DANNO AMBIENTALE – INQUINAMENTO – RISARCIMENTO DANNI – Taranto – Arcelor Mittal (ex Ilva) – SIDERURGICO IN EMERGENZA e Coronavirus. Nota a sentenza: Corte Europea dei diritti dell’Uomo Sez.1^ del 24/01/2019 (ricorsi nn. 54414/13 e 54264/15). Prof. Avv. Paolo Gentilucci
Provvedimento: SENTENZA
Sezione: 1^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 24 Gennaio 2019
Numero: nn. 54414/13 e 54264/15
Data di udienza:
Presidente: Linos-Alexandre Sicilianos
Estensore:
Premassima
DANNO AMBIENTALE – INQUINAMENTO – RISARCIMENTO DANNI – Taranto – Arcelor Mittal (ex Ilva) – SIDERURGICO IN EMERGENZA e Coronavirus. Nota a sentenza: Corte Europea dei diritti dell’Uomo Sez.1^ del 24/01/2019 (ricorsi nn. 54414/13 e 54264/15). Prof. Avv. Paolo Gentilucci
Massima
Si veda: SIDERURGICO IN EMERGENZA e Coronavirus. Nota a sentenza: Corte Europea dei diritti dell’Uomo Sez.1^ del 24/01/2019 (ricorsi nn. 54414/13 e 54264/15). Prof. Avv. PAOLO GENTILUCCI
Allegato
Titolo Completo
CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO, 24/01/2019, Ricorsi nn. 54414/13 e 54264/15 - Causa Cordella contro ItaliaSENTENZA
CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO *
PRIMA SEZIONE
CAUSA CORDELLA E ALTRI c. ITALIA
(Ricorsi nn. 54414/13 e 54264/15)
SENTENZA
STRASBURGO
24 gennaio 2019
Questa sentenza diverrà definitiva alle condizioni definite nell’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire modifiche di forma.
Nella causa Cordella e altri c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo (prima sezione), riunita in una camera composta da:
Linos-Alexandre Sicilianos, presidente,
Guido Raimondi,
Ledi Bianku,
Aleš Pejchal,
Krzysztof Wojtyczek,
Tim Eicke,
Gilberto Felici, giudici,
e da Renata Degener, cancelliere aggiunto di sezione
Dopo avere deliberato in camera di consiglio il 18 dicembre 2018,
Pronuncia la seguente sentenza, adottata in tale data:
PROCEDURA
1. All’origine della causa vi sono due ricorsi (n. 54414/13 e n. 54264/15) proposti contro la Repubblica italiana con i quali alcuni cittadini di questo Stato («i ricorrenti»), indicati nell’elenco allegato, hanno adito la Corte rispettivamente il 29 luglio 2013 e il 21 ottobre 2015 ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali («la Convenzione»).
2. I ricorrenti del ricorso n. 54414/13 sono stati rappresentati dall’avvocato S. Maggio, del foro di Taranto, e dall’avvocato D. Spera. Quest’ultima, che è anche parte ricorrente, è stata rappresentata in questa qualità dagli avvocati S. Maggio e L. La Porta.
3. I ricorrenti del ricorso n. 54264/15 sono stati rappresentati dall’avvocato A. Saccucci, del foro di Roma.
4. Il governo italiano («il Governo») è stato rappresentato dal suo ex agente, E. Spatafora, e dal suo co-agente M.L. Aversano
5. Denunciando gli effetti delle emissioni dell’industria siderurgica Ilva di Taranto sulla loro salute e sull’ambiente, i ricorrenti lamentavano, tra l’altro, una violazione dei loro diritti alla vita, al rispetto della vita privata e a un ricorso effettivo (articoli 2, 8 e 13 della Convenzione).
6. Il 27 aprile 2016 le doglianze relative agli articoli 2, 8 e 13 della Convenzione sono state comunicate al Governo e i ricorsi sono stati dichiarati irricevibili per il resto conformemente all’articolo 54 § 3 del regolamento della Corte.
7. Inoltre, l’ISDE (International Society of Doctors for Environment), il Clinical Program (facoltà di giurisprudenza, università di Torino), la società Riva Fire S.p.a. e altre società del Gruppo Riva, autorizzati dal presidente a intervenire nella procedura, hanno presentato osservazioni in qualità di terzi intervenienti (articolo 36 § 2 della Convenzione e articolo 44 § 3 del regolamento della Corte). Il 13 settembre 2018 il presidente ha tuttavia deciso di non inserire nel fascicolo le osservazioni della società Riva Fire S.p.a. e delle altre società del Gruppo Riva, in quanto queste ultime non soddisfacevano le condizioni previste per l’intervento di terzi (articolo 44 § 5 del regolamento della Corte).
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DEL CASO DI SPECIE
A. La società Ilva S.p.a. («la società Ilva»)
8. Specializzata nella produzione e lavorazione dell’acciaio, la società Ilva iniziò ad operare nel settore siderurgico agli inizi del XX secolo a Genova (Liguria). Lo Stato divenne poi il suo principale azionista.
9. Lo stabilimento di Taranto (Puglia) cominciò ad operare nel 1965.
10. Nel 1995 la società Ilva fu privatizzata, acquistata dal gruppo Riva. In considerazione del suo stato di insolvenza, fu poi posta in amministrazione straordinaria (paragrafo 60 infra).
11. L’impatto delle emissioni prodotte dagli stabilimenti della società Ilva sull’ambiente e sulla popolazione locale è da anni oggetto di un ampio dibattito. Nel 2002, le autorità giudiziarie ordinarono la chiusura della 1cokeria di uno degli stabilimenti della società Ilva, situato a Cornigliano (Genova), poiché alcuni studi epidemiologici avevano dimostrato un nesso tra le particelle emesse dallo stabilimento e il tasso di mortalità della popolazione, che è molto più elevato nel quartiere interessato rispetto a quello osservato negli altri quartieri della città. Nel 2005 fu chiuso anche uno degli altiforni dello stabilimento di Cornigliano.
12. L’intera produzione della zona a caldo di questo stabilimento fu quindi trasferita a Taranto. Lo stabilimento che si trova in questa città è il sito più importante della società e il più grande complesso industriale siderurgico d’Europa. Oggi si estende su una superficie di circa 1.500 ettari e conta circa undicimila dipendenti.
B. La situazione dei ricorrenti e gli studi scientifici
13. I ricorrenti risiedono o hanno risieduto nella città di Taranto (che conta circa 200.000 abitanti) o nei comuni limitrofi. I dettagli relativi ai loro luoghi di residenza sono riportati nell’elenco allegato.
14. L’impatto delle emissioni prodotte dallo stabilimento sull’ambiente e sulla salute della popolazione locale è stato oggetto di diversi rapporti scientifici, le cui principali informazioni sono riassunte qui di seguito.
1. I rapporti del Centro europeo ambiente e salute (organismo dell’OMS – Organizzazione mondiale della sanità)
15. Nel 1997 il Centro europeo ambiente e salute pubblicò una relazione che mostrava una situazione di rischio per la salute della popolazione residente nei comuni che erano stati classificati «ad elevato rischio di crisi ambientale» da una decisione del Consiglio dei ministri del 30 novembre 1990 (paragrafo 32), soprattutto a causa dell’inquinamento industriale generato dall’Ilva per il periodo 1980-1987.
16. Un altro rapporto dello stesso organismo, pubblicato nel 2002, aggiornò i risultati di questo primo rapporto fino al 1994. In base a questo secondo rapporto, il tasso di mortalità maschile per tumori nella zona di Taranto era superiore del 10,6% rispetto a quello osservato nella regione, e anche il rischio di mortalità femminile era più elevato rispetto alla media regionale, tra l’altro per cause tumorali.
2. Il rapporto 2002 dell’ARPA (Agenzia regionale per la prevenzione e la protezione dell’ambiente)
17. L’ARPA fu istituita in Puglia nel 1999. Secondo il suo rapporto del 2002, diversi studi pubblicati da due organismi locali (l’Osservatorio Epidemiologico della Regione Puglia e l’AUSL, l’Azienda sanitaria locale), nazionali (l’Istituto Superiore di Sanità e l’ENEA, l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e l’ambiente) e internazionali (l’Organizzazione mondiale della sanità) avevano evidenziato un aumento dei tumori (in particolare del polmone, della pleura e dell’apparato digestivo) nella zona detta «ad elevato rischio ambientale» a partire dagli anni 70.
18. Secondo questo stesso rapporto, anche altri studi avevano dimostrato la presenza nell’aria di un’alta concentrazione di molte sostanze inquinanti, di cui era riconosciuta la pericolosità per la salute 2umana .
3. Lo studio epidemiologico del 2009
19. Nel 2009, fu condotto uno studio epidemiologico pubblicato su una rivista specializzata («Analisi statistica dell’incidenza di alcune patologie tumorali nella provincia di Taranto, 1999-2002» – EP anno 33 (1-2) gennaio-aprile 2009) da membri dell’Osservatorio Epidemiologico della Regione Puglia, dell’Università di Bari e dell’Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale. Lo studio mise in evidenza un aumento dei tumori del polmone, della vescica e della pleura negli uomini della zona interessata. L’area geografica interessata era la provincia di Taranto (circa 580.000 abitanti), che comprende 329 comuni .
4. Il rapporto «Ambiente e salute a Taranto: evidenze disponibili e indicazioni di sanità pubblica» del 22 ottobre 2012, noto come «Rapporto SENTIERI» (Studio Epidemiologico Nazionale del Territorio e degli Insediamenti Esposti a Rischio Inquinamento) del 2012.
20. Il rapporto SENTIERI del 2012, redatto a cura dell’Istituto Superiore di Sanità su richiesta del Ministero della Salute, formulò delle raccomandazioni per gli interventi di sanità pubblica sulla base dei dati riguardanti le cause di mortalità nei siti di bonifica di interesse nazionale (SIN) (paragrafo 34 infra) per il periodo 1995-2009.
21. Ne risultava che, tenuto conto dell’inquinamento ambientale della regione interessata causato dalle emissioni dello stabilimento Ilva, in funzione della distanza tra il luogo di residenza delle persone interessate e i siti di emissioni nocive presi in considerazione, esisteva un nesso causale tra l’esposizione ambientale ad agenti cancerogeni inalabili e lo sviluppo di tumori dei polmoni e della pleura e di patologie del sistema cardiocircolatorio.
22. Più in dettaglio, il rapporto mostrava che i decessi di uomini e donne che risiedevano nella regione per tumori, malattie del sistema circolatorio e altre patologie erano numericamente superiori alla media regionale e nazionale.
5. Il rapporto «Mortalità, incidenza oncologica e ricoveri ospedalieri nei siti di interesse nazionale per le bonifiche» del 14 maggio 2014, detto «rapporto SENTIERI» del 2014
23. Secondo il rapporto SENTIERI del 2014, il tasso di mortalità nel SIN di Taranto era generalmente superiore alla media regionale, sia per gli uomini che per le donne e i bambini.
24. Secondo questo stesso rapporto, anche il numero di ricoveri per tumori e patologie del sistema cardiocircolatorio era superiore rispetto alla media regionale.
6. Lo studio di coorte dell’agosto 2016 sugli effetti delle esposizioni (ambientali e sui luoghi di lavoro) sulle patologie e sulla mortalità della popolazione residente a Taranto, («lo studio di coorte»).
25. Condotto dal Dipartimento di Epidemiologia del Servizio Sanitario della Regione Lazio, dall’ARPA, dal Centro Salute e Ambiente Puglia e dalla ASL (agenzia sanitaria locale) di Taranto, lo studio di coorte riguardò 321.356 persone residenti nei comuni di Taranto, Massafra e Statte tra il 1 gennaio 1996 e il 31 dicembre 2010.
26. Questo studio dimostrò un nesso causale tra l’esposizione al 4PM10 e al 5SO2 di origine industriale, dovuta all’attività produttiva dell’Ilva, e l’aumento della mortalità per cause naturali, tumori, malattie renali e cardiovascolari tra i residenti.
7. Il rapporto del Registro Tumori di Taranto del 2016, relativo agli anni 2006-2011.
27. Il rapporto del Registro Tumori di Taranto del 2016, che ha fatto seguito ad un primo studio del 2014, confermò una maggiore incidenza neoplastica nel comune di Taranto rispetto al resto della provincia, tra l’altro per il cancro dello stomaco, del colon, del fegato, del polmone, dei reni, della vescica, della tiroide, del seno, dell’utero e della prostata.
