Nota a sentenza Consiglio di Stato 21 aprile 2016 sentenza n. 1599.
IL SERVIZIO DI PUBBLICA ILLUMINAZIONE TRA INNOVAZIONI E REVOCHE.
Nota a sentenza Consiglio di Stato 21 aprile 2016 n. 1599
Simone Budelli
MASSIME
APPALTI – DANNO e RESPONSABILITA’ P.A. – Servizio di gestione di illuminazione pubblica – Gara di concessione – Mancato affidamento – Revoca – Responsabilità precontrattuale – Risarcimento danni – Rigetto.
E’ legittima la revoca dell’aggiudicazione provvisoria di una gara di appalto motivata dalla sopravvenuta mancata corrispondenza della procedura alle esigenze di pubblico interesse, per carenza di copertura finanziaria e anche con riferimento al risparmio economico che ne deriverebbe. (Nel caso di specie un Comune revocava la gara indetta dalla Giunta precedente prima della scadenza per la presentazione delle candidature).
La responsabilità precontrattuale astrattamente ammissibile anche in presenza di una revoca legittima, nel caso in cui la P.A. ha ingenerato nella parte un ragionevole affidamento nella conclusione della gara e nella possibilità di aggiudicarsi l’appalto stesso, non sussiste quando la revoca della gara è intervenuta prima della scadenza del termine per la presentazione della domanda di partecipazione alla gara, poiché nessun affidamento si è potuto ragionevolmente ingenerare nei concorrenti.
Provvedimento: Sentenza - Autorità giudicante: Consiglio di Stato - Sezione: V - Appello: sentenza TAR Veneto, Sez. I, n. 852/2015 - conferma - Regione: Veneto - Data pubblicazione 21 aprile 2016
Numero sentenza: 1599 – Udienza: 10 marzo 2016 – Presidente: Dott. Carlo Saltelli – Estensore Cons. Raffaele Prosperi
NOTA A SENTENZA
Il servizio di pubblica illuminazione tra innovazioni e revoche .
Sommario: 1. Il contesto; 2. Il servizio di gestione del servizio di pubblica illuminazione e le anomalie riscontrate dall’ANAC; 3. La vicenda dell’affidamento della pubblica illuminazione del Comune di S. Bonifacio; 3.1 Sulla competenza; 3.2 Sulla legittimità della revoca; 3.3 Sull’obbligo di motivazione; 3.4 La responsabilità pre-contrattuale; 3.5 La perdita di chances.
1. Il contesto
La vicenda esaminata nella sentenza in commento è molto diffusa tra i piccoli comuni italiani. Le piccole amministrazioni, prive di risorse finanziarie, si sono lanciate in programmi di adeguamento normativo, messa in sicurezza e di rinnovamento dei vetusti impianti di pubblica illuminazione, utilizzando la finanza di progetto. Si tratta di progetti di grande impatto “politico-amministrativo”1: l’illuminazione comunale diventa più efficiente sotto il profilo sia del risparmio energetico, sia dell’inquinamento luminoso, sia dei costi di manutenzione; le strade meglio illuminate, diventano più sicure con riguardo sia alla prevenzione dei rischi da incidenti stradali, sia relativamente alle specifiche problematiche di pubblica sicurezza. Una migliore illuminazione, infine, consente di valorizzare i tesori ambientali e artistici dei comuni, con evidenti ricadute anche sotto un profilo turistico. Il meccanismo dei progetti in questione è di fatto semplice: le aziende presenti sul mercato propongono di rinnovare gli impianti, sostituendo a proprie spese le ormai superate lampade ad incandescenza con corpi illuminanti di ultima generazione, capaci di meglio illuminare, di ridurre gli oneri di manutenzione, di ridurre l’inquinamento luminoso, ma soprattutto di risparmiare notevolmente i consumi di energia elettrica. Il privato rientra nell’investimento, lucrando per un periodo molto lungo (di solito ventennale) sul risparmio energetico ottenuto: il Comune continua a pagare gli stessi importi (in termini di consumi e manutenzione) all’impresa, la quale, per un periodo appunto ventennale, trattiene per sé il risparmio energetico ottenuto con il nuovo impianto.
2. Il servizio di gestione del servizio di pubblica illuminazione e le anomalie riscontrate dall’ANAC
L’illuminazione pubblica rappresenta un servizio pubblico locale2. Esso ha rilevanza economica e come tale il suo affidamento è soggetto alla disciplina comunitaria. La scelta sulla gestione del servizio di pubblica illuminazione deve essere preceduta da una relazione3, in cui risultino le ragioni della sussistenza dei requisiti previsti dall’ordinamento europeo per la forma di affidamento prescelta.
L’affidamento del servizio può avvenire mediante gestione diretta da parte di società a totale capitale pubblico (cd. in house providing4) oppure ad una società mista pubblico-privata5.
Il servizio può anche essere esternalizzato attraverso procedure ad evidenza pubblica: l’appalto di lavori e/o servizi, la concessione di servizi con la componente lavori, finanziamento tramite terzi (FTT) ovvero attraverso il project financing.
Da un’indagine conoscitiva condotta dall’ANAC è tuttavia emerso un utilizzo improprio dei contratti di partenariato pubblico privato (PPP). In particolare, è stato accertato dall’Ente nazionale anticorruzione che i Comuni hanno utilizzato formalmente lo schema concessorio del project financing, (che presenta indubbi vantaggi quali ad esempio il superamento dei vincoli legati al “patto di stabilità” e la traslazione nel futuro dell’onere finanziario dell’operazione), con contenuti contrattuali tipici invece dell’appalto. In altre parole, si denomina project quello che in realtà è un mero appalto, il cui rischio economico non è a carico del privato, ma rimane interamente in capo alla P.A.. Il contratto di appalto si distingue infatti da quello di concessione proprio per la ripartizione del rischio economico-finanziario tra concedente e concessionario: , infatti, nel contratto di concessione con finanza di progetto (project) il privato, a differenza dell’appaltatore, assume su di sé il rischio di non riuscire a recuperare gli investimenti effettuati e a coprire i costi sostenuti per erogare i servizi oggetto del contratto in condizioni operative normali6.
Ecco dunque che già con la delibera n. 110 del 19 dicembre 2012 l’ANAC metteva in guardia i Comuni dai pacchetti tutto compreso predisposti dai privati, contenenti modelli contrattuali con le anomalie sopra descritte.
Il fenomeno con il passare del tempo è andato aumentando e a seguito di numerose segnalazioni, il Presidente ANAC tornava sulla questione, predisponendo, anche alla luce del nuovo codice degli appalti e concessioni (decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50), un vademecum per le pubbliche amministrazioni7, contenente alcune indicazioni operative per l’affidamento del cd. “servizio luce” e dei servizi connessi, nell’ambito di accordi bonari volti al riscatto degli impianti di proprietà della stessa, ai sensi dell’art. 63, comma 2, lett. b) del d.lgs. 50/2016 (già art. 57, comma 2, lett. b del d.lgs. 163/06)8.
3. La vicenda dell’affidamento della pubblica illuminazione del Comune di S. Bonifacio.
Sulla base di tali premesse non sono stati pochi i Comuni che dopo aver bandito la gara per l’affidamento del servizio di pubblica illuminazione, ma prima della stipula del contratto di appalto, ci hanno ripensato, revocando in via di autotutela tutti gli atti precedentemente predisposti.
In particolare, oltre agli avvertimenti sopra evidenziati, i Comuni hanno valutato come non conveniente quello che a prima vista poteva apparire un’occasione unica per effettuare un’opera di grande impatto nei confronti dei propri cittadini. Il lungo periodo di durata della concessione, l’incessante innovazione tecnologica, il ribaltamento di fatto dei rischi in capo alle PP.AA., ha determinato ripensamenti dell’ultima ora che però hanno dato luogo a non pochi contenziosi.
