TUTELA DEI CONSUMATORI – Contratti conclusi con i consumatori – Clausole abusive – Mutuo ipotecario indicizzato in una valuta estera – Clausola relativa alla determinazione del tasso di cambio tra le valute – Effetti della dichiarazione del carattere abusivo di una clausola – Possibilità per il giudice di porre rimedio alle clausole abusive ricorrendo a clausole generali del diritto civile – Valutazione dell’interesse del consumatore – Sussistenza del contratto senza clausole abusive – Rinvio pregiudiziale – Direttiva 93/13/CEE.
Provvedimento: SENTENZA
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 3 Ottobre 2019
Numero: C‑260/18
Data di udienza:
Presidente: Prechal
Estensore: Prechal
Premassima
TUTELA DEI CONSUMATORI – Contratti conclusi con i consumatori – Clausole abusive – Mutuo ipotecario indicizzato in una valuta estera – Clausola relativa alla determinazione del tasso di cambio tra le valute – Effetti della dichiarazione del carattere abusivo di una clausola – Possibilità per il giudice di porre rimedio alle clausole abusive ricorrendo a clausole generali del diritto civile – Valutazione dell’interesse del consumatore – Sussistenza del contratto senza clausole abusive – Rinvio pregiudiziale – Direttiva 93/13/CEE.
Massima
CORTE DI GIUSTIZIA UE, Sez. 3^, 03/10/2019 Sentenza C‑260/18
TUTELA DEI CONSUMATORI – Contratti conclusi con i consumatori – Clausole abusive – Mutuo ipotecario indicizzato in una valuta estera – Clausola relativa alla determinazione del tasso di cambio tra le valute – Effetti della dichiarazione del carattere abusivo di una clausola – Possibilità per il giudice di porre rimedio alle clausole abusive ricorrendo a clausole generali del diritto civile – Valutazione dell’interesse del consumatore – Sussistenza del contratto senza clausole abusive – Rinvio pregiudiziale – Direttiva 93/13/CEE.
L’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, deve essere interpretato nel senso che esso non osta a che un giudice nazionale, dopo aver accertato il carattere abusivo di talune clausole di un contratto di mutuo indicizzato in una valuta estera ed associato a un tasso di interesse direttamente connesso al tasso interbancario della valuta interessata, ritenga, conformemente al suo diritto interno, che tale contratto non possa sussistere senza tali clausole, per il motivo che la loro eliminazione avrebbe come conseguenza la modifica della natura dell’oggetto principale di detto contratto. Pertanto, le conseguenze sulla situazione del consumatore provocate dall’invalidazione di un contratto nella sua interezza, come indicate nella sentenza del 30 aprile 2014, Kásler e Káslerné Rábai (C‑26/13, EU:C:2014:282), devono essere valutate alla luce delle circostanze esistenti o prevedibili al momento della controversia, e che, dall’altro, ai fini di tale valutazione, la volontà che il consumatore ha espresso al riguardo è determinante. Tuttavia, l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 deve essere interpretato nel senso che esso osta a che sia posto rimedio alle lacune di un contratto, provocate dalla soppressione delle clausole abusive contenute in quest’ultimo, sulla sola base di disposizioni nazionali di carattere generale che prevedono l’integrazione degli effetti espressi in un atto giuridico mediante, segnatamente, gli effetti risultanti dal principio di equità o dagli usi, disposizioni queste che non sono né di natura suppletiva né applicabili in caso di accordo tra le parti del contratto. Inoltre, l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 deve essere interpretato nel senso che esso osta al mantenimento delle clausole abusive contenute in un contratto quando la loro soppressione porterebbe all’invalidazione di tale contratto e il giudice ritiene che tale invalidazione creerebbe effetti sfavorevoli per il consumatore, qualora quest’ultimo non abbia acconsentito a tale mantenimento.
Pres./Rel. Prechal, Ric. Dziubak contro Raiffeisen Bank International AG
Allegato
Titolo Completo
CORTE DI GIUSTIZIA UE, Sez. 3^, 03/10/2019 Sentenza C‑260/18SENTENZA
CORTE DI GIUSTIZIA UE, Sez. 3^, 03/10/2019 Sentenza C‑260/18
SENTENZA DELLA CORTE (Terza Sezione)
3 ottobre 2019
«Rinvio pregiudiziale – Direttiva 93/13/CEE – Contratti conclusi con i consumatori – Clausole abusive – Mutuo ipotecario indicizzato in una valuta estera – Clausola relativa alla determinazione del tasso di cambio tra le valute – Effetti della dichiarazione del carattere abusivo di una clausola – Possibilità per il giudice di porre rimedio alle clausole abusive ricorrendo a clausole generali del diritto civile – Valutazione dell’interesse del consumatore – Sussistenza del contratto senza clausole abusive»
Nella causa C‑260/18,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Sąd Okręgowy w Warszawie (Tribunale regionale di Varsavia, Polonia), con decisione del 26 febbraio 2018, pervenuta in cancelleria il 16 aprile 2018, nel procedimento
Kamil Dziubak
Justyna Dziubak
contro
Raiffeisen Bank International AG, prowadzący działalność w Polsce w formie oddziału pod nazwą Raiffeisen Bank International AG Oddział w Polsce, già Raiffeisen Bank Polska SA,
LA CORTE (Terza Sezione),
composta da A. Prechal (relatrice), presidente di sezione, F. Biltgen, J. Malenovský, C.G. Fernlund e L.S. Rossi, giudici,
avvocato generale: G. Pitruzzella
cancelliere: A. Calot Escobar
vista la fase scritta del procedimento,
considerate le osservazioni presentate:
– per K. Dziubak e J. Dziubak , da A. Plejewska, adwokat;
– per la Raiffeisen Bank International AG, prowadzący działalność w Polsce w formie oddziału pod nazwą Raiffeisen Bank International AG Oddział w Polsce già Raiffeisen Bank Polska SA, da R. Cebeliński e I. Stolarski, radcowie prawni;
– per il governo polacco, da B. Majczyna, in qualità di agente;
– per il governo del Regno Unito, da S. Brandon, in qualità di agente, assistito da A. Howard, barrister;
– per la Commissione europea, da N. Ruiz García e M. Siekierzyńska, in qualità di agenti,
sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 14 maggio 2019,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 1, paragrafo 2, dell’articolo 4, dell’articolo 6, paragrafo 1 e dell’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori (GU 1993, L 95, pag. 29).
