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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Inquinamento acustico Numero: 2684 | Data di udienza: 28 Gennaio 2020

INQUINAMENTO ACUSTICO – Tutela del bene giuridico protetto dalla legge quadro n. 447/1995 – Diverso bene giuridico della pubblica tranquillità – Comuni – Competenza ad adottare misure di contenimento dell’inquinamento acustico non direttamente collegate con il superamento dei limiti fissati per le immissioni sonore.


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 2^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 27 Aprile 2020
Numero: 2684
Data di udienza: 28 Gennaio 2020
Presidente: Cirillo
Estensore: Guarracino


Premassima

INQUINAMENTO ACUSTICO – Tutela del bene giuridico protetto dalla legge quadro n. 447/1995 – Diverso bene giuridico della pubblica tranquillità – Comuni – Competenza ad adottare misure di contenimento dell’inquinamento acustico non direttamente collegate con il superamento dei limiti fissati per le immissioni sonore.



Massima

CONSIGLIO DI STATO, Sez. 2^ – 27 aprile 2020, n. 2684

INQUINAMENTO ACUSTICO – Tutela del bene giuridico protetto dalla legge quadro n. 447/1995 – Diverso bene giuridico della pubblica tranquillità – Comuni – Competenza ad adottare misure di contenimento dell’inquinamento acustico non direttamente collegate con il superamento dei limiti fissati per le immissioni sonore.

La tutela del bene giuridico protetto dalla legge quadro n. 447 del 26 ottobre 1995, la quale mira alla salvaguardia di un complesso di valori (cfr. art. 2, co. 1, lett. a) rispetto al fenomeno dell’inquinamento acustico, coesiste con la tutela del diverso bene giuridico che è costituito dalla pubblica tranquillità, trattandosi di beni presidiati da norme con obiettivi e struttura diversi; al di là di quanto specificamente previsto dall’art. 6, co. 3, l. n. 447/95 per i comuni il cui territorio presenti un rilevante interesse paesaggistico-ambientale e turistico, perciò, la legislazione sull’inquinamento acustico non impedisce agli altri comuni di adottare una più specifica regolamentazione dell’emissione e dell’immissione dei rumori nel loro territorio, la quale, nel rispetto dei vincoli derivanti dalla L. n. 447 del 1995, prenda in considerazione, non già il dato oggettivo del superamento di una certa soglia di rumorosità – considerato, per presunzione iuris et de iure, come generativo di un fenomeno di inquinamento acustico, a prescindere dall’accertamento dell’effettiva lesione del complesso di valori indicati nell’art. 1, comma 1, lett. a), della Legge – ma i concreti effetti negativi provocati dall’impiego di determinate sorgenti sonore sulle occupazioni o sul riposo delle persone, e quindi sulla tranquillità pubblica o privata (Cass., 9 ottobre 2003, n. 15081; Cass. civ., sez. I, 1° settembre 2006, n. 18953; C.d.S., sez. V, 28 febbraio 2011, n. 1265). Deve, in altri termini, riconoscersi ai Comuni la competenza ad adottare misure di contenimento dell’inquinamento acustico, anche introducendo fasce orarie, non direttamente collegate con il superamento dei limiti fissati per le immissioni sonore.

(Conferma TRGA Trento n. 104/2012) – Pres. Cirillo, Est. Guarracino – D. s.r.l. (avv.ti Tomasoni e Pafundi) c. Comune di Rovereto (avv.ti Manica e Di Rienzo) e altro (n.c.)