Gli imprenditori privati, infatti, dopo aver predisposto tutti i progetti per poter bandire la gara e aver visto frustrato il loro lavoro da un inaspettato revirement della P.A., hanno quantomeno cercato di essere risarciti del danno subito utilizzando la via giudiziale.
Nel caso affrontato nella sentenza annotata il Comune di San Bonifacio, dopo aver bandito la gara per l’affidamento in finanza di progetto del servizio di gestione della illuminazione pubblica (ai sensi dell’art. 278 D.P.R. n. 207 del 2010), annullava la gara ancora prima dell’aggiudicazione.
Tale decisione, assunta dalla Giunta, veniva motivata da un lato con una inaspettata contrazione del bilancio comunale (a causa della riduzione delle provvidenze statali del fondo di solidarietà, fatto estemporaneo e non prevedibile), che non avrebbe consentito di far fronte al previsto impegno annuo di €. 500.000,00, dall’altro, l’incessante evoluzione tecnica nel campo della produzione e distribuzione di energia elettrica, che mal si conciliavano con i lunghi tempi previsti per una concessione della durata di 18 anni.
3.1 Sulla competenza
La decisione è stata correttamente assunta dall’organo politico-gestionale del Comune di San Bonifacio. Nel caso in esame il ricorrente non ha eccepito la competenza della Giunta come avvenuto in altri procedimenti similari, ma è evidente che la valutazione di quali possano essere gli interessi della comunità, specie se il contratto da stipulare impegna l’ente per un periodo così lungo (18 anni) non può non spettare all’Amministrazione comunale. Non certo può darsi una tale responsabilità al seggio di gara (che ha solo il compito formalizzare l’esito della gara, individuando il migliore offerente) o al RUP che presiede alla regolarità formale dell’intera procedura. Sul punto, in una fattispecie del tutto analoga a quella in esame, i giudici di Palazzo Spada precisavano ‹‹ che si tratta di una decisione gestionale, ma non ordinaria: perciò è da escludere che il provvedimento sia di spettanza dirigenziale (C.G.A. Sicilia, sez. cons., 3 giugno 1999, n. 232)›› 9.
Nemmeno può ritenersi che la revoca rientri nella competenza del seggio di gara. Questo, con l’aggiudicazione provvisoria, ai sensi degli artt. 11 e 12 del Codice dei contratti pubblici, esaurisce la propria funzione, che è limitata alle operazioni di supporto tecnico nella scelta dell’appaltatore10. La valutazione sull’opportunità di addivenire ad una aggiudicazione definitiva è autonoma e distinta, comportando considerazioni discrezionali sulla “convenienza amministrativa ed economica”, che non possono non spettare all’organo politico-gestionale.
‹‹Infatti la Giunta comunale, ai sensi degli artt. 48, comma 2, e 107, commi 1 e 2, del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (t.u.e.l.) è l’organo con funzioni essenzialmente di amministrazione attiva ed attuazione degli indirizzi politico-amministrativi (in termini, ex multis, Cons. Stato, V, 18 aprile 2012, n. 2261). La revoca dell’aggiudicazione provvisoria non è una scelta programmatica, espressione di indirizzo politico dell’ente (perciò di competenza del consiglio comunale) ma è un provvedimento di gestione amministrativa di competenza della giunta, seppure secondo le scelte programmatorie adottate a monte dal consiglio comunale››11.
3.2 Sulla legittimità della revoca
Posto che l’art. 11, ai commi 4 e 5, del Codice dei Contratti (D. Lgs. n. 50/2016) prevede non a caso una configurazione bifasica (provvisoria e definitiva) dell’aggiudicazione12, proprio per consentire alla Stazione appaltante anche gli opportuni “ripensamenti”, gli strumenti che l’amministrazione comunale avrebbe potuto utilizzare per interrompere la procedura di aggiudicazione sono vari (annullamento13, riesame14, ritiro15 o, come nel caso di specie revoca16, ai sensi dell’art. 21 – quinquies della L. 241/90 ss. mm. ii.).
Tuttavia, pare condivisibile ciò che evidenzia il TAR Umbria17 sulla base di altre pronunce di merito: ‹‹La natura giuridica di atto provvisorio ad effetti instabili tipica dell’aggiudicazione provvisoria non consente in altri termini di applicare, nei suoi riguardi, la disciplina dettata dagli artt. 21-quinquies e 21-nonies della legge n. 241 del 1990, atteso che l’aggiudicazione provvisoria non è l’atto conclusivo del procedimento (T.A.R. Abruzzo – Pescara, sez. I, 12 marzo 2015, n. 114; T.A.R. Lazio Roma, sez. I, 8 giugno 2015, n. 8050)››.
In realtà, il terzo comma dell’articolo 81 del d. lgs. n. 163 del 2006, prevede un rimedio specifico, consentendo alla stazione appaltante di non aggiudicare l’appalto, senza incorre in sanzioni, qualora ritenga che le offerte presentate non siano convenienti o idonee18.
Precisa il Consiglio di Stato: ‹‹nel non aggiudicare la gara [la P.A.] ha esercitato il potere espressamente riconosciuto dall’articolo 81, comma 3 del d. lgs. n. 163 del 2006, circa la valutazione di convenienza dell’offerta. E’ di conseguenza destituito di fondamento il richiamo alla disposizione di cui all’articolo 21 – quinquies della legge n. 241 del 1990, non essendo applicabile tale disposizione ove, come nel caso in esame, la scelta di non aggiudicare la gara consegua alla valutazione della non convenienza dell’offerta (cfr. sul punto, Cons. Stato, sez. II, 16 ottobre 2012, n. 5282)››19.
E’ dunque pacifica – per la giurisprudenza – la legittimità di un provvedimento di non affidamento di un servizio pur sottoposto a gara d’appalto, deciso in una “fase non ancora definita” della procedura concorsuale, prima del consolidarsi delle posizioni delle parti ovvero quando il contratto non è stato ancora concluso 20.
3.3 Sull’obbligo di motivazione
‹‹In attesa dell’aggiudicazione definitiva e del concreto inizio del servizio non v’è alcuna posizione consolidata dell’impresa concorrente che possa postulare il riferimento, in sede di revoca dell’aggiudicazione, ad un interesse pubblico giustificativo del sacrificio del privato››21.
Pertanto, come evidenzia in modo pacifico la giurisprudenza, un legittimo ripensamento della P.A. è sufficiente, qualora ci siano valutazioni di opportunità economica (come ad esempio: il prezzo offerto risulti eccessivamente oneroso; la durata dell’appalto eccessivamente lunga; l’“ingessamento” del bilancio22; la mancanza delle necessarie coperture economiche23; l’inidoneità dell’offerta a garantire un giusto rapporto tra qualità/costo/quantità della prestazione; l’evoluzione tecnologica e normativa che potrebbe consentire all’Amministrazione di adottare soluzioni più profittevoli, sia sotto il profilo dei costi, che della qualità del servizio; le modifiche delle condizioni di mercato come l’inaspettato crollo del prezzo del petrolio; la presentazione di nuove offerte, economicamente più vantaggiose24; il problema del ricollocamento del personale). In buona sostanza, queste valutazioni possono essere legate semplicemente ad una nuova esigenza di risparmio e di contenimento dei costi (cd. spending review) 25 oppure diverse valutazioni sul progetto, in base a nuove circostanze sopravvenute26 o addirittura ad un iniziale difetto istruttorio27.
