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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Diritto urbanistico - edilizia Numero: 470 | Data di udienza: 17 Aprile 2019

DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Titolo di comproprietà – Legittimazione ad agire in giudizio – Previa deliberazione dell’assemblea dei comunisti – Non è richiesta – Procedimento di rilascio del permesso di costruire – Verifica del titolo – Attività istruttoria dell’Amministrazione – Accertamento del requisito della legittimazione soggettiva – Difformità parziale dal permesso di costruire – Nozione.


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 1^
Regione: Liguria
Città: Genova
Data di pubblicazione: 22 Maggio 2019
Numero: 470
Data di udienza: 17 Aprile 2019
Presidente: Daniele
Estensore: Nasini


Premassima

DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Titolo di comproprietà – Legittimazione ad agire in giudizio – Previa deliberazione dell’assemblea dei comunisti – Non è richiesta – Procedimento di rilascio del permesso di costruire – Verifica del titolo – Attività istruttoria dell’Amministrazione – Accertamento del requisito della legittimazione soggettiva – Difformità parziale dal permesso di costruire – Nozione.



Massima

 

TAR LIGURIA, Sez. 1^ – 22 maggio 2019, n. 470


DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Titolo di comproprietà – Legittimazione ad agire in giudizio – Previa deliberazione dell’assemblea dei comunisti – Non è richiesta.

Il titolo di comproprietà del bene è, di per sé, idoneo a radicare una posizione qualificata a invocare tutela giurisdizionale ai fini del conseguimento del del permesso di costruire richiesto, tenuto anche conto che il predetto titolo di comproprietà investe la cosa nella sua interezza e che, in assenza di contraria espressa determinazione degli altri comproprietari, vi è la presunzione che ciascuno operi con il consenso degli altri e, senza alcuna necessità di una previa deliberazione dell’assemblea dei comunisti, il comproprietario è legittimato ad agire in giudizio a tutela della cosa comune  (T.A.R. Trentino-Alto Adige, sez. I, 16/12/2009, n. 305; T.A.R. Campania, sez. VIII, 10/04/2014, n. 2050)
 


DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Procedimento di rilascio del permesso di costruire – Verifica del titolo – Attività istruttoria dell’Amministrazione – Accertamento del requisito della legittimazione soggettiva.

Nel procedimento di rilascio del permesso di costruire, così come in quello finalizzato al provvedimento di diniego di sanatoria, l’Amministrazione Comunale ha il potere – dovere di verificare che a favore del richiedente esista un titolo idoneo al godimento dell’intero bene interessato, pur a fronte della circostanza che il titolo abilitativo è comunque rilasciato "facendo salvi i diritti dei terzi". L’Amministrazione deve quindi condurre un’attività istruttoria il cui scopo non è tuttavia di risolvere i conflitti di interesse tra le parti private in merito all’assetto proprietario degli immobili. L’obiettivo principale è, invece, quello di accertare il requisito della legittimazione soggettiva del richiedente (T.A.R. Campania, sez. IV, 13/12/2018, n.7167; similmente, T.A.R. Abruzzo, sez. I, 08/11/2011, n. 525; T.A.R. Valle d’Aosta, sez. I, 17/11/2010, n.63).
 


DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Difformità parziale dal permesso di costruire – Nozione.

La difformità parziale dal permesso di costruire è una categoria residuale e presuppone che un determinato intervento costruttivo, pur se contemplato dal titolo autorizzatorio rilasciato dall’autorità amministrativa, venga realizzato secondo modalità diverse da quelle previste e autorizzate a livello progettuale. Si è, pertanto, in presenza di difformità parziale quando le modificazioni incidano su elementi particolari e non essenziali della costruzione e si concretizzino in divergenze qualitative e quantitative non incidenti sulle strutture essenziali dell’opera (C. Stato, sez. VI, 30/03/2017, n. 1484).

Pres. Daniele, Est. Nasini – L.V. (avv. Rovelli) c. Comune di Davagna (avv. Barra)


Allegato


Titolo Completo

TAR LIGURIA, Sez. 1^ - 22 maggio 2019, n. 470

SENTENZA

 

TAR LIGURIA, Sez. 1^ – 22 maggio 2019, n. 470

Pubblicato il 22/05/2019

N. 00470/2019 REG.PROV.COLL.
N. 00319/2018 REG.RIC.
N. 00611/2018 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

Sui ricorsi riuniti di registro generale numero 319 del 2018 e 611 del 2018
sul ricorso Rg. n. 319 del 2018, proposto da
Luigia Vagge, rappresentata e difesa dall’avv. Daniele Rovelli, con domicilio eletto presso il suo studio in Genova, via XX Settembre n. 37/7 A;

contro

Comune di Davagna, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Andrea Barra, con domicilio eletto presso il suo studio in Genova, via Macaggi 21/5;

nei confronti

Paolo Vagge, rappresentato e difeso dall’avv. Marco Pedretti, con domicilio eletto presso il suo studio in Genova, via Macaggi 21/5;

sul ricorso Rg. n. 611 del 2018, proposto da
Luigia Vagge, Giuseppina Butera, Desolina Butera, rappresentati e difesi dall’avvocato Daniele Rovelli, con domicilio eletto presso il suo studio in Genova, via XX Settembre n. 37/7 A;

contro

Comune di Davagna, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Andrea Barra, con domicilio eletto presso lo studio Andrea Barra in Genova, via Macaggi 21/5;

nei confronti

Paolo Vagge, rappresentato e difeso dall’avvocato Marco Pedretti, con domicilio eletto il suo studio in Genova, via Macaggi 21/5;

quanto al ricorso n. 319 del 2018:

per l’annullamento

del provvedimento prot. 568 del 09.02.2018 avente ad oggetto: diniego del permesso di costruire in sanatoria PE 09/17,

di ogni atto preparatorio, presupposto, inerente, conseguente e/o comunque connesso ed in particolare del parere negativo della commissione edilizia del Comune di Davagna emesso in data 12 dicembre 2017;

quanto al ricorso n. 611 del 2018:

per l’annullamento

dell’ordinanza n. 3/2018 del 12 giugno 2018 avente ad oggetto la demolizione di opere realizzate in assenza di titolo ed il ripristino della situazione secondo quanto autorizzato con autorizzazione edilizia n. 26/92;

di ogni atto preparatorio, presupposto, conseguente o connesso;