Allegato


Titolo Completo

CONSIGLIO DI STATO, Sez. 2^ - 27 aprile 2020, n. 2684

SENTENZA

Pubblicato il 27/04/2020

N. 02684/2020REG.PROV.COLL.

N. 07281/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7281 del 2012, proposto dalla società Dicomi S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Beatrice Tomasoni e Gabriele Pafundi ed elettivamente domiciliata presso lo studio di quest’ultimo in Roma, viale Giulio Cesare n. 14- 4/A;

contro

– Comune di Rovereto, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Gianpaolo Manica e Pasquale Di Rienzo ed elettivamente domiciliato presso lo studio di quest’ultimo in Roma, viale Giuseppe Mazzini n.11;
– Dirigente del Servizio Verde e Tutela Ambientale del Comune di Rovereto, non costituito in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa di Trento del 4 aprile 2012, n. 104, resa tra le parti sul ricorso n.r.g. 257/2011, proposto per l’annullamento della diffida del 27 settembre 2011, emessa dal Dirigente del Servizio verde e tutela ambientale del Comune di Rovereto, ai sensi dell’art. 60, comma 5, della l.p. n. 10 del 1998, avente ad oggetto l’impianto di autolavaggio self-service “Il Pinguino” sito in Rovereto, via Abetone – procedimento del 4 aprile 2011, prot. n. 0014042, e 5 maggio 2011, prot. n. 0019271, e di ogni altro atto presupposto, connesso e conseguente, ed in particolare dell’indagine fonometrica effettuata per conto del Comune di Rovereto nel giorno 30 ottobre 2010, comunicata con nota del 5 maggio 2011, n. 0019271, e del successivo atto del 9 novembre 2011, prot. n. 0047560, limitatamente alla parte in cui il Comune di Rovereto ha chiesto una nuova misura fonometrica a carico della Società ricorrente.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Rovereto;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 28 gennaio 2020 il Cons. Francesco Guarracino e uditi l’avv. Beatrice Tomasoni per la società appellante e l’avv. Pasquale Di Rienzo per l’amministrazione appellata;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Con ricorso al Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa di Trento, la Dicomi S.r.l., titolare dell’impianto di autolavaggio automatico “il Pinguino” sito nel Comune di Rovereto alla via Abatone 51/13, impugnava il provvedimento dirigenziale del 27 settembre 2011 col quale l’amministrazione comunale l’aveva diffidata «alla pedissequa applicazione dell’art. 10 del regolamento comunale in materia di inquinamento acustico, là ove contempla l’inibizione nella fascia oraria notturna, che va dalle ore 20.00 alle ore 7.30 nei giorni feriali e dalle ore 19.00 alle ore 9.00 nei giorni festivi, di ogni qualsivoglia attività di lavaggio» ed alla presentazione, entro trenta giorni, di un piano di risanamento acustico a causa dell’accertato superamento, «nel periodo diurno», degli standard legali di accettabilità acustica definiti dall’art. 4 del D.P.C.M. 14 novembre 1997.

Con sentenza del 4 aprile 2012, n. 104, l’adito Tribunale, disattese preliminarmente le eccezioni sollevate in rito dalla difesa del Comune di Rovereto, respingeva il ricorso per la parte concernente il primo punto della diffida impugnata (il rispetto dell’art. 10 del regolamento comunale) e lo accoglieva per la parte riguardante il secondo punto (la presentazione di un piano di risanamento acustico).

Con ricorso in appello la società Dicomi ha impugnato il capo della sentenza che l’ha vista soccombente e ha riproposto la domanda risarcitoria già articolata ma non esaminata dal Giudice di primo grado.

Il Comune di Rovereto ha resistito all’appello con memoria difensiva, reiterando l’eccezione di inammissibilità per omessa impugnazione del regolamento comunale in materia di inquinamento acustico, già formulata nel giudizio di primo grado, e contestando, nel merito, la fondatezza dei motivi di gravame.

Alla camera di consiglio del 13 novembre 2012, fissata per l’esame dell’istanza cautelare di sospensione della esecutività della sentenza appellata, la causa è stata rinviata al merito su istanza dell’appellante.

In vista dell’udienza pubblica del 9 luglio 2019 le parti hanno presentato un’istanza congiunta di cancellazione della causa dal ruolo motivata dalla pendenza di trattative anche in relazione ad un possibile spostamento in altro luogo dell’impianto di autolavaggio.

