente anche allorché si disinteressi dei lavori, pur senza formalizzare o formalizzandole in ritardo, le proprie dimissioni; dunque, l’assenza dal cantiere non esclude la penale responsabilità per gli abusi commessi dal direttore dei lavori, sul quale ricade l’onere di vigilare sulla regolare esecuzione delle opere edilizie e il dovere di contestare le irregolarità riscontrate, se del caso rinunziando all’incarico (Cass. Sez. 3, n. 7406 del 15/01/2015).
 
 
BENI CULTURALI ED AMBIENTALI – Effetti in bonam partem della pronuncia della Corte Costituzionale n.56/2016 – Art. 181 c.1 bis d.lgs n. 42/2004 – Giudizi ancora in corso – Invalidità originaria della norma.
 
Con la sentenza n. 56 del 2016 della Corte Costituzionale, talune condotte di reato sono state private della natura delittuosa, per assumere quella contravvenzionale, cioè quella che possedevano fino all’emanazione della legge n. 308/2004, che aveva appunto inserito il predetto comma 1 bis all’art. 181 del d. Lgs. 42/2004. Sicché, gli effetti in bonam partem della pronuncia manipolativa della Corte costituzionale, stante l’invalidità originaria della norma, sono destinati, sin dalla pubblicazione delle sentenza, a riverberarsi sia nei giudizi ancora in corso, sia nella fase esecutiva, ovviamente entro il limite dei rapporti ormai esauriti.
 
 
DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Notificazione al difensore mediante invio dell’atto tramite posta elettronica certificata (c.d. pec) – Invio di un’unica copia dell’atto da notificare non dà luogo ad alcuna irregolarità – Presupposti e limiti.
 
In tema di notificazione al difensore mediante invio dell’atto tramite posta elettronica certificata (c.d. pec), l’invio di un’unica copia dell’atto da notificare non dà luogo ad alcuna irregolarità, qualora risulti che l’atto viene consegnato al difensore sia in proprio, sia nella qualità di domiciliatario dell’interessato (Cass.  Sez. 1, n. 12309 del 29/01/2018).
 
(riforma sentenza dell’08/03/2017 – CORTE DI APPELLO DI NAPOLI) Pres. RAMACCI, Rel. ZUNICA, Ric. Rossi
 

Allegato


Titolo Completo

CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. 3^ 11/02/2019 (Ud. 25/10/2018), Sentenza n.6359

SENTENZA

 

 

CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. 3^ 11/02/2019 (Ud. 25/10/2018), Sentenza n.6359

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
 
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
 
omissis 
  
ha pronunciato la seguente
 
SENTENZA
 
sul ricorso proposto da Rossi Claudio, nato a San Giorgio a Cremano;
 
avverso la sentenza dell’08-03-2017 della Corte di appello di Napoli;
 
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
 
udita la relazione svolta dal consigliere Fabio Zunica;
 
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale dott. Piero Gaeta, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
 
udito per il ricorrente l’avvocato Massimo Rizzo, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
 
RITENUTO IN FATTO
 
1. Con sentenza dell’8 marzo 2017, la Corte di appello di Napoli confermava la sentenza del 21 ottobre 2014, con cui il G.U.P. presso il Tribunale di Napoli aveva condannato Claudio Rossi alla pena di anni 1 e mesi 5 di reclusione, in ordine ai reati di cui agli art. 44 lett. C) del d.P.R. n. 380 del 2001 (capo Au), 83-95 del d.P.R. n. 380 del 2001 (capo Az) e 181 comma 1 bis del d. Lgs. n. 42 del 2004 (capo Au), accertati in Napoli il 17 marzo 2014; in particolare, secondo la prospettiva accusatoria recepita dai giudici di merito, l’imputato, in totale difformità del permesso di costruire n. 716 del 18 dicembre 2016 rilasciato in favore dell’Istituto Domenico Martuscelli per la costruzione di un parcheggio multipiano interrato su quattro livelli articolati in box e relativi spazi di manovra, realizzava, in un’area sottoposta a vincolo paesaggistico ambientale e in zona
sismica, una pluralità di opere abusive, tra cui un ulteriore livello (quinto), per una superficie complessiva di 710 mq., suddivisa in varie zone, oltre a uno spazio al primo livello in difformità rispetto a quanto previsto nel progetto.
 
