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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Beni culturali ed ambientali, Diritto urbanistico - edilizia Numero: 10799 | Data di udienza: 20 Novembre 2018
BENI CULTURALI ED AMBIENTALI – Rilascio dell’autorizzazione paesaggistica in sanatoria – Casi di speciale protezione e iter – Legge sul condono edilizio – Inapplicabilità – Art. 146, d.lgs n. 42/2004 – D.P.R. n. 380/2001 – DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Legge sul condono edilizio e sanatoria su beni paesaggistici – Procedimento per il rilascio del provvedimento in sanatoria – Soprintendenza e spatium deliberandi – Decorso del termine – Silenzio-rifiuto impugnabile in sede di giustizia amministrativa – Differente contesto dei beni che vengono in rilievo – Iter procedimentale più gravoso –  Art. 10-bis L. 7 agosto 1990, n. 241.

Provvedimento: Sentenza
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 12 Marzo 2019
Numero: 10799
Data di udienza: 20 Novembre 2018
Presidente: LAPALORCIA
Estensore: REYNAUD


Premassima

BENI CULTURALI ED AMBIENTALI – Rilascio dell’autorizzazione paesaggistica in sanatoria – Casi di speciale protezione e iter – Legge sul condono edilizio – Inapplicabilità – Art. 146, d.lgs n. 42/2004 – D.P.R. n. 380/2001 – DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Legge sul condono edilizio e sanatoria su beni paesaggistici – Procedimento per il rilascio del provvedimento in sanatoria – Soprintendenza e spatium deliberandi – Decorso del termine – Silenzio-rifiuto impugnabile in sede di giustizia amministrativa – Differente contesto dei beni che vengono in rilievo – Iter procedimentale più gravoso –  Art. 10-bis L. 7 agosto 1990, n. 241.


Massima

 

 

CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez.3^ 12/03/2019 (Ud. 20/11/2018), Sentenza n.10799
 

BENI CULTURALI ED AMBIENTALI – Rilascio dell’autorizzazione paesaggistica in sanatoria – Casi di speciale protezione e iter – Legge sul condono edilizio – Inapplicabilità – Art. 146, d.lgs n. 42/2004 – D.P.R. n. 380/2001. 
 
In materia di tutela dei beni paesistici, l’art. 146 d.lgs. 42 del 2004 regola il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica preventiva rispetto ad interventi sui beni oggetto della speciale protezione e l’iter ivi delineato può estendersi al rilascio delle autorizzazioni in sanatoria previste dallo stesso d.lgs. 42/2004, e in via analogica e soltanto in quanto applicabile, agli altri casi di sanatoria previsti da diverse disposizioni di legge. Essa, però, certamente non vale in toto laddove esista una disciplina speciale di maggior rigore quale quella prevista dalla legge sul condono edilizio.
 

DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – BENI CULTURALI ED AMBIENTALI – Legge sul condono edilizio e sanatoria su beni paesaggistici – Procedimento per il rilascio del provvedimento in sanatoria – Soprintendenze e spatium deliberandi – Decorso del termine – Silenzio-rifiuto impugnabile in sede di giustizia amministrativa – Differente contesto dei beni che vengono in rilievo – Iter procedimentale più gravoso –  Art. 10-bis L. 7 agosto 1990, n. 241.
 
In materia urbanistica, nell’ambito del procedimento per il rilascio del provvedimento in sanatoria previsto dalla legge sul condono edilizio, il legislatore, da un lato, ha ritenuto di concedere alla soprintendenza uno spatium deliberandi più ampio (180 giorni, anziché 45), d’altro lato ha previsto che il decorso del termine valga quale silenzio-rifiuto impugnabile in sede di giustizia amministrativa, specificando senza possibilità di deroghe che il parere sfavorevole espresso dalla stessa soprintendenza preclude il rilascio del titolo in sanatoria. Tale disciplina, ben diversa da quella delineata nell’art. 146 d.lgs. 42 del 2004, trova peraltro giustificazione alla luce del differente contesto e dei beni che vengono in rilievo: se può essere ragionevole consentire di superare l’inerzia della soprintendenza laddove la stessa, non pronunciandosi nel termine, rischi di bloccare l’iniziativa del privato che abbia scrupolosamente seguito il preventivo iter previsto, sottoponendolo ad un ingiusto aggravio procedimentale, ben si giustifica un più rigoroso regime laddove si tratti di sanare un illecito commesso,  onerando in tal caso il trasgressore che voglia avvantaggiarsi degli effettivi della sanatoria di un più gravoso iter procedimentale che consenta in ogni caso di pervenire ad un effettivo vaglio di compatibilità paesaggistica dell’opera abusiva da parte dell’autorità preposta alla gestione del vincolo.