La causa è stata nuovamente fissata per l’udienza pubblica del 28 gennaio 2020, per la quale l’appellante ha prodotto memorie, ed all’esito della stessa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

Preliminarmente, persiste l’interesse alla decisione, poiché nella memoria di discussione la società appellante ha rappresentato che non si è pervenuti alla stipula dell’accordo di programma propedeutico al trasferimento dell’autolavaggio e ha insistito per l’accoglimento dell’appello.

Sempre in rito, occorre rilevare che l’eccezione d’inammissibilità del ricorso di primo grado per la mancata impugnazione del presupposto regolamento comunale sull’inquinamento acustico è stata già esaminata e respinta dal Giudice territoriale (cfr. punto 1.c della motivazione), cosicché la relativa questione, per essere ritualmente riproposta in questa sede, avrebbe dovuto formare oggetto di appello incidentale, il che non è avvenuto.

Costituisce, infatti, principio consolidato quello secondo cui l’eccezione d’inammissibilità del ricorso, dedotta dalla parte intimata nel processo di primo grado ed espressamente respinta nella sentenza di primo grado, è inammissibile se devoluta al giudice di secondo grado mediante semplice memoria, in difetto del necessario appello incidentale avverso il capo di sentenza che l’ha espressamente esaminata e disattesa (ex multis, C.d.S. sez. III, 6 settembre 2018, n. 5229).

Nel merito, l’appello è infondato.

In primo grado la società appellante aveva contestato l’interpretazione data dall’amministrazione all’art. 10 del regolamento in materia di inquinamento acustico, approvato dal Consiglio comunale con deliberazione n. 9 del 30 gennaio 2007, sostenendo che non imponesse la chiusura dell’impianto nel periodo notturno e ciò in base all’interpretazione a suo tempo offerta dallo stesso T.R.G.A. delle identiche prescrizioni contenute nell’art. 9 del previgente regolamento del 2003 (sent. n. 419 del 2004 tra le medesime parti); con successiva memoria aveva invocato, in ogni caso, il potere del giudice amministrativo di disapplicazione dei regolamenti, anche non impugnati.

Il T.R.G.A. ha respinto le censure giudicando, alla luce della disposizione regolamentare, «di palmare evidenza che, nelle zone residenziali, l’esercizio notturno dell’attività di autolavaggio è inibito non dal provvedimento impugnato ma direttamente dall’art. 10 del regolamento comunale sull’inquinamento acustico il quale è chiaro nel consentire sia “l’impiego delle apparecchiature” ma anche, “più in generale”, “lo svolgimento dell’attività di autolavaggio” solo negli orari diurni indicati nel rispetto dei limiti di legge e della zonizzazione acustica comunale».

Con l’ordine impartito al punto 1 dell’atto impugnato il Comune di Rovereto, dunque, avrebbe fatto mera applicazione dell’art. 10 del citato regolamento, adottato ai sensi dell’art. 6 della legge 26 ottobre 1995, n. 447, e dell’art. 60, comma 1, della legge provinciale 11 settembre 1998, n. 10, sulla competenza dei comuni ad adottare regolamenti per l’attuazione della disciplina statale e regionale per la tutela dall’inquinamento acustico, che avrebbe consentito agli stessi di «disciplinare l’emissione e l’immissione dei rumori tramite l’adozione di misure di contenimento dell’inquinamento acustico, fra le quali anche l’introduzione di fasce orarie per l’esercizio di determinate attività non direttamente collegate con il superamento dei limiti fissati per le immissioni sonore», come già riconosciuto in giurisprudenza.

Secondo il T.R.G.A., non sarebbe stato invocabile, in senso contrario, la precedente sentenza pronunciata nel giudizio di impugnazione del regolamento del 2003, contenente disposizioni identiche a quelle dell’art. 10 del regolamento del 2007, attesa l’univocità delle disposizioni regolamentari da applicare al caso di specie, né di queste ultime sarebbe stata concepibile alcuna disapplicazione, «stante la legittimità delle disposizioni dell’art. 10 del menzionato regolamento comunale perché esse non contrastano, come più sopra già è stato rilevato, con il disposto legislativo primario di cui all’art. 6 della legge n. 447 del 1995, del quale sono dunque volte a dare esecuzione in ambito locale (cfr., C.d.S., sez. VI, 12.4.2000, n. 2183)».