8. Il rapporto dell’ARPA del 2016
28. Secondo il rapporto dell’ARPA del 2016 («Rapporto complementare sul controllo del deposito di diossina a Taranto»), che faceva seguito al riesame dell’autorizzazione ambientale integrata accordata alla società Ilva (paragrafo 45 infra), riguardante l’attività di sei stazioni di monitoraggio della qualità dell’aria, il livello di diossina nel quartiere Tamburi (Taranto) era eccessivo rispetto a quello autorizzato.
9. Il rapporto dell’ARPA del 2017
29. Il rapporto dell’ARPA del 2017 basato peraltro sui dati del Registro Tumori di Taranto, («Valutazione del danno sanitario – Stabilimento della società Ilva di Taranto») rilevò che permaneva una situazione di criticità sanitaria nella zona «ad elevato rischio ambientale» e nel SIN di Taranto, dove il tasso di mortalità e di ricoveri ospedalieri per alcune patologie oncologiche, cardiovascolari, respiratorie e digestive era superiore rispetto alla media regionale.
30. Inoltre, secondo il rapporto dell’ARPA, esisteva un nesso causale tra le emissioni industriali e i danni alla salute nella zona di Taranto. Di conseguenza, il suddetto rapporto raccomandava di continuare il monitoraggio epidemiologico della popolazione e di mettere in atto tutte le misure idonee a garantire la salute della popolazione, compreso l’uso delle «migliori tecniche disponibili» (paragrafo 44 infra) per il contenimento delle emissioni industriali inquinanti.
31. Peraltro, sempre secondo questo rapporto, all’epoca in cui lo stesso è stato redatto, le emissioni industriali erano ridotte a causa della chiusura temporanea di gran parte della cokeria, una delle principali fonti di sostanze inquinanti cancerogene. Tuttavia, era stato osservato che la situazione sarebbe cambiata drasticamente con la ripresa del funzionamento degli impianti nel loro complesso, fatto che avrebbe avuto un impatto certo sulla salute delle persone.
C. Le misure amministrative e legislative
1. L’approvazione del piano di disinquinamento della provincia di Taranto
32. Con deliberazione del 30 novembre 1990, il Consiglio dei Ministri individuò i comuni «ad elevato rischio di crisi ambientale» (comuni di Taranto, Crispiano, Massafra, Montemesola e Statte) e chiese al Ministero dell’Ambiente di istituire un piano di disinquinamento per il risanamento del territorio
33. Con decreto del 15 giugno 1995, il Ministero dell’Ambiente istituì una commissione composta da membri del governo, del consiglio regionale della Puglia e delle istituzioni locali allo scopo di raccogliere i dati necessari alla realizzazione del suddetto piano. Tra le altre cose, il Ministero ordinò la realizzazione di studi epidemiologici e la creazione di un registro dei tumori per raccogliere dati statistici sull’evoluzione delle patologie tumorali nel territorio interessato
34. Con decreto del Ministero dell’Ambiente del 10 gennaio 2000, che faceva seguito alla legge n. 426/2008, i comuni di Taranto e Statte sono stati inseriti nei SIN (paragrafo 20 supra).
35. Nel frattempo, con il decreto n. 196 del 30 novembre 1998, il Presidente della Repubblica aveva approvato il piano di risanamento. Ciò riguardava l’intera area detta «ad alto rischio ambientale».
2. Gli accordi tra la società Ilva e le autorità pubbliche
36. Nel 2003 e nel 2004, la società Ilva e gli amministratori locali conclusero diversi atti d’intesa al fine di porre in essere delle misure per ridurre l’impatto ambientale dell’impianto.
37. Il 23 ottobre 2006 il Consiglio Regionale della Puglia e la società Ilva firmarono un accordo con il quale la società si impegnava a misurare le emissioni di diossina e a designare un ente terzo (il Consiglio Nazionale delle Ricerche) allo scopo di individuare le principali fonti di emissioni di particolati pesanti.
38. La prima campagna di monitoraggio delle emissioni di diossina della più grande delle duecento ciminiere dell’acciaieria di Taranto iniziò nel 2007. Poiché all’epoca le autorità regionali non disponevano degli strumenti per misurare le diossine e gli altri microinquinanti, il campionamento fu affidato a organismi terzi.
39. Nel 2008 l’ARPA, che disponeva ora degli strumenti di controllo necessari, pubblicò i primi risultati dei controlli effettuati, che dimostravano che, nel quartiere di Tamburi (Taranto), le emissioni di 6benzopirene nel PM10 erano superiori ai limiti consentiti.
3. Misure legislative e regionali relative alla contaminazione da diossina
40. Con la legge regionale n. 44 del 19 dicembre 2008, il Consiglio Regionale della Puglia fissò per la prima volta i limiti di emissioni di diossina consentiti nell’ambito dell’attività industriale.
41. Un rapporto dell’ARPA del 2010 segnalò la contaminazione da diossina della carne animale che sarebbe potuta entrare nella catena alimentare umana. Le autorità regionali ordinarono di conseguenza l’abbattimento di quasi duemila capi di bestiame, vietarono il pascolo e ordinarono la distruzione del fegato delle pecore e delle capre in un raggio di 20 km intorno alla fabbrica.
42. Con decreto n. 155 del 13 agosto 2010, adottato ai sensi della direttiva 2008/50/CE sulla qualità dell’aria, il termine per rientrare nei limiti autorizzati per la produzione di inquinanti fu fissato al 31 dicembre 2012.
43. La legge regionale n. 3 del 28 febbraio 2011 stabilì che, in caso di superamento della soglia di emissione di benzopirene accettata, il ritorno ai valori autorizzati doveva essere raggiunto «il più presto possibile».
4. L’AIA (autorizzazione integrata ambientale)
44. In data 4 agosto 2011 il Ministero dell’Ambiente concesse all’Ilva una prima AIA, consentendo alla società di continuare la sua attività produttiva, previa adozione di misure volte a ridurre l’impatto delle emissioni inquinanti sull’ambiente, in particolare attraverso l’utilizzo delle «migliori tecniche disponibili» (best available techniques – BAT).
45. Su richiesta del Presidente della Regione Puglia e sulla base dei dati emersi dal monitoraggio ARPA (che segnalavano il superamento delle emissioni autorizzate di benzopirene), il 27 ottobre 2012 fu concessa una seconda AIA, che modificava la prima e stabiliva nuove condizioni (paragrafo 28 supra).
46. Queste ultime, che riprendevano le misure di tutela dell’ambiente e della salute contenute nella prima decisione di sequestro preventivo (paragrafo 77 infra) prevedevano, in particolare, il rispetto dei limiti di emissioni e delle norme applicabili in materia di salute e di sicurezza, nonché l’obbligo di trasmettere un rapporto trimestrale sull’applicazione delle misure necessarie per conseguire i risultati in termini di miglioramento dell’impatto ambientale dello stabilimento,
5. I decreti legge «salva-Ilva», e i testi relativi alla amministrazione straordinaria e alla procedura di vendita della società
47. A partire dalla fine del 2012, il governo ha adottato diversi testi, tra cui i decreti legge detti decreti legge «salva-Ilva», riguardanti l’attività della società Ilva.
a) Il decreto legge n. 207 del 3 dicembre 2012, convertito nella legge n. 231 del 24 dicembre 2012
48. Il decreto legge n. 207 del 3 dicembre 2012, recante «Disposizioni urgenti a tutela della salute, dell’ambiente e dei livelli di occupazione, in caso di crisi di stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale», autorizzò l’Ilva a proseguire la propria attività per un periodo non superiore a trentasei mesi, fermo restando il rispetto delle prescrizioni imposte dall’AIA del 2012.
49. Il 22 gennaio 2013 il giudice per le indagini preliminari («il GIP») di Taranto sollevò dinanzi alla Corte Costituzionale una questione di legittimità costituzionale in merito alla parte di questo decreto legge che autorizzava la società a proseguire la sua attività, nonostante le emissioni nocive, e a rientrare in possesso dei suoi beni e del suo stabilimento, nonostante il sequestro giudiziario disposto nel frattempo (paragrafo 77 infra). Secondo il giudice, il decreto legge violava, tra l’altro, il diritto alla salute e ad un ambiente sano, tutelato dall’articolo 32 della Costituzione.
50. Con la sentenza n. 85 del 9 aprile 2013, la Corte Costituzionale dichiarò manifestamente infondata la questione sottopostale. Ritenne che l’attività produttiva della società potesse legittimamente proseguire, a condizione che fossero rispettate le misure di controllo e di tutela previste nell’AIA del 2012 e che, in caso di violazione, fossero applicate le sanzioni previste dalla legge.
51. Secondo la Corte Costituzionale, il decreto legge controverso prevedeva quindi un percorso di risanamento ambientale che teneva conto del diritto alla salute e all’ambiente, da un lato, e del diritto al lavoro, dall’altro, entrambi garantiti dalla Costituzione.
b) Il decreto legge n. 61 del 4 giugno 2013, convertito nella legge n. 89 del 3 agosto 2013
52. Tenuto conto dei gravi e significativi pericoli per la salute e per l’ambiente derivanti dall’attività produttiva dell’Ilva oltre che del mancato rispetto delle prescrizioni contenute nell’AIA del 2012, constatato nel frattempo dalle autorità competenti, il decreto legge n. 61 del 4 giugno 2013 previde la nomina di un commissario straordinario incaricato della gestione della società per un periodo fino a trentasei mesi.
53. Dispose anche che dovesse essere nominato un comitato di esperti. Una volta istituito, quest’ultimo propose al Ministero dell’Ambiente un piano che prevedeva delle misure per la tutela dell’ambiente e della salute dei lavoratori e della popolazione («il piano ambientale»), contenente anche le azioni da intraprendere e le scadenze per la loro attuazione al fine di garantire il rispetto dell’AIA.
54. Il piano ambientale fu approvato dal Ministero dell’Ambiente con decreto n. 53 del 3 febbraio 2014, e tale approvazione equivaleva a una modifica dell’AIA.
c) Il decreto legge n. 101 del 31 agosto 2013, convertito nella legge n. 125 del 30 ottobre 2013.
55. Il decreto legge n. 101 del 31 agosto 2013, recante «Disposizioni in materia di imprese di interesse strategico nazionale», autorizzò, tra l’altro, la costruzione di discariche per rifiuti speciali, pericolosi e non pericolosi localizzate nel perimetro dell’impianto produttivo dell’Ilva al fine di garantire l’attuazione delle misure previste dal piano di tutela ambientale.
d) Il decreto legge n. 136 del 10 dicembre 2013, convertito nella legge n. 6 del 6 febbraio 2014
56. Ai sensi del decreto legge n. 136 del 10 dicembre 2013, che prevedeva «Disposizioni urgenti dirette a fronteggiare emergenze ambientali e industriali e favorire lo sviluppo delle aree interessate», le misure previste dal piano ambientale erano considerate attuate quando: (i) alla data di inizio della gestione commissariale, la qualità dell’aria nella zona esterna allo stabilimento non era peggiorata e (ii) erano stati avviati gli interventi necessari ad ottemperare ad almeno l’80% delle prescrizioni contenute nell’AIA.
e) Il decreto legge n. 100 del 16 luglio 2014
57. Il decreto legge n. 100 del 16 luglio 2014, che prevede «Misure urgenti per la realizzazione del piano ambientale» indicava che almeno l’80% delle prescrizioni previste dal piano ambientale dovevano essere realizzate entro il 31 luglio 2015 e rimaneva il termine ultimo del 4 agosto 2016 per tutte le altre prescrizioni. Questo decreto legge requisiti devono essere realizzati entro il 4 agosto 2016. Tale decreto legge decadde per mancata conversione, ma le sue disposizioni furono reinserite nella legge n. 116 del 2014.
f) Il decreto legge n. 1 del 5 gennaio 2015, convertito nella legge n. 20 del 4 marzo 2015
58. Il decreto legge n. 1 del 5 gennaio 2015 stabiliva che il piano ambientale si considerava attuato quando, entro il 31 luglio 2015, l’80% delle prescrizioni in scadenza a quella data sarebbero state realizzate.
59. Inoltre, questo testo prevedeva che le misure poste in essere nell’ambito del suddetto piano non potessero dar luogo a responsabilità penale o amministrativa del commissario straordinario, in quanto le stesse costituivano adempimento delle migliori regole preventive in materia ambientale, di tutela della salute e dell’incolumità pubblica e di sicurezza sul lavoro.
g) Il decreto del Ministero dello Sviluppo Economico del 21 gennaio 2015
60. Con decreto del 21 gennaio 2015, il Ministero dello Sviluppo Economico ammetteva l’Ilva alla procedura di amministrazione straordinaria a causa del suo stato di insolvenza nel frattempo accertato.
h) Il decreto legge n. 92/2015
61. Il 18 giugno 2015 un altoforno dell’acciaieria di Taranto fu sottoposto a sequestro giudiziario nell’ambito di un procedimento penale per la morte di un operaio, investito da una colata di materiale incandescente.