2 Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra, da un lato, il sig. Kamil Dziubak e la sig.ra Justyna Dziubak (in prosieguo: i «mutuatari»), e, dall’altro, la Raiffeisen Bank International AG, prowadzącym działalność w Polsce w formie oddziału pod nazwą Raiffeisen Bank International AG Oddział w Polsce, già Raiffeisen Bank Polska SA (in prosieguo: la «Raiffeisen»), relativamente all’asserito carattere abusivo di clausole riguardanti il meccanismo di indicizzazione utilizzato in un contratto di mutuo ipotecario indicizzato in una valuta estera.
Contesto normativo
Diritto dell’Unione
3 Il considerando 13 della direttiva 93/13 enuncia quanto segue:
«considerando che si parte dal presupposto che le disposizioni legislative o regolamentari degli Stati membri che disciplinano, direttamente o indirettamente, le clausole di contratti con consumatori non contengono clausole abusive; che pertanto non si reputa necessario sottoporre alle disposizioni della presente direttiva le clausole che riproducono disposizioni legislative o regolamentari imperative nonché principi o disposizioni di convenzioni internazionali di cui gli Stati membri o la Comunità sono part[i]; che a questo riguardo l’espressione “disposizioni legislative o regolamentari imperative” che figura all’articolo 1, paragrafo 2 comprende anche le regole che per legge si applicano tra le parti contraenti allorché non è stato convenuto nessun altro accordo».
4 L’articolo 1, paragrafo 2, di tale direttiva prevede quanto segue:
«Le clausole contrattuali che riproducono disposizioni legislative o regolamentari imperative e disposizioni o principi di convenzioni internazionali, in particolare nel settore dei trasporti, delle quali gli Stati membri o la Comunità sono part[i], non sono soggette alle disposizioni della presente direttiva».
5 L’articolo 4 di tale direttiva dispone quanto segue:
«1. Fatto salvo l’articolo 7, il carattere abusivo di una clausola contrattuale è valutato tenendo conto della natura dei beni o servizi oggetto del contratto e facendo riferimento, al momento della conclusione del contratto, a tutte le circostanze che accompagnano detta conclusione e a tutte le altre clausole del contratto o di un altro contratto da cui esso dipende.
2. La valutazione del carattere abusivo delle clausole non verte né sulla definizione dell’oggetto principale del contratto, né sulla perequazione tra il prezzo e la remunerazione, da un lato, e i servizi o i beni che devono essere forniti in cambio, dall’altro, purché tali clausole siano formulate in modo chiaro e comprensibile».
6 Ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13:
«Gli Stati membri prevedono che le clausole abusive contenute in un contratto stipulato tra un consumatore ed un professionista non vincol[i]no il consumatore, alle condizioni stabilite dalle loro legislazioni nazionali, e che il contratto resti vincolante per le parti secondo i medesimi termini, sempre che esso possa sussistere senza le clausole abusive».
7 L’articolo 7, paragrafo 1, di tale direttiva è così formulato:
«Gli Stati membri, nell’interesse dei consumatori e dei concorrenti professionali, provvedono a fornire mezzi adeguati ed efficaci per far cessare l’inserzione di clausole abusive nei contratti stipulati tra un professionista e dei consumatori».
Diritto polacco
8 L’articolo 56 del Kodeks cywilny (codice civile) dispone quanto segue:
«Un atto giuridico produce non solo gli effetti che sono in esso espressi ma anche quelli che derivano dalla legge, dalle norme di convivenza sociale e dagli usi».
9 L’articolo 65 del codice civile così prevede:
«1. Occorre interpretare la manifestazione di volontà conformemente ai principi di convivenza sociale e agli usi, tenendo conto delle circostanze in cui essa è stata espressa.
2. Nei contratti si deve indagare quale sia stata la comune intenzione delle parti e qual sia l’obiettivo perseguito e non limitarsi al senso letterale dei termini».
10 L’articolo 3531 del codice civile è così formulato:
«Le parti che stipulano un contratto possono liberamente determinare il rapporto giuridico a condizione che il contenuto o lo scopo del contratto non siano contrari alle caratteristiche essenziali (natura) di tale rapporto, alla legge o alle regole di convivenza sociale».
11 L’articolo 354 del codice civile enuncia quanto segue:
«1. Il debitore deve adempiere l’obbligazione secondo il contenuto di questa e in modo conforme allo scopo economico-sociale, alle norme di convivenza sociale nonché, se esistono in tale ambito, anche agli usi.
2. Il creditore deve cooperare allo stesso modo nell’adempimento dell’obbligazione».
12 Ai sensi dell’articolo 3851 del codice civile:
«1. Le clausole di un contratto concluso con un consumatore che non sono state oggetto di trattativa individuale non sono vincolanti per il consumatore qualora definiscano i suoi diritti ed obblighi in modo contrario al buon costume, integrando una grave violazione dei suoi interessi (clausole illecite). Ciò non vale per le clausole che riguardano le prestazioni principali delle parti, compreso il prezzo o la remunerazione, purché siano formulate in modo chiaro.
2. Qualora una clausola contrattuale non sia vincolante per il consumatore ai sensi del paragrafo 1, la restante parte del contratto rimane vincolante tra le parti.