Visti i ricorsi e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Davagna e di Paolo Vagge;
Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 17 aprile 2019 il dott. Paolo Nasini e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con istanza depositata presso il Comune di Davagna, in data 6.5.2017, prot. n. 1940, Vagge Luigia, dichiarandosi comproprietaria dell’immobile sito in Comune di Davagna, Località Scoffera — Via Cioso, censito al catasto Fabbricati, fg. 20, mapp. 737, adibito a terrazzo carrabile per parcheggio e terreno circostante, sistemato con rampa pedonale, chiedeva il rilascio di un accertamento di conformità delle opere realizzate in modo difforme rispetto all’autorizzazione edilizia n. 26/1992 rilasciata in data 18/04/1992.

In particolare, nella relazione allegata veniva dato conto della realizzazione di un terrazzo carrabile da adibire a parcheggio auto, perimetrato da una ringhiera e sottostante locale ad uso ripostiglio, con struttura verticale costituita da pilastri e tamponatura in blocchetti di cls; inoltre, sul lato ovest, era prevista la realizzazione di una scala esterna e un ballatoio in cls che si sviluppava per la lunghezza del terrapieno per permettere il collegamento della strada carrabile soprastante con il passo comune esistente in posizione sottostante.

La relazione, quindi, dava conto delle seguenti difformità:

– variazione del sedime del terrazzo carrabile che risultava ruotato leggermente e presentava una risega in aderenza al fabbricato di proprietà di dimensioni pari a ml 1,25 di profondità e ml 1,50 di larghezza; la profondità del terrapieno era minore rispetto a quella dello stato autorizzato;

– perimetrazione del terrazzo con parapetto in muratura di altezza pari a cm 92 con soprastante copertina in ardesia.

– realizzazione di un terra vuoto nella struttura in CA con soprastante parcheggio privato e con l’ottenimento di un locale adibito a ripostiglio avente superficie netta pari a mq 16.07;

– realizzazione di due bucature per accedere al suddetto locale ripostiglio sia dall’esterno che dal locale cucina posto nel fabbricato limitrofo;

– realizzazione di un’intercapedine di larghezza pari a 70 cm sui tre lati posti controterra del nuovo locale;

– inoltre, non era stata realizzata la scala esterna autorizzata, ma era stata costruita, in prossimità del confine con l’altra proprietà, una rampa pedonale in battuto di cls, con sviluppo a “L”, di larghezza media pari a cm 100 e lunghezza pari a ml 10, perimetrata da cordolo a valle con soprastante recinzione e muretti in cls a monte, con sovrastante recinzione;

– ove era stata prevista la scala esterna, era stato realizzato un battuto di cls perimetrato a monte e sul lato ovest da un muro in cls; nello spazio rimanente era stato realizzato un terrazzamento di forma regolare sistemato a verde.

Con memoria di osservazioni, comunicata in data 27.5.2017, il controinteressato Vagge Paolo, proprietario dell’appartamento n. 5 e comproprietario del mappale n. 584, con riferimento ad una istanza di sanatoria presentata precedentemente, nel 2016, da Vagge Luigia, nonché Butera Giuseppina e Butera Desolina, lamentava l’intervenuta occupazione, senza il suo consenso, in conseguenza delle opere eseguite in difformità, di porzione di parti comuni, così violando anche le distanze, chiedendo, quindi, l’intervento dell’Autorità Amministrativa per negare il provvedimento di sanatoria in quanto ritenuto lesivo dei propri interessi.

Con successiva memoria presentata in data 5.8.2017, Vagge Paolo confermava le proprie doglianze con riferimento all’istanza di sanatoria più sopra richiamata.

Il Comune di Davagna, con nota datata 8.8.2017, prot. n. 3843, comunicava alla istante il preavviso di rigetto ex art. 10 bis, l. n. 241 del 1990, per i seguenti motivi:

– l’assenza del rispetto del diritto dei terzi e dell’art. 17 del PUC vigente;

– inesattezze in ordine all’identificazione catastale dell’immobile oggetto di sanatoria e l’incoerenza con gli elaborati e le dichiarazioni allegate alle precedenti istanze di accertamento di conformità acquisite agli atti in data 10/10/2016, prot. 4970.

Il tecnico incaricato dalla Vagge, quindi, presentava osservazioni, datate 21.8.2017, rilevando quanto segue:

a) il progetto originario dell’opera, autorizzata nel 1992, prevedeva la realizzazione di un terrazzo carrabile con sottostante terrapieno posto sul lato di ponente della casa individuata con il civico 5 di Via Cioso insistente quasi per intero sul terreno identificato catastalmente al foglio 20 mappale 586 già mappale 339b e per una piccola parte sulla corte comune della casa identificata catastalmente al foglio 20 mappale 584 sub 1 e sub 2 a livello del piano terreno della casa stessa e di via Cioso; in forza di permuta in data 06/10/1993 erano stati assegnati in piena proprietà ai sig.ri Vagge Luigia e Butera Filippo tra le altre cose il terreno identificato con il mappale 586 e la porzione di casa identificata con il mappale 584 sub 1, mentre al sig.ri Vagge Franco e Licheri Antonina (aventi causa del Vagge Paolo) venne assegnata in piena proprietà tra le altre cose la porzione di fabbricato identificata con il mappale 584 sub 2; quindi, con la suddetta permuta, anche se non specificatamente menzionati in atto, sarebbero, secondo il tecnico, stati assegnati ai sig.ri Vagge Luigia e Butera Filippo tutti i diritti di superficie sulla porzione di corte comune circostante la casa e sul terreno posto sul lato di ponente del fabbricato dove era stato nel frattempo realizzato il terrazzo carrabile e di conseguenza da quel momento in avanti i sigg. Vagge Franco e Licheri Antonina non avrebbero potuto vantare più alcun diritto sul terrazzo stesso, così come il loro avente causa, ferma restando l’asserita intervenuta usucapione;