2. Avverso la sentenza della Corte di appello partenopea, Rossi, tramite il difensore, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando sette motivi.
 
Con il primo, la difesa eccepisce la nullità del giudizio di secondo grado, lamentando l’inosservanza degli art. 168 cod. proc. pen. e 54 disp. att. cod. proc. pen., posto che, in vista della trattazione del giudizio di appello, era stata notificata una sola copia del relativo decreto di fissazione, con la dicitura "notifica ai sensi di: elettivamente domiciliato", per cui, pur essendo l’imputato elettivamente domiciliato presso il difensore, occorreva comunque che fosse indicata la duplice finalità della notificazione dell’unico atto processuale.
 
Con il secondo motivo, oggetto di contestazione è la qualificazione giuridica dei fatti, rilevandosi che l’opera realizzata era assolutamente conforme a quella che aveva ricevuto l’autorizzazione paesaggistica prima della barrattura, non essendovi stato alcun aumento delle superfici utili perché quelle ablate in sede urbanistica era state già consentite dalla Soprintendenza, per cui, anche alla luce del completo interramento dell’opera, la fattispecie era riconducibile nell’alveo della previsione delineata dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 56/2016.
 
Il ragionamento seguito dalla Corte di appello era invece manifestamente illogico, posto che o il permesso era nullo, ma ciò non era stato contestato all’imputato, oppure l’atto era valido, e allora avrebbe dovuto consentire di realizzare legittimamente l’opera senza interlocuzioni o chiarimenti con gli organi competenti, né modifiche al progetto, che la sentenza neanche ha individuato. 
 
Con il terzo motivo, la difesa censura l’inosservanza dell’art. 4 cod. pen., osservando che era stata la stessa Corte di appello a evidenziare come il provvedimento autorizzativo avesse introdotto una "difficoltà probabilmente interpretativa nell’esecuzione", il che, alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 364 del 1988, avrebbe dovuto comunque incidere sulla valutazione dell’elemento soggettivo dei reati contestati.
 
Con il quarto motivo, viene eccepita la violazione dell’art. 11 del d.P.R. n. 380 del 2001, norma che individua il soggetto legittimato a richiedere il permesso di costruire nel proprietario dell’immobile o in chi abbia titolo per chiederlo, dunque non nel direttore dei lavori, il quale a differenza di quanto affermato nella sentenza impugnata, non avrebbe potuto interloquire con il responsabile del procedimento per ottenere l’autorizzazione di un nuovo e diverso progetto.
 
Con il quinto motivo, il ricorrente deduce la manifesta illogicità del passaggio argomentativo della sentenza, con cui è stato escluso, sulla scorta di un dato esperienziale non consolidato, che i lavori abusivi siano stati realizzati nei sei mesi intercorsi tra la scadenza del suo mandato (19 luglio 2013) e la data dell’intervento della P.G. (17 marzo 2014), posto che gli interventi contestati ben potevano essere realizzati in questo ristretto arco temporale, consistendo in poche compartimentazioni tompagnate e in un piccolo impianto elettrico.
 
Con il sesto motivo, la difesa lamenta il difetto di motivazione della sentenza rispetto alla condanna dell’imputato relativa ai reati di cui ai capi Av e Az, nonostante la specifica censura sollevata in sede di gravame.
 
Con il settimo motivo, infine, viene dedotta la violazione dell’art. 522 cod. proc. pen., rilevandosi che, ove si ritenga che il ricorrente abbia realizzato le opere sulla scorta di due provvedimenti nulli, il giudizio di colpevolezza avrebbe violato il principio di correlazione tra accusa e sentenza, posto che l’imputazione in alcun modo adombra la nullità dei provvedimenti del Comune e della Soprintendenza, mentre la Corte territoriale la presuppone.
 