L’appello è affidato a tre complessi motivi.

Col primo motivo (pagg. 9 -19) la società appellante reitera anzitutto l’argomento del contrasto con la diversa interpretazione della disposizione regolamentare contenuta nella sentenza n. 419/04 dello stesso T.R.G.A., per la quale l’attività sarebbe stata limitata in orario notturno solo se rumorosa alla stregua dei limiti specifici normativamente stabiliti, in linea coi vincoli derivanti dalla legge quadro sull’inquinamento acustico n. 447/95 che non prevedrebbe la possibilità per i comuni di regolare l’esercizio di attività che impieghino sorgenti sonore, ma solo quella di regolare l’emissione del rumore (sicché gli stessi non potrebbero inibire l’esercizio dell’attività, a meno che la stessa non superi i limiti di rumorosità imposti dalla legge stessa), ed in senso non diverso dalla giurisprudenza civile, richiamata nella sentenza appellata, che avrebbe riguardato l’inopportuno impiego di apparecchiature rumorose; inoltre, la decisione appellata non avrebbe tenuto conto che il presupposto della diffida, ai sensi dell’art. 60, co. 5, della legge della Provincia autonoma di Trento n. 11 del 1998, richiamato nel provvedimento impugnato, era che dai controlli risulti che i livelli delle emissioni e delle immissioni sonore non fossero conformi alle prescrizioni normative od a quelle amministrative in vigore, mentre, nel caso di specie, il Comune avrebbe accertato il rispetto dei livelli delle emissioni e delle immissioni sonore da parte dell’impianto di autolavaggio gestito dall’appellante; tutto ciò deporrebbe nel senso che il regolamento del 2007 vietasse non l’attività di autolavaggio nelle ore notturne, ma unicamente l’utilizzo di apparecchiature rumorose e, ove così non fosse stato, esso avrebbe dovuto essere disapplicato per contrasto con la legge, con conseguente ulteriore erroneità, su questo specifico punto, della decisione gravata.

Col secondo motivo (pagg. 19 – 24) torna sul vincolo che sarebbe derivato all’attività decisoria del Giudice di primo grado dalla sua precedente sentenza del 2004, richiamando principi generali in tema di cosa giudicata sostanziale per sostenere che i provvedimenti amministrativi adottati in contrasto con la statuizione di quella sentenza, secondo cui sarebbe stato da escludere che nell’orario indicato l’attività fosse proibita in sé e non in quanto rumorosa, sarebbero stati nulli o comunque annullabili, poiché anche nel caso di sentenze di rigetto si formerebbe il giudicato, ancorché nei limiti dei motivi posti a fondamento della domanda; soggiunge che, anche a voler seguire l’orientamento che esclude l’idoneità delle sentenze di rigetto al giudicato sostanziale, limitandosi queste ad accertare l’infondatezza delle censure proposte dal ricorrente, non sarebbe possibile per lo stesso Giudice disattendere il proprio precedente unicamente sulla base di una diversa interpretazione della legge, come non sarebbe possibile annullare di ufficio un precedente provvedimento amministrativo al solo fine di ristabilire la legittimità violata; sostiene infine che, in ogni caso, le diverse conclusioni raggiunte dal T.R.G.A. avrebbero frustrato le funzioni tipiche della sentenza d’individuare la regola del caso concreto e di garantire la certezza dei rapporti giuridici.