62. Il decreto legge 92/2015 autorizzò la prosecuzione dell’attività dell’impianto per un periodo di dodici mesi a decorrere dalla data di sequestro dell’altoforno, in attesa degli adeguamenti alle norme di sicurezza sui luoghi di lavoro.
63. Questo testo fu poi oggetto di una sentenza della Corte Costituzionale (n. 58 del 23 marzo 2018) che ne dichiarò l’illegittimità costituzionale in quanto le autorità avevano finito per privilegiare in modo eccessivo l’interesse alla continuazione dell’attività produttiva a scapito della protezione dei diritti alla salute e alla vita tutelati dalla Costituzione.
Nel frattempo, le disposizioni di questo decreto legge, decaduto per mancata conversione, erano state reinserite nella legge n. 132 del 2015.
i) Il decreto legge n. 191 del 4 dicembre 2015, convertito nella legge n. 13 del 1 febbraio 2016
64. Ai sensi del decreto legge n. 191 del 4 dicembre 2015, che prevedeva «Disposizioni urgenti per la cessione a terzi dei complessi aziendali del Gruppo ILVA», venne disposta in favore dell’amministrazione straordinaria l’erogazione della somma di 300 milioni di euro (EUR) per far fronte alle indilazionabili esigenze finanziarie del Gruppo.
65. Inoltre, sempre in applicazione di questo decreto legge, il termine per l’attuazione del piano ambientale fu rinviato al 30 giugno 2017
j) Il decreto legge n. 98 del 9 giugno 2016, convertito nella legge n. 151 del 1° agosto 2016
66. A partire dal 2016, l’Ilva è stata oggetto di una procedura di vendita attraverso una gara d’appalto internazionale, attualmente in corso.
67. Nell’ambito delle «Disposizioni urgenti per il completamento della procedura di cessione dei complessi aziendali del Gruppo Ilva» previste dal decreto legge n. 98 del 9 giugno 2016, fu deciso che il futuro acquirente avrebbe potuto differire il termine per l’esecuzione del piano ambientale per un periodo non superiore a diciotto mesi. Fu inoltre deciso che tale termine sarebbe stato applicato a ogni altra misura di gestione ambientale riguardante l’Ilva e che avrebbe sostituito qualsiasi altro termine non ancora scaduto alla data di entrata in vigore del decreto legge.
68. Fu inoltre stabilito che il futuro acquirente dell’Ilva avrebbe potuto subordinare l’offerta di acquisto a modifiche del piano ambientale, che sarebbero state sottoposte ad un comitato di tre esperti. Infine, secondo il suddetto decreto legge, le immunità amministrative e penali erano estese al futuro acquirente dello stabilimento.
6. Il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 29 settembre 2017
69. In applicazione del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 29 settembre 2017, il termine per l’esecuzione delle misure previste nel piano ambientale fu rinviato al mese di agosto 2023.
70. Con un ricorso volto all’annullamento e alla sospensione dell’esecuzione di questo decreto, la Regione Puglia e il Comune di Taranto denunciarono al TAR della Puglia le conseguenze ambientali e sanitarie della continua proroga dei termini per l’adempimento degli obblighi ambientali. Su questo argomento fu sollevata anche una questione di legittimità costituzionalità. Secondo le informazioni contenute nei fascicoli, i relativi procedimenti sono attualmente pendenti.
D. I procedimenti penali
1. I procedimenti penali conclusi
71. Nei confronti dei dirigenti dell’Ilva furono avviati diversi procedimenti penali per disastro ecologico, avvelenamento di sostanze alimentari, mancata prevenzione degli infortuni sul luogo di lavoro, danni al patrimonio pubblico, emissioni di sostanze inquinanti e inquinamento atmosferico. Alcuni di questi procedimenti hanno dato luogo a condanne nel 2002, 2005 e 2007.
72. Tra l’altro, con sentenza n. 38936 del 28 settembre 2005, la Corte di Cassazione condannò i dirigenti dello stabilimento Ilva di Taranto per inquinamento atmosferico, scarico di materiali pericolosi ed emissioni di particolato, rilevando principalmente che la produzione di particolato era proseguita nonostante i numerosi accordi conclusi con le autorità territoriali nel 2003 e nel 2004 (paragrafo 36 supra).
2. I procedimenti penali pendenti
a) Il procedimento n. 938/10 e l’ordinanza di sequestro conservativo
73. Dinanzi alla corte d’assise di Taranto si svolse il procedimento n. 938/10 contro quarantaquattro persone fisiche e tre persone giuridiche, accusate di trentaquattro capi d’accusa per reati commessi tra il 1995 e il 2013 e relativi, tra l’altro, a: i) l’emissione di sostanze nocive per la salute e per l’ambiente che hanno comportato un grave rischio per la salute pubblica e hanno causato la morte di alcune persone residenti nelle zone adiacenti al sito di produzione dell’Ilva di Taranto e provocato patologie ad altre persone; ii) contaminazione delle acque, dei prodotti della terra e degli animali destinati all’alimentazione umana; iii) inquinamento ambientale dell’aria; iv) diffusione di informazioni riservate da parte di funzionari del Ministero degli Affari esteri incaricati della concessione dell’AIA.
74. Nel corso di tale procedimento furono formulate diverse accuse nei confronti, tra l’altro, dell’Ilva e del gruppo Riva, in particolare per il mancato rispetto degli obblighi di tutela della sicurezza e dell’ambiente. In questo procedimento, novecentodue persone, tra cui otto 7ricorrenti, si costituirono parte civile.
75. Il 30 marzo 2012, il GIP di Taranto ordinò una perizia chimica ed una epidemiologica al fine di valutare l’impatto delle emissioni dello stabilimento sull’ambiente e sulla salute delle persone.
76. Secondo il rapporto della perizia chimica, l’Ilva produceva gas e vapori pericolosi per la salute dei lavoratori e della popolazione locale. Nel rapporto si affermava inoltre che le misure imposte per evitare la dispersione di fumi e particelle nocive non erano state rispettate e che i valori di diossine, benzopirene e altre sostanze pericolose per la salute non erano conformi ai requisiti previsti dalle disposizioni regionali, nazionali ed europee. Secondo il rapporto della perizia epidemiologica, le patologie cardiovascolari, respiratorie e oncologiche erano aumentate a causa delle emissioni inquinanti prodotte dall’Ilva.
77. Sulla base di questi rapporti, il 25 luglio e il 26 novembre 2012, il GIP dispose il sequestro conservativo di sei impianti dello stabilimento oltre che dell’acciaio prodotto a partire dalla data di esecuzione del primo sequestro.
78. Nel frattempo, il 26 luglio 2012, diversi ministeri ed 8enti territoriali avevano firmato un protocollo d’intesa per la realizzazione di interventi urgenti di bonifica della città di Taranto, che a tale scopo prevedeva la creazione di un fondo di 336.668.320 EUR e la nomina di un commissario straordinario per la gestione dei conti di quest’ultimo.
79. Il 30 novembre 2012 il giudice respinse la richiesta di revoca del sequestro conservativo presentata dall’Ilva, osservando, tra l’altro, che le esigenze di intervento urgente per la tutela della popolazione locale non erano state prese in considerazione nell’ambito dell’AIA.
b) Il procedimento n. 9693/14
80. Il procedimento n. 9693/14 fu avviato a seguito della presentazione, da parte di un gruppo di cittadini, di una denuncia contro il commissario straordinario e il direttore dello stabilimento di Taranto per emissioni pericolose e gestione di rifiuti non autorizzate.
81. La procura chiese l’archiviazione del caso, in quanto era ancora pendente il termine per l’attuazione dell’AIA. Tuttavia, il 12 ottobre 2016 il GIP decise di proseguire le indagini.
c) La denuncia presentata nel 2013 da un gruppo di cittadini
82. Il 5 aprile 2013, sette persone, fra cui la ricorrente indicata al numero 43 (ricorso n. 54414/13), presentarono alla procura della Repubblica una denuncia per le emissioni inquinanti dello stabilimento Ilva e gli effetti di queste ultime sull’ambiente e sulla salute delle persone. L’esito di questa denuncia non è noto.
E. Le procedure dinanzi all’Unione europea
1. La sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea («la CGUE») del 31 marzo 2011 (causa C-50/10)
83. Con sentenza del 31 marzo 2011, la CGUE dichiarò che l’Italia si era sottratta agli obblighi cui era tenuta in forza della direttiva 2008/1/CE del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla prevenzione e alla riduzione integrate dell’inquinamento.
84. La CGUE rilevò che l’Italia aveva omesso di adottare le misure necessarie che avrebbero permesso alle autorità competenti di controllare che gli impianti industriali esistenti funzionassero conformemente a un sistema di autorizzazioni previsto da questa stessa direttiva.
2. Il parere motivato della Commissione europea del 16 ottobre 2014
85. Nell’ambito di una procedura di infrazione avviata nei confronti dell’Italia il 16 ottobre 2014, la Commissione europea ha emesso un parere motivato in cui chiede alle autorità italiane di porre rimedio ai gravi problemi di inquinamento riscontrati nel sito Ilva di Taranto. Essa osservò che l’Italia si era sottratta agli obblighi di garantire che l’acciaieria fosse conforme ai requisiti della direttiva sulle emissioni industriali (direttiva 2010/75/UE, che ha sostituito la direttiva 2008/1/CE a partire dal 7 gennaio 2014).
86. La Commissione europea osservò che l’elevato livello di emissioni derivanti dal processo di produzione dell’acciaio non era diminuito e che dal sito si sprigionavano dense nubi di particolato e di polveri industriali, con conseguenze gravi per l’ambiente e la salute della popolazione locale. Inoltre rilevò che prove di laboratorio evidenziavano un forte inquinamento dell’aria, del suolo, delle acque di superficie e delle falde acquifere sia sul sito dell’Ilva sia nelle zone adiacenti della città di Taranto.
II. IL DIRITTO INTERNO PERTINENTE
87. L’articolo 452 quater del codice penale (inserito nel codice penale dalla legge n. 68 del 22 maggio 2015) prevede che chiunque abusivamente cagiona un disastro ambientale è punito con la reclusione da cinque a quindici anni.
88. L’articolo 844 del codice civile prevede che il proprietario di un immobile non può impedire disturbi provenienti dal fondo del vicino se questi ultimi non superano la normale tollerabilità.
89. L’articolo 2043 del codice civile sancisce il principio del neminem laedere, ossia il dovere generale di non arrecare danni ad altri. Chiunque sostenga di aver subito un danno in violazione di questo principio può intentare un’azione per responsabilità.
90. L’articolo 2050 dello stesso codice civile sancisce il principio generale della responsabilità per l’esercizio delle «attività pericolose».
91. Gli articoli 309 e 310 del decreto legislativo n. 152/2006 prevedono la possibilità di presentare denunce e osservazioni al Ministero dell’Ambiente in caso di violazione delle norme ambientali e rammentano la possibilità di avviare un’azione di risarcimento dinanzi ai tribunali competenti.
IN DIRITTO
I. SULLA RIUNIONE DEI RICORSI
92. Tenuto conto della similitudine dei ricorsi, la Corte ritiene opportuno esaminarli congiuntamente in un’unica sentenza.
II. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DEGLI ARTICOLI 2, 8 E 13 DELLA CONVENZIONE
93. Invocando gli articoli 2 e 8 della Convenzione, i ricorrenti lamentano una violazione del loro diritto alla vita e al rispetto della vita privata. Contestano allo Stato di non aver adottato le misure giuridiche e regolamentari volte a proteggere la loro salute e l’ambiente, e di aver omesso di fornire le informazioni sull’inquinamento e sui rischi correlati per la loro salute.
94. Libera di qualificare giuridicamente i fatti, la Corte constata che questi motivi di ricorso si confondono e ritiene appropriato esaminare congiuntamente le doglianze dei ricorrenti unicamente dal punto di vista dell’articolo 8 della Convenzione (Radomilja e altri c. Croazia [GC], nn. 37685/10 e 22768/12, 20 marzo 2018). Questa disposizione è così formulata:
«1. Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata (…).
2. Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui.»
95. In base all’articolo 13 della Convenzione, i ricorrenti sostengono di avere subìto una violazione del loro diritto a un ricorso effettivo. Questa disposizione è così formulata:
«Ogni persona i cui diritti e le cui libertà riconosciuti nella (…) Convenzione siano stati violati, ha diritto a un ricorso effettivo davanti a un’istanza nazionale, anche quando la violazione sia stata commessa da persone che agiscono nell’esercizio delle loro funzioni ufficiali.»
