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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Pubblica amministrazione, Pubblico impiego Numero: 259 | Data di udienza: 27 Luglio 2020

PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – Azione delittuosa di un dipendente pubblico – Danno all’immagine – Quantificazione equitativa – Nozione del danno erariale non patrimoniale – Bene giuridico tutelato – PUBBLICO IMPIEGO – Valutazione della condotta dall’agente – Art. 97 Cost. – Art. 1226 c.c. – Criteri – Fattispecie: art. 319 cp (corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio) – azione di responsabilità amministrativa per il diritto al risarcimento del danno – Danno all’immagine e danno pubblico – Lesione del buon andamento della P.A. – Elemento costitutivo illecito – Condotta illecita dei dipendenti – Lesione della credibilità ed affidabilità all’interno ed all’esterno dell’Amministrazione – Effetti e limiti del clamore mediatico – Giurisprudenza.  (Massima a cura di Luca Maria Tonelli)


Provvedimento: SENTENZA
Sezione:
Regione: CALABRIA
Città:
Data di pubblicazione: 7 Agosto 2020
Numero: 259
Data di udienza: 27 Luglio 2020
Presidente:
Estensore:


Premassima

PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – Azione delittuosa di un dipendente pubblico – Danno all’immagine – Quantificazione equitativa – Nozione del danno erariale non patrimoniale – Bene giuridico tutelato – PUBBLICO IMPIEGO – Valutazione della condotta dall’agente – Art. 97 Cost. – Art. 1226 c.c. – Criteri – Fattispecie: art. 319 cp (corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio) – azione di responsabilità amministrativa per il diritto al risarcimento del danno – Danno all’immagine e danno pubblico – Lesione del buon andamento della P.A. – Elemento costitutivo illecito – Condotta illecita dei dipendenti – Lesione della credibilità ed affidabilità all’interno ed all’esterno dell’Amministrazione – Effetti e limiti del clamore mediatico – Giurisprudenza.  (Massima a cura di Luca Maria Tonelli)



Massima

CORTE DEI CONTI SEZ. GIURISD. REGIONE CALABRIA, 7 agosto 2020 Sentenza n.259

 

PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – Azione delittuosa di un dipendente pubblico – Danno all’immagine – Quantificazione equitativa – Nozione del danno erariale non patrimoniale – Bene giuridico tutelato – PUBBLICO IMPIEGO – Valutazione della condotta dall’agente – Art. 97 Cost. – Art. 1226 c.c. – Criteri – Fattispecie: art. 319 cp (corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio) – azione di responsabilità amministrativa per il diritto al risarcimento del danno.

Il danno all’immagine della Pubblica Amministrazione fa parte della categoria del cd. danno erariale non patrimoniale, inteso come grave perdita di prestigio a seguito del danno all’immagine e alla personalità pubblica dello Stato derivante dall’azione delittuosa di un suo dipendente. Il bene giuridico tutelato è – pertanto – il diritto all’immagine del soggetto pubblico, come proiezione verso l’esterno della propria personalità, anche giuridica, nella lettura necessariamente aperta dell’art. 2 Cost. In secundis, oggetto di tutela sono il prestigio e l’efficienza della Pubblica Amministrazione di cui all’art. 97 Cost., nonché la fiducia che i consociati stessi ripongono verso la sua azione, irreparabilmente compromessa dalla condotta contra legem dei propri dipendenti nell’esercizio delle proprie funzioni, di modo che il ristoro del danno, certo nell’an, non può che avvenire per equivalente economico, in misura equitativa, idonea a risarcire – sia pure per via indiretta – i valori costituzionali compromessi dalla condotta dall’agente.

 

PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – Danno all’immagine e danno pubblico – Lesione del buon andamento della P.A. – Elemento costitutivo illecito – Condotta illecita dei dipendenti – Lesione della credibilità ed affidabilità all’interno ed all’esterno dell’Amministrazione – Effetti e limiti del clamore mediatico – Giurisprudenza.

Il danno all’immagine si atteggia quale “danno pubblico” in quanto lesione del buon andamento della P.A., la quale perde, con la condotta illecita dei suoi dipendenti, credibilità ed affidabilità all’interno ed all’esterno della propria organizzazione, ingenerando la convinzione che i comportamenti patologici posti in essere dai propri appartenenti siano un connotato usuale dell’azione dell’Amministrazione. Tuttavia, l’elemento costitutivo dell’illecito, è rappresentato essenzialmente dalla condotta accertata con sentenza penale irrevocabile di condanna. In ordine al clamore mediatico della notizia (documentata attraverso articoli tratti dal web), si ritiene di regola che la risonanza mediatica e l’amplificazione del fatto operata dai mass-media, non integri la lesione del bene tutelato, indicandone semplicemente la dimensione, considerato che la diffusione mediatica della notizia non può non minare la fiducia dei cittadini nei confronti dell’istituzione.

