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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Diritto del lavoro, Pubblica amministrazione Numero: 9317 | Data di udienza: 15 Novembre 2018

PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – Compensi professionali – Incarico dalla P.A. senza contratto scritto – Limiti all’indennità dovuta al professionista – Criteri di calcolo – Arricchimento ingiustificato ex art. 2041 c.c. – Azione d’indebito arricchimento nei confronti della pubblica amministrazione – Assenza di un valido contratto di appalto d’opera tra la pubblica amministrazione e un professionista – DIRITTO DEL LAVORO – Contratto invalido – Determinazione dell’indennizzo dovuto al professionista – Parametro delle tariffe professionali – Esclusione – Differente criteri di calcolo.


Provvedimento: SENTENZA
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 4 Aprile 2019
Numero: 9317
Data di udienza: 15 Novembre 2018
Presidente: ARMANO
Estensore: DELL'UTRI


Premassima

PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – Compensi professionali – Incarico dalla P.A. senza contratto scritto – Limiti all’indennità dovuta al professionista – Criteri di calcolo – Arricchimento ingiustificato ex art. 2041 c.c. – Azione d’indebito arricchimento nei confronti della pubblica amministrazione – Assenza di un valido contratto di appalto d’opera tra la pubblica amministrazione e un professionista – DIRITTO DEL LAVORO – Contratto invalido – Determinazione dell’indennizzo dovuto al professionista – Parametro delle tariffe professionali – Esclusione – Differente criteri di calcolo.



Massima

CORTE DI CASSAZIONE CIVILE, Sez. 3^, 04/04/2019 (Ud. 15/11/2018), Sentenza n.9317

 

PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – Compensi professionali – Incarico dalla P.A. senza contratto scritto – Limiti all’indennità dovuta al professionista – Criteri di calcolo – Arricchimento ingiustificato ex art. 2041 c.c.

L’indennizzo per ingiustificato arricchimento dovuto al professionista che abbia svolto la propria attività a favore della pubblica amministrazione, ma in difetto di un contratto scritto, non può essere determinato, neppure indirettamente quale parametro, in base alla tariffa professionale che il professionista avrebbe potuto ottenere se avesse svolto la sua opera a favore d’un privato, né in base all’onorario che la p.a. avrebbe dovuto pagare, se la prestazione ricevuta avesse formato oggetto d’un contratto valido.

PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – Azione d’indebito arricchimento nei confronti della pubblica amministrazione – Assenza di un valido contratto di appalto d’opera tra la pubblica amministrazione e un professionista – DIRITTO DEL LAVORO – Contratto invalido – Determinazione dell’indennizzo dovuto al professionista – Parametro delle tariffe professionali – Esclusione – Differente criteri di calcolo.

In tema di azione d’indebito arricchimento nei confronti della pubblica amministrazione, conseguente all’assenza di un valido contratto di appalto d’opera tra la pubblica amministrazione e un professionista, l’indennità prevista dall’art. 2041 c.c. va liquidata nei limiti della diminuzione patrimoniale subita dall’esecutore della prestazione resa in virtù del contratto invalido, con esclusione di quanto lo stesso avrebbe percepito a titolo di lucro cessante se il rapporto negoziale fosse stato valido ed efficace (Sez. U, Sentenza n. 1875 del 27/01/2009). Pertanto, ai fini della determinazione dell’indennizzo dovuto al professionista non possono essere assunte come parametro le tariffe professionali (ancorché richiamate da parcelle vistate dall’ordine competente), alle quali può ricorrersi solo quando le prestazioni siano effettuate dal professionista in base un valido contratto d’opera con il cliente (Sez. U, Sentenza n. 1875 del 27/01/2009).