A. Sulle eccezioni preliminari del Governo
1. Sulla qualità di «vittima» dei ricorrenti
a) La tesi del Governo
96. Il Governo contesta la qualità di vittima dei ricorrenti. A tale riguardo afferma che esso può essere stabilito solo all’esito dei procedimenti interni che vertono sui motivi di ricorso sollevati poi dinanzi alla Corte.
97. Afferma, inoltre, che le doglianze dei ricorrenti sono generiche e non fanno riferimento a situazioni particolari, e che non forniscono alcun elemento fattuale a sostegno della tesi secondo cui gli interessati avrebbero concretamente subito un danno. I presenti ricorsi sarebbero pertanto solo una actio popularis.
98. Il Governo afferma inoltre che la maggior parte dei ricorrenti vive in comuni diversi da quello direttamente interessato dall’inquinamento ambientale, ossia la città di Taranto.
b) La tesi dei ricorrenti
99. I ricorrenti rispondono che tutti risiedono o hanno risieduto tutte nella città di Taranto o nei comuni limitrofi e che l’inquinamento di queste città da emissioni nocive dello stabilimento Ilva è una certezza riconosciuta dalle autorità pubbliche. Inoltre, alcuni di loro hanno prodotto certificati medici che attestano malattie contratte da loro stessi o dai loro parenti.
c) La valutazione della Corte
100. La Corte rammenta che il meccanismo di controllo della Convenzione non può ammettere l’actio popularis (Perez c. Francia [GC], n. 47287/99, § 70, CEDU 2004-I, e Di Sarno e altri c. Italia, n. 30765/08, § 80, 10 gennaio 2012). Inoltre, né l’articolo 8 né qualsiasi altra disposizione della Convenzione garantiscono specificamente una protezione generale dell’ambiente in quanto tale (Kyrtatos c. Grecia, n. 41666/98, § 52, CEDU 2003 VI (estratti)).
101. Secondo la giurisprudenza della Corte, l’elemento cruciale che permette di determinare se, nelle circostanze di una causa, il danno ambientale abbia comportato violazione di uno dei diritti garantiti dal paragrafo 1 dell’articolo 8 è l’esistenza di un effetto nefasto sulla sfera privata o familiare di una persona, e non semplicemente il degrado generale dell’ambiente (Fadeïeva c. Russia, n. 55723/00, § 88, CEDU 2005-IV).
102. Nella presente causa, la Corte rileva che i ricorrenti denunciano il danno derivante dalle emissioni nocive dello stabilimento Ilva di Taranto. I comuni interessati da queste emissioni sono stati individuati con deliberazione del Consiglio dei Ministri del 30 novembre 1990: si tratta delle città di Taranto, Crispiano, Massafra, Montemesola e Statte, che sono stati classificati «ad alto rischio ambientale». Inoltre, i comuni di Taranto e Statte sono stati inclusi nel SIN con decreto del Ministero dell’Ambiente del 10 gennaio 2000 (paragrafo 34 supra).
103. Poiché l’area direttamente interessata dagli effetti nocivi dell’Ilva è stata quindi definita da misure interne, la Corte constata che diciannove ricorrenti risiedono in comuni diversi da Taranto, Crispiano, Massafra, Montemesola e Statte9 e che questi ricorrenti non hanno presentato prove tali da rimettere in discussione l’estensione di tale area.
104. Per quanto riguarda gli altri ricorrenti, la Corte rammenta che l’inquinamento in un determinato settore diventa potenzialmente pericoloso per la salute e il benessere di coloro che vi sono esposti. In ogni caso, si tratta di una presunzione che può non verificarsi in un caso determinato.
105. Rimane comunque il fatto che, nel caso di specie, dagli elementi di prova di cui dispone la Corte emerge che l’inquinamento ha inevitabilmente reso le persone che vi erano sottoposte più vulnerabili a varie malattie.
106. I numerosi rapporti e studi scientifici a disposizione della Corte (si veda in particolare il rapporto SENTIERI, paragrafi 20 e seguenti supra) attestano in effetti l’esistenza di un nesso di causalità tra l’attività produttiva della società Ilva di Taranto e la situazione sanitaria compromessa, in particolare nei comuni sopra menzionati. Per lo studio più recente in questa materia, la Corte fa riferimento anche al rapporto dell’ARPA del 2017, che ribadisce il nesso di causalità sopra menzionato e attesta la permanenza di uno stato di criticità sanitaria nella zona «ad alto rischio ambientale» e nel SIN di Taranto, dove il tasso di mortalità e di ricovero ospedaliero per alcune patologie oncologiche, cardiovascolari, respiratorie e digestive era superiore rispetto alla media regionale (paragrafo 29 supra).
107. L’inquinamento ha avuto senza dubbio conseguenze nefaste sul benessere dei ricorrenti interessati (si veda, a contrario, Kyrtatos, sopra citata, § 53, e, mutatis mutandis, Fadeïeva, sopra citata, §§ 87 88 e Di Sarno, sopra citata, § 81).
108. Invece, i ricorrenti menzionati al paragrafo 103 supra non hanno dimostrato di essere stati personalmente colpiti dalla situazione denunciata. La Corte accetta pertanto l’eccezione sollevata a questo proposito dal Governo nella misura in cui questi ricorrenti sono interessati.
109. La Corte ritiene doversi respingere l’eccezione del governo convenuto per quanto riguarda gli altri ricorrenti.
2. Sul mancato esaurimento delle vie di ricorso interne
a) La tesi del Governo
110. Il Governo ritiene che i ricorrenti avrebbero potuto presentare una denuncia penale (tra l’altro, per disastro ambientale, ai sensi dell’articolo 452 quater del codice penale) e poi costituirsi parti civili.
111. Fa inoltre riferimento ai due procedimenti penali pendenti avviati nei confronti dei dirigenti della società Ilva per affermare che le questioni sottoposte all’esame della Corte sono oggetto di procedimenti nazionali tuttora in corso. Per quanto riguarda il primo di tali procedimenti, aggiunge che otto ricorrenti si sono costituiti parti civili e che gli altri potrebbero fare altrettanto.
112. Il Governo considera inoltre che i ricorrenti avevano anche la possibilità di intentare varie azioni ai sensi del codice civile e delle disposizioni in materia ambientale (paragrafi 87 e seguenti supra), oltre ad un provvedimento d’urgenza ai sensi dell’articolo 700 del codice di procedura civile e un’azione collettiva (class action) ai sensi della legge n. 15/2009.
113. Infine, ritiene che i ricorrenti avrebbero potuto sollevare una questione di costituzionalità nell’ambito di un procedimento giudiziario.
b) La tesi dei ricorrenti
114. I ricorrenti respingono l’eccezione di mancato esaurimento delle vie di ricorso interne, precisando che nessuno dei rimedi evocati dal Governo risponde alle loro doglianze. Affermano che queste ultime consistono non nella rivendicazione di una riparazione economica, bensì nella denuncia della mancata adozione da parte dello Stato di misure amministrative e legislative volte a proteggere la loro salute e l’ambiente, da una parte, e la contestazione dell’applicazione di misure che hanno permesso la continuazione, da parte della società Ilva, della sua attività inquinante, dall’altra.
115. I ricorrenti affermano inoltre che quelli tra loro che si sono costituiti parti civili nel procedimento n. 938/10 sono stati privati della possibilità di ottenere una compensazione in quanto la società Ilva è stata posta in amministrazione straordinaria. In ogni caso, affermano che gli altri ricorrenti non potrebbero più – contrariamente alle affermazioni del Governo – costituirsi parti civili in questo procedimento, in quanto i termini per farlo sono scaduti.
116. Per quanto riguarda il procedimento n. 9693/14, i ricorrenti riferiscono che il procuratore di Taranto ne ha chiesto l’archiviazione a causa, da una parte, del rinvio del termine per l’attuazione dell’AIA e, dall’altra, del riconoscimento dell’immunità alle parti in causa nell’ambito dei decreti legge «salva-Ilva».
117. Per quanto riguarda l’articolo 452 quater del codice penale, i ricorrenti affermano che esso è privo di effettività nel loro caso, in quanto, a loro parere, tale disposizione riguarda situazioni in cui, contrariamente a quella del caso di specie, i fatti si svolgono in assenza di un’autorizzazione legale o amministrativa.
118. Essi aggiungono che, in ogni caso, i tribunali interni finora hanno respinto le domande di risarcimento presentate in sede civile e condannato i richiedenti alle spese (i ricorrenti fanno riferimento a una sentenza del tribunale di Taranto, n. 2375, del 20 luglio 2016).
119. Inoltre, essi ritengono che neanche il ricorso amministrativo indicato dal Governo (articolo 309 del decreto legislativo n. 152/2006) avrebbe possibilità di successo poiché, a loro parere, il ministero dell’Ambiente sarebbe chiamato a rimettere in discussione dei decreti legge emessi dal governo. Per di più, l’azione di annullamento di atti amministrativi (articolo 29 del codice di procedura amministrativa) non potrebbe essere esercitata per contestare dei decreti.
120. Infine, i ricorrenti affermano che un’azione collettiva non può porre rimedio alle loro doglianze in quanto essi chiedono l’adozione di atti normativi, che sarebbe espressamente esclusa dal decreto legislativo n. 198/2009 (che introduce tale mezzo di ricorso).
c) La valutazione della Corte
121. La Corte rammenta che la regola dell’esaurimento delle vie di ricorso interne contenuta nell’articolo 35 § 1 della Convenzione mira a dare agli Stati contraenti l’occasione per prevenire o riparare le violazioni dedotte contro questi ultimi prima che le stesse le vengano sottoposte. Questa regola si basa sull’ipotesi, oggetto dell’articolo 13 della Convenzione – e con il quale essa presenta strette affinità – che l’ordinamento interno offre un ricorso effettivo per quanto riguarda la violazione dedotta. Perciò, essa costituisce un aspetto importante del principio secondo cui il meccanismo di salvaguardia istituito dalla Convenzione riveste un carattere sussidiario rispetto ai sistemi nazionali di tutela dei diritti umani (Vučković e altri c. Serbia (eccezione preliminare) [GC], nn. 17153/11 e altri 29, §§ 69-77, 25 marzo 2014).
122. La Corte rammenta inoltre che, in virtù della regola dell’esaurimento delle vie di ricorso interne espressa nell’articolo 35 § 1 della Convenzione, un ricorrente deve avvalersi dei ricorsi normalmente disponibili e sufficienti per permettergli di ottenere riparazione delle violazioni da lui dedotte, restando inteso che spetta al Governo che eccepisce il mancato esaurimento convincerla che il ricorso evocato era effettivo e disponibile sia in teoria che in pratica all’epoca dei fatti, ossia che era accessibile e poteva offrire al ricorrente la riparazione per quanto da lui lamentato, e presentava prospettive ragionevoli di successo (si vedano, tra altre, Akdivar e altri c. Turchia, 16 settembre 1996, Recueil, § 66, e Giacobbe e altri c. Italia, n. 16041/02, § 63, 15 dicembre 2005). Del resto, secondo i «principi di diritto internazionale generalmente riconosciuti», alcune circostanze particolari possono dispensare il ricorrente dall’obbligo di esaurire i ricorsi interni che gli sono offerti (Selmouni, sopra citata, § 75).
123. Nella fattispecie, la Corte osserva che le doglianze dei ricorrenti riguardano l’assenza di misure volte ad assicurare il disinquinamento del territorio in questione. Essa rileva altresì che il risanamento della zona interessata è un obiettivo perseguito da più anni dalle autorità competenti, ma senza successo. Tenuto conto anche degli elementi presentati dai ricorrenti e in assenza di precedenti giurisprudenziali pertinenti, la Corte ritiene che nessun tentativo di natura penale, civile o amministrativa possa rispondere a tale obiettivo nel caso di specie.
124. In questo contesto, la Corte non può ignorare l’immunità penale e amministrativa accordata all’amministratore straordinario nell’attuazione delle misure raccomandate dal piano ambientale (prevista dal decreto legge n. 1 del 5 gennaio 2015 – paragrafo 59 supra), e l’estensione di tale immunità al futuro acquirente dell’edificio (paragrafo 68 supra).