In situazioni analoghe a quella della sentenza in commento il Consiglio di Stato ha avuto modo di spiegare che:
‹‹la mancata aggiudicazione del contratto non deriva dai vizi che inficiano gli atti di gara predisposti dalla stazione appaltante, né da una rivalutazione dell’interesse pubblico che con essi si voleva perseguire, ma dipende da una negativa valutazione delle offerte presentate che, pur rispondendo formalmente ai requisiti previsti dalla lex specialis di gara, non sono ritenute dall’organo decidente idonee a soddisfare gli obiettivi perseguiti con la gara (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 17 maggio 2012, n. 2848; sez. III, 16 ottobre 2012, n. 5282; sez. IV, 26 marzo 2012, n. 1766). Di qui la decisione dell’amministrazione di non vincolarsi con un contratto ventennale, da ritenersi economicamente e tecnicamente non conveniente per l’interesse pubblico››28.
In definitiva, per la giurisprudenza, è sufficiente dimostrare la convenienza (tecnica o economica) a favore della P.A. per non concludere l’affidamento e far prevalere l’interesse pubblico (in applicazione dell’art. 97 Cost. e dei principi di economicità, proporzionalità, buon andamento, sanciti dalla L. 241/90 ss.mm.ii), rispetto a quello non consolidato del privato, in quanto trattasi di atto necessitato per gli interessi pubblici e non ancora lesivo dei diritti dei terzi29.
Osserva, tuttavia, correttamente il TAR Umbria che l’obbligo di motivazione dell’atto di autotutela, andrà tarato in base al grado di affidamento ingenerato nel privato: ‹‹L’attualità e la specificità, dell’interesse pubblico che sorregge il potere di autotutela, devono essere calibrate in funzione della fase procedimentale in cui lo stesso interviene, ed, in definitiva, dell’affidamento ingenerato nel privato avvantaggiato dal provvedimento; è dunque anche diverso l’onere motivazionale richiesto dalla giurisprudenza per procedere all’annullamento degli atti di gara, a seconda della circostanza che sia intervenuta l’aggiudicazione definitiva o addirittura la stipula del contratto, ovvero che il procedimento di valutazione comparativa concorrenziale non sia giunto completamente a termine››30.
3.4 La responsabilità pre-contrattuale
Se è vero che la P.A. può decidere di non proseguire la procedura di affidamento di un servizio, anche giustificando il revirement con motivazione generica, attestante la semplice inidoneità o non economicità del progetto per l’Amministrazione in quel momento in carica, più complessa appare la questione risarcitoria.
La responsabilità precontrattuale, che ha il suo fondamento normativo negli artt. 1337 e 1338 cc. – è stata identificata come l’istituto che tende a tutelare la libertà negoziale della parte, mettendola al sicuro da coartazioni od inganni incidenti sulle proprie determinazioni negoziali (art. 1337 c.c.), ovvero preservandola da trattative che si rivelino inutili, in quanto conducano alla stipulazione di un contratto invalido (art. 1338 c.c.), come ipoteticamente potrebbe lamentarsi nella fattispecie in esame.
E’ evidente che partecipare ad una gara di una P.A. non equivale a comporre un semplice preventivo per un lavoro richiesto da un privato. Il tempo ed i costi che richiede una tale partecipazione varia poi in base alla complessità dell’opera o del servizio posto a concorso. E se è evidente che questi costi rientrano nel rischio d’impresa, qualora “persi” a seguito di una regolare competizione concorrenziale che ha visto l’impresa soccombere rispetto ad una offerta più competitiva, altra questione assume il caso in cui sia la stazione appaltante a determinare la perdita, quando, dopo aver indetto la gara, unilateralmente decide di interrompere la procedura. In questo senso molte aziende non chiedono in sede giudiziale soltanto i danni, ma almeno il rimborso/indennizzo delle spese ingiustamente sostenute. La mancata aggiudicazione essendo avvenuta non a causa della presentazione di un’offerta non adeguata, ma per decisione unilaterale della stazione appaltante, dopo l’indizione della gara sulla quale l’imprenditore aveva fatto affidamento. Tuttavia, anche il costo di partecipazione alla gara, è stato considerato dalla giurisprudenza inesigibile, in quanto l’impresa l’avrebbe dovuto sostenere comunque, sia in caso di aggiudicazione, che di esclusione. Esso pertanto non può essere considerato un’autonoma voce di danno31. ‹‹D’altra parte le spese sostenute per la partecipazione ad una procedura di evidenza pubblica non sono in via di principio rimborsabili, salvo che la revoca intervenga dopo l’aggiudicazione definitiva e sia motivata da esigenze sopravvenute imputabili esclusivamente alla stazione appaltante (cfr., Cons. Stato, IV, 15 settembre 2014, n. 4674; 7 febbraio 2012, n. 662; sez. V, 7 settembre 2009, n. 5245)››32.
Orbene, nei contratti pubblici, la possibilità che ad una aggiudicazione provvisoria non segua quella definitiva è un evento del tutto fisiologico e prevedibile (disciplinato dagli artt. 11, comma 11 e 12 nonché art. 48, comma 2, del D.Lgs. n. 163 del 2006). In ragione di ciò è sostenibile che la mancata aggiudicazione è inidonea di per sé a ingenerare qualunque affidamento meritevole di tutela: ‹‹La norma distingue dunque nettamente l’aggiudicazione provvisoria (con l’appendice dell’approvazione) da quella definitiva, in conformità del costante insegnamento, alla stregua del quale la seconda si pone in rapporto di autonomia con la prima, tanto che viene ritenuto evento del tutto fisiologico quello per cui ad un’aggiudicazione provvisoria può non fare seguito quella definitiva, inidoneo di per sé ad ingenerare qualsiasi affidamento meritevole di tutela (tra le tante, Cons. Stato, Sez. VI, 27 luglio 2010, n. 4902; Sez. VI, 6 aprile 2010, n. 1907; Sez. V, 15 febbraio 2010, n. 808) […] In realtà, ad avviso del Collegio, a prescindere dal fatto che, in astratto, la revoca priva di indennizzo non sarebbe illegittima; salva la possibilità di azionare la pretesa patrimoniale, occorre comunque considerare che l’indennizzo spetta sempre che la revoca (legittima) incida su di un provvedimento amministrativo ad efficacia durevole od anche istantanea, ma comunque definitivo, ed in quanto tale idoneo ad esprimere la propria effettualità (Cons. Stato, Sez. VI, 17 marzo 2010, n. 1554; T.A.R. Sardegna, Sez. I, 11 novembre 2010, n. 2582 e sempre Sez. I, 12 giugno 2009, n. 976). Tale non è il caso dell’aggiudicazione provvisoria, la quale è, come più volte ripetuto, atto endoprocedimentale, con effetti ancora instabili e del tutto interinali; ciò comporta che, quand’anche al provvedimento gravato di diniego dell’aggiudicazione definitiva volesse attribuirsi una portata revocatoria, non sarebbe dovuto l’indennizzo››33.
E ancora: ‹‹In presenza di un’aggiudicazione provvisoria, è pacifica la permanenza in capo alla stazione appaltante di uno spazio riservato di autonomia nella determinazione valutativa, che culminerà nell’aggiudicazione definitiva; l’aggiudicazione provvisoria restando un atto avente effetti instabili ed interinali (C.d.S., Sez. VI, 26 aprile 2005, n. 1885), nei confronti del quale non possono configurarsi situazioni di vantaggio stabili in capo al beneficiario. Se ne desume che, in attesa dell’aggiudicazione definitiva e del concreto inizio dell’esecuzione del contratto, non vi è alcuna posizione consolidata dell’impresa concorrente, la quale possa postulare il riferimento, nella revoca, ad un interesse pubblico giustificativo del sacrificio del privato (v. T.A.R. Lazio, Sez. III, 25 marzo 2005, n. 2132). L’assenza, nei soggetti interessati, di posizioni giuridiche consolidate fa sì, inoltre, che la P.A. possa intervenire in autotutela sull’aggiudicazione provvisoria anche in via implicita e senza obbligo di particolare motivazione (v. T.A.R. Piemonte, Sez. II, n. 3266/2005 cit., con la giurisprudenza ivi menzionata)››34.