b) l’autorizzazione n. 26 del 1992, quand’anche fosse stata illegittimamente rilasciata dal Comune di Davagna, non avrebbe più, trascorsi circa 25 anni dal suo rilascio, potuto essere annullata dal Comune predetto o da altri (art. 21 nonies L. 241/90 e art. 53 della L.R. 16/2008) ragion per cui allo stato risultava valida ed efficace;

c) Vagge Luigia e le di lei figlie Butera Desolino e Butera Giuseppina, nella loro qualità di aventi causa del sig. Butera Filippo, sarebbero state le uniche legittimate a chiedere la regolarizzazione dal punto di vista edilizio della sistemazione esterna inerente il terrazzo carrabile;

d) relativamente al rispetto della normativa di cui all’art.17 del PUC, un ampliamento di fabbricato per la realizzazione di un nuovo locale anche se non strettamente da adibirsi a servizio igienico, contribuirebbe ad una migliore fruizione dello stesso immobile e di conseguenza ne deriverebbe un miglioramento anche da punto di vista igienico-sanitario;

e) nella pratica edilizia presentata era stato indicato il mapp. 737 del foglio 20, laddove il progetto di sanatoria riguardava anche marginalmente l’adiacente mapp. 584, ma il fatto di non aver indicato il mapp. 584, in quanto marginalmente interessato, non inficerebbe in alcun modo la corretta indicazione della zona e della porzione di fabbricato oggetto di regolarizzazione edilizia;

f) con riferimento alla forma del terrazzo in un primo momento era stato effettuato un rilievo di massima sulla base del progetto autorizzato e, a seguito di una successiva verifica per riscontrate alcune incongruenze, era stato effettuato un rilievo strumentale più approfondito che risultava riportato nel progetto di sanatoria prot. n. 1940 del 6/5/2017.

Con successiva nota prot. n. 4390, datata 11 settembre 2017, il Comune di Davagna richiedeva alla parte istante alcune integrazioni documentali.

Quindi, Butera Giuseppina, con comunicazione in data 10.10.2017, precisava quanto segue:

– di essere proprietaria, per la quota pari a 107/864, congiuntamente alla sig.ra Vagge Luigia, per la quota pari a 650/864 e a Butera Desolina, per la quota pari a 107/864, del terreno e della corte con soprastanti manufatti identificati catastalmente al foglio 20 mappali 737 e 584 in forza dei seguenti titoli:

a) relativamente al mappale 737 e la quota pari ad 1/2 della porzione di corte relativa il mappale 584 in forza di atto di permuta a rogito Notaio Massimo di Paolo rep.30243 in data 6/10/1993 registrato a Genova in data 26/10/1993 al n° 2341 ed ivi trascritto in data 5/11/1993 ai n° 24833R.G. e n°17841 R.P. e successiva denuncia di successione a seguito del decesso del sig. Butera Filippo Giuseppe avvenuto in data 24/10/2006 nonchè successiva denuncia di successione registrata a Genova in data 15/10/2008 al n°44/408/8 ed ivi trascritta in data 23/1/2009 al n°2578 R.G. e n° 189612.P.;

b) relativamente alla rimanente quota pari ad 1/2 della porzione di corte relativa il mappale 584 in virtù dell’art. 1158 cc a seguito di possesso pacifico pubblico continuo e non interrotto esclusivo ultraventennale.

Con successiva nota, datata 23 ottobre 2017, Paolo Vagge contestava le osservazioni sollevate dalla parte istante, ribadendo che le opere realizzate in difformità rispetto all’autorizzazione determinavano l’occupazione di parte di proprietà comune e in parte anche di proprietà esclusiva dello stesso Vagge, e contestava anche che i luoghi erano soggetti a rischio idrogeologico.

Con atto del 12.12.2017 la Commissione edilizia del Comune di Davagna esprimeva parere negativo sull’istanza di conformità, comunicato a parte istante con nota del Comune datata 12.12.2017, rilevando che:

– la titolarità su porzione del mappale 584 era stata dichiarata in virtù di usucapione non oggetto di accertamento da parte dell’Autorità giudiziaria e pertanto contestata da terzi;

– l’opera oggetto dell’istanza di accertamento in conformità, consistente tra l’altro in una traslazione della sagoma a valle, violava la distanza minima dai confini rispetto all’antistante terreno ai sensi della disciplina vigente.

Con nota prot. n. 293, datata 23 gennaio 2018, il Comune rinnovava il preavviso di rigetto richiamando tutti gli atti e provvedimenti infraprocedimentali sopra citati e specificatamente il parere della Commissione edilizia.

Infine, con provvedimento protocollo n. 568 del 9 febbraio 2018, notificato in data 21 febbraio 2018, il Comune di Davagna respingeva l’istanza di accertamento di conformità formulata da Vagge Luigia, relativa al mantenimento delle opere realizzate in difformità rispetto all’autorizzazione edilizia n. 26 del 1992, presso l’immobile sito in via Cioso, località Scoffera, distinto al NCT, foglio 20, mapp. 584 e 737.

Nelle motivazioni il Comune di Davagna recepiva il parere negativo della Commissione edilizia emesso in data 12 dicembre 2017.

In particolare, a fondamento del diniego di sanatoria venivano indicate le seguenti ragioni:

1) l’assenza di legittimazione da parte di Vagge Luigia, in quanto l’opera sconfinerebbe sul mapp. 584 di proprietà, oltre che della ricorrente e delle di lei figlie, anche di Vagge Paolo;

2) la traslazione della sagoma dell’edificio a valle rispetto a quanto rappresentato nel progetto originario, traslazione che comporterebbe una violazione della distanza minima dai confini rispetto all’antistante terreno ai sensi della disciplina urbanistica vigente.