125. Per quanto riguarda la possibilità di sollevare le doglianze dinanzi alla Corte costituzionale, è sufficiente rammentare che la Corte ha indicato molte volte che, nell’ordinamento giuridico italiano, la persona sottoposta alla giustizia non gode di un accesso diretto alla Corte costituzionale: in effetti, soltanto una giurisdizione che esamina il merito di una causa ha la facoltà di adire questa alta giurisdizione, su richiesta di una parte o d’ufficio. Pertanto, tale domanda non può essere considerata un ricorso di cui la Convenzione esige l’esercizio (si vedano, tra le altre, Brozicek c. Italia n. 10964/84, 19 dicembre 1989, § 34, serie A n. 167, Immobiliare Saffi c. Italia [GC], n. 22774/93, § 42, CEDU 1999 V, C.G.I.L. e Cofferati c. Italia, n. 46967/07, § 48, 24 febbraio 2009, Scoppola c. Italia (n. 2) [GC], n. 10249/03, § 75, 17 settembre 2009, e M.C. e altri c. Italia, n. 5376/11, § 47, 3 settembre 2013).
126. La Corte osserva anche che, secondo il decreto legge n. 152/06, solo il ministero dell’Ambiente può chiedere riparazione del pregiudizio ecologico, mentre i privati possono soltanto invitarlo ad adire le autorità giudiziarie. Ne consegue che, in ogni caso, i ricorsi previsti dalle disposizioni in questione non avrebbero permesso ai ricorrenti di far valere il pregiudizio derivante dai danni all’ambiente. Di conseguenza, tali ricorsi non possono essere considerati ricorsi utili ai sensi dell’articolo 35 § 1 della Convenzione (Di Sarno, sopra citata, § 89).
127. Considerato quanto sopra esposto, la Corte ritiene doversi respingere l’eccezione del Governo relativa al mancato esaurimento delle vie di ricorso interne.
3. Sul rispetto del termine di sei mesi
a) La tesi del Governo
128. Il Governo afferma che i ricorrenti sono vissuti per decenni nelle zone interessate e, finora, non hanno mai sollevato le loro doglianze. Pertanto, gli stessi non avrebbero rispettato la regola dei sei mesi prevista dall’articolo 35 della Convenzione.
b) La tesi dei ricorrenti
129. I ricorrenti negano di avere presentato i loro ricorsi tardivamente, affermando di non disporre di alcun rimedio effettivo per lamentare gli effetti nocivi dell’attività produttiva della società Ilva sulla loro salute e sull’ambiente. Gli stessi affermano, del resto, che le azioni intentate da alcuni di loro per far valere i loro diritti (paragrafo 74 supra) erano prive di effettività.
130. I ricorrenti affermano che, in ogni caso, le violazioni da loro denunciate hanno un carattere continuo, in quanto deriverebbero dalla mancata attuazione da parte dello Stato delle misure previste dall’AIA e dal piano ambientale. Essi ritengono, di conseguenza, che in questo caso il termine di sei mesi dovrebbe decorrere solo a partire dalla cessazione delle violazioni dedotte.
c) La valutazione della Corte
131. La Corte osserva che i ricorrenti non lamentano un atto istantaneo ma una situazione di inquinamento ambientale che dura da decenni. Essa rammenta che, quando la violazione dedotta costituisce, come nel caso di specie, una situazione continua, il termine di sei mesi inizia a decorrere soltanto a partire dal momento in cui tale situazione continua si è conclusa (si vedano, tra altre, Çınar c. Turchia, n. 17864/91, decisione della Commissione del 5 settembre 1994, e Ülke c. Turchia (dec.), n. 39437/98, 1° giugno 2004).
132. Pertanto, essa ritiene doversi respingere l’eccezione del Governo.
4. Sull’esistenza di un pregiudizio importante
a) La tesi del Governo
133. Basandosi sull’articolo 35 § 3 b) della Convenzione, il Governo sostiene infine che il riferimento fatto a suo parere in termini generali all’inquinamento e al suo impatto sulla salute dei ricorrenti, senza indicazione di elementi di fatto a sostegno della tesi degli interessati, non è sufficiente affinché il pregiudizio dedotto possa essere definito importante.
b) La tesi dei ricorrenti
134. I ricorrenti contestano questa tesi.
c) La valutazione della Corte
135. La Corte rammenta che il criterio dell’assenza di pregiudizio importante è stato concepito per permetterle di trattare rapidamente i ricorsi a carattere futile allo scopo di concentrarsi sulla sua missione fondamentale, ossia garantire a livello europeo la tutela giuridica dei diritti sanciti dalla Convenzione e dai suoi Protocolli (Stefanescu c. Romania (dec.), n. 11774/04, 12 aprile 2011, § 35).
136. Nata dal principio de minimis non curat praetor, la condizione di ricevibilità rimanda all’idea che la violazione di un diritto, quale che sia la sua realtà da un punto di vista strettamente giuridico, deve raggiungere un livello minimo di gravità per giustificare un esame da parte di una giurisdizione internazionale (Korolev c. Russia (dec), n. 25551/05, 1 luglio 2010). La valutazione di tale limite è, per definizione, relativa e dipende dalle circostanze del caso di specie (Korolev, sopra citata, e, mutatis mutandis, Soering c. Regno Unito, 7 luglio 1989, § 100, serie A n. 161). La valutazione in questione deve tenere conto sia della percezione soggettiva del ricorrente che della posta in gioco oggettiva della controversia.
137. La Corte rammenta che, allo scopo di verificare se la violazione di un diritto abbia raggiunto il livello minimo di gravità, si deve tenere conto in particolare degli elementi seguenti: la natura del diritto asseritamente violato, la gravità dell’incidenza della violazione dedotta nell’esercizio di un diritto e/o le conseguenze eventuali della violazione sulla situazione personale del ricorrente (Giusti c. Italia, n. 13175/03, § 34, 18 ottobre 2011).
138. Nella fattispecie, tenuto conto della natura delle doglianze sollevate dai ricorrenti e dei numerosi rapporti scientifici che attestano l’impatto dell’inquinamento della società Ilva sull’ambiente e sulla salute delle persone, la Corte ritiene che la prima condizione dell’articolo 35 § 3 b) della Convenzione, ossia l’assenza di pregiudizio importante, non sia soddisfatta.
139. Tenuto conto di quanto sopra esposto, la Corte ritiene doversi respingere l’eccezione del Governo.
B. Conclusioni sulla ricevibilità dei ricorsi
140. Pur rammentando le proprie conclusioni relative alla irricevibilità di una parte dei ricorsi (paragrafo 103 supra), la Corte constata che l’altra parte degli stessi non è manifestamente infondata ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione e non incorre in altri motivi di irricevibilità. È dunque opportuno dichiararla ricevibile.
C. Sul merito
1. Articolo 8 della Convenzione
a) Le tesi delle parti
i. I ricorrenti
141. I ricorrenti confermano le loro doglianze, e affermano che le autorità italiane hanno omesso di adottare tutte le misure appropriate per proteggere la loro vita e la loro salute. Sostengono di essere colpiti dall’inquinamento e di essere più a rischio di contrarre diverse patologie, come sarebbe stato dimostrato da numerosi rapporti.
142. La presente causa si distingue dalla causa Smaltini c. Italia ((dec.) n. 43961/09, 24 marzo 2015) in quanto, in quest’ultima, contrariamente a loro, la ricorrente lamentava di avere contratto una patologia in seguito alla sua esposizione all’inquinamento causato dalla società Ilva. L’oggetto di tale causa, pertanto, avrebbe riguardato il nesso di causalità tra la malattia di questa ricorrente e le emissioni nocive, e non, come nel caso di specie, una inadempienza da parte dello Stato che non ha adottato le misure volte a proteggere la salute dei ricorrenti e il loro ambiente.
ii. Il Governo
143. Il Governo afferma che i giudici nazionali hanno condotto dei procedimenti imparziali perseguendo i responsabili delle condotte delittuose riguardanti l’ambiente e la salute delle persone.
144. Esso afferma inoltre che, secondo un rapporto del ministero della Salute del 2014, il tasso di PM10 è diminuito.
145. Il Governo precisa inoltre che, nella causa Smaltini c. Italia, sopra citata, la Corte ha concluso che non vi erano prove circa l’esistenza di un nesso di causalità tra la patologia contratta dalla ricorrente e le emissioni nocive dello stabilimento Ilva e, di conseguenza, che il ricorso era manifestamente infondato. A maggior ragione, questa conclusione è valida, a suo parere, nel caso attualmente sottoposto alla Corte.
146. Il Governo sostiene anche che la società Ilva ha sempre condotto la propria attività produttiva adeguandosi alle autorizzazioni accordate dal comune, dalla regione e dalla provincia. Aggiunge che sono stati predisposti dei piani di prevenzione dell’inquinamento e di adozione di misure volte a garantire la qualità dell’aria nel quartiere Tamburi (Taranto). Inoltre, sarebbero state adottate varie misure che permettono un notevole miglioramento della qualità dell’aria.
b) Le osservazioni dei terzi intervenienti
i. Il Clinical program
147. Il Clinical program riprende la cronologia dei decreti legge «salva-Ilva» e punta il dito sull’immunità giudiziaria riconosciuta alle persone incaricate di garantire il rispetto delle disposizioni in materia ambientale, nonché la proroga continua dei termini per l’attuazione del piano ambientale.
148. Secondo il Governo, le informazioni fornite da questa terza parte non sono pertinenti e menzionano per lo più le azioni di prevenzione e di riparazione dei problemi ambientali condotte dalle autorità.
149. I ricorrenti condividono la posizione di questa terza parte.
ii. L’ISDE
150. L’ISDE fa riferimento a vari studi che attestano l’inquinamento in zone situate nei pressi della regione interessata.
151. Questa terza parte richiama anche alcuni dati del rapporto SENTIERI del 2014, che indicava un tasso di mortalità infantile più alto nella regione di Taranto rispetto a quello delle altre regioni (tasso superiore del 20% per quanto riguarda i decessi nel primo anno di vita e del 45% per quanto riguarda i decessi in utero), nonché un rischio oncologico più elevato nella fascia di età compresa tra 0 e 14 anni.
152. L’ISDE fa inoltre riferimento allo studio di coorte, riguardante il nesso di causalità tra l’inquinamento e l’insorgenza di numerose patologie (paragrafo 25 supra), e indica che, secondo alcuni dati del registro regionale delle malformazioni congenite, nella regione di Taranto, tali malformazioni sono superiori del 10% rispetto alla media regionale.
153. L’ISDE indica inoltre che, secondo uno studio che riguarda alcune donne residenti in cinque città industriali della Puglia, tra cui Taranto, esiste una correlazione tra, da una parte, la presenza di PM10 e i livelli di ozono e, dall’altra, il tasso di aborti spontanei.
154. L’ISDE indica anche che l’osservatorio regionale dei disturbi autistici ha concluso, nel 2016, che la percentuale di disturbi nella provincia di Taranto è maggiore rispetto alla media della regione e a quella di altre provincie della Puglia.
155. L’ISDE rinvia, infine, ai decreti legge «salva-Ilva», in particolare al decreto legge n. 98/2016 che ha deciso una nuova proroga del termine di realizzazione del piano ambientale.
156. Il Governo ritiene che l’ISDE abbia presentato delle osservazioni di natura generica sul nesso di causalità tra le patologie indicate e le emissioni dello stabilimento Ilva, e non abbia fornito una prova scientifica inconfutabile.
c) La valutazione della Corte
i. Principi generali
157. La Corte rammenta che dei danni gravi arrecati all’ambiente possono compromettere il benessere delle persone e privarle del godimento del loro domicilio in modo tale da nuocere alla loro vita privata (Lόpez Ostra c. Spagna, 9 dicembre 1994, serie A n. 303-C, § 51, e Guerra e altri c. Italia, 19 febbraio 1998, § 60, Recueil 1998 I).
A questo proposito, la Corte rammenta anche che, nelle cause in cui la nozione di soglia di gravità è stata specificamente esaminata in materia di ambiente, la Corte ha ritenuto che una doglianza difendibile dal punto di vista dell’articolo 8 può sorgere se un rischio ecologico raggiunge un livello di gravità che riduce notevolmente la capacità del ricorrente di godere del proprio domicilio o della propria vita privata o famigliare. La valutazione di tale livello minimo in questo tipo di cause è relativa e dipende da tutti gli elementi della causa, in particolare dall’intensità e dalla durata delle nocività e dalle conseguenze fisiche o psicologiche di queste ultime sulla salute o sulla qualità di vita dell’interessato (Fadeïeva, sopra citata, §§ 68 e 69, Dubetska e altri c. Ucraina, n. 30499/03, § 105, 10 febbraio 2011, e Grimkovskaya c. Ucraina, n. 38182/03, § 58, 21 luglio 2011).