Pres. LORETO, Est. BRUNENGHI – Procura regionale (P.M. Dodaro) c. omissis


Allegato


Titolo Completo

CORTE DEI CONTI SEZ. GIURISD. REGIONE CALABRIA, 7 agosto 2020 Sentenza n.259

SENTENZA

REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano

LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE CALABRIA

Composta dai seguenti magistrati:

Rita Loreto Presidente

Sergio Vaccarino Consigliere

Carlo Efisio Marrè Brunenghi Giudice relatore

Ha emanato la seguente

SENTENZA

Nel giudizio di responsabilità iscritto al n. 22442 del registro di Segreteria, promosso nei confronti del Sig. omississ (omississ) nato a omississ (omississ) il omississ e residente in omississ (omississ) alla omississ, n. omississ – omississ, non costituito;

Uditi nella pubblica udienza del 8 luglio 2020 il relatore, Referendario dott. Carlo Efisio Marrè Brunenghi e il Pubblico Ministero nella persona del Sostituto Procuratore Generale, dott.ssa Maria Gabriella Dodaro;

Esaminati gli atti e i documenti di causa;

FATTO

Con atto di citazione del 19 dicembre 2019 la Procura regionale ha citato in giudizio il sig. omississ per sentirlo condannare al pagamento della somma di euro 20.000,00= in favore dell’Arma dei Carabinieri, a titolo di danno all’immagine, in quanto con sentenza n. omississ della Corte di Appello di Catanzaro, prima sezione penale, del omississ, passata in giudicato il omississ, veniva confermata la sentenza del omississ con cui il Tribunale penale di Catanzaro lo riconosceva colpevole del reato previsto dall’art. 319 c.p. (corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio), nella sua qualità di pubblico ufficiale appartenente all’Arma dei Carabinieri, Reparto Provinciale di omississ.

Risulta dagli atti di causa che il omississ, con più atti esecutivi del medesimo disegno criminoso, in qualità di Pubblico Ufficiale appartenente all’Arma dei Carabinieri, nel periodo intercorso fra marzo e luglio 2009, aveva chiesto e ottenuto in più occasioni denaro da un pregiudicato arrestato per reati in materia di stupefacenti e dalla sua convivente, soggetti con i quali il omississ aveva rapporti connotati da illiceità, al fine di favorire il pregiudicato medesimo.

Sotto il profilo dell’azionabilità della pretesa, la Procura evidenzia come l’azione per il risarcimento del danno all’immagine sia intestata alla Corte dei conti per espressa disposizione legislativa (art. 17, comma 30-ter d.l. n. 78/09 letto in combinato disposto con l’art. 7 della l. 97/01, poi abrogato a decorrere dal 07.10.2016 dall’art. 4, co. 1 lett. g) delle norme
transitorie al nuovo c.g.c., approvato col d. lgs. n. 174/2016).

Sotto il profilo sostanziale, la Procura evidenzia che sussistono tutti gli elementi costitutivi dell’illecito: sentenza di condanna irrevocabile; danno certo concreto e attuale dell’Arma dei Carabinieri – Reparto Provinciale di omississ in conseguenza dell’attività delittuosa posta in essere dal convenuto; clamor fori, atteso che il fatto penalmente accertato ha ricevuto una vasta eco sulla stampa locale.

Sulla quantificazione del danno all’immagine, richiamata la valutazione equitativa ex art. 1226 c.c., sulla base di parametri oggettivi, soggettivi e sociali elaborati da pacifica giurisprudenza, la Procura individua quale ulteriore elemento utile di quantificazione la circostanza che, nel periodo delle indagini che lo hanno coinvolto (13 marzo 2009 – 17 luglio 2009) il omississ ha percepito mensilmente, a titolo di emolumenti, una somma netta pari a euro 1.130 circa, cui è corrisposto un compenso lordo mensile di circa 2.350,00= euro a carico dell’Arma dei Carabinieri.

Il convenuto, regolarmente citato, non si è costituito.

All’udienza del 8 luglio 2020, il requirente si è riportato per intero alle conclusioni rassegnate nell’atto introduttivo.

DIRITTO

Preliminarmente il Collegio, ai sensi dell’articolo 93 del codice di giustizia contabile, dichiara la contumacia del sig. omississ, al quale l’atto di citazione è stato ritualmente notificato – in una col decreto di fissazione dell’udienza odierna – in data 16 gennaio 2020. La notificazione è avvenuta ai sensi dell’art.137 c.p.c. mediante consegna, da parte dell’ufficiale giudiziario, dell’atto di citazione e del decreto di fissazione dell’udienza, a mani proprie presso l’indirizzo di residenza, ove era stato notificato il previo invito a fornire deduzioni (anche questo, consegnato a mani dello stesso convenuto).

Il sig. omississ, regolarmente citato, non si è costituito e il Collegio ne dichiara pertanto la contumacia.