CONSIDERATO IN DIRITTO
 
La sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio, limitatamente al trattamento sanzionatorio, dovendosi qualificare il delitto paesaggistico di cui al capo Aw della rubrica come contravvenzione, mentre nel resto il ricorso è infondato, per cui va di conseguenza dichiarata l’irrevocabilità della sentenza impugnata, quanto all’affermazione della responsabilità penale dell’imputato.
 
 
1. Iniziando dal primo motivo, occorre evidenziare che l’eccezione di nullità della notifica del decreto di citazione per il giudizio di appello è stata respinta legittimamente dalla Corte territoriale, la quale, dopo aver premesso che l’imputato aveva eletto domicilio presso il difensore, ha ritenuto valida la notifica eseguita a mezzo pec presso l’avvocato Massimo Rizzo, nella sua duplice veste di donniciliatario dell’imputato e di suo difensore di fiducia, qualità desumibili del resto dal tenore dell’atto notificato, in cui era comunque specificato che l’imputato Rossi aveva eletto domicilio presso l’avvocato Massimo Rizzo.
 
Tale impostazione risulta peraltro coerente con la costante affermazione di questa Corte (cfr. Sez. 1, n. 12309 del 29/01/2018, Rv. 272313), secondo cui, in tema di notificazione al difensore mediante invio dell’atto tramite posta elettronica certificata (c.d. pec), l’invio di un’unica copia dell’atto da notificare non dà luogo ad alcuna irregolarità, qualora risulti che l’atto viene consegnato al difensore sia in proprio, sia nella qualità di domiciliatario dell’interessato. La doglianza difensiva deve essere pertanto disattesa, non potendosi dubitare del fatto che, al di là della dizione sintetica riportata nella nota di trasmissione, la notifica eseguita a mezzo posta elettronica certificata nei confronti dell’avvocato Rizzo il 15 febbraio 2016 era riferita alla sua duplice veste di difensore dell’imputato e di persona presso la quale quest’ultimo aveva eletto domicilio, come chiaramente evincibile anche dal testo del decreto di citazione notificato.
 
 
2. Il secondo, il terzo, il quarto, il quinto e il settimo motivo di ricorso possono essere affrontati congiuntamente, concernendo gli stessi, sotto aspetti diversi ma tra loro perfettamente sovrapponibili, il giudizio di colpevolezza dell’imputato in ordine ai reati di cui agli art. 44 del d.P.R. n. 380 del 2001 (capo Au) e 181 comma 1 bis del d. Lgs. n. 42 del 2004 (capo Aw).
 
 
2.1. Al riguardo occorre innanzitutto premettere che le due conformi sentenze di merito hanno innanzitutto operato un’attenta ricostruzione dei fatti di causa, richiamando in particolare l’informativa del Comando Provinciale CC di Napoli del 20 maggio 2014, con la documentazione allegata, da cui, nel quadro di una ben più ampia indagine che ha riguardato in parte anche vicende di criminalità organizzata, è emerso che il 18 dicembre 2006 veniva rilasciato in favore di Stefano Sportelli, legale rappresentante dell’Istituto benefico Domenico Martuscelli di Napoli, ospitante persone non vedenti, il permesso di costruire n. 716/2016 per la realizzazione, ai sensi della cd. legge Tognoli (n. 122 del 1989), di un parcheggio interrato su quattro livelli, per complessivi 94 posti auto, articolati in box e relativi spazi di manovra, con accesso da rampa carrabile. Il 14 marzo 2008 il legale rappresentante dell’Istituto Martuscelli comunicava che i lavori avrebbero avuto inizio il 17 marzo 2008, indicando il nominativo del direttore dei lavori nell’odierno ricorrente Claudio Rossi, mentre il successivo 24 aprile 2008 l’impresa incaricata dell’esecuzione dei lavori, la Sime Costruzioni s.a.s., acquistava dall’Istituto Martuscelli la proprietà dell’unità immobiliare interessata dai lavori, sita alla via San Domenico n. 11 del Comune di Napoli.
 