Col terzo motivo (pagg. 24 -28) ripropone la domanda risarcitoria e le censure non esaminate in primo grado, segnatamente quella riguardante l’insussistenza di modifiche delle previsioni urbanistiche e di classificazione acustica dell’area de qua rispetto alla situazione esistente all’atto della precedente sentenza e, comunque, l’irrilevanza delle stesse ai fini dell’interpretazione ed applicazione della disposizione regolamentare; quella dell’irragionevolezza ed illogicità dell’azione dell’amministrazione comunale, che dapprima avrebbe ingiunto all’interessata di effettuare lavori per riportare l’attività notturna nei limiti della normativa ed in seguito l’avrebbe vietata, sebbene conformata; quella della carenza del presupposto di cui all’art. 60, co. 5, l.p. cit. per l’adozione della diffida; quella della contraddittorietà del comportamento dell’amministrazione comunale, che in un primo tempo (con nota prot. 1984/05 del 17 maggio 2005) si sarebbe conformata alle indicazioni della sentenza del 2004; quella, infine, della violazione del principio di buona fede (avendo il Comune di Rovereto prima ingiunto l’adozione di misure ed interventi di contenimento delle emissioni sonore relative all’attività notturna e poi senz’altro ingiuntone il divieto) e del legittimo affidamento in merito alla possibilità di esercizio dell’attività di autolavaggio anche di notte, consolidatosi in forza della sentenza del 2004, dell’interpretazione fatta propria dal Comune di Rovereto e comunicata alla società, del rilascio della concessione edilizia per effettuare i lavori in esecuzione della precedente ingiunzione del 2006 e, infine, dei controlli sul rumore dell’impianto eseguiti in orario notturno.

I motivi di appello si prestano ad un esame congiunto, in ragione della loro evidente stretta connessione.

La prima questione che occorre esaminare è quella del preteso vincolo all’attività interpretativa del giudice che sarebbe derivato dalla sentenza del 2004, allora appellata ma non sospesa.

Vera è la sostanziale corrispondenza del testo del precedente regolamento comunale del 2003 con quello dell’art. 10 del regolamento comunale in materia di inquinamento acustico vigente all’epoca dell’adozione del provvedimento impugnato in primo grado.

Tuttavia, la tesi che il Giudice di primo grado non potesse discostarsi dall’interpretazione che avrebbe dato a quel testo nella precedente pronuncia resa inter partes, con la quale aveva respinto il ricorso proposto dalla medesima società contro quella specifica disposizione affermando che essa non avrebbe limitato l’attività di per sé stessa, ma soltanto in quanto rumorosa, per quanto suggestiva non può essere condivisa.

Nel nostro sistema processuale amministrativo non sussiste la regola dello stare decisis, se non con esclusivo riferimento al principio di diritto enunciato da questo Consiglio in Adunanza plenaria, ai sensi e nei termini di cui all’art. 99 c.p.a. (C.d.S., sez. III, 13 maggio 2015, n. 2398, e, prima del codice, C.d.S., sez. IV, 13 marzo 2009, n. 1517).

Sotto altro e diverso aspetto, anche a voler ritenere che pure le pronunce di rigetto, sebbene lascino invariato l’assetto giuridico dei rapporti posto dall’atto impugnato (ex ceteris, C.d.S., sez. VI, 3 ottobre 2017, n. 4600), siano suscettibili del giudicato sostanziale, il quale, in particolare, renderebbe irreversibili gli accertamenti compiuti e i giudizi resi in connessione ai motivi di ricorso (C.d.S., sez. V, 8 aprile 2014, n. 1669: «come accade per ogni sentenza, anche in questa tipologia di vicende, strutturalmente orientate al futuro in quanto esprimenti regole da osservare nel caso concreto, la sentenza del giudice amministrativo accerta fatti, situazioni, rapporti ed esprime un giudizio di legittimità o illegittimità sui provvedimenti che li hanno generati e disciplinati»), resta il fatto che, all’atto dell’adozione della decisione qui impugnata, la sentenza pronunciata dal T.R.G.A. nel 2004 non era ancora passata in giudicato, pendendo su di essa appello.

Il fatto che quella sentenza, seppur appellata, non fosse stata sospesa, non bastava a condizionare l’esito del nuovo giudizio innanzi al T.R.G.A. mediante un effetto che sarebbe potuto discendere solo da un precedente giudicato con identità di soggetto ed oggetto.

La res iudicata formale sulla decisione del 2004 si è formata solo nelle more del presente grado di giudizio, a seguito della sentenza d’improcedibilità dell’appello per sopravvenuto difetto di interesse (C.d.S., sez. V, 20 gennaio 2015, n. 165, che, peraltro, dà atto in motivazione dell’avvenuto deposito di una rinuncia all’appello successivamente alla data di spedizione in decisione).