158. L’articolo 8 non si limita a ordinare allo Stato di astenersi da ingerenze arbitrarie: a questo impegno negativo possono aggiungersi obblighi positivi inerenti ad un rispetto effettivo della vita privata. In ogni caso, sia che si affronti la questione dal punto di vista dell’obbligo positivo dello Stato di adottare misure ragionevoli e adeguate per proteggere i diritti dell’individuo, in applicazione del primo paragrafo dell’articolo 8, che dal punto di vista di una ingerenza di un’autorità pubblica, da giustificare ai sensi del secondo paragrafo, i principi applicabili sono abbastanza simili. In entrambi i casi, si deve avere riguardo al giusto equilibrio da trovare tra gli interessi concorrenti dell’individuo e della società nel suo insieme, e lo Stato gode in ogni caso di un certo margine di apprezzamento (López Ostra, sopra citata, § 51, e Guerra e altri, sopra citata, § 58).
159. Gli Stati hanno anzitutto l’obbligo positivo, in particolare nel caso di un’attività pericolosa, di mettere in atto una legislazione adattata alle specificità di tale attività, in particolare al livello di rischio che potrebbe derivarne. Tale legislazione deve disciplinare l’autorizzazione, la messa in funzione, lo sfruttamento, la sicurezza e il controllo dell’attività in questione, nonché imporre a ogni persona interessata da quest’ultima l’adozione di misure di ordine pratico idonee ad assicurare la protezione effettiva dei cittadini la cui vita rischia di essere esposta ai pericoli inerenti al settore in causa (si vedano, mutatis mutandis, Oneryildiz c. Turchia, [GC], n. 48939/99, § 90, CEDU 2004-XII, e Brincat e altri c. Malta, nn. 60908/11 e altri 4, §§ 101-102, 24 luglio 2014).
160. Infine, è spesso impossibile quantificare gli effetti di un inquinamento industriale importante in ciascun caso singolo e distinguere l’influenza di altri fattori quali, ad esempio, l’età e la professione. Lo stesso vale per quanto riguarda il peggioramento della qualità di vita derivante dall’inquinamento industriale. La «qualità di vita» è un concetto molto soggettivo che non si presta a una definizione precisa. Pertanto, ai fini dell’accertamento delle circostanze di fatto delle cause che le vengono sottoposte, la Corte non ha altra scelta che quella di basarsi anzitutto, sebbene non esclusivamente, sulle conclusioni delle giurisdizioni e delle altre autorità interne competenti (Lediaïeva e altri c. Russia, nn. 53157/99 e altri 3, § 90, 26 ottobre 2006, e Jugheli e altri c. Georgia, n. 38342/05, § 63, 13 luglio 2017).
ii. Applicazione dei principi sopra indicati al caso di specie
161. La Corte osserva che, se non ha il compito di determinare precisamente le misure che sarebbero state necessarie nella fattispecie per ridurre in maniera più efficace il livello dell’inquinamento, essa ha innegabilmente il dovere di verificare se le autorità nazionali abbiano affrontato la questione con la diligenza voluta e se abbiano preso in considerazione tutti gli interessi coesistenti. A questo proposito, la Corte rammenta che spetta allo Stato giustificare con elementi precisi e circostanziati le situazioni in cui alcuni individui si trovano a dover sostenere pesanti oneri in nome dell’interesse della società. L’esame della presente causa sotto questo profilo porta la Corte a formulare le seguenti osservazioni (Fadeïeva, sopra citata, § 128).
162. In via preliminare, la Corte conviene con i ricorrenti che l’oggetto della presente causa è diverso da quello della causa Smaltini, sopra citata, nella quale la ricorrente, deceduta a seguito di una leucemia nel corso del procedimento dinanzi ad essa, rimproverava alle autorità nazionali di non aver riconosciuto, all’esito del procedimento penale da lei intentato, l’esistenza di un nesso di causalità tra le emissioni dello stabilimento Ilva di Taranto e la sua patologia. In tale causa, la Corte aveva sottolineato in particolare che, alla luce delle conoscenze scientifiche disponibili all’epoca dei fatti e con riserva dei risultati degli studi scientifici successivi, le decisioni interne erano state debitamente motivate. Ora, nella presente causa, i ricorrenti denunciano l’assenza di misure dello Stato volte a proteggere la loro salute e l’ambiente. È soltanto su quest’ultima questione, diversa da quella oggetto della causa Smaltini, sopra citata, che la Corte è chiamata a pronunciarsi.
163. La Corte constata che, fin dagli anni 1970, vari studi scientifici denunciano gli effetti inquinanti delle emissioni degli stabilimenti Ilva di Taranto sull’ambiente e sulla salute delle persone (paragrafi 15 e seguenti supra). I risultati di tali rapporti, che provengono in gran parte da organismi statali e regionali, non sono peraltro oggetto di contestazione tra le parti.
164. In questo contesto, è opportuno evocare in particolare il rapporto SENTIERI del 2012, che afferma che esiste un nesso di causalità tra l’esposizione ambientale alle sostanze cancerogene inalabili prodotte dalla società Ilva e l’insorgenza di tumori dei polmoni e della pleura, nonché di patologie del sistema cardiocircolatorio nelle persone residenti nelle zone interessate (paragrafi 20 e seguenti supra).
165. Peraltro, uno studio di coorte effettuato nel 2016 ha dimostrato un nesso di causalità tra l’esposizione ai PM10 e al SO2 di origine industriale, dovuta all’attività produttiva della società Ilva, e l’aumento della mortalità per cause naturali, tumori, malattie renali e cardiovascolari nelle persone residenti a Taranto (paragrafi 25 e 26 supra).
166. Infine, lo stesso nesso tra le emissioni industriali della società Ilva e il pregiudizio sanitario nella regione di Taranto è attestato nel rapporto dell’ARPA del 2017. Quest’ultimo, del resto, riferisce anche che permane una situazione di criticità sanitaria nella zona «ad alto rischio ambientale» e nel SIN di Taranto, in cui il tasso di mortalità e di ricovero per alcune patologie oncologiche, cardiovascolari, respiratorie e digestive era superiore rispetto alla media regionale (paragrafo 29 supra).
167. Si deve osservare che, nonostante i tentativi delle autorità nazionali di giungere al disinquinamento della zona interessata, i progetti finora messi a punto non hanno prodotto gli effetti auspicati.
168. Le misure raccomandate a partire dal 2012 nell’ambito dell’AIA allo scopo di migliorare l’impatto ambientale dello stabilimento non sono state alla fine realizzate; tale lacuna, del resto, è stata all’origine di una procedura di infrazione dinanzi ai giudici dell’Unione europea. Peraltro, la realizzazione del piano ambientale approvato nel 2014 è stata prorogata al mese di agosto 2023 (paragrafo 69 supra). La procedura che permette di raggiungere gli obiettivi di risanamento perseguiti si rivela dunque di un’estrema lentezza (Fadeïeva, sopra citata, §§ 126-127).
169. Nel frattempo, il governo è intervenuto più volte con misure urgenti (i decreti legge «salva-Ilva» – paragrafi 47 e seguenti supra) allo scopo di garantire la continuazione dell’attività di produzione dell’acciaieria, e questo nonostante la constatazione da parte delle autorità giudiziarie competenti, fondata su perizie chimiche ed epidemiologiche, dell’esistenza di gravi rischi per la salute e per l’ambiente (paragrafo 76 supra, e, per quanto riguarda il rigetto della questione di costituzionalità, paragrafo 51 supra). Per di più, è stata riconosciuta l’immunità amministrativa e penale alle persone incaricate di garantire il rispetto delle prescrizioni in materia ambientale, ossia l’amministratore straordinario e il futuro acquirente della società (paragrafi 59 e 68 supra).
170. A questo si aggiunge una situazione di incertezza derivante, da una parte, dal dissesto finanziario della società (paragrafo 60 supra) e, dall’altra, dalla possibilità, accordata al futuro acquirente, di prorogare l’attuazione del risanamento dello stabilimento (paragrafo 67 supra).
171. Il fatto è che la gestione da parte delle autorità nazionali delle questioni ambientali riguardanti l’attività di produzione della società Ilva di Taranto è tuttora in una fase di stallo.
172. La Corte non può che prendere atto del protrarsi di una situazione di inquinamento ambientale che mette in pericolo la salute dei ricorrenti e, più in generale, quella di tutta la popolazione residente nelle zone a rischio, la quale rimane, allo stato attuale, priva di informazioni sull’attuazione del risanamento del territorio interessato, in particolare per quanto riguarda i ritardi nell’esecuzione dei relativi lavori.
173. Considerato quanto sopra esposto, la Corte constata che le autorità nazionali hanno omesso di adottare tutte le misure necessarie per assicurare la protezione effettiva del diritto degli interessati al rispetto della loro vita privata.
174. Perciò, il giusto equilibrio da assicurare tra, da una parte, l’interesse dei ricorrenti a non subire gravi danni all’ambiente che possano compromettere il loro benessere e la loro vita privata e, dall’altra, l’interesse della società nel suo insieme, non è stato rispettato. Pertanto, vi è stata violazione dell’articolo 8 della Convenzione nel caso di specie.
2. Articolo 13 della Convenzione
175. La Corte rammenta che l’articolo 13 della Convenzione garantisce l’esistenza nel diritto interno di un ricorso che permetta all’autorità nazionale competente di esaminare il contenuto di una «doglianza difendibile» fondata sulla Convenzione (Z. e altri c. Regno Unito [GC], n. 29392/95, § 108, CEDU 2001 V). Lo scopo di tale articolo è fornire un mezzo attraverso il quale le persone sottoposte alla giustizia possono ottenere, a livello nazionale, la riparazione delle violazioni dei loro diritti sanciti dalla Convenzione, prima di dover mettere in atto il meccanismo internazionale di ricorso dinanzi alla Corte (Kudła c. Polonia [GC], n. 30210/96, § 152, CEDU 2000 XI).
176. Avuto riguardo alle conclusioni alle quali è giunta circa l’esistenza di vie di ricorso utili ed effettive che permettano di sollevare, dinanzi alle autorità nazionali, delle doglianze relative all’impossibilità di ottenere misure che garantiscano il disinquinamento delle aree interessate da emissioni nocive dello stabilimento Ilva (paragrafi 110 e seguenti supra), la Corte ritiene doversi concludere che vi è stata violazione dell’articolo 13 della Convenzione nel caso di specie (Di Sarno, sopra citata, §§ 116-118).
III. APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 46 DELLA CONVENZIONE
177. I ricorrenti del ricorso n. 54264/15 chiedono l’applicazione della procedura della sentenza pilota, tenuto conto del numero di persone potenzialmente colpite dalla situazione in causa. Essi chiedono in particolare che le autorità italiane adottino le misure legislative e amministrative necessarie al fine, da una parte, di cessare le attività che sono all’origine delle violazioni che essi deducono e, dall’altra, di eliminare le conseguenze derivanti da queste ultime. I ricorrenti chiedono in particolare che le autorità nazionali procedano alla sospensione immediata dell’attività più inquinante (ossia l’attività di sei settori dello stabilimento) e all’attuazione di un piano di decontaminazione della fabbrica e dell’area limitrofa.
178. Il Governo contesta questa domanda e sostiene di avere già adottato tutte le misure necessarie per far fronte alle ripercussioni ambientali dell’attività dello stabilimento Ilva. Afferma inoltre che la soluzione di tale questione ambientale implica una maggiore conoscenza del suo contesto e del territorio che può essere assicurata soltanto dallo Stato stesso.
179. La Corte rammenta che una sentenza che constata una violazione della Convenzione comporta per lo Stato convenuto l’obbligo giuridico non soltanto di versare agli interessati le somme riconosciute a titolo di equa soddisfazione, ma anche di scegliere, sotto il controllo del Comitato dei Ministri, le misure generali da adottare nel suo ordinamento giuridico interno per porre fine alla violazione constatata dalla Corte ed eliminarne per quanto possibile le conseguenze. È in primo luogo lo Stato in causa a dover scegliere, fatto salvo il controllo da parte del Comitato dei Ministri, i mezzi da utilizzare nel proprio ordinamento giuridico interno per adempiere ai propri obblighi previsti dall’articolo 46 della Convenzione. Tuttavia, per aiutare lo Stato convenuto ad adempiere ai propri obblighi previsti dall’articolo 46, la Corte può cercare di indicargli il tipo di misure generali che potrebbe adottare per porre fine alla situazione constatata (Broniowski c. Polonia [GC], n. 31443/96, § 194, CEDU 2004 V; Scoppola c. Italia (n. 2) [GC], n. 10249/03, § 148, 17 settembre 2009 e Volokitin e altri c. Russia, nn. 74087/10 e altri 13, § 46, 3 luglio 2018).
180. Ora, alla luce di questi principi, tenuto conto di tutte le circostanze della causa e in particolare della complessità tecnica delle misure necessarie al risanamento della zona interessata, che rientra nella competenza delle autorità interne, la Corte ritiene che non sia necessario applicare la procedura della sentenza pilota (si veda, mutatis mutandis, Lakatos c. Ungheria, n. 21786/15, §§ 89-91, 26 giugno 2018).
