DIRITTO PROCESSUALE CIVILE – DANNO ERARIALE – Ricorso per revocazione di una sentenza della Corte dei Conti – Errore di fatto – Presupposti – Mancata allegazione – Inammissibilità del ricorso. (Massima a cura di Luca Maria Tonelli)
Provvedimento: Sentenza
Sezione: 2^ giurisdizionale d'appello
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 4 Agosto 2020
Numero: 176
Data di udienza: 19 Settembre 2019
Presidente: Calamaro
Estensore: Chesta
Premassima
DIRITTO PROCESSUALE CIVILE – DANNO ERARIALE – Ricorso per revocazione di una sentenza della Corte dei Conti – Errore di fatto – Presupposti – Mancata allegazione – Inammissibilità del ricorso. (Massima a cura di Luca Maria Tonelli)
Massima
CORTE DEI CONTI, SEZ. II GIURISD. CENTRALE D’APPELLO – 4 agosto 2020, n. 176
DIRITTO PROCESSUALE CIVILE – DANNO ERARIALE – Ricorso per revocazione di una sentenza della Corte dei Conti – Errore di fatto – Presupposti – Mancata allegazione – Inammissibilità del ricorso.
Per giurisprudenza consolidata della Corte di Cassazione, l’errore di fatto in grado di determinare la revocazione delle sentenze deve 1) consistere in una errata percezione del fatto, in una svista di carattere materiale, oggettivamente e immediatamente rilevabile, tale da avere indotto il giudice a supporre l’esistenza di un fatto la cui verità era esclusa in modo incontrovertibile, oppure a considerare inesistente un fatto accertato in modo parimenti indiscutibile; 2) essere decisivo, nel senso che, se non vi fosse stato, la decisione sarebbe stata diversa; 3) non cadere su di un punto controverso sul quale la Corte si sia pronunciata; 4) presentare i caratteri della evidenza e della obiettività, sì da non richiedere per essere apprezzato, lo sviluppo di argomentazioni induttive e di indagini ermeneutiche; 5) non consistere in un vizio di assunzione del fatto, né in un errore nella scelta del criterio di valutazione del fatto medesimo. Detto errore – pertanto – non solo deve apparire di assoluta immediatezza e di semplice e concreta rilevabilità, senza che la sua constatazione necessiti di argomentazioni induttive o di indagini ermeneutiche, ma non può tradursi in un preteso, inesatto, apprezzamento delle risultanze processuali, ovvero di norme giuridiche e principi giurisprudenziali, vertendosi, in tale caso, nella ipotesi di errore di giudizio, inidoneo a determinare la revocabilità delle sentenze della Cassazione (cfr., ex multis, Cass., sent. n. 6378 del 2019). È inammissibile, di conseguenza, il ricorso per revocazione di una sentenza della Corte dei conti quando in esso non vengono indicati, né tantomeno allegati, in concreto quale sia la supposizione del fatto, su cui si basa la decisione, la cui verità è incontrastabilmente esclusa, o – al contrario – ove il giudice abbia “supposto l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita”, così come è – parimenti – inammissibile il ricorso per revocazione, quando la doglianza riguarda un punto controverso sul quale il giudice di appello si è pronunciato e quando difetta dell’elemento della decisività.
Pres. Calamaro, Est. Chesta – Omissis (avv.ti Bonaiuti e Chiabotto) c. Ministero della Difesa (dott.ssa Propersi)
Allegato
Titolo Completo
CORTE DEI CONTI, SEZ. II GIURISD. CENTRALE D’APPELLO - 4 agosto 2020, n. 176SENTENZA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE II GIURISDIZIONALE CENTRALE D’APPELLO
composta dai seguenti magistrati:
Luciano CALAMARO Presidente
Stefano SIRAGUSA Consigliere
Domenico GUZZI Consigliere
Maria Cristina RAZZANO I° Referendario
Ilaria Annamaria CHESTA I° Referendario- Rel.
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio iscritto al n. 53968 del Registro di Segreteria, promosso da OMISSIS, (c.f. OMISSIS), nato ad OMISSIS il OMISSIS rappresentato e difeso dall’avv. Paolo Boniuti (c.f. BNT PLA 66B05 C745M), unitamente e disgiuntamente all’avv. Susanna Chiabotto (c.f. CHBSNN64S45L219T) con elezione di domicilio presso lo studio del primo in Roma, via Riccardo Grazioli Lante n. 16 (paolobonaiuti@ordineavvocatiroma.org;susannachiabotto@ordineavvocatiroma.org);
contro
MINISTERO della DIFESA – Direzione Generale della Previdenza Militare e della leva, in persona del Ministro pro tempore, domiciliato in Roma, viale dell’Esercito n. 186 – 00143, pecSENT.176/2020 previmil@postacert.difesa.it, rappresentato
in proprio (previmil@postacert.difesa.it)
per la revocazione
della sentenza della Corte dei conti, Seconda Sezione giurisdizionale d’appello n. 503 del 20 luglio 2017.