3. Per clausole contrattuali che non sono state oggetto di trattativa individuale si intendono le clausole sul contenuto delle quali il consumatore non ha avuto reale influenza. In particolare, ciò si riferisce alle clausole contrattuali riprese dalle condizioni generali del contratto proposte al consumatore dalla controparte.
(…)».
13 L’articolo 3852 del codice civile dispone quanto segue:
«La compatibilità delle clausole contrattuali con il buon costume è valutata in relazione alla situazione sussistente al momento della conclusione del contratto, tenendo conto del suo contenuto, delle circostanze che accompagnano la sua conclusione nonché degli altri contratti connessi al contratto in cui figurano le disposizioni oggetto della valutazione».
Procedimento principale e questioni pregiudiziali
14 Il 14 novembre 2008 i mutuatari hanno stipulato, in qualità di consumatori, un contratto di mutuo ipotecario con la Raiffeisen. Tale contratto era indicato in zloty polacchi (PLN), ma indicizzato in una valuta estera, ossia il franco svizzero (CHF), e la durata di tale prestito era di 480 mesi (40 anni).
15 Le regole di indicizzazione del suddetto prestito nella valuta in questione erano definite dal regolamento di mutuo ipotecario utilizzato dalla Raiffeisen e integrato a tale contratto.
16 Il paragrafo 7, punto 4, di detto regolamento prevede, in sostanza, che l’erogazione del prestito in questione nel procedimento principale sia effettuata in PLN a un tasso di cambio non inferiore a quello applicabile all’acquisto PLN-CHF sulla base della tabella di cambio applicabile nella suddetta banca al momento dell’erogazione del finanziamento; il debito residuo del mutuo è espresso in CHF in base a tale tasso di cambio. Ai sensi del paragrafo 9, punto 2, del medesimo regolamento, le rate del mutuo da pagare sono espresse in CHF e prelevate dal conto bancario in PLN alla data di esigibilità delle stesse, questa volta in base al tasso di cambio applicabile alla vendita PLN-CHF secondo la suddetta tabella di cambio.
17 Il tasso di interesse del prestito in questione nel procedimento principale era previsto come tasso variabile, costituito dalla somma del tasso di riferimento LIBOR 3M (CHF) e del margine fisso della Raiffeisen.
18 I mutuatari hanno adito il giudice del rinvio con un ricorso volto, in via principale, a far dichiarare la nullità del contratto di mutuo in questione nel procedimento principale a causa dell’asserito carattere abusivo delle clausole concernenti il meccanismo di indicizzazione, descritto al punto 16 della presente sentenza. Al riguardo, essi fanno valere che tali clausole sono illecite in quanto consentirebbero alla Raiffeisen di determinare unilateralmente e liberamente il tasso di cambio. Tale banca stabilirebbe, di conseguenza, in modo unilaterale l’importo residuo di tale mutuo espresso in CHF e l’importo delle rate mensili espresse in PLN. Una volta eliminate le suddette clausole, sarebbe impossibile determinare un tasso di cambio corretto, cosicché il contratto non potrebbe essere mantenuto.
19 In subordine, essi affermano che il contratto di mutuo in esame nel procedimento principale potrebbe essere eseguito senza queste medesime clausole sulla base dell’importo del credito fissato in PLN e del tasso di interesse stabilito in tale contratto, fondato sul tasso variabile LIBOR e sul margine fisso della banca.
20 La Raiffeisen nega il carattere abusivo delle clausole interessate e nel contempo fa valere che, dopo l’eventuale eliminazione di queste ultime, le parti restano vincolate dalle altre disposizioni del contratto di mutuo in questione nel procedimento principale. Al posto delle clausole eliminate e in assenza di norme di natura suppletiva che determinino le modalità di fissazione del tasso di cambio delle valute, si dovrebbe ricorrere all’applicazione dei principi generali di cui agli articoli 56, 65 e 354 del codice civile.
21 Tale banca censura, inoltre, il fatto che la soppressione di dette clausole possa avere come conseguenza l’esecuzione del contratto di mutuo in esame nel procedimento principale come prestito indicato in PLN, applicando nel contempo il tasso di interesse determinato sulla base del LIBOR. Il ricorso al LIBOR CHF, come convenuto dalle parti, in luogo del tasso di interesse più elevato previsto per il PLN, ossia il WIBOR, risultava, a suo avviso, unicamente dall’inclusione del meccanismo di indicizzazione previsto nelle clausole di cui trattasi.
22 Il giudice del rinvio rileva che i contratti di mutuo indicizzati in una valuta estera, come quello in questione, si sono sviluppati nella prassi. L’istituto del mutuo indicizzato in una valuta estera è stato introdotto nella legislazione polacca solo nel 2011; quest’ultima, tuttavia, si limita a prevedere l’obbligo di definire nel contratto le regole dettagliate che determinano, segnatamente, il meccanismo di conversione.
23 Il giudice del rinvio precisa, quanto alle clausole stabilite nel contratto di mutuo in questione, che esso parte dalla constatazione che queste ultime sono abusive e non vincolano quindi i mutuatari.
24 Tale giudice rileva che, senza le suddette clausole, è impossibile determinare il tasso di cambio e quindi dare esecuzione al contratto di mutuo in esame. Esso si chiede, al riguardo, in primo luogo, richiamando la sentenza del 30 aprile 2014, Kásler e Káslerné Rábai (C‑26/13, EU:C:2014:282) se – nel caso in cui la dichiarazione di nullità di tale contratto sia sfavorevole al consumatore – sia consentito porre rimedio alla lacuna di detto contratto sulla base di disposizioni nazionali non già di diritto suppletivo, bensì di carattere generale, che fanno riferimento a norme di convivenza sociale e agli usi, come quelle previste dagli articoli 56 e 354 del codice civile. Qualora tali norme e tali usi possano consentire di ritenere che il tasso di cambio applicabile sia quello applicato dalla Raiffeisen, come risulta dalle clausole controverse, si potrebbe parimenti ammettere, secondo il giudice del rinvio, che si tratti del tasso di cambio di mercato o di quello fissato dalla banca centrale.