(conferma ordinanza del 10/01/2018 – CORTE DI APPELLO DI NAPOLI) Pres. LAPALORCIA, Rel. REYNAUD, Ric. Pollio 
 

Allegato


Titolo Completo

CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez.3^ 12/03/2019 (Ud. 20/11/2018), Sentenza n.10799

SENTENZA

 

 

 
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez.3^ 12/03/2019 (Ud. 20/11/2018), Sentenza n.10799
 
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
 
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
 
omissis 
  
ha pronunciato la seguente
 
SENTENZA
 
sul ricorso proposto da Pollio Aldo, nato a Anacapri;
 
avverso l’ordinanza del 10/01/2018 della Corte di appello di Napoli;
 
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
 
sentita la relazione svolta dal consigliere Gianni Filippo Reynaud;
 
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Ciro Angelillis, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO
 
1. Con ordinanza del 10 gennaio 2018, la Corte d’appello di Napoli, in funzione di giudice dell’esecuzione, ha respinto l’istanza presentata dall’odierno ricorrente volta ad ottenere la revoca dell’ordine di demolizione di un manufatto abusivo emesso dalla locale Procura Generale della Repubblica in esecuzione della sent. Corte app. Napoli 12 luglio 2000, divenuta definitiva. Pur prendendo atto che in relazione al manufatto abusivo, il 30 novembre 2015, era stato rilasciato dal Comune di Anacapri permesso di costruire in sanatoria per condono edilizio, il giudice di merito ne ha escluso la legittimità sul rilievo che il rilascio era avvenuto nonostante il parere negativo reso dalla Soprintendenza, ritenuto vincolante benché emesso oltre il termine di 45 giorni indicato dall’art. 146, comma 8, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42. 
 
2. Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il difensore del condannato, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ai sensi dell’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
 
3. Con il primo motivo si deduce violazione dell’art. 146 d.lgs. 42 del 2004, per essere stato erroneamente riconosciuto valore vincolante al parere negativo sulla compatibilità paesaggistica dell’opera abusiva, tardivamente rilasciato dalla competente soprintendenza con il preavviso di provvedimento negativo trasmesso al Comune di Anacapri in data 26 novembre 2015. Contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di merito, il termine di 45 giorni fissato al soprintendente dal comma 8 della citata disposizione per rendere il parere circa la compatibilità paesaggistica dell’opera l avrebbe carattere perentorio e non già ordinatorio, con la conseguenza che il provvedimento tardivamente reso non spiegherebbe effetti vincolanti per l’amministrazione richiesta del rilascio del provvedimento e potrebbe essere, sia pur motivatamente, da quest’ultima disatteso. La conseguenza sarebbe stata affermata dalla più recente giurisprudenza del Consiglio di Stato, che avrebbe in tal modo superato il diverso orientamento interpretativo richiamato nel provvedimento impugnato.
 
4. Con il secondo motivo di ricorso si deduce la violazione dell’art. 10-bis L. 7 agosto 1990, n. 241 per aver il giudice di merito confuso il preavviso negativo di provvedimento disciplinato da tale norma – richiamata dall’art. 146, comma 8, d.lgs. 42 del 2004 – nella specie emesso dalla soprintendenza, con il vero e proprio parere negativo. Si osserva, inoltre, come detto preavviso possa essere emesso soltanto nelle ipotesi di svolgimento "fisiologico" dell’iter procedimentale, vale a dire quando sia rispettato il termine di 45 giorni fissato per rendere il parere, non essendo invece consentito quando detto termine sia invano spirato, potendo in tal caso l’amministrazione competente decidere autonomamente sul rilascio del provvedimento.