Uditi, nella pubblica udienza del giorno 19 settembre 2019, con l’assistenza del Segretario d’udienza, dott.ssa Giuliana Tranchino, il relatore Primo Referendario Ilaria Annamaria Chesta, l’avv. Andrea Musacchio, in sostituzione degli avvocati Bonaiuti e Chiabotto, e la dottoressa Marina Propersi, per il Ministero della difesa.
Esaminati il ricorso, la memoria difensiva e i documenti del fascicolo di causa.
Ritenuto in
FATTO
Con sentenza n. 62, in data 22 maggio 2012, la Sezione giurisdizionale per le Marche rigettava il ricorso proposto da OMISSIS avverso il decreto del Ministero della difesa del 4.8.2008 n. 465, di diniego di trattamento pensionistico privilegiato tabellare per la lamentata infermità di “sublussazione acromion claveare ds”, con spese di lite a carico della parte soccombente. Il ricorrente, militare di leva fino all’8 maggio 1986, lamentava di essere incorso in un infortunio alla spalla destra, mentre si trovava in caserma, per il quale gli era stata diagnosticata nel mese di ottobre 1985 la citata infermità. Sosteneva che l’infermità stessa doveva ritenersi permanente e non reversibile, comportando una reale menomazione della funzione motoria, con riflessi psichici per l’impossibilità di svolgere normalmente qualsiasi attività e che dal suo libretto sanitario sarebbe emersa la concessione di una licenza di convalescenza per “Sublussazione acromion claveare sx”. Per tali ragioni argomentava che una visita medica era stata effettuata e che, comunque, il Mod “C” doveva essere stato predisposto dall’Amministrazione.Chiedeva, quindi, l’acquisizione, ex art. 213 c.p.c., della documentazione presso l’Amministrazione.
Avverso la sentenza con la quale veniva rigettata la domanda, interponeva appello il signor OMISSIS, per violazione degli artt. 24, 97 e 111 Cost. e dell’art. 112 c.p.c., rilevando una distorta applicazione del principio dispositivo del processo pensionistico, in danno delle esigenze di difesa e di corretta e completa acquisizione dei fatti di causa. Nel merito contestava la violazione e falsa applicazione dell’art. 169 del T.U. delle pensioni e la mancata applicazione degli artt. 1, 3 e 5 del r.d. 1024/28 oltre alla falsa applicazione e la violazione degli artt. 2697 e 2727 c.c..
Questa Sezione, con la sentenza n. 503/2017 ha escluso la sussistenza di vizi di motivazione della sentenza di prime cure, stante la mancanza di prova dell’evento lesivo, dando rilievo al fatto che il libretto sanitario indicava una patologia topograficamente diversa da quella oggetto di causa. A fronte di un quadro probatorio di parte incerto e dell’inerzia quasi ventennale del ricorrente, non si sarebbe potuto ritenere che il giudice fosse chiamato a sopperire alla
3SENT.176/2020 mancata cura dell’interesse di parte, attraverso un accertamento istruttorio.
Avverso la sentenza di appello il signor OMISSIS ha proposto ricorso per revocazione, ai sensi e per gli effetti dell’art. 202, c. 1, lett. f) c.g.c., in relazione all’art. 395, punto 4, c.p.c., per “errore di fatto”, denunciando, altresì, la violazione dell’art. 112 c.p.c..
Dopo aver illustrato le coordinate esegetiche che regolano l’istituto della revocazione e la sua ammissibilità nel caso che occupa, il ricorrente rileva un palese errore di lettura e di interpretazione dei motivi di gravame, da parte del giudice d’appello.
Il giudice stesso avrebbe omesso di considerare come il complesso delle lagnanze proposto fosse rivolto alla ritenuta non corretta decisione in punto di acquisizione probatoria.