25 In caso di risposta negativa a tale questione, detto giudice si interroga, inoltre, sulla questione se, quando il giudice ritiene che la dichiarazione di nullità di un contratto produca effetti sfavorevoli per il consumatore, quest’ultimo possa mantenere la clausola abusiva contenuta in tale contratto, quantunque il consumatore non abbia espresso la sua intenzione di essere vincolato dalla stessa.
26 Il giudice del rinvio osserva, poi, che, al fine di stabilire se la dichiarazione di nullità di un contratto produca effetti sfavorevoli per il consumatore, è necessario definire i criteri di valutazione di tali effetti e, segnatamente, il momento in cui occorre collocarsi per procedere a detta valutazione. Il giudice del rinvio si chiede, altresì, se possa effettuare la valutazione degli effetti prodotti dalla dichiarazione di nullità del contratto interessato contro la volontà del consumatore, vale a dire se il consumatore possa opporsi al fatto che tale contratto venga integrato o che le modalità di esecuzione dello stesso siano determinate sulla base di norme contenenti clausole generali qualora, contro l’avviso di quest’ultimo, detto giudice ritenga che possa risultare più favorevole per tale consumatore integrare detto contratto anziché dichiararlo nullo.
27 Il giudice del rinvio si interroga, infine, sull’interpretazione dei termini «sempre che esso possa sussistere senza le clausole abusive», contenuti nell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13. Detto giudice illustra che la conservazione del contratto di mutuo in questione nel procedimento principale, in forma modificata quale descritta al punto 19 della presente sentenza, quantunque non oggettivamente impossibile, potrebbe contrastare con i principi generali che limitano la libertà contrattuale previsti dal diritto polacco e, in particolare, con l’articolo 3531 del codice civile, atteso che esso non nutre alcun dubbio quanto al fatto che l’indicizzazione di tale prestito costituisca il solo fondamento del tasso di interesse fondato sul tasso LIBOR CHF come convenuto dalle parti al momento della conclusione di detto contratto.
28 In tale contesto, il Sąd Okręgowy w Warszawie (Tribunale regionale di Varsavia, Polonia) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1) Se l’articolo 1, paragrafo 2, e l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva [93/13] ammettano una tesi in base alla quale, qualora l’effetto della dichiarazione di abusività delle clausole contrattuali in cui sono determinate le modalità di esecuzione della prestazione (l’entità della stessa) sia la caducazione, sfavorevole per il consumatore, dell’intero contratto, sia possibile colmare le lacune nel contratto non già in base ad una norma di natura suppletiva che sostituisca inequivocabilmente la clausola abusiva, bensì in base a disposizioni di diritto nazionale che prevedono l’integrazione degli effetti di un atto giuridico espressi nel suo contenuto mediante gli effetti risultanti secondo gli usi o l’equità (norme di convivenza sociale).
2) Se l’eventuale valutazione delle conseguenze della caducazione dell’intero contratto per il consumatore debba essere effettuata tenendo conto delle circostanze esistenti al momento della sua conclusione oppure [di quelle esistenti] al momento in cui è insorta la controversia tra le parti riguardo all’efficacia di una data clausola (dal momento in cui il consumatore ne fa valere il carattere abusivo) e quale rilevanza abbia la posizione espressa dal consumatore nel corso di tale controversia.
3) Se sia possibile mantenere in vigore le clausole che, ai sensi della direttiva [93/13], costituiscono clausole contrattuali abusive nel caso in cui, al momento della decisione della controversia, far ricorso a tale soluzione risulti oggettivamente favorevole per il consumatore.
4) Se, alla luce dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva [93/13], il riconoscimento del carattere abusivo delle clausole contrattuali che stabiliscono l’importo e le modalità di esecuzione delle prestazioni ad opera delle parti possa portare ad una situazione in cui la configurazione del rapporto giuridico determinato sulla base del contenuto del contratto, una volta eliminate le clausole abusive, risulterà difforme dalla volontà delle parti per quanto concerne la prestazione principale delle stesse. In particolare, se il fatto che una clausola contrattuale è stata dichiarata abusiva significhi che è possibile continuare ad applicare le altre clausole contrattuali – delle quali non è stato eccepito il carattere abusivo – che definiscono la prestazione principale del consumatore e la cui configurazione stabilita dalle parti (la loro introduzione nel contratto) era indissolubilmente connessa con le clausole contestate dal consumatore».
Procedimento dinanzi alla Corte
29 Con atto depositato presso la cancelleria della Corte il 24 giugno 2019, la Raiffeisen ha chiesto che fosse disposta la riapertura della fase orale del procedimento. Con atto depositato presso la cancelleria della Corte il 4 settembre 2019, tale parte ha esposto i motivi sottesi alla sua domanda di riapertura.
30 Al riguardo, la Raiffeisen fa valere, in sostanza, che l’avvocato generale ha erroneamente supposto, nelle sue conclusioni, anzitutto, che il diritto polacco non contenga alcuna norma giuridica di natura suppletiva che definisca direttamente i criteri in materia di conversione monetaria, laddove una tale norma è stata introdotta nell’articolo 358, paragrafo 2, del codice civile, poi, che il giudice nazionale sia chiamato a «plasmare» il contratto e ad operare in maniera «interpretativ[a] o creativ[a]» nella determinazione del contenuto del contratto, quando invece, in Polonia, la prassi in vigore consiste nell’applicare il tasso medio della banca centrale, e, infine, che la dichiarazione di invalidità di un contratto di mutuo avrebbe, in via di principio, l’effetto di rendere immediatamente esigibile il debito residuo del mutuo, mentre il diritto polacco prevede altri tipi di conseguenze rispetto alla dichiarazione di invalidità di un siffatto contratto, molto più gravi per il consumatore. Tale parte sostiene altresì che, se si accettasse, come suggerisce l’avvocato generale al paragrafo 41 delle sue conclusioni, che un contratto di mutuo indicizzato in CHF, come quello di cui trattasi nel procedimento principale, possa essere trasformato in un contratto non più indicizzato in tale valuta, restando nel contempo associato al tasso di interesse attinente a detta valuta, ciò produrrebbe conseguenze negative di portata sproporzionata per il settore bancario polacco.
