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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Diritto urbanistico - edilizia Numero: 1753 | Data di udienza: 27 Febbraio 2020

DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Cambio di destinazione d’uso funzionale alla realizzazione di un centro di accoglienza per migranti – Conformità alla normativa urbanistica di riferimento – Necessità – Art. 11 d.lgs. n. 142/2015


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 6^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 12 Marzo 2020
Numero: 1753
Data di udienza: 27 Febbraio 2020
Presidente: Santoro
Estensore: Maggio


Premassima

DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Cambio di destinazione d’uso funzionale alla realizzazione di un centro di accoglienza per migranti – Conformità alla normativa urbanistica di riferimento – Necessità – Art. 11 d.lgs. n. 142/2015



Massima

CONSIGLIO DI STATO, Sez. 6^ – 12 marzo 2020, n. 1753

DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Cambio di destinazione d’uso funzionale alla realizzazione di un centro di accoglienza per migranti – Conformità alla normativa urbanistica di riferimento – Necessità – Art. 11 d.lgs. n. 142/2015.

La modificazione della destinazione d’uso presuppone la sua conformità alla normativa urbanistica di riferimento, a cui non è consentito derogare nemmeno se il cambio di destinazione d’uso è funzionale a realizzare nel fabbricato un centro di accoglienza per migranti richiedenti asilo. La normativa di cui al D. Lgs. n. 142/2015 (e in particolare l’art. 11) e quella urbanistico-edilizia, operano infatti su piani distinti senza interferire tra loro, posto che la prima regola i profili dell’accoglienza dei migranti richiedenti asilo e la seconda quelli concernenti il governo del territorio attraverso prescrizioni idonee a consentirne la corretta e ordinata utilizzazione. Ne consegue che l’art. 11, laddove prevede che in caso di necessità i migranti possano essere accolti “in strutture temporanee appositamente allestite”, non presenta alcun elemento ermeneutico che consenta di ritenere che l’allestimento ivi contemplato possa avvenire in contrasto con la disciplina urbanistico-edilizia di riferimento.

(Riforma T.A.R. Toscana, Sezione III, n. 153/2018) – Pres. Santoro, Est. Maggio – Comune di Cascina (avv. Biamonte) c. omissis (avv.ti Amante e Farnararo)


Allegato


Titolo Completo

CONSIGLIO DI STATO, Sez. 6^ - 12 marzo 2020, n. 1753

SENTENZA

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3413 del 2018, proposto da
Comune di Cascina, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Alessandro Biamonte, con domicilio digitale di pec come da registri di giustizia e domicilio eletto presso il suo studio, in Roma, via Pistoia, n. 6;
contro
***, in qualità di legale rappresentante pro tempore della *** s.r.l. (già *** s.r.l.) rappresentata e difesa dall’avvocato Enrico Amante prima e dall’avvocato Vincenzo Farnararo successivamente, con domicilio eletto presso lo studio Gian Marco Grez, in Roma, corso Vittorio Emanuele II, n. 18;
Ufficio Territoriale del Governo di Pisa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici, in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, è domiciliato ex lege;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. Toscana, Sezione III, n. 153/2018, resa tra le parti, concernente la rimozione di abusi edilizi.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della * s.r.l. e dell’Ufficio Territoriale del Governo di Pisa;
Visti tutti gli atti della causa;
Vista l’istanza con cui gli avvocati Alessandro Biamonte e Vincenzo Farnararo, sulla base delle disposizioni precauzionali in materia di emergenza sanitaria da Covid-19 emanate dal Presidente del Consiglio di Stato in data 24/2/2020, hanno congiuntamente chiesto che il ricorso venga trattenuto in decisione.
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 27 febbraio 2020 il Cons. Alessandro Maggio;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