Resta, nondimeno, che era ben possibile dedurre per la prima volta nel corso del presente grado del giudizio l’eccezione di giudicato esterno, per essersi questo formato nelle more dell’appello, e, dato che la sussistenza della cosa giudicata esterna è rilevabile d’ufficio dal giudice (C.d.S., Ad. plen., 6 aprile 2017, n. 1), ciò non richiedeva il rispetto di particolari formalità.

Tuttavia, l’eccezione di giudicato presuppone identità perfetta, oltre che di soggetti, anche di oggetto, di modo che possa ritenersi sussistente una ontologica e strutturale concordanza fra gli estremi su cui debba esprimersi il secondo giudice e gli elementi distintivi della decisione emessa per prima, avendo questa accertato lo stesso fatto od un fatto ad esso antitetico, non anche un fatto costituente soltanto un possibile antecedente logico, restando poi la contrarietà con la sentenza avente autorità di cosa giudicata ipotizzabile solo in relazione all’oggetto degli accertamenti in essa racchiusi (ex ceteris, C.d.S., sez. III, 19 aprile 2017, n.1844; Cass., sez. II, 21 dicembre 2012, n. 23815).

Ebbene, nel caso in esame le due sentenze in preteso contrasto hanno un oggetto diverso, avendo deciso la prima su una domanda di annullamento dell’art. 9 del regolamento comunale del 2003 e la seconda su una domanda di annullamento del provvedimento di diffida del 27 settembre 2011 adottato in applicazione dell’art. 10 del regolamento comunale del 2007, il quale, viceversa, non è stato impugnato.

Inoltre, la soluzione della questione ermeneutica dell’esatta delimitazione del divieto posto dalla disposizione regolamentare raggiunta nella prima decisione del T.R.G.A. non si sostanzia nell’accertamento dell’esistenza od inesistenza di un fatto storico o di un rapporto giuridico che, ove costituisca antecedente logico necessario della decisione, può essere suscettibile di res iudicata, ma rappresenta il frutto dell’ordinario compito di interpretazione della disciplina applicabile, sicché neppure per questo profilo è ipotizzabile un problema di rispetto di un giudicato sostanziale, a prescindere da ogni ulteriore approfondimento e finanche dall’ulteriore complicazione legata al fatto che si discorre di distinte fonti di produzione normativa (il regolamento del 2003 e quello del 2007).

Esclusa la sussistenza di un vincolo cogente derivante dall’autorità del precedente o dalla res iudicata sul caso concreto, può passarsi alla questione dell’interpretazione della norma contenuta nell’art. 10 del regolamento in materia di inquinamento acustico approvato dal Consiglio comunale con deliberazione n. 9 del 30 gennaio 2007.

Il testo dell’articolo in questione, rubricato “Autolavaggi”, recita: «L’impiego di apparecchiature rumorose (aspiratori automatici, lavajet, ecc.) nell’ambito dei sistemi di autolavaggio con mezzi automatici e non, installati nei pressi o in aree confinanti con zone residenziali, e, più in generale, lo svolgimento di dette attività, anche self-service, in aree aperte al pubblico è consentito, al fine di tutelare dal disturbo le occupazioni o il riposo delle persone, secondo gli orari indicati in Tabella A, e, comunque, nel rispetto dei limiti di legge e della zonizzazione acustica comunale». A sua volta, la richiamata tabella A stabilisce i seguenti orari: «nei giorni feriali dalle ore 7.30 alle ore 20.00 e nei giorni festivi dalle ore 09.00 alle ore 19.00».