31 Secondo l’articolo 83 del regolamento di procedura della Corte, quest’ultima sentito l’avvocato generale, può disporre la riapertura della fase orale del procedimento, in particolare se essa non si ritiene sufficientemente edotta o quando, dopo la chiusura di tale fase, una parte ha prodotto un fatto nuovo, tale da influenzare in modo decisivo la decisione della Corte, oppure quando la causa dev’essere decisa in base a un argomento che non è stato oggetto di discussione tra le parti o gli interessati menzionati dall’articolo 23 dello statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea.
32 Nel caso di specie, la Corte ritiene, sentito l’avvocato generale, di disporre di tutti gli elementi necessari per statuire. Essa rileva, al riguardo, che gli elementi addotti dalla Raiffeisen non costituiscono fatti nuovi tali da influenzare in modo decisivo la decisione della Corte ai sensi dell’articolo 83 del regolamento di procedura. Tali elementi infatti, nella parte in cui riguardano l’interpretazione del diritto polacco, potrebbero tutt’al più essere rilevanti ai fini della decisione del giudice del rinvio. Essi non sono invece rilevanti ai fini delle risposte da fornire alle questioni quali poste da tale giudice. Inoltre, gli elementi relativi al carattere sproporzionato della trasformazione del contratto, come descritta dalla Raiffeisen, sviluppano unicamente le osservazioni scritte già prodotte dalla stessa.
33 In tal contesto, non occorre disporre la riapertura della fase orale del procedimento.
Sulle questioni pregiudiziali
Sulla quarta questione
34 Con la sua quarta questione, cui occorre rispondere in primo luogo, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 debba essere interpretato nel senso che esso osta a che un giudice nazionale, dopo aver accertato il carattere abusivo di talune clausole di un contratto di mutuo indicizzato in una valuta estera ed associato a un tasso di interesse direttamente connesso al tasso interbancario della valuta interessata, ritenga, conformemente al suo diritto interno, che tale contratto non possa sussistere senza tali clausole, per il motivo che la loro eliminazione avrebbe come conseguenza la modifica della natura dell’oggetto principale del contratto in parola.
35 Al riguardo, dalla decisione di rinvio risulta che le clausole impugnate da parte dei mutuatari si riferiscono al meccanismo di indicizzazione del mutuo di cui trattasi nel procedimento principale nella valuta interessata, atteso che detta indicizzazione si effettua in modo tale che i mutuatari devono sopportare i costi legati alla differenza di cambio tra il tasso di cambio applicabile all’acquisto di tale valuta utilizzato per l’erogazione dei fondi e il cambio applicabile alla vendita di quest’ultima utilizzato per le rate del mutuo da pagare. Il giudice del rinvio, dopo aver accertato il carattere abusivo di tali clausole, si interroga sulla possibilità di far sussistere il contratto di mutuo di cui al procedimento principale senza dette clausole, atteso che l’esecuzione di tale contratto, una volta depurato dal meccanismo di indicizzazione scelto, comporterebbe l’esecuzione di un altro tipo di contratto rispetto a quello concluso dalle parti.
36 Secondo tale giudice, infatti, il contratto di mutuo in questione nel procedimento principale non sarebbe quindi più indicizzato in detta valuta, laddove il tasso di interesse rimarrebbe fondato sul tasso, più basso, di questa medesima valuta. Una siffatta modifica, che inciderebbe sull’oggetto principale di tale contratto, potrebbe contrastare con i principi generali che limitano la libertà contrattuale previsti dal diritto polacco e, in particolare, con l’articolo 3531 del codice civile.
37 Occorre, a tal proposito, ricordare che il sistema di tutela istituito dalla direttiva 93/13 è fondato sull’idea che il consumatore si trovi in una situazione di inferiorità rispetto al professionista per quanto riguarda sia il potere nelle trattative che il grado di informazione, situazione che lo induce ad aderire alle condizioni predisposte dal professionista senza poter incidere sul contenuto delle stesse. In considerazione di detta situazione di inferiorità, tale direttiva obbliga gli Stati membri a prevedere un meccanismo che garantisca che qualsiasi clausola contrattuale che non sia stata oggetto di una trattativa individuale possa essere controllata al fine di valutarne l’eventuale natura abusiva (v., in tal senso, sentenza del 26 marzo 2019, Abanca Corporación Bancaria e Bankia, C‑70/17 e C‑179/17, EU:C:2019:250, punti 49 e 50).
38 In tale contesto, l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 prevede che le clausole abusive contenute in un contratto stipulato tra un consumatore ed un professionista non vincolino il consumatore, alle condizioni stabilite dalle legislazioni nazionali degli Stati membri, e che il contratto resti vincolante per le parti secondo i medesimi termini, sempre che esso possa sussistere senza le clausole abusive.