Ulteriore errore consisterebbe nell’assenza, per tabulas, dell’affermato riferimento alla topografia dell’infermità diagnosticata. Il presupposto posto a base della decisione di prime e seconde cure non troverebbe alcun fondamento nel richiamato riscontro documentale, posto che sul foglio matricolare sarebbero state annotate le licenze di convalescena senza alcun specifico riferimento. Da ciò discenderebbe che la richiesta di acquisizione documentale esperita, senza
successo, in prime cure, sarebbe risultata indispensabile ai fini del decidere.
Ha quindi chiesto l’accoglimento del ricorso per revocazione e accoglimento della domanda proposta con il ricorso introduttivo del giudizio.
Con memoria in data 7 agosto 2019 si è costituito in giudizio il Ministero della difesa chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso per insussistenza di uno dei motivi revocatori contemplati dalla legge e, in subordine, il rigetto nel merito.
All’udienza odierna l’avv. Andrea Musacchio, in sostituzione degli avvocati Bonaiuti e Chiabotto, e la dottoressa Marina Propersi, per il Ministero della difesa, hanno richiamato i rispettivi atti. Al termine della discussione la causa è passata in decisione.
Rilevato in
DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
L’art. 202, lett. f) del codice della giustizia contabile prevede che “le sentenze pronunciate in grado di appello o in unico grado possono essere impugnate per revocazione quando: …f) la sentenza è l’effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa;
l’errore di fatto ricorre quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontestabilmente esclusa, oppure quando è supposta l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, e tanto nell’uno quanto nell’altro caso se il fatto non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare..”.
La revocazione è consentita soltanto in relazione ad ipotesi tipiche e determinate e, in particolare, quando l’errore in cui il giudice sia incorso cada sull’apprezzamento dei fatti, tanto nel caso in cui la sentenza sia fondata su un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, tanto nel caso in cui sia supposta l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita. Per consolidata giurisprudenza del giudice della legittimità, l’errore di fatto idoneo a determinare la revocazione delle sentenze deve: “1) consistere in una errata percezione del fatto, in una svista di carattere materiale, oggettivamente e immediatamente rilevabile, tale da avere indotto il giudice a supporre l’esistenza di un fatto la cui verità era esclusa in modo incontrovertibile, oppure a considerare inesistente un fatto accertato in modo parimenti indiscutibile; 2) essere decisivo, nel senso che, se non vi fosse stato la decisione, sarebbe stata diversa; 3) non cadere su di un punto controverso sul quale la Corte si sia pronunciata; 4) presentare i caratteri della evidenza e della obiettività, sì da non richiedere, per essere apprezzato, lo sviluppo di argomentazioni induttive e di indagini ermeneutiche; 5) non consistere in un vizio di assunzione del fatto, né in un errore nella scelta del criterio di valutazione del fatto medesimo. Detto errore – pertanto – non solo deve apparire di assoluta immediatezza e di semplice e concreta rilevabilità, senza che la sua constatazione necessiti di argomentazioni induttive o di indagini ermeneutiche, ma non può tradursi in un preteso, inesatto, apprezzamento delle risultanze processuali, ovvero di norme giuridiche e principi giurisprudenziali, vertendosi, in tale caso, nella ipotesi dell’errore di giudizio, inidoneo a determinare la revocabilità delie sentenze della Cassazione” (Cass., 5 marzo 2019, n. 6378; Cassazione civile sez. VI, 31 agosto 2017, n.20635; Cass. 5 aprile 2017, n. 8828).
Alla luce di tali premesse, rileva il Collegio che i motivi di ricorso proposti dal signor OMISSIS si appalesano inammissibili. Ed invero, in disparte l’evidente genericità del ricorso, non risulta nemmeno indicata quale sia, in concreto, la “supposizione del fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa” o, al contrario, ove il giudice abbia “supposto l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita”, mancando qualsiasi allegazione, anche implicita, al
riguardo. Parte ricorrente censura, in realtà, il percorso logico motivazionale della sentenza: sotto la veste apparente “dell’errore di fatto” denuncia “un palese errore di lettura dell’atto” di gravame e le modalità attraverso le quali si è formato il convincimento del giudice di appello.
La censura alla sentenza di cui si chiede la revocazione configura, al più, un error in iudicando e rivela, comunque, la propria evidente infondatezza se solo si ripercorre il puntuale e lineare percorso motivazionale illustrato nella decisione di appello. La pretesa avanzata sin dal primo grado dall’odierno ricorrente si incentra sulla considerazione secondo la quale l’infermità patita avrebbe dovuto costituire oggetto di accertamento d’ufficio, con la conseguenza che la relativa domanda di riconoscimento non avrebbe potuto ritenersi soggiacere ai termini decadenziali previsti dall’art. 169 t.u.n. 1038/1933.