La disposizione, dichiaratamente preordinata a tutelare dal disturbo le occupazioni ed il riposo delle persone, individua ed accomuna nella stessa disciplina due fattispecie distinte legate da un rapporto di continenza: la prima concernente «l’impiego di apparecchiature rumorose …. nell’ambito dei sistemi di autolavaggio con mezzi automatici e non, installati nei pressi o in aree confinanti con zone residenziali», la seconda riguardante «più in generale, lo svolgimento di dette attività, anche self-service, in aree aperte al pubblico», dove il richiamo alle attività già menzionate nello stesso testo («dette attività») si riferisce all’uso di apparecchiature rumorose (aspiratori automatici, lavajet, ecc.).

Queste attività sono consentite dalla norma soltanto negli orari indicati nella richiamata tabella («nei giorni feriali dalle ore 7.30 alle ore 20.00 e nei giorni festivi dalle ore 09.00 alle ore 19.00») e, dunque, sono proibite, in generale, in orario notturno; tuttavia, esse sono proibite anche negli orari normalmente consentiti se non si svolgano «nel rispetto dei limiti di legge e della zonizzazione acustica comunale» (la natura aggiuntiva del limite è indicata dall’uso del connettivo «comunque»).

Ne segue che, per il testo del regolamento, il divieto di utilizzo di macchinari per autolavaggio è assoluto in orario notturno e prescinde da qualsiasi indagine sul rispetto in concreto dei limiti di emissione acustica, che, invece, riacquistano rilevanza per le attività espletate in orario diurno, a massima tutela della quiete pubblica.

Corretta risulta allora l’interpretazione della disposizione data dal T.R.G.A. nella sentenza appellata, in cui ha asserito che le disposizioni «sono univoche nell’inibire, negli indicati orari notturni, lo svolgimento dell’attività di autolavaggio, anche self-service nelle zone residenziali».

Così interpretato, l’art. 10 del regolamento comunale non è in contrasto con le norme di rango primario che definiscono il quadro legislativo di riferimento.

La giurisprudenza ha chiarito che la tutela del bene giuridico protetto dalla legge quadro n. 447 del 26 ottobre 1995, la quale mira alla salvaguardia di un complesso di valori (cfr. art. 2, co. 1, lett. a) rispetto al fenomeno dell’inquinamento acustico, coesiste con la tutela del diverso bene giuridico che è costituito dalla pubblica tranquillità, trattandosi di beni presidiati da norme con obiettivi e struttura diversi, e ha riconosciuto perciò, al di là di quanto specificamente previsto dall’art. 6, co. 3, l. n. 447/95 per i comuni il cui territorio presenti un rilevante interesse paesaggistico-ambientale e turistico, che la legislazione sull’inquinamento acustico «non impedisce … ai comuni di adottare una più specifica regolamentazione dell’emissione e dell’immissione dei rumori nel loro territorio, la quale, nel rispetto dei vincoli derivanti dalla L. n. 447 del 1995, prenda in considerazione, non già il dato oggettivo del superamento di una certa soglia di rumorosità – considerato, per presunzione iuris et de iure, come generativo di un fenomeno di inquinamento acustico, a prescindere dall’accertamento dell’effettiva lesione del complesso di valori indicati nell’art. 1, comma 1, lett. a), della Legge – ma i concreti effetti negativi provocati dall’impiego di determinate sorgenti sonore sulle occupazioni o sul riposo delle persone, e quindi sulla tranquillità pubblica o privata (Cass., 9 ottobre 2003, n. 15081)» (Cass. civ., sez. I, 1° settembre 2006, n. 18953, chiarendo, pertanto, che nello specifico caso ivi affrontato «non si trattava di stabilire se fossero stati osservati i limiti massimi al riguardo introdotti da detto D.P.C.M., né di compiere le rilevazioni nelle località e con i criteri individuati dalle norme dianzi indicate, tali da richiedere l’utilizzazione di appositi apparecchi di precisione; bensì di accertare se il rumore generato dalla condotta ascrivibile al ricorrente fosse idoneo a determinare l’evento di disturbo della tranquillità pubblica avuto di mira dalla norma regolamentare»).

Si tratta di un indirizzo che in passato è già stato fatto proprio da questo Consiglio, il quale ha affermato un principio valevole, in coerenza con la giurisprudenza richiamata, per tutti i comuni e non soltanto per quelli di rilevante interesse paesaggistico-ambientale e turistico (come invece opinato a pag. 17 dell’appello).