Vagge Luigia, quindi, con ricorso depositato in data 19.6.2018 impugnava il predetto provvedimento e ogni atto preparatorio, comunque connesso, in particolare il parere edilizio citato rilasciato dalla C.E., chiedendone l’annullamento per i seguenti motivi:

1) violazione di legge e/o eccesso di potere, violazione artt. 3 e 21 octies, l. n. 241 del 1990; omessa o insufficiente motivazione; travisamento dei fatti; violazione artt. 45 e 49, l. r. Liguria n. 16 del 2008; violazione artt. 11 e 36, dpr. n. 380 del 2001; sussistenza del titolo per richiedere l’accertamento di conformità: secondo parte ricorrente non sussisterebbe il difetto di legittimazione, potendo la stessa richiedere la sanatoria in quanto autrice dell’abuso, ed il terzo potendo trovare tutela in sede civile, eccependo, altresì, l’intervenuta usucapione del diritto domenicale sul terreno occupato;

2) violazione di legge e/o eccesso di potere; violazione art. 21 octies, l. n. 241 del 1990; violazione artt. 3 e 21 octies, l. n. 241 del 1990; omessa o insufficiente motivazione; travisamento dei fatti; violazione art. 873 c.c.: secondo parte ricorrente, il motivo di diniego relativo alla “violazione delle distanze” era fondato su una “traslazione del fabbricato a valle” che in realtà sarebbe frutto di una inesatta rappresentazione grafica della strada pedonale “Davagna-Torriglia” nel progetto originario del 1995, sicchè la corretta identificazione del tracciato in sede di tavole allegate all’istanza di conformità renderebbe conto del necessario adeguamento effettuato in sede di costruzione dell’opera contestata;

3) violazione di legge e/o eccesso di potere; violazione art. 21 octies, l. n. 241 del 1990; violazione artt. 3 e 21 octies, l. n. 241 del 1990; omessa o insufficiente motivazione; travisamento dei fatti; violazione art. 873 c.c.; sempre in ordine all’asserita violazione delle distanze, secondo parte la motivazione sarebbe del tutto generica, non dandosi conto di quali siano le distanze concretamente violate e se le stesse siano quelle dal confine o tra fabbricati, né della norma di piano regolatore che disciplinerebbe la fattispecie concreta;

4) violazione di legge e/o eccesso di potere; violazione art. 21 octies, l. n. 241 del 1990; violazione artt. 3 e 21 octies, l. n. 241 del 1990; omessa o insufficiente motivazione; travisamento dei fatti; violazione art. 99, zona E PRG approvato con DPGR Liguria n. 853 del 4/8/1989; violazione norme di congruenza PUC di Davagna art. 12; ambiti di riqualificazione: secondo parte ricorrente il provvedimento impugnato violerebbe lo strumento urbanistico locale vigente sia nel 1995, al momento della realizzazione delle asserite difformità, sia all’attualità, in quanto entrambi gli strumenti urbanistici consentirebbero un aumento di volumetria del fabbricato del 20% per ragioni igienico sanitarie, anche volendo considerare la “traslazione” un “aumento di volume”;

5) violazione di legge e/o eccesso di potere; violazione art. 21 octies, l. n. 241/1990; violazione artt. 3 e 21 octies, l. n. 241 del 1990; omessa o insufficiente motivazione; travisamento dei fatti; violazione artt. 32, 34 e 36, dpr. n. 380 del 2001: secondo parte ricorrente, non trattandosi nel caso di specie di una “variazione essenziale”, ex art. 32, d.p.r. n. 380 del 2001, sussisterebbero i presupposti per la sanabilità dell’opera che non rappresenterebbe un abuso edilizio, parimenti, atteso che la “traslazione” sarebbe contenuta nel limite del 2% delle misure progettuali, con conseguente contenimento della difformità edilizia nei limiti di tolleranza.

Si costituivano in giudizio il Comune di Davagna e Vagge Paolo contestando l’ammissibilità e fondatezza del ricorso e chiedendone il rigetto.

Le parti depositavano memorie difensive.

Con nota prot. n. 1853, datata 15 maggio 2018 il Comune preannunciava, a seguito del diniego di rilascio dell’accertamento in conformità richiesto, l’adozione del provvedimento di ripristino dello stato dei luoghi antecedente all’esecuzione delle opere non conformi.

Infine, con ordinanza n. 3/2018, prot. n. 2296, del 12 giugno 2018, notificata in data 22 giugno 2018, il Comune di Davagna ordinava la demolizione delle opere asseritamente realizzate in assenza di titolo e il ripristino della situazione antecedente, secondo quanto assentito con l’autorizzazione edilizia n. 26 del 1992.

Avverso i predetti provvedimenti Luigia Vagge, Butera Giuseppina e Butera Desolina proponevano ricorso Rg n. 611 del 2018, chiedendone all’annullamento, sulla scorta dei seguenti motivi:

1) in via derivata (primi cinque motivi): le ricorrenti lamentavano l’illegittimità derivata dell’ordine di demolizione in conseguenza dell’asserita illegittimità del provvedimento di diniego di sanatoria per le ragioni di cui al ricorso Rg. n. 319 del 2018;

2) in via propria:

2.1. violazione di legge e/o eccesso di potere; violazione artt. 3 e 21 octies, l. n. 241 del 1990; omessa o insufficiente motivazione; travisamento dei fatti; violazione artt. 31, 32 e 34, dpr. n. 380 del 2001: secondo parte ricorrente, il riferimento, nell’ordinanza impugnata, all’art. 31, comma 1, d.p.r. n. 380 del 2001, sarebbe erroneo in quanto si tratterebbe di una difformità non totale, ma parziale, ex art. 34, attesa la solo asserita leggera traslazione del sedime e l’esecuzione abusiva di una serie di opere minori, non recanti variazioni essenziali, non essendosi determinato un aumento della cubatura o superficie rilevante;