181. In effetti, non spetta alla Corte rivolgere al Governo delle raccomandazioni dettagliate e a contenuto prescrittivo, come quelle indicate dai ricorrenti. Spetta al Comitato dei Ministri, che agisce ai sensi dell’articolo 46 della Convenzione, indicare al governo convenuto le misure che, in termini pratici, devono essere adottate da quest’ultimo per assicurare l’esecuzione di questa sentenza.
182. In questo contesto, è opportuno in ogni caso sottolineare che i lavori di risanamento della fabbrica e del territorio colpito dall’inquinamento ambientale sono di primaria importanza e urgenti (si veda, mutatis mutandis, Torreggiani e altri c. Italia, nn. 43517/09 e altri 6, § 99, 8 gennaio 2013). Perciò, il piano ambientale approvato dalle autorità nazionali e recante l’indicazione delle misure e delle azioni necessarie ad assicurare la protezione ambientale e sanitaria della popolazione, dovrà essere messo in esecuzione nel più breve tempo possibile.
IV. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
183. Ai sensi dell’articolo 41 della Convenzione,
«Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa.»
A. Danno
184. I ricorrenti del ricorso n. 54414/13 e quelli del ricorso n. 54264/15 chiedono rispettivamente le somme di 100.000 euro (EUR) e 20.000 EUR ciascuno per il danno morale.
185. Inoltre, i ricorrenti del ricorso n. 54264/15 chiedono una somma supplementare di 20.000 EUR, sempre per danno morale, per ciascuno di quelli, tra loro, che sono affetti da una patologia o che hanno perso un parente a causa delle emissioni nocive dello stabilimento Ilva.
186. Il Governo contesta tali pretese.
187. Nelle circostanze del caso di specie, la Corte ritiene che le constatazioni di violazione della Convenzione alle quali è giunta costituiscano una riparazione sufficiente per il danno morale subito dai ricorrenti.
B. Spese
188. Nell’ambito del ricorso n. 54414/13, le sigg.re Maggio e La Porta chiedono rispettivamente le somme di 96.807,51 EUR e 29.335,61 EUR per le spese sostenute per il procedimento dinanzi alla Corte.
189. Per quanto riguarda i ricorrenti del ricorso n. 54264/15, essi richiedono la somma di 41.535 EUR allo stesso titolo.
190. Il Governo contesta tali pretese.
191. Secondo la giurisprudenza della Corte, un ricorrente può ottenere il rimborso delle spese sostenute solo nella misura in cui ne siano accertate la realtà e la necessità, e il loro importo sia ragionevole. Nella fattispecie, tenuto conto dei documenti di cui dispone e della sua giurisprudenza, la Corte ritiene ragionevole la somma di 5.000 EUR per ciascun ricorso per il procedimento dinanzi ad essa e la accorda ai ricorrenti.
C. Interessi moratori
192. La Corte ritiene appropriato basare il tasso degli interessi moratori sul tasso d’interesse delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea maggiorato di tre punti percentuali.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,
- Decide di riunire i ricorsi;
- Dichiara i ricorsi irricevibili per quanto riguarda la parte di questi ultimi presentata dai ricorrenti del ricorso n. 54414/13 indicati ai numeri 23, 35, 43 e 45 e da quelli del ricorso n. 54264/15 indicati ai numeri 4, 9, 18, 24, 25, 34, 40, 41, 42, 56, 88, 107, 111, 113 e 128;
- Dichiara il resto dei ricorsi ricevibile;
- Dichiara che vi è stata violazione dell’articolo 8 della Convenzione;
- Dichiara che vi è stata violazione dell’articolo 13 della Convenzione;
- Dichiara che la constatazione di una violazione rappresenta di per sé un’equa soddisfazione sufficiente per il danno morale subito dai ricorrenti interessati;
- Dichiara
- che lo Stato convenuto deve versare per ciascun ricorso, entro tre mesi a decorrere dal giorno in cui la sentenza sarà divenuta definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, la somma di 5.000 EUR (cinquemila euro) ai ricorrenti interessati, più l’importo eventualmente dovuto dagli stessi a titolo di imposta, per le spese,
- che, a decorrere dalla scadenza di detto termine e fino al versamento, tale importo dovrà essere maggiorato di un interesse semplice ad un tasso equivalente a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea applicabile durante quel periodo, aumentato di tre punti percentuali;
- Respinge la domanda di equa soddisfazione per il resto.
Fatta in francese, poi comunicata per iscritto il 24 gennaio 2019, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento della Corte.
Linos-Alexandre Sicilianos
Presidente
Renata Degener
Cancelliere aggiunto
1Impianto in cui si produce coke, un carbone ottenuto dalla carbonizzazione o dalla distillazione di alcuni carboni grassi.
2In particolare, gli idrocarburi policiclici aromatici, il particolato e l’anidride solforosa.
3Taranto, Martina Franca, Massafra, Grottaglie, Manduria, Ginosa, Castellaneta, Palagiano, Sava, Mottola, Laterza, San Giorgio Ionico, Statte, Crispiano, Pulsano, Lizzano, San Marzano di San Giuseppe, Leporano, Palagianello, Carosino, Avetrana, Monteiasi, Maruggio, Fragagnano, Torricella, Montemesola, Faggiano, Monteparano e Roccaforzata.
4Particolati in sospensione nell’aria, particolati fini.
5Diossido di zolfo.
6Idrocarburo aromatico cancerogeno, inquinante persistente, che è il prodotto di una combustione incompleta a temperature comprese tra 300 °C e 600 °C (fonte: Larousse e Wikipedia).
7Ossia i ricorrenti indicati ai numeri 13 (ricorso n. 54414/13) e 51, 53, 54, 62, 65, 81 e 104 (ricorso n. 54264/15).
8Ossia i Ministeri dell’Ambiente, delle Infrastrutture e dei Trasporti, dello Sviluppo Economico e della Coesione territoriale, la Regione Puglia, la Provincia e il Comune di Taranto e il Commissario Straordinario del Porto di Taranto.
9Ossia i ricorrenti del ricorso n. 54414/13 indicati ai numeri 23, 35, 43 e 45 e quelli del ricorso n. 54264/15 indicati ai numeri 4, 9, 18, 24, 25, 34, 40, 41, 42, 56, 88, 107, 111, 113 e 128.
* Ministero della Giustizia, Dipartimento per gli affari di giustizia, traduzione eseguita e rivista da Rita Carnevali, assistente linguistico e dalla dott.ssa Martina Scantamburlo, funzionario linguistico.
Nota a sentenza: Corte Europea dei diritti dell’Uomo Sez.1^ del 24/01/2019 (ricorsi nn. 54414/13 e 54264/15). Prof. Avv. PAOLO GENTILUCCI
Arcelor Mittal (ex Ilva)
SIDERURGICO IN EMERGENZA e Coronavirus.
Prof. Avv. Paolo Gentilucci
Con sentenza del 24 gennaio 2019 la prima sezione della Corte Europea dei diritti dell’Uomo (ricorsi nn. 54414/13 e 54264/15) ha deciso in ordine al ricorso di centottanta cittadini di Taranto che avevano lamentato la violazione dei propri diritti fondamentali derivante dagli effetti delle emissioni dello stabilimento siderurgico Arcelor Mittal (ex Ilva) sulla salute e sull’ambiente.
Lo stabilimento di Taranto, il più grande d’Europa, determina un impatto sull’ambiente e sulla salute dei cittadini di Taranto, in particolare del quartiere Tamburi e di altri comuni limitrofi, oggetto di numerosi studi scientifici, che hanno riscontrato un elevato tasso di mortalità per tumori. La stessa ARPA, a seguito di approfonditi accertamenti, nel 2016 aveva segnalato che il livello di diossine nel citato quartiere Tamburi era superiore a quello autorizzato. Nel successivo rapporto del 2017, basato sul neo istituito registro dei tumori di Taranto, veniva sottolineato il perdurare della situazione di criticità sanitaria, zona di Taranto, accertando il nesso di causalità tra il pregiudizio sanitario e le emissioni industriali.
La legge della Regione Puglia n.44/2008 aveva fissato per la prima volta i limiti entro i quali l’emissione di diossine era autorizzata nell’ambito di attività industriali; tuttavia i tagli alle emissioni venivano prorogati da successivi provvedimenti legislativi.
Nel frattempo, l’ARPA registrava la contaminazione di alcuni lotti di carne animale introdotto nella catena alimentare umana, con il divieto di pascolo e l’abbattimento di numerosi capi di bestiame in un raggio di venti km dallo stabilimento.
Nel 2011 il Ministero dell’Ambiente concedeva all’ex Ilva una prima Autorizzazione Ambientale Integrata (AIA), fissando alcune condizioni per il controllo dell’inquinamento, poi modificate con una seconda autorizzazione che prevedeva l’obbligo di inviare un rapporto trimestrale relativo all’applicazione delle misure necessarie per il miglioramento dell’impatto ambientale.
Parallelamente venivano instaurati numerosi procedimenti penali nei confronti degli amministratori e dirigenti dell’ex Ilva, ai quali venivano contestate, tra le altre, le condotte di “catastrofe ecologica”, avvelenamento di sostanze alimentari, omessa prevenzione di incidenti sul luogo di lavoro, danneggiamento di beni pubblici, emissione di sostanze inquinanti, “inquinamento atmosferico” e, soprattutto “disastro ambientale”, per il quale è in corso il procedimento definito “ambiente svenduto”, nel quale sono imputati, tra gli altri, il Presidente della Regione Puglia, il Dirigente dell’ARPA ed un Assessore provinciale pro tempore.
Nel 2012 il GIP di Taranto, sulla base delle consulenze tecniche di esperti chimici ed epidemiologici, disponeva il sequestro, senza facoltà d’uso, di parchi minerari, cokerie, area agglomerazione, area altiforni, acciaierie e materiali ferrosi.
Ne seguiva una normativa d’urgenza consentiva la prosecuzione dell’attività fino ai giorni nostri con l’emissione di quattordici decreti legge, con decisioni altalenanti della Corte Costituzionale.
A livello europeo, con sentenza del 31 marzo 2011, la Corte di Giustizia Europea accertava che le autorità italiane erano venute meno agli obblighi derivanti da un direttiva del 2008/1/CE sulla prevenzione e la riduzione dell’inquinamento, sottolineando che l’Italia aveva omesso di adottare le misure necessarie affinché le autorità competenti potessero vigilare sul rispetto del sistema di autorizzazioni previsto nella menzionata direttiva. Constatando le medesime infrazioni alla normativa europea, in particolare di quella 2010/75/UE, nel 2014 la Commissione UE emanava un motivato avviso richiedendo allo Stato italiano di rimediare ai gravi problemi di inquinamento rilevati nella zona dello stabilimento.
Il procedimento dinanzi alla Corte EDU. Con il ricorso in esame, i ricorrenti hanno invocato l’applicazione degli artt. 2 e 8 della Convenzione sostenendo che lo Stato italiano non aveva adottato le misure giuridiche e regolamentari idonee a proteggere la loro salute e l’ambiente in cui vivevano, e di avere omesso le informazioni sull’inquinamento e sui rischi della salute ad esso connessi. La Corte ha esaminato il gravame unicamente sotto il profilo dell’art. 8 che tutela il rispetto della vita privata.
Veniva, altresì, eccepita la violazione dell’art. 13 della Convenzione, in quanto i ricorrenti ritenevano di essere stati lesi nel loro diritto all’accesso ad un rimedio effettivo di giustizia a fronte delle azioni delle autorità nazionali, potenzialmente illegittime.
Il governo italiano sollevava delle eccezioni preliminari, contestando in primo luogo la qualificazione dei ricorrenti quali “vittime”, avuto riguardo del carattere generale delle loro doglianze e della mancata precisazione del danno asseritamente subito.
I giudici di Strasburgo dichiaravano che vi erano elementi per sostenere che l’inquinamento nella zona interessata aveva reso inevitabilmente le persone ad esso esposto più vulnerabili a numerose malattie e richiamavano, in punto di nesso causale tra l’attività dell’ex Ilva e la compromissione della situazione sanitaria, i risultati degli studi scientifici sopra menzionati.
In secondo luogo, il Governo italiano eccepiva il mancato esperimento dei rimedi giurisdizionali interni, dal momento che erano ancora pendenti in Italia due procedimenti penali interni nei confronti dei dirigenti ex Ilva, nell’ambito dei quali i ricorrenti avrebbero potuto costituirsi parte civile. Suggeriva, inoltre, che essi avrebbero avuto la possibilità di azionare diversi rimedi in sede civilistica, come ad esempio, il ricorso ex art. 700 c.p.c. o la class action ex lege n.15/2009.