La Prefettura di Pisa, previo parere favorevole del Comune di Cascina, ha stabilito di adibire un fabbricato di proprietà della sig.ra *, ubicato in zona rurale, a centro di prima accoglienza per migranti richiedenti asilo.
Al fine di rendere l’edifico idoneo allo scopo, sono state eseguite al suo interno opere di manutenzione straordinaria (tramezzature, creazione di un vano cucina con relative dotazioni tecnologiche, integrazione e adeguamento degli impianti elettrici, idrosanitari e termici, realizzazione di un nuovo sistema fognario e di scarico) comunicate al Comune mediante CILA.
Nello specifico il primo piano dell’edificio è stato destinato ad alloggio, mentre il piano terra, a cucina, mensa e spazi di servizio.
La destinazione data alla struttura è stata, tuttavia, oggetto di rilievi da parte dell’amministrazione comunale, che, con ordinanza dirigenziale 19/1/2017, n. 21, ha ingiunto la rimessione in pristino.
Ritenendo l’ordinanza illegittima la sig.ra * e la gerente del centro, ***, poi divenuta *** s.r.l (d’ora in poi solo Società) l’hanno impugnata con ricorso al T.A.R. Toscana, il quale, con sentenza 30/1/2018, n. 153, lo ha accolto.
Avverso la sentenza ha proposto appello il Comune di Cascina.
Per resistere al ricorso si sono costituiti in giudizio l’Ufficio Territoriale del Governo sede di Pisa e la Società.
Il Comune e la Società, con successive memorie hanno meglio illustrato le rispettive tesi difensive.
Con ordinanza 25/2/2019, n. 1284 la Sezione ha disposto una verificazione, puntualmente eseguita.
Alla pubblica udienza del 27/2/2020 la causa è passata in decisione.
In via preliminare occorre esaminare l’eccezione di rito prospettata dalla sig.ra Del *.
Deduce quest’ultima che essendo cessata l’attività di accoglienza esercitata nell’immobile ed essendo stata sostanzialmente rimossa la cucina ed eliminati gli spazi connessi, il Comune non avrebbe più interesse a coltivare l’appello.
L’eccezione è infondata.
Come già rilevato dalla Sezione nell’ordinanza interlocutoria n. 1284/2019, vertendo la controversia su questioni di natura urbanistica la cessazione dell’attività di accoglienza esercitata nel fabbricato non incide sull’interesse ad agire, né questo viene meno per il solo fatto che siano state eliminate, in tutto o in parte, le opere edilizie oggetto dell’avversata ordinanza di rimessione in pristino, atteso che permane, comunque, l’interesse del Comune a rendere immodificabile e incontestabile l’accertamento dell’abuso riscontrato con l’ordinanza n. 21/2017.
L’appello va, quindi, affrontato nel merito.
Col primo motivo si denuncia l’errore commesso dal Tribunale nel ritenere fondata e assorbente la censura con la quale era stato contestato che l’utilizzazione del fabbricato come centro temporaneo di accoglienza potesse dar luogo ad un mutamento di destinazione d’uso rilevante sotto il profilo edilizio e urbanistico.
Il giudice di prime cure ha affermato che: <<Ai sensi dell’art. 11 del D.Lgs. 142 del 2015 (rubricato “misure straordinarie di accoglienza), nel caso in cui sia temporaneamente esaurita la disponibilità di posti all’interno dei centri di cui agli articoli 9 e 14, a causa di arrivi consistenti e ravvicinati, l’accoglienza dei migranti può essere effettuata per tempo strettamente necessario al loro trasferimento in strutture appositamente allestite che soddisfino le esigenze essenziali di ospitalità individuate dalle prefetture sentiti gli enti locali.
L’utilizzazione degli immobili individuati dalle prefetture come strutture di accoglienza, in quanto provvisoria ed eccezionale, non presuppone che si tratti di fabbricati già idonei allo scopo né vale ad imprimere agli stessi in via definitiva una particolare destinazione d’uso.
L’ospitalità temporanea richiede infatti un mero “allestimento” atto ad assicurare le esigenze essenziali della accoglienza e non certo tale da comportare una definitiva trasformazione tipologica del fabbricato (che richiederebbe, invece, un apposito titolo edilizio).
Per cui, se da un lato la destinazione urbanistica di tipo ricettivo non costituisce un requisito ai fini della individuazione dell’immobile come struttura temporanea di accoglienza da parte del Prefetto, dall’altro il provvedimento prefettizio non incide affatto sulla sua destinazione edilizia che, una volta venuta a cessare la necessità alloggiativa, ritorna ad essere quella prevista dal relativo titolo abilitativo.
Chiarito ciò cade la premessa stessa da cui muove il provvedimento impugnato secondo la quale le opere eseguite dalla Sig.ra avrebbero determinato un mutamento di destinazione d’uso rilevante sotto il profilo edilizio ed urbanistico e non potrebbero perciò rientrare nella categoria della manutenzione straordinaria soggetta a CILA.
Non si tratta infatti di lavori di entità tale da trasformare irreversibilmente la tipologia edilizia del fabbricato ma di mere misure di allestimento funzionali alla temporanea funzione di accoglienza che non incide stabilmente sulla sua destinazione d’uso.