La giurisprudenza pare dunque pacificamente orientata a non riconoscere alcunché al privato che ha partecipato ad una gara non conclusasi con l’aggiudicazione, qualunque sia l’inquadramento formale che si voglia dare alla decisione unilaterale della P.A. ‹‹In materia di revoca di atti gara nella fase antecedente alla aggiudicazione, la giurisprudenza è copiosa, come dimostrano gli atti delle parti, “antologie” di sentenze, dalle quali possono dedursi i seguenti indiscussi principi: il potere di ritirare gli atti di gara come l’aggiudicazione provvisoria, attraverso gli strumenti della revoca o dell’annullamento, è espressione del principio di buon andamento dell’attività amministrativa e costituisce una facoltà dell’amministrazione ancora attinente la fase di scelta del contraente; pertanto, non sono necessarie specifiche valutazioni dell’eventuale interesse dell’aggiudicatario provvisorio al mantenimento di un atto non più rispondente all’interesse pubblico (T.A.R. Sardegna Cagliari, sez. I, 11 novembre 2010, n. 2582; T.A.R. Puglia Bari, sez. I, 14 settembre 2010, n. 3459; T.A.R. Sicilia Palermo, sez. I, 28 luglio 2010, n. 9011; T.A.R. Piemonte Torino, sez. I, 23 aprile 2010, n. 2085; T.A.R. Lazio Roma, sez. II, 09 novembre 2009, n. 10991; T.A.R. Campania Napoli, sez. VIII, 24 settembre 2008, n. 10735). L’aggiudicazione provvisoria di una gara, attesa la sua natura di atto endoprocedimentale ed i suoi effetti interinali, è inidonea ad attribuire in modo stabile il bene della vita cui si aspira e ad ingenerare il connesso legittimo affidamento che imporrebbe l’instaurazione del contraddittorio procedimentale prima della revoca in autotutela […] Inoltre va anche richiamato il consolidato principio giurisprudenziale secondo cui non sussiste l’obbligo di comunicazione di avvio del procedimento nel caso di revoca dell’aggiudicazione provvisoria, trattandosi di atto endoprocedimentale rispetto al quale l’aggiudicatario può vantare un mera aspettativa alla conclusione del procedimento e non già una posizione giuridica qualificata (T.A.R. Lazio Roma, sez. II, 09 novembre 2009, n. 10991; T.A.R. Puglia Bari, sez. I, 14 settembre 2010, n. 3459; T.A.R. Valle d’Aosta Aosta, 10 ottobre 2007, n. 123; T.A.R. Campania Napoli, sez. I, 27 gennaio 2006, n. 1078; T.A.R. Lombardia Milano, sez. III, 16 gennaio 2006, n. 50; Consiglio Stato , sez. IV, 29 ottobre 2002, n. 5903)››35.
Ora la questione pare assumere una diversa soluzione se si inquadra l’interruzione della procedura nell’ambito dell’art. 21 quinquies della L. 241/90 ss.mm.ii (come fa la sentenza in commento) oppure come più opportunamente evidenzia più attenta giurisprudenza, nell’ambito di un procedimento endoprocedimentale, certamente non definitivo.
In ogni caso, dal momento che la possibilità di interrompere la procedura, senza la previsione di alcuna penale, è espressamente normato dall’art. 81 del D. lgs. n. 163 del 2006, è evidente che non si può parlare di responsabilità precontrattuale, perché come evidenzia la sentenza in commento36, non v’è stata da parte della P.A. alcuna violazione di legge, ma anzi il corretto esercizio dell’azione amministrativa in applicazione al principio del buon andamento. Il privato, dal canto suo, quindi, può recriminare un risarcimento del danno solo nel caso in cui la procedura non sia stata esplicata correttamente, in quanto può vantare solo un interesse legittimo al corretto esercizio dei poteri della pubblica amministrazione37.
3.5 La perdita di chances
Molte aziende partecipanti alle gare interrotte, oltre a lamentare il danno da responsabilità precontrattuale, hanno contestato la perdita di chances, lamentando soprattutto il cd. “danno curriculare”, consistente nell’impossibilità di far valere, nelle future contrattazioni la negata aggiudicazione38.
In altre parole, il danno le imprese ricorrenti non si limitano a dolersi della sola perdita dell’aggiudicazione della gara, ma ampliano il tiro evidenziando un complesso di opportunità illegittimamente perdute collegate agli interessi e all’immagine dell’impresa39.
A tal proposito è stato sottolineato come il fatto di poter eseguire un appalto pubblico, oltre che del guadagno che l’impresa consegue, comporta ulteriori vantaggi, quali l’accrescimento della capacità di competere sul mercato. Ciò si traduce nella chance di aggiudicazione di ulteriori e futuri appalti.
Ecco dunque che il danno da chances perdute può costituire secondo la giurisprudenza una entità patrimoniale a sé stante, ‹‹giuridicamente ed economicamente suscettibile di valutazione autonoma, che deve tener conto della proiezione sulla sfera patrimoniale del soggetto››40. Esso dunque non si relaziona con la perdita di un bene, ma con l’occasione perduta di conseguire un bene41.
Analogamente si esprime la dottrina ‹‹la perdita di chance costituisce un danno attuale che si identifica non con la perdita di un risultato utile ma con la perdita della possibilità di conseguirlo e richiede, a tal fine, che siano posti in essere concreti presupposti per il realizzarsi del risultato sperato, ossia una probabilità di successo maggiore del 50% statisticamente valutabile con giudizio prognostico ex ante secondo l’id quod plerunque accidit sulla base di elementi forniti dal danneggiato. Non trattasi quindi di lucro cessante ma di danno emergente da perdita di possibilità attuale, ricompresa nel patrimonio del soggetto passivo fin dal momento dell’illecito e non di un futuro risultato, il cui avveramento è indipendente dal riconoscimento della chance di ottenerlo, venendo risarcita la perdita della possibilità, che deve essere concreta e non aleatoria, di conseguire il risultato››42.
Al di là della questione se tale danno possa essere inquadrato nella categoria del lucro cessante o del danno emergente (problematica che in questa sede non può essere affrontata), quello che appare certo è che non si può non distinguere le conseguenze quanto alla sua risarcibilità. In altre parole, la chance rimane una opportunità di conseguimento di una utilità e come tale caratterizzata dai caratteri della eventualità, non dalla certezza di tale conseguimento. Non può allora farsi coincidere con il diritto alla integrale risarcibilità del danno per il mancato conseguimento della utilità, come nel caso di danno futuro da lucro cessante, altrimenti si incorre nell’errore di confondere il danno da perdita di chance al conseguimento di un vantaggio con il danno al conseguimento del vantaggio stesso43.
Il problema quindi rimane l’incertezza del danno, al cui raggiungimento è rivolta la chance compromessa dalla condotta lesiva, che si riflette pertanto sulle difficoltà di individuazione di un criterio risarcitorio obiettivo. La perdita, che deve essere quantificata patrimonialmente, non solo è relazionata ad una utilità non ancora acquisita al patrimonio del soggetto, ma, nella sua futuribile acquisibilità, anche se non è neppure certo che potrà mai entrarvi. Essa non costituisce una astratta possibilità, ma non deve superare, per restare nell’alveo della chance, il concetto di significativa probabilità, altrimenti finirebbe per identificarsi in tutto con il danno futuro al bene principale e non alla chance di conseguirlo44.