A questa eccezione, i ricorrenti replicavano che lo scopo da essi perseguito non consisteva nell’ottenimento di un ristoro patrimoniale, bensì nella denuncia della mancata adozione da parte dello Stato delle misure amministrative e legislative volte a proteggere la loro salute e l’ambiente.
La Corte, rilevando che le doglianze dei ricorrenti concernevano l’assenza di misure volte ad assicurare il risanamento della zona interessata, affermava che tale obiettivo era stato perseguito per molti anni dallo Stato italiano, senza alcun risultato apprezzabile. Riteneva, inoltre, che nessun procedimento interno di natura penale, civile o amministrativo avrebbe potuto raggiungere lo scopo prefissato nel caso in esame e rigettava le eccezioni del Governo.
Nel premettere che lo Stato ha l’obbligo di disciplinare dettagliatamente le attività pericolose, la Corte precisava che essa era tenuta a verificare se le autorità nazionali abbiano affrontato la questione con il giusto livello di diligenza.
Di conseguenza, alla luce degli studi scientifici non contestati dalle parti e della procedura di infrazione intrapresa dagli organi dell’UE, la Corte ha accertato la sussistenza di una situazione di inquinamento ambientale atta a mettere in pericolo la salute dei ricorrenti e, più in generale, di quella della popolazione residente nella zona.
La Corte, ritenendo di non dover applicare nella fattispecie la procedura della “sentenza pilota” (adozione di misure legislative amministrative necessarie per far cessare le attività che sono alle origini delle violazioni ed eliminare le conseguenze derivanti da quest’ultime), ha assegnato al Comitato dei Ministri il compito di indicare al Governo italiano le misure che in termini pratici, devono essere adottate per l’esecuzione della sentenza.
Nessuna somma è stata accordata a titolo di equa soddisfazione ai ricorrenti affetti da patologie connesse all’attività inquinante, né a coloro che a causa delle stesse hanno perso dei congiunti.
La mancanza di un accordo tra lo Stato italiano e i cittadini di Taranto. La citata sentenza del 24 gennaio 2019 è divenuta definitiva il 24 giugno 2019, ma in mancanza di un accordo tra lo Stato italiano ed i cittadini di Taranto, la Corte ha fissato il termine del 20 aprile 2020 entro il quale il Governo dovrà presentare le proprie osservazioni di replica, unitamente alla descrizione dei fatti in causa.
L’emergenza coronavirus. Il “coronavirus”, meglio definito come “Covid – 19”, dichiarato ormai pandemia dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, ha interessato tutti gli aspetti della nostra vita e anche quello del funzionamento dei servizi essenziali.
A disciplinare la materia nella fase di emergenza epidemiologica sono intervenuti di recente, a seguito dei decreti legge n. 6/2020, n.11/2020 e dei DD.PP.CC.MM. in data 8, 9, 11 marzo 2020, anche il decreto legge del 17 marzo 2020, n.18, pubblicato nella G.U. n. 70 del 18 marzo 2020, per contenere e regolare gli effetti in tutti i settori.
Successivamente, è stato emesso il D.P.C.M. in data 22 marzo 2020, pubblicato nella G.U. n.76 in pari data, che ha fornito ulteriori disposizioni attuative del decreto-legge 23 febbraio 2020, n.6, ed ha impartito disposizioni innovative in ordine ai poteri del Prefetto, ampliandoli in maniera significativa.
Da ultimo, nel tentativo di dare una veste costituzionale ai precedenti provvedimenti normativi, è intervenuto il decreto legge 25 marzo 2020, n.19, pubblicato in pari data nella G.U. n.79, che, ai sensi dell’art. 2, comma 3, ha fatti salvi gli effetti prodotti e gli atti adottati sulla base dei decreti e delle ordinanze emanate ai sensi del decreto legge n. 6/2020 ovvero ai sensi dell’art. 32 della legge n.833/1978.
Già i DD.PP.CC.MM. 8, 9, 11, e 22 marzo 2020 incaricavano i Prefetti territorialmente competenti, che potevano avvalersi delle forze di polizia, dei vigili del fuoco e delle forze armate, di garantire il rispetto dei limiti e delle regole ivi previste, normativa che avrebbe dovuto applicarsi anche in materia di pubblica amministrazione e di giustizia.
Altra norma di assoluto rilievo, per i poteri, attribuiti al Prefetto, è quella prevista dal comma d), art. 1, del predetto D.P.C.M. del 22 marzo 2020 il quale dispone che “restano sempre consentite anche le attività che sono funzionali ad assicurare la continuità delle filiere delle attività di cui all’allegato 1, nonché dei servizi di pubblica utilità e dei servizi essenziali di cui alla lettera e), previa comunicazione al Prefetto della provincia ove è ubicata l’attività produttiva, nella quale sono indicate specificamente le imprese e le amministrazioni beneficiarie dei prodotti e servizi attinenti alle attività consentite; il Prefetto può sospendere le predette attività qualora ritenga che non sussistono le condizioni di cui al periodo precedente. Fino all’adozione dei provvedimenti di sospensione dell’attività, essa è legittimamente esercitata sulla base della comunicazione resa”. Prosegue il comma e) disponendo che “sono comunque consentite le attività che erogano servizi di pubblica utilità, nonché servizi essenziali di cui alla legge 12 giugno 1990, n. 146…”.
La prima difficoltà, per il Prefetto, è quella di individuare le attività funzionali ad assicurare le filiere delle attività di cui all’allegato 1. Infatti, oltre all’istituzione di un gruppo di lavoro interno incardinato nell’ufficio di gabinetto e con la collaborazione dell’area di protezione civile, ove non ancora istituito, nonostante le gravissime carenze degli organici in cui versano quasi tutte le prefetture, si suggerisce la costituzione di un gruppo tecnico con la partecipazione di altri enti quali, a titolo meramente esemplificativo, il Questore, il Comandante Provinciale dei Carabinieri, il Comandante Provinciale della Guardia di Finanza, per i risvolti di ordine e sicurezza pubblica, il comandante provinciale dei vigili del fuoco, lo SPESAL, la locale Camera di Commercio, gli uffici tecnici provinciali e comunali, la locale Confindustria, le organizzazioni sindacali e tutti gli altri organi tecnici, pubblici e privati, che il Prefetto riterrà di convocare.
Il potere del Prefetto in siffatta materia è esercitato non solo al fine di reprimere condotte aventi i caratteri dell’illecito, ma anche a tutela degli interessi pubblici lesi o messi in pericolo. Il Prefetto è sempre stato, oltre che il rappresentante del governo sul territorio, anche l’espressione dell’indirizzo politico generale. Il ruolo di garante dei canoni di legalità dell’attività amministrativa, nonché di coordinamento e di vigilanza fa del Prefetto, soprattutto in occasione di tale delicata gravissima situazione emergenziale, un’autorità idonea ad assicurare un’imparziale attuazione delle direttive governative.
Per aziende quali, ad esempio, l’ex Ilva di Taranto, si richiama la lettera g) de D.P.C.M. 22 marzo 2020, ove “sono consentite le attività degli impianti a ciclo produttivo continuo, previa comunicazione al Prefetto della provincia ove è ubicata l’attività produttiva, dalla cui interruzione derivi un grave pregiudizio all’impianto o un grave pregiudizio all’impianto stesso o un pericolo di incidenti. In tali ipotesi il Prefetto può sospendere le predette attività qualora ritenga che non sussistono le condizioni di cui al periodo precedente.
A tal proposito il Prefetto di Taranto, con decreto n.172/2020 del 26 marzo 2020, dopo un’ampia disamina della normativa sopracitata ed aver effettuato la necessaria istruttoria, sentito altresì il Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco, i rappresentanti sindacali di categoria, lo Spesal, la Camera di Commercio, i Commissari ed il custode giudiziario dell’ex Ilva, ha deciso di sospendere fino al 3 aprile 2020 l’attività produttiva ai fini commerciali dello stabilimento siderurgico gestito dalla società Arcelor Mittal, mantenendo l’attività dell’impianto per ragioni di sicurezza.
L’incidenza sull’economia nazionale e sulla realtà sociale di Taranto.
La vertenza Ilva sembra ormai “una grossa matassa fumosa della quale non si comprende né il capo né la coda”. Molti sono i soggetti coinvolti nella vicenda a partire dal Governo, la Regione Puglia, il Comune di Taranto, Arcelor Mittal assegnataria dell’Azienda, i sindacati, Confindustria, l’Unione europea con l’Antitrust, la Cassa Depositi e Prestiti e le associazioni ambientaliste, in favore della chiusura totale dell’azienda.
La situazione è, quindi, complessa per la moltitudine dei soggetti coinvolti e dagli interessi da loro manifestati. L’aspetto ambientale, come accertato dalla citata sentenza della CEDU, risulta critico se si va ad analizzare la salute della popolazione tarantina. Ma un altro aspetto critico, contrastante con il precedente, è quello della condizione lavorativa dei dipendenti dell’azienda e, di riflesso, delle loro famiglie. Il caso Ilva ha quindi le caratteristiche di “una inevitabile malattia socio culturale” e ci si chiede se si può difendere un lavoro che uccide.
Potrebbe risultare difficile trovare un collegamento al caso Ilva e ai temi dell’inclusione, cioè di una società basata sul rispetto reciproco e sulla solidarietà e che garantisce pari opportunità e un tenore di vita dignitoso per tutti.
Nella vicenda tarantina, infatti, hanno prevalso negli anni gli interessi soggettivi di alcuni attori istituzionali, sociali ed economici e spesso l’interesse collettivo è stato sottovalutato. In particolare, gli interessi dei lavoratori e della popolazione residente nei pressi dello stabilimento, sono stati poco ascoltati.
Sebbene sin dal 2012 l’impianto di Taranto risulti sequestrato dalla magistratura penale, le opere di bonifica si susseguono lentamente, con interventi parziali e non pianificati, soprattutto sul piano della sicurezza degli operai; inoltre, l’Ilva è sommersa dal problema dei debiti accumulati.
In questo contesto, potrebbero convivere situazioni ed elementi di coesione socio culturali ed ambientali, quali ad esempio, l’uso sapiente della cultura locale, la valorizzazione delle risorse, dei beni culturali e del paesaggio.
Per quanto riguarda il tema del lavoro, a proposito della chiusura degli impianti dell’area caldo, è frequente ascoltare la frase: “meglio morire di tumore che di fame”. Analoga affermazione, tra poco, si ripeterà per l’emergenza derivante dal coronavirus.
Venendo all’esame delle conseguenze sull’economia italiana, un ulteriore vulnus alla crisi aziendale, è stato dato dall’epidemia del citato morbo, che ha determinato una pesante recessione, dalle dimensioni ancora incerte.
All’inizio del mese di marzo 2020, l’OCSE ha pubblicato una valutazione degli impatti del covid-19 sull’economia, con una diffusione a livello pandemico, prevedendo che il Pil mondiale si ridurrà dell’1.5 % rispetto alle previsioni di fine anno 2019. La maggior parte del calo deriverebbe dagli effetti diretti della riduzione della domanda, dell’accresciuta incertezza dalla contrazione del commercio di circa il 3% nel 2020, colpendo le esportazioni in tutte le economia, senza considerare la domanda globale.
Tale analisi è suscettibile di essere rivista al ribasso ed avrà effetti inesorabili anche sull’azienda Arcelor Mittal.
A complicare ulteriormente la vicenda, è in intervenuta l’ordinanza del sindaco di Taranto del 27 febbraio 2020 con la quale è stato intimato alla azienda Arcelor Mittal e ad Ilva in amministrazione straordinaria di risolvere il problema delle emissioni entro trenta giorni. Non avendo i citati soggetti provveduto, in data 29 marzo 2020 il citato amministratore ha disposto la fermata degli impianti dell’area a caldo, nonostante il ricorso al TAR di Lecce presentato in limine dei termini di scadenza.
In conclusione, nonostante le opinioni fortemente contrastanti della popolazione tarantina nella definizione delle complesse problematiche, non potrà non tenersi conto della circostanza che l’azienda eroga servizi essenziali e strategici per l’economia nazionale e che consente la sopravvivenza di circa cinquantamila cittadini, considerate le famiglie dei dipendenti diretti e dell’indotto. Pertanto, non si può sottacere la necessità di prevenire le gravissime situazioni per l’ordine e la sicurezza pubblica che inevitabilmente si verificheranno in caso di chiusura dell’azienda, come sta avvenendo in questi giorni a seguito dei necessari provvedimenti per la prevenzione del diffondersi del contagio da covid-19.