39 Secondo costante giurisprudenza, tale disposizione, e in particolare la sua seconda parte di frase, ha lo scopo non di annullare tutti i contratti contenenti clausole abusive, ma di sostituire all’equilibrio formale che il contratto determina tra i diritti e gli obblighi delle parti contraenti un equilibrio reale, finalizzato a ristabilire l’uguaglianza tra queste ultime, fermo restando che il contratto di cui trattasi deve, in via di principio, sussistere senza nessun’altra modifica se non quella risultante dalla soppressione delle clausole abusive. A condizione che quest’ultima condizione sia soddisfatta, il contratto in questione può, in forza dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13, essere mantenuto purché, conformemente alle norme di diritto interno, una simile sopravvivenza del contratto senza le clausole abusive sia giuridicamente possibile, il che va verificato secondo un approccio obiettivo (v., in tal senso, sentenza del 14 marzo 2019, Dunai, C‑118/17, EU:C:2019:207, punti 40 e 51, e del 26 marzo 2019, Abanca Corporación Bancaria e Bankia, C‑70/17 et C‑179/17, EU:C:2019:250, punto 57).
40 Ne consegue che l’articolo 6, paragrafo 1, seconda parte di frase, della direttiva 93/13 non enuncia i criteri che disciplinano la possibilità per un contratto di sussistere senza le clausole abusive, ma lascia all’ordinamento giuridico nazionale il compito di stabilirli nel rispetto del diritto dell’Unione, come parimenti rilevato, in sostanza, dall’avvocato generale al paragrafo 54 delle sue conclusioni. Pertanto, in via di principio, è alla luce dei criteri previsti dal diritto nazionale che, in una situazione concreta, deve essere esaminata la possibilità di mantenere un contratto di cui alcune clausole sono state dichiarate nulle.
41 Per quanto riguarda i limiti posti dal diritto dell’Unione che devono essere rispettati, in tale contesto, dal diritto nazionale, occorre precisare, segnatamente, che, conformemente all’approccio obiettivo di cui al punto 39 della presente sentenza, la situazione di una delle parti contraenti non può essere presa in considerazione, nel diritto nazionale, quale criterio determinante per disciplinare la sorte futura del contratto (v., in tal senso, sentenza del 15 marzo 2012, Pereničová e Perenič, C‑453/10, EU:C:2012:144, punto 32).
42 Nella controversia di cui al procedimento principale, il giudice del rinvio sembra non escludere che, dopo la mera eliminazione delle clausole relative alla differenza di cambio, il contratto di mutuo in questione nel procedimento principale possa, in via di principio, sussistere in una forma modificata quale descritta al punto 36 della presente sentenza, ma sembra nutrire dubbi sulla possibilità che il suo diritto interno consenta una simile modifica del contratto in parola.
43 Orbene, da quanto considerato ai punti 40 e 41 della presente sentenza discende che, se un giudice nazionale ritiene che, in applicazione delle pertinenti disposizioni del suo diritto interno, non sia possibile il mantenimento di un contratto senza le clausole abusive in esso contenute, l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 non osta, in via di principio, a che esso venga dichiarato invalido.
44 Ciò è tanto più vero dal momento che, in circostanze come quelle di cui al procedimento principale, da informazioni fornite dal giudice del rinvio, come sintetizzate ai punti 35 e 36 della presente sentenza, sembra discendere che la dichiarazione di nullità delle clausole impugnate dai mutuatari porterebbe non soltanto all’eliminazione del meccanismo di indicizzazione e alla differenza di cambio, ma, indirettamente, anche al venir meno del rischio nel cambio, che è direttamente legato all’indicizzazione del prestito in questione nel procedimento principale in una determinata valuta. Orbene, la Corte ha già dichiarato che le clausole relative al rischio nel cambio definiscono l’oggetto principale di un contratto di mutuo come quello di cui trattasi nel procedimento principale, cosicché la possibilità oggettiva del mantenimento di tale contratto di mutuo risulta, in tali circostanze, incerta (v., in tal senso, sentenza del 14 marzo 2019, Dunai, C‑118/17, EU:C:2019:207, punti 48 e 52 e giurisprudenza ivi citata).
45 Alla luce delle considerazioni che precedono, occorre rispondere alla quarta questione dichiarando che l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 deve essere interpretato nel senso che esso non osta a che un giudice nazionale, dopo aver accertato il carattere abusivo di talune clausole di un contratto di mutuo indicizzato in una valuta estera ed associato a un tasso di interesse direttamente connesso al tasso interbancario della valuta interessata, ritenga, conformemente al suo diritto interno, che tale contratto non possa sussistere senza tali clausole, per il motivo che la loro eliminazione avrebbe come conseguenza la modifica della natura dell’oggetto principale di detto contratto.
Sulla seconda questione
46 Con la sua seconda questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 debba essere interpretato nel senso che, da un lato, le conseguenze sulla situazione del consumatore provocate dall’invalidazione di un contratto nel suo complesso, come quelle indicate nella sentenza del 30 aprile 2014, Kásler e Káslerné Rábai (C‑26/13, EU:C:2014:282), devono essere valutate alla luce delle circostanze esistenti al momento della conclusione di tale contratto piuttosto che di quelle esistenti o prevedibili al momento della controversia, e che, dall’altro, ai fini di tale valutazione, la volontà che il consumatore ha espresso al riguardo è determinante.
47 A tal proposito, come emerge dalla risposta fornita alla quarta questione, se il giudice del rinvio ritiene, conformemente al suo diritto interno, che è impossibile mantenere il contratto di mutuo interessato dopo l’eliminazione delle clausole abusive in esso contenute, tale contratto non potrà, in via di principio, sussistere, ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13, e dovrà quindi essere dichiarato invalido.
48 Tuttavia, la Corte ha ritenuto che detto articolo 6, paragrafo 1 non osti a che il giudice nazionale abbia la possibilità di sostituire ad una clausola abusiva una disposizione di diritto interno di natura suppletiva o applicabile in caso di accordo tra le parti del contratto in questione; detta possibilità è, cionondimeno, limitata alle ipotesi in cui l’eliminazione di tale clausola abusiva obbligherebbe il giudice a dichiarare invalido tale contratto nella sua interezza, esponendo in tal modo il consumatore a conseguenze particolarmente pregiudizievoli, sicché quest’ultimo ne sarebbe penalizzato (v., in tal senso, sentenze del 30 aprile 2014, Kásler e Káslerné Rábai, C‑26/13, EU:C:2014:282, punti da 80 a 84, e del 26 marzo 2019, Abanca Corporación Bancaria e Bankia, C‑70/17 e C‑179/17, EU:C:2019:250, punto 64).