Si è detto infatti (C.d.S., sez. V, 28 febbraio 2011, n. 1265) che «[p]ur non potendo … gli enti locali introdurre, nell’esercizio della propria potestà regolamentare, limiti alle immissioni sonore diversi e comunque inferiori a quelli previsti dalla l. n. 447 del 1995, i Comuni possono dettare disposizioni particolari, anche presidiate da sanzione amministrativa, che vietino non già le immissioni sonore che superino una soglia acustica prestabilita, ma tutte quelle che comunque nuocciano alla quiete e alla tranquillità pubblica o privata, quale che sia il loro livello acustico (Cassazione civile, sez. I, 1 settembre 2006, n. 18953).

Deve, quindi, riconoscersi ai Comuni la competenza ad adottare misure di contenimento dell’inquinamento acustico, anche introducendo fasce orarie, non direttamente collegate con il superamento dei limiti fissati per le immissioni sonore».

Questo è quanto accaduto anche nel caso esaminato dal T.R.G.A., alla stregua di tutto quanto si è detto e tenuto conto, altresì, dell’ambivalenza del regolamento comunale del 2007 che, pur intitolato alla materia dell’inquinamento acustico e pur richiamando in apertura la legge n. 447/95 e il decreto del Presidente della Giunta provinciale 26 novembre 1998, n. 38-110/Leg, di attuazione del capo XV della legge provinciale 11 settembre 1998, n. 10, si occupa espressamente anche della tutela della tranquillità pubblica e privata (cfr. art. 8).

Il richiamo al precedente della Quinta Sezione vale a superare anche gli ulteriori profili di critica alla decisione di primo grado, essendosi in quell’occasione parimenti già chiariti sia l’erroneità dell’equivalenza tra rispetto dei limiti e assenza di rumore, posto che il potere esercitato nella specie è diretto proprio a mitigare emissioni sonore che, pur rientrando nei limiti, possano arrecare disturbo alla quiete (anche nel caso in esame, come in quello esaminato all’epoca, le contestazioni mosse nel passato all’attività dell’appellante dimostrano la concretezza di tale rischio), sia l’assenza di contraddittorietà con precedenti atti adottati dal Comune per far rientrare la ditta nei limiti, costringendola ad effettuare opere di insonorizzazione comunque necessarie per lo svolgimento dell’attività in orario diurno.

Gli ulteriori profili di censura sollevati col primo motivo del ricorso innanzi al T.R.G.A., del cui mancato esame l’appellante si duole, debbono ritenersi complessivamente respinti dal Giudice di primo grado col rigetto di quel motivo nella sua interezza, siccome riferiti dallo stesso Giudice alla questione unica dell’interpretazione dell’art. 10 (cfr. pag. 3 sentenza). Ad ogni buon conto, le doglianze riproposte col terzo motivo di appello sulla irragionevolezza dell’azione dell’amministrazione comunale e sulla violazione dei principi di buona fede e di legittimo affidamento si scontrano con la natura vincolata delle misure adottate dal Comune per assicurare il rispetto della norma regolamentare.

Di conseguenza non può esservi spazio anche per la domanda risarcitoria, mancando anzitutto il presupposto dell’ingiustizia del danno.

Per queste ragioni, in conclusione, l’appello dev’essere respinto.

Nell’oggettiva disputabilità delle questioni esaminate si ravvisano i presupposti di legge per la compensazione delle spese del presente grado del giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Compensa le spese del presente grado del giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 gennaio 2020 con l’intervento dei magistrati:

Gianpiero Paolo Cirillo, Presidente

Giancarlo Luttazi, Consigliere

Antonella Manzione, Consigliere

Cecilia Altavista, Consigliere

Francesco Guarracino, Consigliere, Estensore

Da Assegnare Magistrato, Consigliere

L’ESTENSORE
Francesco Guarracino

IL PRESIDENTE
Gianpiero Paolo Cirillo

IL SEGRETARIO

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