Nel caso che ci occupa, la questione posta dal ricorrente è stata totalmente superata dai giudici di Palazzo Spada, in quanto se non c’è responsabilità precontrattuale non può esserci neppure danno da perdita di chances.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso iscritto in appello al numero di registro generale 10092 del 2015, proposto dalla Elettrocostruzioni Rovigo S.r.l., in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dagli avvocati Pier Vettor Grimani e Nicola Marcone, con domicilio eletto presso lo studio del secondo in Roma, piazza dell’Orologio, n, 7;
contro
Il Comune di San Bonifacio, in persona del sindaco in carica, rappresentato e difeso dagli avvocati Giovanni Sala e Luigi Manzi, con domicilio eletto presso lo studio del secondo in Roma, Via Federico Confalonieri, n. 5;
nei confronti di
Agsm Lighting Srl;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. Veneto, Sez. I n. 852/2015, resa tra le parti, concernente l’affidamento in concessione del servizio di illuminazione pubblica, adeguamento e gestione impianti e fornitura di energia elettrica – (ris. danni);
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di San Bonifacio;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore all’udienza pubblica del giorno 10 marzo 2016 il Cons. Raffaele Prosperi e uditi per le parti gli avvocati Marcone e Reggio d’Aci, in dichiarata delega di Manzi;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
I. Con deliberazione n. 56 del 2 maggio 2013 la Giunta comunale di San Bonifacio, in accoglimento della proposta avanzata dalla società AGSM Verona spa – cui è subentrata AGSM Lighting srl – e relativa all’affidamento in finanza di progetto del servizio di gestione della illuminazione pubblica, aveva attivato la procedura di cui all’art. 278 d.P.R. n. 207 del 2010 per l’affidamento in concessione del servizio per la durata di 18 anni, per un importo a base d’asta di €. 10.506.034,00.
La Elettrocostruzioni Rovigo s.r.l. presentava la sua offerta in data 23 giugno 2014, ultimo giorno utile; l’amministrazione tuttavia il precedente 21 giugno aveva pubblicato all’albo pretorio la delibera di Giunta n. 1, pure del 21 giugno 2014, di revoca della gara. Di tale fatto l’interessata veniva notiziata con apposita nota del giorno successivo alla presentazione dell’offerta, nota che richiamava la peculiare situazione di contrazione del bilancio comunale che non consentiva di fronte al previsto impegno annuo di €. 500.000,00, in uno con l’evoluzione tecnica nel campo della produzione e distribuzione di energia elettrica che mal si conciliavano con i lunghi tempi previsti per la concessione; ciò oltre al fatto che al momento della revoca non solo non era pervenuta altra offerta – tre erano giunte successivamente – ma non poteva essere stato ingenerato negli interessati alcun affidamento, vista la non avvenuta aggiudicazione e l’assenza di altri concorrenti al momento della revoca.
La predetta Elettrocostruzioni Rovigo s.r.l. impugnava dinanzi al TAR del Veneto i citati atti del Comune di San Bonifacio, deducendo con un unico ed articolato motivo di censura la violazione dell’art. 21 quinques della L. 241/1990, perché la revoca risultava carente dei requisiti di legge; chiedeva inoltre il risarcimento del danno per fatto illecito, ovvero, in subordine, per responsabilità precontrattuale, o, infine, la corresponsione della indennità di cui al citato art. 21 quinques, giacchè anche le asserite difficoltà finanziarie non risultavano dimostrate come elementi concreti.
L’adito tribunale, nella resistenza del Comune di Bonifacio e della AGSM Lighting s.r.l., con sentenza n. 852 del 23 luglio 2015, dichiarato inammissibile l’intervento di quest’ultima (che avendo anch’essa richiesto l’annullamento degli stessi atti avrebbe dovuto proporre tempestivamente apposita impugnazione, cosa che non consentiva la conversione dell’atto di intervento in atto di ricorso), respingeva il ricorso, poiché risultava dagli atti la grave situazione finanziaria, caratterizzata da una forte riduzione delle provvidenze statali del fondo di solidarietà, fatto estemporaneo e non prevedibile, cui si doveva far fronte con riduzioni di spesa; pertanto la revoca della gara, peraltro non ancora iniziata, per la mancanza di copertura finanziaria dovuta a fattori estemporanei non prevedibili al momento della sua pubblicazione, non poteva configurarsi illegittima, visto che la valutazione comparativa degli interessi pubblici e la gerarchia degli stessi rientrava nella discrezionalità propria dell’amministrazione.
A ciò conseguiva anche l’infondatezza della domanda risarcitoria da danno ingiusto; né poteva essere accolta la domanda da responsabilità precontrattuale e neppure quella di indennizzo, non sussistendone i presupposti.
II. L’Elettrocostruzioni Rovigo s.r.l. ha chiesto la riforma di tale sentenza con atto di appello notificato il 23 novembre 2015, alla stregua di due ordini di motivi, il primo rubricato “Mancata o errata valutazione della censura concernente la violazione dell’art. 21 quinquies L. 7.8.90, n. 241, l’eccesso di potere per travisamento dei fatti e carenza dei presupposti, l’eccesso di potere per illogicità e contraddittorietà e l’eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione – Mancata o errata valutazione della domanda di risarcimento del danno ai sensi dell’art. 30 commi 2 e 3 CPA” e il secondo “Mancata o errata valutazione della domanda di risarcimento del danno ex art. 30 comma 2 c.p.a.”.
Richiamente le circostanze in cui era maturata la revoca della gara, l’appellante ha insistito sulla mancata dimostrazione di una copertura finanziaria e sulla vaghezza delle sopravvenienze delle difficoltà di bilancio, comunque non dimostrate, a fronte, da un lato, di un servizio essenziale e non rinunciabile e, dall’altro,del risparmio che sarebbe conseguito dal nuovo servizio; ha poi ribadito la richiesta di risarcimento del danno dalla revoca derivato, in punto di danno emergente e di perdita di chanches ovvero anche a titolo di responsabilità precontrattuale, ex art. 1337 c.c., per violazione dei doveri di correttezza in relazione al mancato preavviso di voler procedere alla revoca.
Il Comune di San Bonifacio si è costituito in giudizio, rivendicando la legittimità dei propri atti e la correttezza del suo operato e chiedendo la conferma della sentenza.
All’odierna udienza del 10 marzo 2016 la causa è passata in decisione.
III. L’appello è infondato e deve essere respinto.
In punto di fatto deve sottolinearsi che la revoca è stata deliberata dalla giunta comunale di San Bonifacio con atto n. 1 del 21 giugno 2014, circa un anno dopo la deliberazione con cui si era deciso di avviare la proposta per l’affidamento in finanza di progetto del servizio di gestione della pubblica illuminazione su tutto il territorio comunale e circa quattro mesi dopo aver indetto una gara a procedura aperta per la scelta dell’affidatario in concessione, il tutto prima quindi delle elezioni della nuova amministrazione comunale svoltesi il 25 maggio e l’8 giugno 2014.
Proprio la nuova amministrazione, appena insediatasi, ha riscontrato l’impegno di risorse finanziarie derivante dalla procedura in parola, quantificabile in canone annuo pari a €. 500.000,00 eventualmente ribassati per un periodo di diciotto anni, limitabili a quindici, tale da irrigidire per lungo tempo il bilancio comunale ed impedendo margini di manovra per gli esercizi futuri: ciò ha indotto la predetta nuova valutazione ad una rigorosa valutazione di tutti i flussi di entrata e di spesa, alla luce delle contrazioni di risorse pubbliche per effetto della normativa statale più recente, da ultimo dalla L. 27 dicembre 2013 n. 147 e dal decreto legge di 4 aprile 2014, n. 66, convertito nella L. 23 giugno 2014 n. 89.