Dopo alcune varianti in corso d’opera, il 19 luglio 2013 Rossi trasmetteva all’Ufficio competente la comunicazione di fine lavori, mentre il 17 marzo 2014 i Carabinieri, unitamente a personale tecnico del Comune di Napoli, eseguivano un sopralluogo presso l’area in questione, rilevando una serie di difformità rispetto al permesso di costruire, consistenti tra l’altro in alcuni incrementi volumetrici del parcheggio interrato, risultando in particolare realizzato un ulteriore livello, il quinto, non previsto nel progetto assentito, che si sviluppava per una superficie complessiva di circa 710 mq., suddivisa in varie zone aventi altezza variabile da 2,60 e a 5 metri, con un volume di circa 2.300 mc.; inoltre, mentre il secondo, il terzo e il quarto livello erano sostanzialmente conformi ai progetti approvati, il primo livello presentava una difformità, dovuta alla realizzazione di uno spazio avente una superficie di circa 130 mq., un’altezza media di circa 1,75 mt. e un volume di circa 227 mc., ubicato in adiacenza della prima rampa di accesso. 
 
Orbene, tanto premesso e al di là di quanto sarà più avanti precisato rispetto all’imputazione di cui al capo Aw, deve escludersi che il giudizio sulla rilevanza penale delle condotte presenti vizi di legittimità rilevabili in questa sede, posto che gli incrementi volumetrici riscontrati in sede di sopralluogo, con particolare riferimento alla superficie aggiuntiva rilevata al primo livello e alla realizzazione del quinto livello non previsto nel progetto originario, integrano senz’altro delle difformità essenziali rispetto al titolo abilitativo rilasciato, avuto riguardo alle loro dimensioni e al conseguente impatto nella valutazione complessiva dell’opera.
 
A ciò deve aggiungersi che il progetto originario, su cui si erano innestate le varie autorizzazioni amministrative, doveva articolarsi su quattro piani, posto che il quinto era stato successivamente "barrato" dall’ing. Francesco Cuccaro, responsabile del procedimento, in data 20 dicembre 2006, rappresentando la tratteggiatura del piano, al di là della sua corretta classificazione nelle categorie del diritto amministrativo, una chiara forma di limitazione del diritto di costruire, che per essere superata avrebbe imposto l’integrale revisione del progetto, dovendosi cioè ritenere che il quinto piano fosse non tanto inutilizzabile, quanto piuttosto non realizzabile, non rilevando pertanto le concrete modalità attuative. In definitiva, come correttamente sottolineato dai giudici di merito, il progetto assentito riguardava pacificamente quattro livelli e non cinque, per cui l’ulteriore superficie realizzata nonostante l’inibizione esplicita del responsabile del procedimento non può che ritenersi abusiva, al pari dell’ulteriore incremento volumetrico posto in essere al primo piano, anche in tal caso sine titulo.
 
La sentenza impugnata ha precisato inoltre che a essere censurabile non era il progetto assentito ma la sua effettiva realizzazione, il che consente di ritenere  irrilevanti le doglianze sull’asserita violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza, posto che il disvalore della condotta è stato ravvisato, in piena coerenza con il tenore delle imputazioni, nell’edificazione di opere edili in difformità dal permesso di costruire, non avendo i giudici di merito affermato la illegittimità dei titoli abilitativi rilasciati rispetto alla costruzione del parcheggio, rimarcando unicamente il contrasto tra attività in concreto realizzata e attività in origine assentita, avendo la prima ampiamente superato i confini della seconda.
 