49 Per quanto riguarda, in primo luogo, il momento in cui tali conseguenze devono essere valutate, occorre rilevare che tale possibilità di sostituzione si inserisce pienamente nell’ambito dell’obiettivo dell’articolo 6, paragrafo 1, la direttiva 93/13, il quale consiste, come ricordato al punto 39 della presente sentenza, nel tutelare il consumatore ristabilendo l’uguaglianza tra quest’ultimo e il professionista (v., in tal senso, sentenza del 26 marzo 2019, Abanca Corporación Bancaria e Bankia, C‑70/17 e C‑179/17, EU:C:2019:250, punto 57).
50 Orbene, atteso che tale possibilità di sostituzione serve a garantire l’attuazione della protezione del consumatore, tutelando i suoi interessi contro le conseguenze eventualmente pregiudizievoli che possono derivare dall’invalidazione del contratto di cui trattasi nel suo complesso, è giocoforza constatare che tali conseguenze devono necessariamente essere valutate rispetto alle circostanze esistenti o prevedibili al momento della controversia.
51 La tutela del consumatore può infatti essere garantita solo se vengono presi in considerazione i suoi interessi reali e quindi attuali, e non quelli che gli appartenevano nelle circostanze esistenti al momento della conclusione del contratto in questione, come parimenti rilevato, in sostanza, dall’avvocato generale ai paragrafi 62 e 63 delle sue conclusioni. Allo stesso modo, le conseguenze contro cui tali interessi devono essere tutelati sono quelle che si produrrebbero effettivamente, nelle circostanze esistenti o prevedibili al momento della controversia, nel caso in cui il giudice nazionale procedesse a dichiarare invalido il contratto, e non quelle che, alla data della conclusione di detto contratto, risulterebbero dall’invalidazione di quest’ultimo.
52 Tale constatazione non è rimessa in discussione dal fatto – rilevato dalla Raiffeisen – che l’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 93/13 ricolleghi la valutazione del carattere abusivo di una clausola contrattuale, «al momento della conclusione del contratto», a tutte le circostanze che accompagnano detta conclusione, atteso che la finalità di tale valutazione si distingue fondamentalmente da quella delle conseguenze derivanti dall’invalidazione del contratto.
53 In secondo luogo, quanto all’importanza che deve essere attribuita alla volontà espressa dal consumatore al riguardo, occorre ricordare che la Corte ha precisato, in relazione all’obbligo del giudice nazionale di disapplicare, se necessario d’ufficio, le clausole abusive conformemente all’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13, che tale giudice non è tenuto a disapplicare la clausola in questione qualora il consumatore, dopo essere stato avvisato da detto giudice, intenda non invocarne la natura abusiva e non vincolante, dando quindi un consenso libero e informato alla clausola in questione (v., in tal senso, sentenza del 21 febbraio 2013, Banif Plus Bank, C‑472/11, EU:C:2013:88, punti 23, 27 e 35 nonché giurisprudenza ivi citata).
54 Pertanto, la direttiva 93/13 non si spinge fino al punto di rendere obbligatorio il sistema di tutela contro l’uso di clausole abusive da parte dei professionisti da essa istituito a favore dei consumatori. Di conseguenza, quando il consumatore preferisce non avvalersi di tale sistema di tutela, quest’ultimo non viene applicato.
55 Analogamente, nei limiti in cui detto sistema di tutela contro le clausole abusive non si applica se il consumatore vi si oppone, tale consumatore deve a fortiori avere il diritto, in applicazione di questo medesimo sistema, di opporsi ad essere tutelato avverso le conseguenze pregiudizievoli provocate dall’invalidazione del contratto nel suo complesso qualora egli non intenda invocare detta protezione.
56 Alla luce delle considerazioni che precedono, occorre rispondere alla seconda questione dichiarando che l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 deve essere interpretato nel senso che, da un lato, le conseguenze sulla situazione del consumatore provocate dall’invalidazione di un contratto nella sua interezza, come indicate nella sentenza del 30 aprile 2014, Kásler e Káslerné Rábai (C‑26/13, EU:C:2014:282), devono essere valutate alla luce delle circostanze esistenti o prevedibili al momento della controversia, e che, dall’altro, ai fini di tale valutazione, la volontà che il consumatore ha espresso al riguardo è determinante.
Sulla prima questione
57 Con la sua prima questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 debba essere interpretato nel senso che esso osta a che venga posto rimedio alle lacune di un contratto, provocate dall’eliminazione delle clausole abusive contenute in quest’ultimo, sulla sola base di disposizioni nazionali a carattere generale che prevedono l’integrazione degli effetti espressi in un atto giuridico mediante, segnatamente, gli effetti risultanti dal principio di equità o dagli usi.
58 Al riguardo, come ricordato al punto 48 della presente sentenza, la Corte ha interpretato l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 nel senso che esso non osta a che, quando l’invalidazione di un contratto nella sua interezza esporrebbe il consumatore a conseguenze particolarmente pregiudizievoli, il giudice nazionale sani la nullità delle clausole abusive contenute in tale contratto sostituendovi una disposizione di diritto interno di natura suppletiva o applicabile in caso di accordo tra le parti di detto contratto.