Non può sottacersi che l’evidenziazione della enorme spesa rispetto al calo dei finanziamenti è stata accostata dall’amministrazione nella stessa deliberazione di revoca anche alla continua rapida evoluzione delle tecnologie per la produzione e la distribuzione di energia elettrica, le quali nello spazio di 18 anni avrebbero potuto determinare consistenti risparmi di bilancio.
Tali motivazioni risultano ragionevoli, non illogiche, né irrazionali e soprattutto fondate su non implausibili elementi di fatto, così che la scelta di revocare la gara, che rientra nella discrezionalità propria di cui è titolare esclusiva la pubblica amministrazione, non può considerarsi illegittima.
In tal senso è sufficiente rammentare che, secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale, è legittima la revoca dell’aggiudicazione provvisoria di una gara di appalto motivata con riferimento al risparmio economico che deriverebbe dalla revoca stessa ovvero per carenza di copertura finanziaria e sopravvenuta mancata corrispondenza della procedura alle esigenze dell’interesse pubblico (tra le tante, Cons. Stato, sez. III, 29 luglio 2015, n. 3748; 26 settembre 2013, n. 4809; 6 maggio 2013, n. 2418).
Alla legittimità della revoca consegue l’infondatezza della domanda di risarcimento del danno.
Deve essere a questo punto esaminata la fondatezza della domanda di risarcimento del danno da responsabilità precontrattuale, che è astrattamente ammissibile anche in presenza della legittimità della revoca (Cons. Stato, sez. VI, 1 febbraio 2013, n. 633).
A tal fine deve venire in considerazione un comportamento contrario ai canoni di buona fede e correttezza dell’amministrazione che, accortasi delle ragioni che consigliavano di procedere alla revoca della gara, non ha invece provveduto a tanto, ingenerando nella parte un ragionevole affidamento nella conclusione della gara e nella possibilità di aggiudicarsi l’appalto stesso.
Sennonché nel caso di specie tale situazione non è ravvisabile, giacché la revoca della gara è intervenuta prima della scadenza del termine per la presentazione della domanda di partecipazione alla gara, senza quindi che nessun affidamento si sia potuto ragionevolmente ingenerare nei concorrenti, quand’anche la comunicazione della revoca fosse a questi ultimi pervenuta dopo la scadenza del termine per la presentazione delle offerte e dopo la effettiva presentazione di queste ultime.
Al riguardo può ancora richiamarsi la pacifica giurisprudenza del Consiglio di Stato e delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, per la quale la responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione è connessa alla violazione delle regole di condotta tipiche della formazione del contratto e quindi non può che riguardare fatti svoltisi in tale fase; perciò la responsabilità precontrattuale non è configurabile anteriormente alla scelta del contraente, vale a dire della sua individuazione, allorché gli aspiranti alla posizione di contraenti sono solo partecipanti ad una gara e possono vantare un interesse legittimo al corretto esercizio dei poteri della pubblica amministrazione (Cons. Stato, V, 21 agosto 2014 n. 4272), corretto esercizio di cui non può dubitarsi nel vaso di specie, visti i tempi seguiti dall’Amministrazione comunale per l’adozione della revoca in questione e la plausibilità della motivazione.
E’ appena il caso di aggiungere che non essendosi prodotto alcun effetto durevole vantaggioso in favore dell’appellante in ragione dell’atto legittimamente revocato, non sussistono neppure i presupposti per il riconoscimento dell’indennizzo ex art. 21 quinquies della l. n. 241 del 1990.
IV, Per le suesposte considerazioni l’appello deve essere dunque respinto.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta) definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna l’appellante al pagamento delle spese di giudizio nei confronti del Comune di San Bonifacio, liquidandole in complessivi €. 5.000,00 (cinquemila/00) oltre agli accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 10 marzo 2016 con l’intervento dei magistrati:
Carlo Saltelli, Presidente
Claudio Contessa, Consigliere
Paolo Giovanni Nicolò Lotti, Consigliere
Luigi Massimiliano Tarantino, Consigliere
Raffaele Prosperi, Consigliere, Estensore
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 21/04/2016
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
1 L’art. 19 della legge 7 agosto 2015, n. 124, recante “Riordino della disciplina dei servizi pubblici locali di interesse economico generale”, al comma 1. lett. m) prevede: “revisione della disciplina dei regimi di proprietà e gestione delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni, nonché di cessione dei beni in caso di subentro, in base a principi di tutela e valorizzazione della proprietà pubblica, di efficienza, di promozione della concorrenza, di contenimento dei costi di gestione, di semplificazione”.
2 Cfr. Consiglio di Stato, sez. V, sent. 10 settembre 2010, n. 6529. Tutte le sentenze citate nella presente nota (salvo diversa evidenziazione) sono state rinvenute nel sito di giustizia-amministrativa.it.
3 Ex art. 34, comma 20, del D.L. 179/2012.
4 Art. 113 del d.lgs. 267/2000.
5 Cfr. Parere del Consiglio di Stato del 18 aprile 2007, n. 456 e Comunicazione della Commissione UE del 5 febbraio 2008 (C/2007/661).
6 Cfr. art. 5 della direttiva 2014/23/UE mutuata nell’odierno art. 3, lett. uu) del D.lgs. 50/2016. Sul punto si vedano le numerose pronunce della C.G.U.E. (sentenza 27 ottobre 2005, causa C-234/03; sentenza 18 luglio 2007, causa C-382/05; sentenza 11 giugno 2009, causa C-300/07; sentenza del 10 settembre 2009, n. C-206/2008) e, in particolare, Corte di Giustizia, sentenza 10 novembre 2011, in C-348/2010, secondo cui: ‹‹[…] costituisce un “appalto” un contratto con cui il prestatore, in forza delle norme di diritto pubblico e delle clausole contrattuali che disciplinano la fornitura di tali servizi, non assume in misura significativa il rischio in cui l’amministrazione aggiudicatrice incorre […]››.
7 ‹‹Relativamente al rischio di costruzione si rimanda a quanto indicato nella determina Anac n. 10 del 23 settembre 2015, prestando particolare attenzione sull’allocazione dei rischi progettuali e dei connessi rischi ambientali, ovvero dei rischi che richiedono pagamenti a favore di terzi (risarcimenti danni). […] Occorre osservare, altresì, che il PPP nel servizio di pubblica illuminazione implica l’assenza del rischio di domanda poiché la P.A. è l’unico “payer”; pertanto le Stazioni appaltanti devono porre la massima attenzione nella redazione degli atti di gara e negli atti contrattuali affinché si versi in una effettiva operazione di partenariato (Project Financing), prevedendo che il canone di “disponibilità” sia retributivo della effettiva funzionalità del servizio e non dovuto in caso di totale disservizio (cfr. comma 4 dell’art. 180 del D.lgs. 50/2016) ovvero sottoposto a penali automatiche che implichino un rischio operativo “rilevante e/o significativo”››.