Risulta poi corretta l’affermazione secondo cui la limitazione imposta dal responsabile del procedimento era destinata ad avere ripercussioni anche sull’autorizzazione paesaggistica rilasciata sul progetto originario più ampio, non potendo l’assenso della Soprintendenza essere ovviamente ritenuto valido anche rispetto alle successive modifiche apportate dagli organi comunali al progetto iniziale, considerazione questa che tuttavia non presenta alcuna incidenza sulla descrizione delle condotte contestate e sulla struttura delle fattispecie ascritte. 
 
 
2.2. Ribadita la configurabilità dei reati dal punto di vista oggettivo, deve parimenti ritenersi immune da censure l’attribuzione degli stessi al ricorrente. 
 
In tal senso, è stata infatti ragionevolmente valorizzata la posizione di Rossi, che era quella di direttore dei lavori, dovendosi in proposito evidenziare che, come più volte affermato dalla giurisprudenza di legittimità (cfr. in termini Sez. 3, n. 14504 del 20/01/2009, Rv. 243474), in tema di reati edilizi, il direttore dei lavori riveste una posizione di garanzia circa la regolare esecuzione delle opere, con la conseguente responsabilità per le ipotesi di reato configurate, dalla quale può andare esente solo ottemperando agli obblighi di comunicazione e rinuncia all’incarico previsti dall’art. 29, comma secondo, del d.P.R. n. 380 del 2001, sempre che il recesso dalla direzione dei lavori sia stato tempestivo, ossia sia intervenuto non appena l’illecito edilizio si sia evidenziato in modo obiettivo, o non appena abbia avuto conoscenza che le direttive impartite erano state disattese o violate, essendo stato chiarito (Sez. 3, n. 38924 del 7/11/2006, Rv. 235465) che, proprio per la posizione di "garante" assunta dal direttore dei lavori e per il suo precipuo obbligo di vigilare sulla corretta esecuzione delle opere, questi risponde penalmente anche allorché si disinteressi dei lavori, pur senza formalizzare o formalizzandole in ritardo, le proprie dimissioni; dunque, l’assenza dal cantiere non esclude la penale responsabilità per gli abusi commessi dal direttore dei lavori, sul quale ricade l’onere di vigilare sulla regolare esecuzione delle opere edilizie e il dovere di contestare le irregolarità riscontrate, se del caso rinunziando all’incarico (così Sez. 3, n. 7406 del 15/01/2015, Rv. 262423).
 
Orbene, alla luce di tali premesse ermeneutiche, l’ascrivibilità delle condotte illecite all’odierno ricorrente non presta il fianco alle censure difensive, avendo i giudici di merito, con argomentazioni tutt’altro che illogiche, evidenziato che delle difformità delle opere, e in particolare del mancato adeguamento della struttura all’intervento restrittivo del responsabile del procedimento, doveva essere chiamato a rispondere senz’altro il direttore dei lavori, che per le sue capacità tecniche connesse con la veste assunta, aveva precisi doveri di indirizzo e di controllo durante l’esecuzione delle attività esecutive, essendo senz’altro legittimato in ogni momento, ove necessario, a confrontarsi con la P.A., non tanto per sostituirsi al committente, ma piuttosto per verificare la compatibilità dei lavori in corso di esecuzione con i titoli legittimanti l’intervento edilizio. 
 
Non può condividersi in tal senso la lettura difensiva volta sostanzialmente a "minimizzare" i compiti del direttore dei lavori, dovendosi ribadire che questi ha il dovere di sovraintendere dall’inizio alla fine alle attività edilizie, curandone la  coerenza rispetto agli atti autorizzativi e ai relativi elaborati tecnici presupposti. 
 
L’affermazione della penale responsabilità di Rossi resiste dunque alle obiezioni difensive, risultando generiche le censure in ordine alla presunta violazione dell’art. 5 cod. pen. (e non 4 come erroneamente indicato nel ricorso), posto che nel caso di specie alcuna incertezza interpretativa era configurabile, riferendosi il breve passaggio motivazionale della sentenza impugnato citato dal ricorrente on all’esistenza di una situazione di confusione generata dagli organi tecnici che in ipotesi avrebbe potuto creare dubbi sull’iter tecnico-amministrativo da seguire, ma alla "difficoltà, probabilmente interpretativa" nella fase esecutiva, che eventualmente avrebbe potuto crearsi laddove, a seguito del sopravvenuto intervento limitativo del responsabile del procedimento, si fosse operata una conseguente revisione integrale del progetto per garantire la stabilità dell’opera.
 