2.2. violazione di legge e/o eccesso di potere; violazione artt. 3 e 21 octies, l. n. 241 del 1990; omessa o insufficiente motivazione; travisamento dei fatti; violazione artt. 31, 32 e 34, dpr. n. 380/2001; violazione dei principi di proporzionalità ed adeguatezza: secondo parte ricorrente l’ordine di demolizione sarebbe illegittimo in quanto la demolizione ingiunta dal comune non potrebbe essere eseguita senza pregiudizio della parte già eseguita in conformità;

2.3. nullità del provvedimento per violazione di legge e/o eccesso di potere; violazione artt. 3 e 21 septies, l. n. 241 del 1990; impossibilità dell’oggetto dell’ordinanza di demolizione: secondo parte ricorrente, l’ordinanza di ripristino comporterebbe la “traslazione” dell’immobile di circa un metro, sicchè rimando invariate le misure assentite, l’immobile, se l’ordinanza di ripristino fosse eseguita, andrebbe ad invadere la carreggiata della strada comunale pedonale Davagna/Torriglia, passante in aderenza al fabbricato, con conseguente nullità ai sensi dell’art. 21 septies, l. n. 241/1990 del provvedimento per incertezza (indeterminatezza) dell’oggetto o comunque per l’impossibilità di realizzare il dispositivo dello stesso, o, eventualmente con conseguente illegittimità per eccesso di potere sotto il profilo del difetto del presupposto e della carenza di motivazione e di istruttoria;

2.4. violazione di legge e/o eccesso di potere, violazione artt. 3 e 21 octies, l. n. 241 del 1990; omessa o insufficiente motivazione; travisamento dei fatti; violazione artt. 31, 32 e 34, dpr. n. 380 del 2001: secondo parte ricorrente, il provvedimento impugnato non sarebbe congruamente ed adeguatamente

motivato poiché, essendo l’opera in loco fin dal 1992, l’amministrazione avrebbe dovuto argomentare in modo più approfondito in ordine all’asserita irregolarità del manufatto, mentre le opere asseritamente abusive sarebbero solo indicate per relationem nell’ordinanza, senza che venga in alcun modo motivata la loro illegittimità urbanistica e l’interesse pubblico al ripristino dello stato dei luoghi.

Si costituivano anche in tale giudizio il Comune di Davagna e Vagge Paolo contestando l’ammissibilità e fondatezza del ricorso e chiedendone il rigetto.

Le parti depositavano memorie difensive.

All’udienza del 18.4.2019 i giudizi venivano trattenuti in decisione e sono riuniti attesa la connessione soggettiva ed oggettiva tra gli stessi.


DIRITTO

1. In via preliminare: eccezione di inammissibilità e/o irricevibilità dei ricorsi.

Secondo il Comune l’impugnativa, da parte delle sig.re Butera, dell’ordinanza di demolizione sarebbe inammissibile non avendo le stesse impugnato tempestivamente anche il diniego di accertamento in sanatoria. Ciò, secondo il Comune e parte controinteressata, renderebbe addirittura inammissibile il ricorso Rg. n. 319 del 2018 proposto dalla stessa Vagge Luigia, non avendo quest’ultima previamente ottenuto il consenso di tutti i comproprietari.

Al riguardo, occorre rammentare che il titolo di comproprietà del bene vantato e documentato dalle ricorrenti è, di per sé, idoneo a radicare, in capo a queste ultime, una posizione qualificata a invocare tutela giurisdizionale ai fini del conseguimento del bene della vita ambito (ossia del permesso di costruire richiesto), tenuto anche conto che il predetto titolo di comproprietà investe la cosa nella sua interezza e che, in assenza di contraria espressa determinazione degli altri comproprietari, vi è la presunzione che ciascuno operi con il consenso degli altri (T.A.R. Campania, sez. VIII, 10/04/2014, n. 2050).

Parimenti, il comproprietario è legittimato ad agire in giudizio a tutela della cosa comune, senza alcuna necessità di una previa deliberazione dell’assemblea dei comunisti, in quanto il suo diritto investe la cosa nella sua interezza e, in assenza di contraria espressa determinazione degli altri comproprietari, vi è la presunzione che ciascuno operi con il consenso degli altri (T.A.R. Trentino-Alto Adige, sez. I, 16/12/2009, n. 305).

Nel caso di specie, la Vagge ha impugnato il diniego di conformità anche nell’interesse o, comunque, con il consenso implicito delle altre due comproprietarie Giuseppina Butera, Desolina Butera, sicchè, da un lato, il ricorso n. 319 del 2018 continua ad essere procedibile e, dall’altro lato, le altre comproprietarie predette possono certamente beneficiare, nel giudizio Rg. n, 611 del 2018, in via derivata, dell’eventuale annullamento del provvedimento di diniego, oltre al fatto che permane in ogni caso l’ammissibilità del ricorso avverso l’ordine di demolizione con riferimento ai dedotti vizi c.d. “propri” di tale ultimo provvedimento.

Conseguentemente, le eccezioni preliminari sollevate dalle parti resistente e controinteressata devono essere respinte.

2. Nel merito: sul ricorso Rg. n. 319/18.

2.1. In ordine al primo motivo di ricorso.

Al riguardo, occorre rammentare che nel procedimento di rilascio del permesso di costruire, così come in quello finalizzato al provvedimento di diniego di sanatoria, l’Amministrazione Comunale ha il potere – dovere di verificare che a favore del richiedente esista un titolo idoneo al godimento dell’intero bene interessato, pur a fronte della circostanza che il titolo abilitativo è comunque rilasciato "facendo salvi i diritti dei terzi". L’Amministrazione deve quindi condurre un’attività istruttoria il cui scopo non è tuttavia di risolvere i conflitti di interesse tra le parti private in merito all’assetto proprietario degli immobili. L’obiettivo principale è, invece, quello di accertare il requisito della legittimazione soggettiva del richiedente (T.A.R. Campania, sez. IV, 13/12/2018, n.7167; similmente, T.A.R. Abruzzo, sez. I, 08/11/2011, n. 525; T.A.R. Valle d’Aosta, sez. I, 17/11/2010, n.63).