Non costituisce peraltro elemento ostativo nemmeno l’asserita non conformità della destinazione temporanea a centro di accoglienza alle tipologie di utilizzo previste dalla normativa urbanistica di zona (la quale, peraltro, consente anche destinazioni di tipo ricettivo).
Anche a tale riguardo occorre, invero, ribadire, che il carattere temporaneo e contingibile della destinazione a centro di accoglienza comporta che essa non possa incidere sull’assetto urbanistico del territorio.
E, in ogni caso, ove anche la temporanea sistemazione dei migranti in un certo luogo sia giudicata incompatibile con le sue caratteristiche urbanistiche, territoriali o socio ambientali è facoltà dei comuni esprimere parere negativo alla proposta di individuazione effettuata dal Prefetto.
Cosa che nel caso di specie non è avvenuta in quanto il comune di Cascina ha dato a suo tempo il benestare la progetto di accoglienza di cui si discute>>.
La trascritta motivazione, tuttavia, confonderebbe i profili urbanistici della res controversa, con quelli correlati all’utilizzo funzionale del bene come centro di accoglienza. I primi, infatti, non potrebbero ritenersi assorbiti dai secondi.
La doglianza è fondata.
Con l’ordinanza n. 21/2017 il Comune non ha sanzionato l’impiego dell’immobile come centro di accoglienza, bensì la modifica della sua destinazione d’uso attuata mediante la realizzazione di opere intrinsecamente idonee a comportare un’oggettiva e duratura variazione della stessa.
Infatti, nella relazione tecnica agli interventi edilizi posti in essere da porre in essere nel fabbricato, si dichiara, con valore confessorio, come il piano terra del fabbricato fosse adibito a “uso magazzino, ripostigli, ricovero attrezzi e servizi igienici”, mentre i lavori eseguiti hanno comportato la realizzazione sul detto piano di “cucina, mensa e spazi di servizio”, con evidente modifica dell’originaria destinazione d’uso, non consentita mediante semplice CILA (art. 6 bis del D.P.R. 6/6/2001, n. 380; D. Lgs. 25/11/2016, n. 222, allegato A, Sezione II – Edilizia, 1, n. 3).
Al riguardo è appena il caso di rilevare che nessun argomento contrario, quanto alla destinazione d’uso del piano terra dell’immobile, può trarsi dalla scheda n. 2036 del quadro conoscitivo, facente parte del piano strutturale di cui all’art. 92 della L.R. 10/11/2014, n. 65, nella quale si assegna all’intero immobile una destinazione d’uso residenziale.
Difatti, le indicazioni contenute nel quadro conoscitivo, hanno valore meramente descrittivo, ma sono prive di effetti costitutivi.
Peraltro, l’attuata modificazione presuppone la sua conformità alla normativa urbanistica di riferimento a cui non è consentito derogare nemmeno se il cambio di destinazione d’uso è funzionale a realizzare nel fabbricato un centro di accoglienza per migranti richiedenti asilo.
E invero, contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale, l’art. 11 del D. Lgs. 18/8/2015, n. 142, non consente cambiamenti di destinazione d’uso non conformi alla disciplina urbanistico-edilizia.
Come corrette dedotto dall’appellante, la normativa di cui al citato D. Lgs. n. 142/2015 (e in particolare l’art. 11) e quella urbanistico-edilizia, operano, infatti, su piani distinti senza interferire tra loro, posto che la prima regola i profili dell’accoglienza dei migranti richiedenti asilo e la seconda quelli concernenti il governo del territorio attraverso prescrizioni idonee a consentirne la corretta e ordinata utilizzazione.
Ne consegue che il menzionato art. 11, laddove prevede che in caso di necessità i migranti possano essere accolti “in strutture temporanee appositamente allestite”, non presenta alcun elemento ermeneutico che consenta di ritenere che l’allestimento ivi contemplato possa avvenire in contrasto con la disciplina urbanistico-edilizia di riferimento.
Col secondo motivo si lamenta che il Tribunale avrebbe errato a ritenere che laddove la realizzazione del centro di accoglienza fosse stata ritenuta in contrasto con la normativa urbanistica, il Sindaco avrebbe potuto opporsi alla proposta di utilizzo del immobile di che trattasi, formulata dalla Prefettura.
La doglianza è fondata.
Al riguardo è sufficiente rilevare che il parere dell’ente locale, previsto dall’art. 11, comma 2, del citato D. Lgs. n. 142/2015, è avulso da considerazioni urbanistico-edilizie, le quali, come già più sopra rilevato, esulano dalle finalità proprie della citata norma.
Alla luce delle esposte argomentazioni l’appello va accolto.
Restano assorbiti tutti gli argomenti di doglianza, motivi od eccezioni non espressamente esaminati che il Collegio ha ritenuto non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.
Sussistono eccezionali ragioni per disporre l’integrale compensazione di spese e onorari di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma dell’impugnata sentenza, respinge il ricorso di primo grado.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 27 febbraio 2020 con l’intervento dei magistrati:
Sergio Santoro, Presidente
Andrea Pannone, Consigliere
Vincenzo Lopilato, Consigliere
Luigi Massimiliano Tarantino, Consigliere
Alessandro Maggio, Consigliere, Estensore
 

L’ESTENSORE

Alessandro Maggio

IL PRESIDENTE
Sergio Santoro

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