CONSIDERATO IN DIRITTO
 
1. Il ricorso è infondato ed i motivi possono essere congiuntamente trattati.
 
E’ ben vero, come sostiene il ricorrente, che il più recente orientamento del giudice amministrativo è nel senso della perentorietà del termine di 45 giorni dalla ricezione degli atti, previsto perché il soprintendente renda il parere obbligatorio e vincolante di cui al quinto comma della stessa disposizione «limitatamente alla compatibilità paesaggistica del progettato intervento nel suo complesso ed alla conformità dello stesso alle disposizioni contenute nel piano paesaggistico» (art. 146, comma 8, d.lgs. 42 del 2004, ove si prevede altresì che, in caso di parere negativo, sia comunicato agli interessati il preavviso di provvedimento negativo). Disattendendo l’interpretazione, in precedenza sostenuta e seguita dall’ordinanza impugnata, secondo cui il termine in questione non sarebbe perentorio (in tal senso: Cons. Stato, VI, 4 ottobre 2013, n. 4914; Cons. Stato, VI, 18 settembre 2013, n. 4656) e allineandosi ad altro, contrario, orientamento (Cons. Stato, VI, sent. 15 marzo 2013, n. 1561), il Consiglio di Stato, con ampia motivazione, ha più di recente ritenuto di dover concludere nel senso che, in forza delle previsioni contenute nei commi da 8 a 10 dell’art. 146 d.lgs. 42/2004 – nella formulazione vigente prima delle modifiche apportate dall’articolo 25, comma 3 del decreto-legge 12  settembre 2014, n. 133 conv., con modiff., dalla legge 11 novembre 2014, n. 164 – in caso di infruttuoso decorso del termine per l’espressione del parere ai sensi del comma 8 del citato art. 146, la soprintendenza non resti privata del potere di esprimere comunque un parere (in particolare, nell’ambito della conferenza di servizi che tale legislazione prevedeva al successivo comma 9), ma il parere in tal modo espresso perde il proprio carattere di vincolatività e dev’essere autonomamente e motivatamente valutato dall’amministrazione procedente in relazione a tutte le circostanze rilevanti del caso (così, Cons. Stato, VI, 27 aprile 2015, n. 2136). Tale ultimo recente indirizzo del Consiglio di Stato sembra essere stato recepito anche dalla prevalente giurisprudenza amministrativa di primo grado (cfr. T.A.R. Sardegna, Sez. 2, sent. 20 gennaio 2016, n. 41, che richiama, oltre alla sent. Cons. St. 2136/2015, altre conformi sentenze di T.A.R.).
 
 
2. Reputa, tuttavia, il Collegio, che il mutato orientamento sull’interpretazione dell’art. 146 d.lgs. 42 del 2004 invocato in ricorso – che, in ogni caso, avrebbe presupposto un motivato dissenso da parte del Comune di Anacapri nel disattendere il pur tardivo parere sfavorevole reso della soprintendenza – non rilevi nel caso specie. La conclusione poggia non tanto sul fatto che l’iter amministrativo si è svolto in un quadro normativo parzialmente diverso da quello esaminato dal Consiglio di Stato nella sentenza citata – vale a dire dopo la modifica dell’art. 146, comma 9, d.lgs. 42/2004 intervenuta con il richiamato d.l. 133/2014 – quanto perché, diversamente anche da quanto ritenuto nell’ordinanza impugnata, la disciplina normativa in parola non trova applicazione nel caso di esame.
 
Ed invero, l’art. 146 d.lgs. 42 del 2004 – come è fatto palese dal suo chiaro contenuto – regola il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica preventiva rispetto ad interventi sui beni oggetto della speciale protezione e l’iter ivi delineato può semmai estendersi al rilascio delle autorizzazioni in sanatoria previste dallo stesso d.lgs. 42/2004 e, in via analogica e soltanto in quanto applicabile, agli altri casi di sanatoria previsti da diverse disposizioni di legge. Essa, però, certamente non vale in toto laddove esista una disciplina speciale di maggior rigore quale quella prevista dalla legge sul condono edilizio nel caso di specie applicabile, vale a dire, secondo quanto riferisce la sentenza impugnata, la L. 28 febbraio 1985, n. 47 e la L. 23 dicembre 1994, n. 724.
 