8 ‹‹Le disposizioni del nuovo codice degli appalti e concessioni (D.lgs. 50/2016) si applicano a tutti gli avvisi di gara indetti a partire dal 20.04.2016, salva l’applicazione del d.lgs. 163/06 agli affidamenti ricadenti nel periodo transitorio di cui al punto 1) del precedente Comunicato dell’11 maggio 2016. Tuttavia, anche per questa fase transitoria, è opportuno contemplare, laddove possibile, nei documenti contrattuali le specifiche dei “criteri ambientali minimi” [C.A.M. peraltro obbligatori ai sensi dell’art. 34 del nuovo codice degli appalti e concessioni per tutti gli affidamenti connessi agli usi finali di energia banditi sotto la vigenza del d.lgs. 50/2016.] di cui al D.M. del Ministero dell’Ambiente del 23 dicembre 2013, emanato in attuazione del “Piano d’Azione Nazionale per il Green Public Procurement” [PAN – GPP ovvero appalti pubblici verdi] in considerazione della enorme incidenza del predetto servizio sui consumi energetici degli Enti Locali››.
9 Cons. St., sez. V, 7 luglio 2016, n. 3646.
10 Cons. Stato, sez. V, 14 aprile 2016, n. 1496.
11 Cons. St., sez. V, 7 luglio 2016, n. 3646, cit.
12 Cfr. sul punto P. Santoro, La responsabilità civile, penale ed amministrativa nei contratti pubblici, 2009, Giuffrè, Milano, p. 83.
13 Cons. St., Sez. V, 17 luglio 2001 n. 3954 e Sez. IV, 25 luglio 2001 n. 4065, in Foro amm. 2001, pp. 1986 e 1929; Cons. St., Sez. VI, 18 mar rzo 2003 n. 1417, ivi 2003, p. 1096; Cons. St., Sez. IV, 19 luglio 2004 n. 5182 3, ivi 2004, p. 2125.
14 Cons. St., Sez. VI, 25 marzo 2004 n. 1625, in Cons. St., 2004, I, p. 231.
15 Cons. St., Sez. VI, 5 giugno 2003 n. 3124, in Foro amm. C.d.S. 2003, p. 1954.
16 ‹‹Principio generale dell’autotutela della pubblica amministrazione (espressamente previsto, nel settore degli appalti pubblici, dall’art. 11, nono comma, del D. Lgs. 163/2006), che rappresenta una delle manifestazioni tipiche del potere amministrativo, direttamente connesso ai criteri costituzionali di imparzialità e buon andamento della funzione pubblica (Consiglio di Stato, Sez. V, 9 aprile 2010 n. 1997; T.A.R. Campania, Napoli, Sez. V, 3 maggio 2010 n. 2263). Infatti, l’art. 21 quinquies L. 7 agosto 1990 n. 241 consente un ripensamento da parte dell’amministrazione, laddove questa ritenga di operare motivatamente una nuova valutazione dell’interesse pubblico originario. La possibilità che in materia di appalti pubblici la stazione appaltante possa mutare avviso, in funzione del pubblico interesse, deve essere ricondotta all’ordinarietà dell’esercizio stesso del potere esperibile anche dopo l’avvio della procedura di scelta del contraente per ragioni di pubblico interesse preesistenti o sopravvenute o per vizi di merito e di legittimità›› (TAR Campania, sez. 8, 11.04.2013, n. 1916)., adottando le cautele lì indicate. Cons. St., Sez., VI, 20 febbraio 1998 n. 1813, in Foro amm. 1998, p. 467; Cons. St., 19 agosto 2003 n. 4671, ivi, 2003, p. 2327; Cons. St, Sez. V, 1 aprile 2004 n. 1813, ivi 2004, p. 1114; Cons. St., Sez. VI, 19 novembre 2002 n. 5062, in Cons. St. 2002, I, p. 2588; Cons. St., Sez. IV, 26 maggio 2003 n. 2823, in Foro amm. Cons. St., 2003, p. 1563 e TAR Lombardia – Milano, Sez. III, 29 settembre 2004 n. 4192, in Foro amm. TAR, 2004, p. 3624, che richiamano l’art. 113 R.C.S., riguardante il diniego di approvazione del contratto per gravi motivi di interesse pubblico.
17 TAR Umbria n. 551/2015.
18 Cfr. Cons. St., Sez. V, 28.07.2015, n. 3721: ‹‹in aggiunta agli ordinari poteri di autotutela il terzo comma dell’articolo 81 del d. lgs. n. 163 del 2006 consente alla stazione appaltante di non aggiudicare l’appalto qualora ritenga che le offerte presentate non siano convenienti o idonee››.
19 Cons. St., Sez. V, 21.05.2015, n. 2019, ma cfr. anche la precedente sentenza n. 2007 del 5.04.2012 sempre del Consiglio di Stato, in cui si evidenzia come non si può parlare di revoca per gli atti endoprocedimentali, ad effetti instabili ed interinali, inidonei a produrre legittimi affidamenti, quale l’aggiudicazione provvisoria.
20 Cfr. TAR Napoli, Sezione VIII – Sentenza 24/09/2008 n. 10735: ‹‹In presenza di un provvedimento di aggiudicazione provvisoria, è pacifica la permanenza in capo alla stazione appaltante di uno spazio riservato di autonomia nella determinazione valutativa che culminerà poi solo con l’aggiudicazione definitiva. Come noto, l’aggiudicazione provvisoria è comunque un atto “ad effetti instabili, del tutto interinali” (C.d.S. sez. VI, 26.04.2005, n. 1885) a fronte del quale non possono configurarsi situazioni di vantaggio stabili in capo al beneficiario. Ed infatti la giurisprudenza è pacifica nel ritenere che: “in attesa dell’aggiudicazione definitiva e del concreto inizio del servizio” non vi è “alcuna posizione consolidata dell’impresa concorrente che possa postulare il riferimento in sede di revoca dell’aggiudicazione ad un interesse pubblico giustificativo del sacrificio del privato” (TAR Lazio sez. III, 25.03.2005 n. 2132), e che l’amministrazione ha altresì il potere di provvedere all’annullamento dell’aggiudicazione provvisoria in via implicita e senza obbligo di particolare motivazione››.
21 TAR Lazio sez. III, 25.03.2005 n. 2132, in massimario ANAC (www.anac.it).
22 ‹‹Il corretto svolgimento dell’azione amministrativa deve anche rispondere al principio generale di contabilità pubblica risalente all’art. 81 della Costituzione; i provvedimenti comportanti una spesa devono essere adottati soltanto se provvisti di adeguata copertura finanziaria›› (CdS, 11.07.12, n. 4116; CdS., 16.10.2012, n. 5282)
23 CdS, Ad. Plen., n. 6/2005 ha individuato nella mancanza di risorse economiche idonee a sostenere la realizzazione dell’opera l’interesse pubblico che può legittimamente giustificare il provvedimento di revoca.
24 Cfr. Cass. n. 477/2013, che ha ritenuto non indennizzabile da parte della P.A. il recesso successivo all’aggiudicazione, motivato da una successiva proposta migliorativa pervenuta da un terzo, che aveva legittimamente indotto l’Amministrazione ad un repentino generale ripensamento, sulla base peraltro di elementi non sopravvenuti, ma già intrinseci nella stessa richiesta formulata nel bando. Si vedano anche Cass. n. 9892/1993 e 13164/2005. La giurisprudenza civile mette in questi casi attenzione anche sul comportamento dell’appaltatore, il quale non può contestare la violazione del principio della buona fede e della correttezza alla P.A., nel caso in cui era a conoscenza della contrarietà dell’atto amministrativo oggetto di revoca all’interesse pubblico (cfr. CdS, Sez. V, 21.05.2015, n. 2019), ovvero ha indotto la P.A (o a concorso) a compiere una erronea valutazione della compatibilità di tale atto con l’interesse pubblico. (cfr. Cass. n. 1578472010).