Nel caso che ci occupa, è pacifico che le opere realizzate da parte ricorrente abbiano seppur parzialmente invaso un terreno che non spetta interamente in proprietà delle sole ricorrenti, ma anche di Vagge Paolo il quale ha manifestato espressamente la sua contrarietà alla sanatoria e, quindi, alle opere che ne costituiscono l’oggetto.

Peraltro, a poco rileva il fatto che tale “invasione” sia stata determinata “a monte” dal progetto approvato, in quanto in ogni caso la Pubblica Amministrazione non avrebbe potuto, ex post, legittimare, mediante un provvedimento in sanatoria, opere che comunque incidono su un terreno non di proprietà esclusiva della parte istante in contrasto con i diritti di un soggetto terzo avente interesse contrario alla sanatoria.

Sotto altro profilo, poi, l’eccezione di usucapione, sollevata da parte ricorrente, non è fondata.

Infatti, allo stato non risulta essere intervenuta alcuna sentenza, passata in giudicato, di accertamento della predetta usucapione.

Ferma restando, infatti, la portata dichiarativa di una eventuale sentenza accertativa dell’intervenuta usucapione, per escludere la rilevanza dell’occupazione di un terreno formalmente intestato o cointestato a soggetti terzi contrari, occorre comunque che tale sentenza di accertamento sia passata in giudicato al momento della presentazione dell’istanza di sanatoria e prima della decisione sulla stessa.

Peraltro, l’azione civilistica di accertamento non risulta ancora essere stata nemmeno esperita, sicchè non si pone il problema di disporre la sospensione del presente giudizio ex art. 295 c.p.c.

Pertanto, il motivo di ricorso deve essere respinto.

Poiché la motivazione addotta dal Comune e sopra contestata è da sé sola sufficiente a fondare il diniego, il rigetto del motivo di impugnazione esaminato è sufficiente a giustificare la reiezione del ricorso, difettando l’interesse di parte ricorrente all’accoglimento degli ulteriori motivi dedotti.

D’altronde, per completezza, si esamineranno tali ulteriori motivi.

2.2. In merito al secondo e terzo motivo di impugnazione.

Al riguardo, è assorbente il rilievo secondo il quale la motivazione addotta dal Comune in relazione alla violazione delle distanze è del tutto generico, non avendo l’Ente territoriale specificato, né la misura della distanza violata, nè le disposizioni in forza delle quali sarebbe sussistente tale violazione.

Pertanto, il motivo è fondato.

2.3. In merito al quarto motivo di impugnazione.

Al riguardo, dagli atti di causa non vi è prova idonea a dimostrare che l’immobile in contestazione sia inserito in zona PR, in parte, e EPA, in altra parte.

Per contro, nella stessa istanza di sanatoria è stata proprio la ricorrente ad indicare qualificare l’area interessata come “AB” cioè “Area boscata” indicando, come norma di riferimento, l’art. 17 PUC. (e non l’art. 12 PUC, come dedotto nel presente giudizio), in forza del quale:

– la ristrutturazione edilizia è ammessa, ma solo condizionatamente alla presentazione di adeguato “Studio di inserimento ambientale”;

– incrementi volumetrici sono consentiti sì nella misura di un aumento del 20%, ma per adeguamento igienico-sanitario, ed una sola volta per ogni edificio a condizione che sia già inserito ed utilizzato stabilmente come residenza da almeno sei mesi dalla data di presentazione della domanda;

– le nuove costruzioni non sono ammesse fatte salve le costruzioni di manufatto a servizio di attività agricola.

Nel caso di specie, non risulta che gli immobili interessati siano destinati a servizio di attività agricola; l’incremento volumetrico non risulta effettuato per ragioni igienico – sanitarie; non risulta essere stato presentato studio di inserimento ambientale.

Alla luce di quanto sopra, quindi, il motivo dedotto da parte ricorrente deve essere respinto.

2.4. In ordine al quinto motivo di impugnazione.

Al riguardo, il problema se, nel caso di specie, per opere quali quelle in esame, sia applicabile l’art. 31, comma 1 o l’art. 34 d.lgs. n. 380 del 2001, è del tutto inconferente con riferimento al provvedimento di diniego di sanatoria, in quanto l’art 34 citato, quand’anche effettivamente applicabile, non sarebbe comunque idoneo a fondare un provvedimento di accoglimento dell’istanza di sanatoria, ma comporterebbe, esclusivamente, per il Comune il divieto di disporre la demolizione dei manufatti formalmente privi di titolo.

Pertanto, il motivo deve essere respinto.

2.5. In conclusione.

Atteso il solo parziale accoglimento dei motivi dedotti da parte ricorrente e attesa la sufficienza motivazionale dei rilievi opposti dal Comuni a sostegno del provvedimento di diniego per i quali il Collegio ritiene non fondati i motivi dedotti da parte ricorrente, il ricorso rg. n. 319 del 2018 deve essere respinto.

3. In ordine al ricorso rg. n. 611 del 2018.

3.1. In merito ai primi 5 motivi dedotti in via di “illegittimità derivata”.

Al riguardo, deve essere richiamato quanto più sopra detto con riferimento ai singoli motivi di cui al ricorso Rg. n. 319 del 2018.

Conseguentemente, atteso il mancato accoglimento del predetto ricorso Rg. n. 319 del 2018, deve essere respinta l’impugnazione per illegittimità derivata del provvedimento di demolizione oggetto del ricorso Rg. n. 611 del 2018.

3.2. In merito al sesto motivo di ricorso.

Al riguardo, occorre premettere che, ai sensi dell’art. 31, comma 1, d.p.r. n. 380 del 2001, sono interventi eseguiti in totale difformità dal permesso di costruire quelli che comportano la realizzazione di un organismo edilizio integralmente diverso per caratteristiche tipologiche, planovolumetriche o di utilizzazione da quello oggetto del permesso stesso, ovvero l’esecuzione di volumi edilizi oltre i limiti indicati nel progetto e tali da costituire un organismo edilizio o parte di esso con specifica rilevanza ed autonomamente utilizzabile.