Nel testo vigente all’epoca dell’iter amministrativo qui scrutinato, l’art. 32 L. 47 del 1985 – quale sostituito dall’art. 32, comma 43, d.l. 30 settembre 2003, n. 269, conv., con modiff. dalla L. 24 novembre 2003, n. 326 – rubricato opere costruite su aree sottoposte a vincolo e richiamato dall’art. 39, L. 724 del 1994, al primo comma prevede, per quanto qui interessa, che «il rilascio del titolo abilitativo edilizio in sanatoria per opere eseguite su immobili sottoposti a vincolo è subordinato al parere favorevole delle amministrazioni preposte alla tutela del vincolo stesso. Qualora tale parere non venga formulato dalle suddette amministrazioni entro centottanta giorni dalla data di ricevimento della richiesta di parere, il richiedente può impugnare il silenzio-rifiuto». Il successivo quarto comma della disposizione specifica che, «ai fini dell’acquisizione del parere di cui
al comma 1 si applica quanto previsto dall’articolo 20, comma 6, del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380. Il motivato dissenso espresso da una amministrazione preposta alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, ivi inclusa la soprintendenza competente, alla tutela del patrimonio storico artistico o alla tutela della salute preclude il rilascio del titolo abilitativo edilizio in sanatoria».
 
Nell’ambito del procedimento per il rilascio del provvedimento in sanatoria previsto dalla legge sul condono edilizio, dunque, il legislatore, da un lato, ha ritenuto di concedere alla soprintendenza uno spatium deliberandi più ampio (180 giorni, anziché 45), d’altro lato ha previsto che il decorso del termine valga quale silenzio-rifiuto impugnabile in sede di giustizia amministrativa, specificando senza possibilità di deroghe che il parere sfavorevole espresso dalla stessa soprintendenza preclude il rilascio del titolo in sanatoria. Tale disciplina, ben diversa da quella delineata nell’art. 146 d.lgs. 42 del 2004, trova peraltro giustificazione alla luce del differente contesto e dei beni che vengono in rilievo: se può essere ragionevole consentire di superare l’inerzia della soprintendenza laddove la stessa, non pronunciandosi nel termine, rischi di bloccare l’iniziativa del privato che abbia scrupolosamente seguito il preventivo iter previsto, sottoponendolo ad un ingiusto aggravio procedimentale, ben si giustifica un più rigoroso regime laddove si tratti di sanare un illecito commesso,  onerando in tal caso il trasgressore che voglia avvantaggiarsi degli effettivi della sanatoria di un più gravoso iter procedimentale che consenta in ogni caso di pervenire ad un effettivo vaglio di compatibilità paesaggistica dell’opera abusiva da parte dell’autorità preposta alla gestione del vincolo.
 
Essendo applicabile la speciale disciplina normativa prevista dalla legislazione sul condono edilizio, nel caso di specie il preavviso di parere negativo sulla compatibilità paesaggistica reso dalla soprintendenza – legittimo
ai sensi dell’art. 146, comma 8, d.lgs. 42/2004, analogicamente interpretato, e, comunque, alla luce della previsione generale di cui all’art. 10-bis L. 7 agosto 1990, n. 241 – era certamente tempestivo ed impediva quindi il rilascio del permesso di costruire in sanatoria secondo le informazioni contenute nello stesso ricorso. Ed invero, il ricorrente segnala come l’istanza sia pervenuta alla soprintendenza di Napoli in data 13 agosto 2015 e come questa ebbe a comunicare il preavviso di parere negativo il 26 novembre 2015. L’autorizzazione paesaggistica emessa dal Comune di Anacapri il 30 novembre 2015 ed il contestuale permesso di costruire in sanatoria – rilasciati prima che decorresse il termine di 180 giorni previsto perché la soprintendenza potesse rilasciare il definitivo parere e nonostante un motivato preavviso di diniego da questa già emesso – sono, dunque, certamente illegittimi. 
 
La loro disapplicazione da parte del giudice dell’esecuzione richiesto di revocare l’ordine di demolizione dell’opera abusiva è pertanto certamente corretta ed il ricorso va conseguentemente rigettato con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.
 
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
 
Così deciso il 20 novembre 2018.

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