 

(riforma sentenza n. 3291/2015 – CORTE D’APPELLO di ROMA, dep. 28/05/2015) Pres. ARMANO, Rel. DELL’UTRI, Ric. Laziodisu c. Meloni ed altro


Allegato


Titolo Completo

CORTE DI CASSAZIONE CIVILE, Sez. 3^, 04/04/2019 (Ud. 15/11/2018), Sentenza n.9317

SENTENZA

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE

composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

omissis

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso 13908-2016 proposto da:
AGENZIA DIRITTO STUDIO UNIVERSITARIO NEL LAZIO , in persona del suo legale rappresentante pro-tempore e direttore generale, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende 2018 per legge;

– ricorrente –

contro

MELONI AURELIO, MICHELINI LEONARDO;

– intimati –

avverso la sentenza n. 3291/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 28/05/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 15/11/2018 dal Consigliere Dott. MARCO DELL’UTRI;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. ALESSANDRO PEPE che ha concluso per l’eventuale valutazione di rimessione della causa alle Sezioni Unite; accoglimento del ricorso in particolare del motivo 2°, assorbito il 3°.

accoglimento del ricorso in particolare del motivo 2°, assorbito il udito l’Avvocato DANIELA GIACOBBE;

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza resa in data 28/5/2015, la Corte d’appello di Roma ha confermato la decisione con la quale il giudice di primo grado ha condannato l’Agenzia per il diritto allo studio universitario nel Lazio (c.d. Laziodisu) al pagamento in favore di Aurelio Meloni e Leonardo Michelini, di talune somme a titolo di indennità per arricchimento ingiustificato ex art. 2041 c.c..

2. A fondamento della decisione assunta, la corte territoriale, preso atto che il Meloni e il Michelini avevano eseguito taluni lavori di progettazione in relazione all’esecuzione di opere di ristrutturazione deliberate dal Laziodisu, e che tale attività era stata svolta senza alcuna regolare formalizzazione del rapporto contrattuale concluso tra le parti, ha confermato la correttezza dell’avvenuta commisurazione dell’importo a titolo di indennità per ingiustificato arricchimento, da parte del giudice di primo grado, sulla base delle tariffe professionali dedotte in giudizio dagli originari attori.

3. Avverso la sentenza d’appello, l’Agenzia per il diritto allo studio universitario nel Lazio propone ricorso per cassazione sulla base di tre motivi d’impugnazione.

4. Aurelio Meloni e Leonardo Michelini non hanno svolto difese in questa sede.

5. Riservato in decisione per l’adunanza in camera di consiglio della Terza Sezione Civile della Corte di cassazione, con ordinanza interlocutoria n. 8661 del 12/1-9/4/2018 il ricorso è stato rimesso dinanzi all’odierno Collegio per la trattazione in pubblica udienza.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, l’Agenzia ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione dell’art. 345 c.p.c. (in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.), per avere la corte territoriale erroneamente rilevato la tardività della proposizione, da parte dell’Agenzia illo tempore appellante, dell’eccezione relativa alla pretesa carenza di legittimazione attiva degli originari attori, avendo l’Agenzia tempestivamente avanzato, nel corso del giudizio di primo grado, la questione relativa alla titolarità del rapporto dedotto in giudizio in capo a soggetti diversi dagli attori, ben potendo, peraltro, il giudice d’appello provvedere d’ufficio al rilievo di detto difetto di titolarità.

2. Il motivo è inammissibile.

3. Al riguardo, osserva il Collegio come, con riguardo al tema della legittimazione attiva degli originari attori, la corte territoriale risulta aver espressamente assunto una decisione positiva indipendente dalla questione relativa alla rilevazione della tardività della proposizione della corrispondente eccezione di controparte, avendo dato conto della titolarità del rapporto in capo agli attori in conseguenza della partecipazione di altri professionisti alla vicenda e al conseguente depauperamento subito dal Meloni e dal Michelini per effetto del debito contratto nei confronti di quelli senza aver percepito alcun compenso dall’amministrazione avversaria (cfr. il quinto cpv. della pag. 4 della sentenza impugnata).

4. La mancata impugnazione di tale autonoma ratio decidendi, da parte dell’odierna ricorrente, vale a escludere il ricorso di qualsivoglia interesse della stessa alla proposizione del motivo in esame fondato sulla denunciata erroneità della rilevata tardività della proposizione, da parte dell’Agenzia convenuta, dell’eccezione relativa alla pretesa carenza di legittimazione attiva degli originari attori.