Piuttosto, rispetto alla valutazione dell’elemento psicologico, è sufficiente richiamare la natura anche colposa delle fattispecie per cui si è proceduto (discorso questa che, come si vedrà di qui a breve, riguarda anche la contestazione di cui al capo Aw), per ritenere pienamente integrati anche dal punto di vista soggettivo i reati addebitati al direttore dei lavori, alla luce almeno dell’accertata violazione dei doveri di vigilanza sullo stesso incombenti.
 
Allo stesso modo, non può sottacersi che parimenti generiche sono le doglianze difensive in ordine alla presunta realizzazione delle opere abusive nella fase temporale compresa tra la comunicazione dell’ultimazione dei lavori da parte di Rossi (luglio 2013) e l’epoca del sopralluogo della P.G. (marzo 2014), avendo sul punto la Corte territoriale ragionevolmente osservato come, in assenza peraltro di evidenze probatorie di segno contrario, fosse del tutto inverosimile che siano avvenute in un tempo così ristretto la differente strutturazione degli ambienti, rispetto peraltro a due distinti livelli, l’interclusione degli spazi inutilizzabili e la realizzazione delle opere tecniche accessorie, trattandosi di interventi che richiedevano ben altri tempi di esecuzione, coinvolgendo l’opera nel suo complesso, per cui non è immaginabile che tale attività sia stata compiuta solo dopo che Rossi aveva terminato il suo incarico, prolungatosi peraltro per 5 anni.
 
 
2.3. Tanto premesso, deve tuttavia precisarsi, quanto all’imputazione cristallizzata al capo Aw della rubrica, che i fatti delineati dagli elementi probatori acquisiti devono essere più correttamente inquadrati non nella fattispecie delittuosa di cui all’art. 181, comma 1 bis, del d. Lgs. n. 42 del 2004, ma in quella contravvenzionale di cui al comma 1 del medesimo art. 181. Deve infatti evidenziarsi che, con la sentenza della Corte costituzionale n. 56 del 23 marzo 2016, è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 181, comma 1 bis, del d. Lgs. n. 42 del 22 gennaio 2004, nella parte in cui prevede «: a) ricadano su immobili od aree che, per le loro caratteristiche paesaggistiche siano stati dichiarati di notevole interesse pubblico con apposito provvedimento emanato in epoca antecedente alla realizzazione dei lavori; b) ricadano su immobili od aree  tutelati per legge ai sensi dell’articolo 142 ed».
 
Per effetto dell’intervento della Consulta, dunque, la natura delittuosa della condotta illecita permane ormai soltanto con riguardo alla seconda parte della lettera b), concernente gli interventi che abbiano comportato un aumento dei manufatti superiore al trenta per cento della volumetria della costruzione originaria o, in alternativa, un ampliamento della medesima superiore a settecentocinquanta metri cubi, ovvero ancora abbiano comportato una nuova costruzione con una volumetria superiore ai mille metri cubi; quanto, invece, alla prima parte della stessa lett. b), così come alla lett. a), sopra citate, le relative ipotesi mantengono comunque rilevanza penale, ma vengono attratte nel comma 1 del medesimo art. 181 e, pertanto, sono punite con le pene previste dall’art. 44, comma 1 lett. c), del d.P.R. n. 380/2001, proprie delle fattispecie contravvenzionali, al pari della "comune" esecuzione di lavori di qualsiasi genere su beni paesaggistici senza la prescritta autorizzazione o in difformità di essa. 
 