All’esecuzione in assenza o totale difformità dal permesso è equiparata la costruzione con “variazioni essenziali”, determinate ai sensi dell’articolo 32.

In entrambi i casi, l’organo competente dell’Ente comunale ingiunge al proprietario e al responsabile dell’abuso la rimozione o la demolizione, indicando nel provvedimento l’area che viene acquisita di diritto, ai sensi del comma 3.

Ai sensi dell’art. 32, d.p.r. n. 380 del 2001, fermo restando quanto disposto dal comma 1 dell’art. 31, sopra richiamato, le regioni stabiliscono quali siano le variazioni essenziali al progetto approvato, tenuto conto che l’essenzialità ricorre esclusivamente quando si verifica una o più delle seguenti condizioni:

a) mutamento della destinazione d’uso che implichi variazione degli standards previsti dal decreto ministeriale 2 aprile 1968, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 97 del 16 aprile 1968;

b) aumento consistente della cubatura o della superficie di solaio da valutare in relazione al progetto approvato;

c) modifiche sostanziali di parametri urbanistico-edilizi del progetto approvato ovvero della localizzazione dell’edificio sull’area di pertinenza;

d) mutamento delle caratteristiche dell’intervento edilizio assentito;

e) violazione delle norme vigenti in materia di edilizia antisismica, quando non attenga a fatti procedurali.

Non possono ritenersi comunque variazioni essenziali quelle che incidono sulla entità delle cubature accessorie, sui volumi tecnici e sulla distribuzione interna delle singole unità abitative.

Secondo la normativa regionale, e, in particolare, l’art. 44, l. r. Liguria n. 16 del 2008, poi, si è di fronte ad una ipotesi di “variazione essenziale” in caso di:

a) mutamento parziale della destinazione d’uso comportante alternativamente:

1) l’insediamento di una diversa destinazione d’uso non consentita dallo strumento urbanistico generale;

2) un incremento degli standard urbanistici, salvo il reperimento da parte dell’interessato, a mezzo di atto unilaterale d’obbligo o convenzione, delle aree o dotazioni di standard dovuti per la nuova destinazione, da formalizzare prima della ultimazione dei lavori nel contesto dell’accertamento di conformità di cui all’articolo 49;

b) aumento della cubatura o della superficie agibile ovvero della superficie coperta rispetto al progetto approvato nei limiti sottoindicati, sempreché non comportante la realizzazione di manufatti edilizi autonomamente utilizzabili:

1) per gli edifici residenziali e per quelli aventi destinazione turistico-ricettiva, direzionale e commerciale, ad esclusione della grande struttura di vendita, di qualunque dimensione, in misura pari ad almeno 80 metri cubi ovvero ad almeno 25 metri quadrati;

2) per gli edifici aventi destinazione industriale, artigianale e commerciale, costituita da grandi strutture di vendita e da quelle di distribuzione all’ingrosso, di qualunque dimensione, in misura pari ad almeno 50 metri quadrati di superficie coperta;

c) modifiche di entità superiore al 10 per cento rispetto all’altezza dei fabbricati, alle distanze da altri fabbricati, dai confini di proprietà e dalle strade, anche a diversi livelli di altezza, nonché diversa localizzazione del fabbricato sull’area di pertinenza, quando la sovrapposizione della sagoma a terra dell’edificio in progetto e di quello realizzato sia inferiore al 50 per cento;

d) aumento del numero dei piani o del numero delle unità immobiliari dell’edificio comportanti l’incremento di almeno due nuove unità, al di fuori dei casi di varianti in corso d’opera di cui all’articolo 25, comma 2;

e) mutamenti delle caratteristiche degli interventi edilizi di ristrutturazione edilizia, comportanti il passaggio ad interventi di nuova costruzione e di ristrutturazione urbanistica;

f) violazione delle norme vigenti in materia di edilizia antisismica, quando non attenga a fatti procedurali.

Non possono comunque ritenersi variazioni essenziali quelle che incidono sulla entità delle cubature accessorie, sui volumi tecnici e sulla distribuzione interna delle singole unità abitative.

Infine, norma di chiusura del sistema normativo statale in punto sanzioni edilizie è l’art. 34, comma 2 ter, d.p.r. n. 380 del 2001, ai sensi del quale, non si ha parziale difformità del titolo abilitativo in presenza di violazioni di altezza, distacchi, cubatura o superficie coperta che non eccedano per singola unità immobiliare il 2 % delle misure progettuali.

L’art. 47, l. r. Liguria n. 16 del 2008, al riguardo, prevede che gli interventi e le opere realizzati in parziale difformità dal permesso di costruire, dalla DIA obbligatoria o dalla DIA alternativa al permesso di costruire sono demoliti o rimossi a cura e spese dei responsabili dell’abuso entro il congruo termine fissato dalla relativa ordinanza del responsabile dello SUE. Decorso tale termine sono demoliti o rimossi nei modi stabiliti dall’articolo 56 a cura del Comune e a spese dei medesimi responsabili dell’abuso.

Ai sensi del comma 2 della predetta norma, non si configura parziale difformità dal titolo abilitativo in caso di opere comportanti discostamenti dai parametri dell’altezza, dei distacchi, della cubatura o della superficie coperta che non eccedano per singola unità immobiliare il 2 per cento rispetto alle misure del progetto assentito.

Quando la demolizione non può avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità, il responsabile dello SUE applica una sanzione amministrativa pecuniaria pari al doppio dell’aumento di valore dell’immobile, conseguente alla realizzazione delle opere.