5. Con il secondo motivo, l’Agenzia ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione dell’art. 2041 c.c., nonché per insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia (in relazione all’art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c.), per avere la corte territoriale erroneamente ritenuto corretta la determinazione dell’indennità a titolo di arricchimento senza causa sulla base delle tariffe professionali prodotte in giudizio dagli attori (rectius, della parcella professionale redatta e vistata dal competente ordine professionale), e non già sulla base dell’effettivo impoverimento dagli stessi subiti a seguito della prestazione svolta nell’interesse della pubblica amministrazione.

6. Con il terzo motivo, la ricorrente censura la sentenza impugna-ta per violazione dell’art. 18 della legge n. 109/94; dell’art. 4, co. 12- bis, del d.l. n. 65/89 conv. nella legge n. 155/89; dell’art. 6 della leg-ge n. 404/77 e della Circolare del Ministero dei Lavori Pubblici del 12/11/1987, nonché per omessa motivazione circa un fatto decisivo controverso (in relazione all’art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c.), per avere la corte territoriale trascurato di tener conto, ai fini della determinazione dell’indennità ex art. 2041 c.c., delle norme richiamate in epigrafe, nonché per aver riconosciuto, in favore delle controparti, somme a titolo di rimborso-spese non adeguatamente documentate in conformità alle previsioni di legge. 7. Il secondo motivo è fondato e suscettibile di assorbire la rilevanza del terzo.

8. Osserva il Collegio come, secondo l’orientamento fatto proprio dalle Sezioni Unite di questa Corte, in tema di azione d’indebito arricchimento nei confronti della pubblica amministrazione, conseguente all’assenza di un valido contratto di appalto d’opera tra la pubblica amministrazione e un professionista, l’indennità prevista dall’art. 2041 c.c. va liquidata nei limiti della diminuzione patrimoniale subita dall’esecutore della prestazione resa in virtù del contratto invalido, con esclusione di quanto lo stesso avrebbe percepito a titolo di lucro cessante se il rapporto negoziale fosse stato valido ed efficace (Sez. U, Sentenza n. 1875 del 27/01/2009, Rv. 606124 – 01).

9. Pertanto, ai fini della determinazione dell’indennizzo dovuto al professionista non possono essere assunte come parametro le tariffe professionali (ancorché richiamate da parcelle vistate dall’ordine competente), alle quali può ricorrersi solo quando le prestazioni siano effettuate dal professionista in base un valido contratto d’opera con il cliente (Sez. U, Sentenza n. 1875 del 27/01/2009, Rv. 606124 – 01, cit.).

10. Il richiamato insegnamento delle Sezioni Unite di questa Corte (che questo Collegio integralmente condivide e fa proprio, al fine di assicurarne continuità, in consonanza con il successivo orientamento confermativo assunto da Sez. 3, Sentenza n. 19886 del 06/10/2015, Rv. 637195 – 01) ha con ampia motivazione dimostrato per quali ragioni la opposta tesi sia insostenibile.

11. Dall’affermazione secondo cui l’indennizzo dovuto all’impoverito, ai sensi dell’art. 2041 c.c., non possa comprendere il lucro che questi avrebbe realizzato se il contratto stipulato con la p.a. fosse stato valido ed efficace, la giurisprudenza successiva ha tratto il necessario corollario secondo cui l’impoverimento non può essere determinato (neppure indirettamente quale parametro: cfr. Sez. U, Sentenza n. 1875 del 27/01/2009, cit., in motivazione, là dove richiama Sez. 2, Sentenza n. 9243 del 12/07/2000, Rv. 538406 – 01) sulla base della tariffa professionale applicabile alle prestazioni eseguite dall’impoverito.

Applicare quella tariffa, infatti, significherebbe accordargli un indennizzo esattamente pari a quanto avrebbe avuto diritto di pretendere dalla pubblica amministrazione nell’ipotesi di stipula con essa d’un contratto valido (così si sono pronunciate Sez. U, Sentenza n. 1875 del 27/01/2009, Rv. 606124; nello stesso senso, Sez. 3, Sentenza n. 3905 del 18/02/2010, Rv. 611568; Sez. 3, Sentenza n. 23780 del 07/11/2014, Rv. 633449; Sez. 3, Sentenza n. 19886 del 06/10/2015, Rv. 637195 – 01).