In definitiva, con la sentenza n. 56 del 2016, talune condotte di reato sono state private della natura delittuosa, per assumere quella contravvenzionale, cioè quella che possedevano fino all’emanazione della legge n. 308/2004, che aveva appunto inserito il predetto comma 1 bis all’art. 181 del d. Lgs. 42/2004.
 
Come già chiarito da questa Corte (cfr. Sez. 3, n. 38691 dell’11/07/2017, Rv. 271301), gli effetti in bonam partem della pronuncia manipolativa della Corte costituzionale, stante l’invalidità originaria della norma, sono destinati, sin dalla pubblicazione delle sentenza, a riverberarsi sia nei giudizi ancora in corso, sia nella fase esecutiva, ovviamente entro il limite dei rapporti ormai esauriti. Ciò posto, nel caso di specie, la declaratoria di incostituzionalità della norma incriminatrice assume senz’altro rilievo, dovendosi cioè escludere che le opere realizzate abbiano superato i limiti dimensionali prima indicati, avendo la stessa sentenza impugnata specificato che l’aumento della volumetria "rasenta il 30% del progetto originale", affermazione questa che non consente di ritenere comprovato il requisito dell’aumento superiore al 30% della volumetria della costruzione originaria, imposto dalla previsione delittuosa del reato de quo, né potendosi ritenere superati gli ulteriori parametri volumetrici sopra richiamati.
 
Ne consegue che il fatto contestato al capo Aw, alla luce delle consistenze volumetriche desumibili dalle sentenze di merito, deve essere inquadrato non nella più grave fattispecie delittuosa di cui all’art. 181 comma 1 bis del d. Lgs. 42/2004, ma in quella contravvenzionale di cui al comma 1 del citato art. 181. 
 
Ciò impone pertanto l’annullamento della sentenza impugnata limitatamente al solo trattamento sanzionatorio, con conseguente rinvio per la rideterminazione della pena ad altra Sezione della Corte di appello di Napoli. 
 
 
3. Inammissibile è infine il sesto motivo, innanzitutto perché viene criticata l’asserita condanna del ricorrente rispetto a un capo di imputazione, quello relativo a reati ex art. 64-71 e 65-72 (capo Av), rispetto ai quali in realtà Rossi è stato assolto già in primo grado "perché il fatto non sussiste", per cui il richiamo nella doglianza alla condanna in ordine al capo Av risulta del tutto improprio.
 
Rispetto poi alle censure riferite al capo Az, relativo alla fattispecie di cui agli art. 83 e 95 del d.P.R. 380 del 2001, riferita alla violazione delle norme previste per le costruzioni in zona sismica, deve rimarcarsi la genericità del rilievo difensivo, non essendo adeguatamente illustrate le ragioni per cui doveva ritenersi non provato l’assunto accusatorio del mancato rispetto della normativa antisismica, non risultando in particolare adeguatamente smentiti i due presupposti fattuali dell’imputazione, ovvero la natura sismica dell’area interessata dai lavori e il conseguente omesso deposito degli atti progettuali presso il Genio civile.
 
Di qui la manifesta infondatezza del motivo di ricorso.
 
 
6. In conclusione, alla stregua delle considerazioni svolte, qualificato il delitto di cui al capo Aw della rubrica come contravvenzione, la sentenza impugnata deve essere annullata limitatamente al trattamento sanzionatorio, con rinvio per la rideterminazione della pena ad altra Sezione della Corte di appello di Napoli.
 
Al rigetto nel resto del ricorso, consegue la declaratoria di irrevocabilità della sentenza impugnata, quanto all’affermazione della responsabilità penale di Rossi.

P.Q.M.
 
Qualificato il delitto di cui al capo Aw della rubrica come contravvenzione, annulla la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio e rinvia per la rideterminazione della pena ad altra Sezione della Corte di appello di Napoli. Rigetta nel resto il ricorso. Dichiara la irrevocabilità della sentenza impugnata quanto all’affermazione di responsabilità penale.
 
Così deciso il 25/10/2018
 

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