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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Diritto urbanistico - edilizia Numero: 16152 | Data di udienza: 9 Gennaio 2019

DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Realizzazione di un immobile abusivo – Persistente offensività dell’opera – Sospensione condizionale della pena subordinata alla demolizione – Poteri del giudice – Specifica motivazione – Esclusione.


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 15 Aprile 2019
Numero: 16152
Data di udienza: 9 Gennaio 2019
Presidente: RAMACCI
Estensore: ZUNICA


Premassima

DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Realizzazione di un immobile abusivo – Persistente offensività dell’opera – Sospensione condizionale della pena subordinata alla demolizione – Poteri del giudice – Specifica motivazione – Esclusione.



Massima

 

 

CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. 3^ 15/04/2019 (Ud. 09/01/2019), Sentenza n.16152

 
DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Realizzazione di un immobile abusivo – Persistente offensività dell’opera – Sospensione condizionale della pena subordinata alla demolizione – Poteri del giudice – Specifica motivazione – Esclusione.
 
In tema di reati edilizi, il giudice può subordinare la concessione della sospensione condizionale della pena all’eliminazione delle conseguenze dannose del reato mediante demolizione dell’opera abusiva, senza dover procedere a specifica motivazione sul punto, essendo questa implicita nell’emanazione dell’ordine di demolizione che, in quanto accessorio alla condanna del responsabile, è emesso sulla base dell’accertamento della persistente offensività dell’opera stessa nei confronti dell’interesse protetto. 
 
(conferma sentenza del 20/1/17 CORTE DI APPELLO DI LECCE, SEZIONE DISTACCATA DI TARANTO) Pres. RAMACCI, Rel. ZUNICA, Ric. Friolo 
 

Allegato


Titolo Completo

CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. 3^ 15/04/2019 (Ud. 09/01/2019), Sentenza n.16152

SENTENZA

 

 

CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. 3^ 15/04/2019 (Ud. 09/01/2019), Sentenza n.16152

 
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
 
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
 
omissis 
  
ha pronunciato la seguente
 
SENTENZA
 
sul ricorso proposto da Friolo Domenico, nato a Manduria;
 
avverso la sentenza del 20-11-2017 della Corte di appello di Lecce, Sezione distaccata di Taranto;
 
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
 
udita la relazione svolta dal consigliere Fabio Zunica;
 
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale dott. Pasquale Fimiani, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
 
RITENUTO IN FATTO
 
1. Con sentenza del 20 novembre 2017, la Corte di appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, confermava, per quanto in questa sede rileva, la sentenza del 15 settembre 2015, con cui il Tribunale di Taranto aveva condannato Domenico Friolo alla pena di mesi 3 di arresto ed euro 15.000 di ammenda, in ordine al reato di cui all’art.44, comma 1 lett. B, del d.P.R. n. 380 del 2001, per aver realizzato un immobile delle dimensioni di mq. 100, senza ultimarlo, in assenza del permesso di costruire, fatto commesso in località Specchiarica, nell’agro di Manduria, fino al 12 febbraio 2014. 
 
All’imputato, con la predetta sentenza, venivano altresì concessi i benefici della non menzione della condanna nel casellario giudiziale e della sospensione condizionale della pena, quest’ultima subordinata alla demolizione delle opere abusive, da eseguirsi entro 60 giorni dal passaggio in giudicato della sentenza.
 
2. Avverso la sentenza della Corte di appello pugliese, Friolo, tramite il difensore, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando tre motivi.
 
Con il primo, viene dedotta l’illogicità e la contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata, nella parte in cui è stata ritenuta superflua l’audizione del responsabile dell’Ufficio Tecnico del Comune di Manduria, con riferimento alla compatibilità della domanda di sanatoria presentata da Friolo, che si trovava in fase di istruttoria amministrativa; si trattava, secondo la prospettazione difensiva, di una prova decisiva che, in quanto finalizzata a dirimere il dubbio sulla conformità o meno delle opere agli strumenti urbanistici, era idonea a determinare, in caso di riscontro positivo, una pronuncia favorevole all’imputato. 
 
Con il secondo motivo, il ricorrente censura la violazione degli art. 132 e 133 cod. pen. e l’omesso riconoscimento delle attenuanti generiche, evidenziando che non erano stati presi in considerazione dalla Corte territoriale elementi a favore di Friolo, quali la sua condizione di incensurato, la condotta tenuta durante il processo e la lieve entità del fatto, risultando peraltro contraddittoria l’impugnata sentenza, nella misura in cui aveva escluso l’applicazione delle attenuanti generiche, salvo poi concedere il beneficio della non menzione. 
 
Con il terzo motivo, infine, la difesa lamenta l’illegittimità della subordinazione del beneficio della sospensione condizionale della pena alla demolizione dell’opera, osservando che l’ordine di demolizione, provvedimento accessorio alla condanna, viene emesso sulla base dell’accertamento della persistente offensività dell’opera, che nel caso di specie andava esclusa, essendo possibile, a seguito dell’istanza avanzata, un provvedimento di sanatoria. 
 