12. Questo Collegio non ignora che, dopo l’intervento delle Sezioni Unite, alcune decisioni delle singole sezioni di questa Corte sono tornate ad affermare che la tariffa professionale possa essere utilizzata per la stima dell’indennizzo dovuto, ex art. 2041 c.c., a chi abbia lavorato per la pubblica amministrazione senza la previa stipula d’un contratto scritto.

13. Tali decisioni, tuttavia non possono essere affatto condivise.

14. Non può essere condivisa, in primo luogo, la decisione pronunciata da Sez. 1, Sentenza n. 19942 del 29/09/2011, Rv. 619548: sia perché si pone in contrasto inconsapevole con la pronuncia delle Sezioni Unite sopra ricordata (nonché con Sez. U, Sentenza n. 23385 del 11/09/2008, Rv. 604467 – 01), senza spendere una parola per motivare la propria opinione dissenziente; sia soprattutto perché l’affermazione del principio (secondo cui l’indennizzo può essere liquidato in base alle tariffe professionali) è compiuta in modo apodittico e non corredato da ragioni giustificatrici.

15. Per le stesse ragioni non può essere condiviso il decisum di Sez. 3, Sentenza n. 26193 del 06/12/2011 (non massimata) e di Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 351 del 10/01/2017 (Rv. 642780 – 01): anch’esse infatti ignorano di fatto le indicazioni delle Sezioni Unite e non sono sorrette da alcuna approfondita motivazione.

16. Non costituisce, invece, una dissenting opinion rispetto alle decisioni delle Sezioni Unite sopra ricordate la sentenza pronunciata da Sez. 1, Sentenza n. 21227 del 14/10/2011, Rv. 619902.

Nel caso ivi deciso, infatti, il giudice di merito aveva negato la possibilità di liquidare l’indennizzo ex art. 2041 c.c. in base alla tariffa professionale, e la Corte di cassazione ritenne che “tale ratio decidendi [fosse] da condividersi”.

17. È appena il caso di rilevare come le opinioni dissenzienti appena ricordate, oltre che isolate, neppure avrebbero potuto essere ritualmente pronunciate, ostandovi il divieto di cui all’art. 374, co. 3, c.p.c. (secondo cui “se la sezione semplice ritiene di non condividere il principio di diritto enunciato dalle sezioni unite, rimette a queste ultime, con ordinanza motivata, la decisione del ricorso”).

18. Essendosi il giudice a quo espressamente uniformato all’orientamento fatto proprio da Sez. 1, Sentenza n. 19942 del 29/09/2011, Rv. 619548 (qui motivatamente confutato), in accoglimento del secondo motivo del ricorso (rigettato il primo ed assorbito il terzo), dev’essere disposta la cassazione della sentenza impugnata, con il conseguente rinvio alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, cui è rimesso di provvedere, sulla base degli elementi di fatto acquisiti al processo, alla decisione dell’odierna controversia in applicazione del seguente principio di diritto: L’indennizzo per ingiustificato arricchimento dovuto al professionista che abbia svolto la propria attività a favore della pubblica amministrazione, ma in difetto di un contratto scritto, non può essere determinato, neppure indirettamente quale parametro, in base alla tariffa professionale che il professionista avrebbe potuto ottenere se avesse svolto la sua opera a favore d’un privato, né in base all’onorario che la p.a. avrebbe dovuto pagare, se la prestazione ricevuta avesse formato oggetto d’un contratto valido.

19. Al giudice del rinvio è altresì rimesso di provvedere alla regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il secondo motivo e, rigettato il primo e assorbito il terzo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, e rinvia alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, che deciderà uniformandosi al principio di diritto di cui in motivazione, oltre a provvedere alla regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile della Corte Suprema di Cassazione del 15/11/2018.

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