59 Occorre sottolineare che la suddetta possibilità di sostituzione – che fa eccezione alla regola generale secondo cui il contratto in esame resta vincolante per le parti solo se può sussistere senza le clausole abusive in esso contenute – è limitata alle disposizioni di diritto interno di natura suppletiva o applicabili in caso di accordo tra le parti e si basa, in particolare, sul rilievo secondo cui si presuppone che tali disposizioni non contengano clausole abusive (v., in tal senso, sentenze del 30 aprile 2014, Kásler e Káslerné Rábai, C‑26/13, EU:C:2014:282, punto 81, e del 26 marzo 2019, Abanca Corporación Bancaria e Bankia, C‑70/17 e C‑179/17, EU:C:2019:250, punto 59).
60 Si presume, infatti, che tali disposizioni riflettano l’equilibrio che il legislatore nazionale ha inteso stabilire tra l’insieme dei diritti e degli obblighi delle parti di taluni contratti per i casi in cui le parti o non si sono discostate da una regola standard prevista dal legislatore nazionale per i contratti di cui trattasi oppure hanno espressamente scelto l’applicabilità di una regola istituita dal legislatore nazionale a tal fine.
61 Tuttavia, nel caso di specie, anche supponendo che disposizioni come quelle considerate dal giudice del rinvio, alla luce del loro carattere generale e della necessità di renderle operative, possano utilmente subentrare alle clausole abusive interessate mediante una semplice operazione di sostituzione effettuata dal giudice nazionale, esse non risultano, in ogni caso, essere state oggetto di una valutazione specifica del legislatore al fine di stabilire tale equilibrio, di modo che tali disposizioni non beneficiano della presunzione di non abusività di cui al punto 59 della presente sentenza, come ha altresì rilevato, in sostanza, l’avvocato generale al paragrafo 73 delle sue conclusioni.
62 Alla luce di quanto precede, occorre rispondere alla prima questione dichiarando che l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 deve essere interpretato nel senso che esso osta a che sia posto rimedio alle lacune di un contratto, provocate dalla soppressione delle clausole abusive contenute in quest’ultimo, sulla sola base di disposizioni nazionali di carattere generale che prevedono l’integrazione degli effetti espressi in un atto giuridico mediante, segnatamente, gli effetti risultanti dal principio di equità o dagli usi, disposizioni queste che non sono né di natura suppletiva né applicabili in caso di accordo tra le parti del contratto.
Sulla terza questione
63 Con la sua terza questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 debba essere interpretato nel senso che osta al mantenimento delle clausole abusive contenute in un contratto quando la loro soppressione porterebbe all’invalidazione di tale contratto e il giudice ritiene che tale invalidazione creerebbe effetti sfavorevoli per il consumatore.
64 In via preliminare, occorre precisare che tale questione riguarda l’ipotesi in cui non sia consentito sostituire le clausole abusive secondo le modalità di cui al punto 48 della presente sentenza.
65 Occorre ricordare che l’articolo 6, paragrafo 1, prima parte di frase, della direttiva 93/14 impone che gli Stati membri prevedano che le clausole abusive «non vincol[i]no i consumatori».
66 La Corte ha interpretato tale disposizione nel senso che, quando il giudice nazionale considera una clausola contrattuale abusiva, esso non deve applicarla, obbligo al quale è fatta eccezione solo qualora il consumatore, dopo essere stato avvisato da detto giudice, non intenda farne valere il carattere abusivo e non vincolante, dando così un consenso libero e informato alla clausola in questione, come ricordato al punto 53 della presente sentenza.
67 Pertanto, se il consumatore non dà il consenso o addirittura si oppone espressamente al mantenimento delle clausole abusive interessate, come sembra avvenire nel caso di cui al procedimento principale, detta eccezione non è applicabile.
68 Alla luce di quanto precede, occorre rispondere alla terza questione dichiarando che l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 deve essere interpretato nel senso che esso osta al mantenimento delle clausole abusive contenute in un contratto quando la loro soppressione porterebbe all’invalidazione di tale contratto e il giudice ritiene che tale invalidazione creerebbe effetti sfavorevoli per il consumatore, qualora quest’ultimo non abbia acconsentito a tale mantenimento.
Sulle spese
69 Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.
Per questi motivi, la Corte (Terza Sezione) dichiara:
1) L’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, deve essere interpretato nel senso che esso non osta a che un giudice nazionale, dopo aver accertato il carattere abusivo di talune clausole di un contratto di mutuo indicizzato in una valuta estera ed associato a un tasso di interesse direttamente connesso al tasso interbancario della valuta interessata, ritenga, conformemente al suo diritto interno, che tale contratto non possa sussistere senza tali clausole, per il motivo che la loro eliminazione avrebbe come conseguenza la modifica della natura dell’oggetto principale di detto contratto.
2) L’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 deve essere interpretato nel senso che, da un lato, le conseguenze sulla situazione del consumatore provocate dall’invalidazione di un contratto nella sua interezza, come indicate nella sentenza del 30 aprile 2014, Kásler e Káslerné Rábai (C‑26/13, EU:C:2014:282), devono essere valutate alla luce delle circostanze esistenti o prevedibili al momento della controversia, e che, dall’altro, ai fini di tale valutazione, la volontà che il consumatore ha espresso al riguardo è determinante.
3) L’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 deve essere interpretato nel senso che esso osta a che sia posto rimedio alle lacune di un contratto, provocate dalla soppressione delle clausole abusive contenute in quest’ultimo, sulla sola base di disposizioni nazionali di carattere generale che prevedono l’integrazione degli effetti espressi in un atto giuridico mediante, segnatamente, gli effetti risultanti dal principio di equità o dagli usi, disposizioni queste che non sono né di natura suppletiva né applicabili in caso di accordo tra le parti del contratto.
4) L’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 deve essere interpretato nel senso che esso osta al mantenimento delle clausole abusive contenute in un contratto quando la loro soppressione porterebbe all’invalidazione di tale contratto e il giudice ritiene che tale invalidazione creerebbe effetti sfavorevoli per il consumatore, qualora quest’ultimo non abbia acconsentito a tale mantenimento.
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