CONSIDERATO IN DIRITTO
 
Il ricorso è infondato.
 
1. Iniziando dal primo motivo, deve osservarsi che il rigetto da parte della Corte territoriale dell’istanza di rinnovazione istruttoria avanzata dalla difesa non presenta vizi di legittimità rilevabili in questa sede.
 
Al riguardo appare necessario premettere che, nell’atto di appello, la difesa, nell’illustrare l’istanza formulata ai sensi dell’art. 603 cod. proc. pen., si era limitata a chiedere l’esame "di un tecnico comunale sia in ordine all’epoca di realizzazione dell’abuso attraverso una verifica delle aerofotogrammetrie in possesso dell’ente, e per la compatibilità con le norme urbanistiche e regolamentari della domanda di sanatoria presentata dall’imputato".
 
La Corte di appello ha disatteso tale richiesta, ritenendola superflua alla luce del fatto che alcun permesso di sanatoria era stato rilasciato e che comunque non era stata neanche dedotta la conformità delle opere allo strumento urbanistico, e ciò a prescindere dalla mancata individuazione del funzionario da escutere. 
 
Orbene, la motivazione con cui è stata disattesa l’istanza istruttoria difensiva non può affatto ritenersi illogica, posto che il tema probatorio sollecitato dalla difesa era privo del carattere della decisività, non avendo rilievo, ai fini del giudizio sulla configurabilità o sulla persistenza del reato, la semplice presentazione di una domanda di sanatoria, mentre, quanto all’epoca di realizzazione delle opere abusive, deve rilevarsi non solo che si trattava di un aspetto che ben poteva essere esplorato dalla difesa nel corso del giudizio di primo grado, ma anche e soprattutto che, al momento del sopralluogo da cui ha avuto origine il presente procedimento penale, i lavori abusivi erano pacificamente in corso di svolgimento e che le opere non erano state ultimate, per cui l’approfondimento istruttorio sollecitato dalla difesa si palesava oggettivamente come non indispensabile.
 
Di qui l’infondatezza della doglianza difensiva.
 
2. Venendo al secondo motivo, con cui si contesta il diniego delle attenuanti generiche, deve evidenziarsi che la relativa doglianza risulta formulata in termini assertivi e generici, non essendo adeguatamente illustrate le effettive ragioni che avrebbero dovuto orientare diversamente la valutazione dei giudici di merito, i quali hanno rimarcato appunto l’assenza di elementi suscettibili di positiva considerazione, tra i quali la condizione di incensurato dell’imputato non assume valore dirimente, secondo quanto previsto dal comma 3 dell’art. 62 bis cod. pen..
 
Non può sottacersi, in ogni caso, che la pena inflitta a Friolo (mesi 3 di arresto ed euro 15.000 di ammenda) è stata determinata in misura prossima più al minimo che al massimo edittale, per cui deve escludersi che il trattamento sanzionatorio sia stato ispirato da criteri di particolare rigore, dovendosi infine evidenziare che, contrariamente a quanto si legge nel ricorso, non vi è contraddizione tra il diniego delle attenuanti generiche e la concessione del beneficio della non menzione, venendo in rilievo profili valutativi diversi e tra loro non sovrapponibili, anche alla luce delle differenti finalità dei due istituti, il primo rispondente alla logica di un’adeguata commisurazione della pena da irrogare, il secondo diretto a favorire il ravvedimento del condannato mediante l’eliminazione della pubblicità quale particolare conseguenza negativa del reato.
 
3. Anche il terzo motivo di ricorso è infondato.
 
Ed invero, quanto alla riconosciuta sospensione condizionale della pena, deve ritenersi legittima la decisione del Tribunale, confermata dalla Corte di appello, di subordinarne l’operatività alla demolizione delle opere abusive, dovendosi richiamare al riguardo l’affermazione della giurisprudenza di legittimità (cfr. Sez. 3, n. 39471 del 18/07/2017, Rv. 272503 e Sez. 3, n. 23189 del 29/03/2018, Rv. 272820), secondo cui, in tema di reati edilizi, il giudice può subordinare la concessione della sospensione condizionale della pena all’eliminazione delle conseguenze dannose del reato mediante demolizione dell’opera abusiva, senza dover procedere a specifica motivazione sul punto, essendo questa implicita nell’emanazione dell’ordine di demolizione che, in quanto accessorio alla condanna del responsabile, è emesso sulla base dell’accertamento della persistente offensività dell’opera stessa nei confronti dell’interesse protetto. 
 
A ciò deve solo aggiungersi che, a differenza di quanto sostenuto dal ricorrente, la mera pendenza della domanda di sanatoria non è idonea a determinare la caducazione dell’ordine di demolizione, non essendo noto il relativo sviluppo procedimentale e fermo restando che l’eventuale portata del provvedimento di sanatoria, ove rilasciato, dovrà eventualmente essere valutata in sede esecutiva. 
 
3. In conclusione, stante l’infondatezza delle doglianze sollevate, il ricorso di Friolo deve essere rigettato, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. 
 
P.Q.M.
 
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. 
 
Così deciso il 09/01/2019

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