25 Cfr. CdS, Sez. V, 21.05.2015, n. 2019, in cui il provvedimento di revoca dell’appalto definitivamente aggiudicato alla ditta esecutrice da parte della Regione Calabria era stato motivato dalla P.A. da mere ragioni di cd. spending review: ‹‹L’impugnato provvedimento sarebbe stato idoneo a rendere percepibile l’iter logico seguito dalla Regione, che aveva ritenuto non più rispondente all’interesse pubblico, nella logica della riduzione dei costi››.
26 Cfr. TAR Catania, 3.10.2012 n. 2269; TAR Abruzzo – Pescara, sez. I, 12 marzo 2015, n. 114; TAR Umbria, sez. I, 16 giugno 2011, n. 172.
27 ‹‹Gli enti locali possono annullare, in autotutela, quando vengano rilevati costi impliciti. In particolare, atteso che, secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale, anche in relazione ai procedimenti ad evidenza pubblica per l’affidamento di lavori, servizi e forniture, l’amministrazione conserva il potere di annullare il bando, le singole operazioni di gara e lo stesso provvedimento di aggiudicazione, ancorché definitivo, in presenza di gravi vizi dell’intera procedura, dovendo tener conto delle preminenti ragioni di salvaguardia del pubblico interesse; nel caso di specie il potere di autotutela non è stato esercitato per sottrarsi puramente e semplicemente ad un contratto economicamente squilibrato, quanto piuttosto a causa della mancata corretta valutazione della convenienza economica che legittimava l’operazione›› (Cons. St., Sez. V, 07.09.2011, n. 5032).
28 CdS, Sez. V, 21.05.2015, n. 2019.
29 Cfr. CdS, Sez. V, 21 aprile 15, n. 2019 e 9 luglio 2015, n. 3453; cfr. anche CdS, 29.12.2014 n. 6406; 26.09.2013, n. 4809; 29.5.2012, n. 3210;16.02.2012, n. 833; 07.02.2012 n. 662 e 18.01.2011 n. 283. Il TAR Piemonte, sez. II, 22.10.2005 n. 3266, richiamando una copiosa giurisprudenza, è arrivato addirittura a parlare in questi casi di motivazione implicita.
30 TAR Umbria, sez. 1, 16 giugno 2011, n. 172.
31 Cfr. Tar Lazio III-quater, 18.7.09 n. 7103; Cons. St., VI, 21.5.09 n. 3144; Cons. St. 9.5.08 n. 2751.
32 Cons. St., Sez. V, 21.05.2015, n. 2019.
33 TAR Umbria, sez. 1, 16 giugno 2011, n. 172. Cfr. anche, fra le tante, Cons. Stato, Sez. V, 15 febbraio 2010, n. 808; Sez. VI, 6 aprile 2010, n. 1907; Sez. VI, 27 luglio 2010, n. 4902; Sez. V, 05 aprile 2012, n. 2007; Sez. V, 6 maggio 2013, n. 2418; 26 settembre 2013, n. 4809; Sez. III, 28 febbraio 2014 n. 942. ‹‹In presenza di un’aggiudicazione provvisoria, è pacifica la permanenza in capo alla stazione appaltante di uno spazio riservato di autonomia nella determinazione valutativa, che culminerà nell’aggiudicazione definitiva, l’aggiudicazione provvisoria restando un atto avente effetti instabili ed interinali (Cons. St., Sez. VI, 26 aprile 2005, n. 1885), nei confronti del quale non possono configurarsi situazioni di vantaggio stabili in capo al beneficiario. Se ne desume che, in attesa dell’aggiudicazione definitiva e del concreto inizio dell’esecuzione del contratto, non vi è alcuna posizione consolidata dell’impresa concorrente, la quale possa postulare il riferimento, nella revoca, ad un interesse pubblico giustificativo del sacrificio del privato (v. T.A.R. Lazio, Sez. III, 25 marzo 2005, n. 2132). L’assenza, nei soggetti interessati, di posizioni giuridiche consolidate fa sì, inoltre, che la P.A. possa intervenire in autotutela sull’aggiudicazione provvisoria anche in via implicita e senza obbligo di particolare motivazione (v. T.A.R. Piemonte, Sez. II, n. 3266/2005 cit., con la giurisprudenza ivi menzionata)››.
34 TAR Lombardia, Sezione 1, 17 luglio 2014, n. 602.
35 TAR Lombardia – Milano, Sezione 3, 18 luglio 2013, n. 1913. Cfr. anche TAR Campania – Napoli, Sezione 8, 11 aprile 2013, n. 1916 e più recentemente si veda TAR Toscana, 08.07.2015, n. 1025; T.A.R. Abruzzo – Pescara, sez. I, 12 marzo 2015, n. 114; T.A.R. Lazio – Roma, sez. I, 8 giugno 2015, n. 8050.
36 ‹‹Al riguardo può ancora richiamarsi la pacifica giurisprudenza del Consiglio di Stato e delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, per la quale la responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione è connessa alla violazione delle regole di condotta tipiche della formazione del contratto e quindi non può che riguardare fatti svoltisi in tale fase; perciò la responsabilità precontrattuale non è configurabile anteriormente alla scelta del contraente, vale a dire della sua individuazione, allorché gli aspiranti alla posizione di contraenti sono solo partecipanti ad una gara e possono vantare un interesse legittimo al corretto esercizio dei poteri della pubblica amministrazione, corretto esercizio di cui non può dubitarsi nel caso di specie, visti i tempi seguiti dall’Amministrazione comunale per l’adozione della revoca in questione e la plausibilità della motivazione››.
37 Cfr. Cons. Stato, V, 21 agosto 2014 n. 4272.
38 Cfr. CdS, 7.02.2012, n. 662.
39 Cfr. TAR Lazio, sentenza n. 1252 del 6 dicembre 2004.
40 Cass., sentenza n. 18207 del 25 agosto 2014.
41 Cfr. Cass., sentenza n. 10111 del 2008, si afferma che essa consiste non nella perdita di un vantaggio economico, ma nella perdita della mera possibilità di conseguirlo. Sulla distinzione tra perdita di una chance di conseguire un risultato sperato favorevole e danno per il mancato conseguimento del risultato, cfr. P.G. Monateri, La responsabilità civile, in Trattato di diritto civile, diretto da R. Sacco, Torino, 1998, pp. 283 e segg.
42 D. Chindemi, Il danno da perdita di chance, Milano, 2010, pp. 11-12; A. De Cupis, Perdita di una chance e certezza del danno, in Giur. It., 1986, I, 1, pp. 1181 e ss.
43 Sotto tale profilo appare critica la già citata sentenza n. 18207 del 2014, che, dopo aver riconosciuto natura di entità patrimoniale a sé stante al danno da perdita di chances, autonomamente valutabile, in un inquadramento che ne privilegia la collocazione nell’alveo del lucro cessante, sembra poi a tutti gli effetti equiparare il danno a tutte le retribuzioni non conseguibili. Sul punto si veda anche Cass., sentenza n. 5766 del 20 aprile 2002, per la quale però il risarcimento del danno determinato, in misura corrispondente alle intere retribuzioni spettanti in caso di assunzione, riguarda il caso di illegittimo rifiuto di assunzione obbligatoria, per la quale espressamente si evidenzia la differenza rispetto alla minor misura liquidabile nelle ipotesi di perdita di chances. Nello stesso senso Cass., sentenza n. 11877 del 23 novembre 1998.
44 La Cassazione, con sentenza n. 22370 del 2007 ha riconosciuto il danno da perdita di chances subito dall’impresa che aveva partecipato ad una gara aggiudicata ad una concorrente che aveva presentato un’offerta anomala di massimo ribasso non adeguatamente giustificata dalla stazione appaltante. La Suprema Corte ha anche in tale occasione individuato alcuni criteri di liquidazione, quantificati poi in via equitativa ai sensi dell’art. 2056 c.c.