L’errore di fatto consisterebbe, quindi, nella mancata adesione del giudicante alle istanze istruttorie.
In relazione a tale profilo il Giudice di appello ha puntualmente e condivisibilmente argomentato la pretestuosità della richiesta, a fronte di un’inerzia pressochè ventennale dello stesso ricorrente, risultando i fatti risalenti al 1985 e l’istanza di riconoscimento di pensione privilegiata tabellare presentata il 3.3.2005. L’insussistenza di un principio di prova, neppure ricavato per presunzioni, in ordine ai presupposti per l’accertamento d’ufficio dell’infermità di cui trattasi, correttamente è stata evinta, anche dalla circostanza che l’accertamento medico privato (da parte del padre del militare ricorrente) era avvenuto a distanza di oltre sei mesi della data del denunciato avvenimento. In sintesi “l’unica cosa adeguatamente provata da parte della parte istante era proprio l’infermità, ma era del tutto carente…addirittura la prova in ordine al fatto storico e cioè che l’evento lesivo fosse accaduto nel corso del servizio, accertamento che normalmente avviene nell’immediatezza dell’evento con la formula, “allo stato degli atti” ovvero, al più tardi e proprio per la necessità di una prossimità tra momento di accertamento e quello di verificazione del danno, entro i cinque anni di cui all’art. 169 del t.u. 1092/1973” (pagina 9 sentenza di appello n. 503/2017).
Del tutto motivatamente la sentenza qui gravata ha, quindi, escluso, ai sensi dell’art. 2697 c.c., la possibilità di una supplenza istruttoria del giudice rispetto ad una prospettazione di parte non corredata dal minimo fondamento probatorio. Ciò a fortiori tenuto conto che, alla luce degli atti di causa, alcun errore è rilevabile nel percorso argomentativo del Collegio, in relazione all’individuazione della sede topografica dell’intervenuta lesione; né, del resto, tale elemento è stato ritenuto, dalla stessa parte ricorrente, influente ai fini di causa.
Basti il riferimento all’infermità di entrambi gli arti, come risulta dedotto nello stesso atto di appello, ove si afferma che “Ad ogni buon conto, solo tenendo conto della natura dell’infermità – che è pacifica inter partes a nulla rilevando se fosse a dx e/o a sx- in argomento, se ne ricava la non decorrenza del termine decadenziale…” (pag. 23 atto di appello). Anche in relazione alla richiesta istruttoria la sentenza impugnata ha posto in risalto la refertazione clinico/diagnostica, deponente per una sublussazione acromion claveare “i cui esiti – tra l’altro- erano evidenti tanto a dx quanto a sx” (pag. 6 atto di appello). La doglianza, quindi, concerne un punto controverso sul quale il giudice di appello si è pronunciato; difetta, inoltre, l’elemento della decisività. Il gravame va , conclusivamente, dichiarato inammissibile. Le spese di lite seguono la soccombenza ex art. 31 c.g.c. e sono poste a carico del ricorrente nella misura di € 700,00.
P.Q.M.
La Corte dei conti, Sezione seconda giurisdizionale centrale di appello, disattesa ogni contraria istanza, deduzione ed eccezione, definitivamente pronunciando, dichiara il ricorso per revocazione in epigrafe inammissibile.
Le spese di giudizio sono poste a carico del ricorrente e liquidate a favore del Ministero della Difesa nella misura di euro 700,00. Manda alla Segreteria per gli adempimenti di rito.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 settembre 2019.
L’Estensore
(Ilaria Annamaria Chesta)
Il Presidente
(Luciano Calamaro)
Depositata in Segreteria il 04 ago. 2020
La Dirigente
(dott.ssa Sabina Rago)
D E C R E T O
Il Collegio, ravvisati i presupposti per l’applicazione dell’art. 52 del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, dispone che a cura della Segreteria venga apposta, a tutela dei diritti delle parti private, l’annotazione di cui al terzo comma del richiamato articolo 52.
Il Presidente
(Luciano Calamaro)
Depositato in Segreteria il 04 ago. 2020
Il Dirigente
(dott.ssa Sabina Rago)
In esecuzione del provvedimento collegiale ai sensi dell’art. 52 del Decreto Legislativo 30 giugno 2003 n. 196, in caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi delle parti private.
Roma, 04 ago. 2020
Il Dirigente
(dott.ssa Sabina Rago)
F.TO DIGITALMENTE