D’altronde, la difformità parziale dal permesso di costruire è una categoria residuale e presuppone che un determinato intervento costruttivo, pur se contemplato dal titolo autorizzatorio rilasciato dall’autorità amministrativa, venga realizzato secondo modalità diverse da quelle previste e autorizzate a livello progettuale. Si è, pertanto, in presenza di difformità parziale quando le modificazioni incidano su elementi particolari e non essenziali della costruzione e si concretizzino in divergenze qualitative e quantitative non incidenti sulle strutture essenziali dell’opera (C. Stato, sez. VI, 30/03/2017, n. 1484).

Nel caso di specie, le difformità rilevanti sono date, come si è più sopra visto: dal fatto che le opere realizzate hanno determinato uno “sconfinamento” sul mapp. 584; che al posto del c.d. terrapieno è stato realizzato un locale uso ripostiglio avente volumetria di 55,84 mc e superficie aggiunta di mq 18,93.

Ebbene, fermo restando che a fronte dello “sconfinamento”, contestato dal terzo comproprietario, l’opera non può che essere oggetto di demolizione, per la parte recante occupazione illegittima, con riferimento al volume oggetto di contestazione occorre considerare che, se anche non integrante una “variazione essenziale”, ad ogni modo determina l’applicabilità dell’art. 34, comma 1, d.p.r. n. 380 del 2001 e 47, l. r. Liguria n. 16 del 2008, posto che per le caratteristiche dimensionali del manufatto abusivo rispetto alle caratteristiche dell’opera a progetto (che prevedeva un mero terrapieno), non può ritenersi integrata l’ipotesi, meramente residuale, di cui all’art. 34 comma 2 d.p.r. n. 380 del 2001 sopra richiamato.

Parimenti, con riguardo alla “traslazione” del manufatto, è evidente che essa si risolve in una difformità parziale tale da comportare l’obbligo di rimessione in pristino.

Peraltro, occorre rilevare che l’asserito errore di rappresentazione grafica in sede di progetto, dedotto da parte ricorrente negli atti del presente giudizio, oltre a non essere stato sollevato in modo chiaro nel corso dell’istruttoria del procedimento conseguente all’istanza di accertamento di conformità, non risulta dimostrato dalle produzioni in atti, laddove il profilo stradale come disegnato nella documentazione progettuale non risulta differente rispetto a quello rappresentato nella documentazione grafica ritenuta “corretta” da parte ricorrente.

Pertanto, il motivo di ricorso deve essere respinto.

3.3. In merito al settimo e all’ottavo motivo di ricorso.

Al riguardo, è sufficiente rammentare l’insegnamento secondo il quale l’eventuale impossibilità tecnica di demolire il manufatto, senza arrecare un grave pregiudizio per le parti legittime dell’edificio, non produce alcun effetto sulla legittimità del provvedimento sanzionatorio, dunque la possibilità di non procedere alla rimozione delle parti abusive costituisce solo un’eventualità della fase esecutiva, subordinata alla circostanza dell’impossibilità del ripristino dello stato dei luoghi. (T.A.R. Campania, sez. VIII, 31/07/2018, n. 5122; T.A.R. Puglia, sez. dist. Lecce, sez. III, 27/02/2015, n. 717).

Parimenti, <<con riguardo agli interventi e alle opere realizzati in parziale difformità dal permesso di costruire, la possibilità di sostituire la sanzione demolitoria con quella pecuniaria, disciplinata dall’ art. 34, del d.p.r. n. 380 del 2001, deve essere valutata dall’Amministrazione competente nella fase esecutiva del procedimento, successiva e autonoma rispetto all’ordine di demolizione. In quella sede, le parti ben possono dedurre in ordine alla situazione di pericolo di stabilità del fabbricato asseritamente derivante dall’esecuzione della demolizione del muro di contenimento del terrapieno>> (C. Stato, sez. VI, 09/07/2018, n. 4169).

Pertanto, entrambi i motivi dedotti devono essere respinti.

3.4. In merito al nono motivo di ricorso.

Al riguardo, premesso che dal testo del provvedimento si comprende in modo sufficiente, anche per relationem, quali siano le difformità in considerazione delle quali è stato disposto l’ordine di rimessione in pristino, è sufficiente rammentare l’insegnamento secondo il quale <<la demolizione di un immobile edificato senza il necessario titolo, avendo natura vincolata ed essendo rigidamente ancorato alla sussistenza dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non necessita di specifica motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse che impongono la rimozione dell’abuso; tale principio, peraltro, non ammette deroghe neanche nell’ipotesi in cui l’ingiunzione di demolizione sia intervenuta a distanza di tempo dalla realizzazione dell’abuso, il titolare attuale non sia responsabile dell’abuso e il trasferimento non sia finalizzato ad eludere l’onere di ripristino (C. Stato, sez. VI, 03/12/2018, n. 6839).

Pertanto, anche tale ultimo di motivo di impugnazione deve essere respinto.

3.5. In conclusione.

Alla luce di quanto sopra detto, pertanto, anche il ricorso rg. n. 611 del 2018 deve essere respinto.

4. In punto spese di lite.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo in conformità al d.m. n. 55 del 2014.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sui ricorsi riuniti rg. n. 319 del 2018 e rg n. 611 del 2018, come in epigrafe proposti, li respinge;

condanna Luigia Vagge, con riguardo al ricorso rg. n. 319 del 2018, a rifondere a parte resistente e controinteressata le spese di lite che si liquidano, per ciascuna, in complessivi Euro 1.500,00 (millecinquecento/00) oltre accessori;

condanna Luigia Vagge, Giuseppina Butera, Desolina Butera, con riguardo al ricorso rg. n. 611 del 2018, a rifondere a parte resistente e controinteressata le spese di lite che si liquidano, per ciascuna, in complessivi Euro 1.500,00 (millecinquecento/00) oltre accessori;

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Genova nella camera di consiglio del giorno 17 aprile 2019 con l’intervento dei magistrati:

Giuseppe Daniele, Presidente
Richard Goso, Consigliere
Paolo Nasini, Referendario, Estensore

L’ESTENSORE
Paolo Nasini
        
IL PRESIDENTE
Giuseppe Daniele
        
        
IL SEGRETARIO

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