Nel merito, l’azione di responsabilità per danno all’immagine è fondata e merita parziale accoglimento nei limiti che seguono.

1. Azionabilità della pretesa.

Il requirente ha promosso l’azione di responsabilità per danno all’immagine invocando il combinato disposto dell’art. 17, comma 30-ter del D.L. n. 78/09 con l’art. 7 L. 97/01 (successivamente abrogato per effetto dell’art. 4, comma 1 lett. g) delle «norme transitorie e abrogazioni» al nuovo codice della giustizia contabile, entrato in vigore dal 7 ottobre 2016), deducendo che la norma consente espressamente la perseguibilità del danno all’immagine innanzi al giudice contabile nelle ipotesi, quale quella per cui è giudizio, di condanna definitiva per uno dei delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, e dunque uno dei delitti contenuti nel capo I del titolo II del libro II del codice penale.

A tale riguardo, il Collegio reputa opportuno richiamare la successione normativa che ha interessato la materia de qua e i diversi orientamenti della giurisprudenza (ex pluribus, Corte dei conti, Sezione Lombardia, n. 73/2017, n. 98/2917; n. 105/2017), secondo la quale, con l’entrata in vigore del D. lgs.5 n. 174/2016 (nuovo Codice della giustizia contabile), sono stati ridefiniti legislativamente i contenuti dell’azione di responsabilità amministrativa per il diritto al risarcimento del danno all’immagine della pubblica amministrazione.

La legge n. 97 del 2001 all’art. 7, punto 1, così prevedeva. “La sentenza irrevocabile di condanna pronunciata nei confronti dei dipendenti indicati nell’art. 3 per i delitti contro la pubblica amministrazione previsti nel capo I del titolo II del libro II del codice penale è comunicata al competente procuratore regionale della Corte dei conti affinché promuova entro 30 giorni l’eventuale procedimento di responsabilità per danno erariale nei confronti del condannato”.

Successivamente, il D.L. n. 78/09 conv. in L. 102/09, all’art. 17 comma 30-ter (c.d. Lodo Bernardo), come sostituito dall’art. 1, comma 1, lett. c) del d.l. n. 103 del 3 agosto 2009, conv. in L. n. 141 del 2009, aveva così disposto al secondo periodo: “Le procure della Corte dei conti esercitano l’azione per il risarcimento del danno all’immagine nei soli casi e nei modi previsti dall’articolo 7 della legge 27 marzo 2001, n. 97.

A tale ultimo fine, il decorso del termine di prescrizione di cui al comma 2 dell’articolo 1 della legge 14 gennaio 1994, n. 20, è sospeso fino alla conclusione del procedimento penale”.

I reati cui faceva riferimento il “Lodo Bernardo”, con il rinvio all’art. 7 della legge n. 97/2001, sono i “reati propri” (peculato, concussione, malversazione, corruzione, abuso d’ufficio, ecc.) che possono essere commessi soltanto da pubblici ufficiali.

L’art. 1, comma 1 sexies, legge n. 20/1994, introdotto dalla legge n. 190/12 in tema di misure anticorruzione, così dispone: “Nei giudizi di responsabilità, l’entità del danno all’immagine della pubblica amministrazione derivante dalla commissione di un reato contro la stessa pubblica amministrazione accertato con sentenza passata in giudicato si presume, salva prova contraria, pari al doppio della somma di denaro o del valore patrimoniale di altra utilità illecitamente percepita dal dipendente”.

Con l’entrata in vigore del D. lgs. n. 174/2016 – Codice della giustizia contabile – l’art. 4 dell’All. 3 del decreto ha abrogato l’art. 7 della L. n. 97/2001 ma non anche il rinvio ad esso operato dall’art. 17, co. 30ter del d.l. n. 78/09, secondo periodo.

Parallelamente, il nuovo codice della giustizia contabile ha disciplinato il profilo processuale della pretesa erariale all’art. 51, commi 6 e 7.

Il comma 6 dell’art. 51 testualmente recita: “La nullità per violazione delle norme sui presupposti di proponibilità dell’azione per danno all’immagine è rilevabile anche d’ufficio”; il comma 7, a completamento, così dispone: “La sentenza irrevocabile di condanna pronunciata nei confronti dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, del D. lgs. 30 marzo 2001, n. 165, nonché degli organismi e degli enti da esse controllati, per i delitti commessi a danno delle stesse, è comunicata al competente procuratore regionale della Corte dei conti affinché promuova l’eventuale procedimento di responsabilità per danno erariale nei confronti del condannato.

Resta salvo quanto disposto dall’art. 129 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, approvate con decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271”.
La questione, oggetto di dibattito giurisprudenziale, nasce dalla circostanza che Codice della giustizia contabile, pur abrogando il primo periodo del primo comma dell’art. 17, comma 30-ter, del D.L. n. 78 del 2009 – non ha mutato il secondo periodo relativo alla limitazione dell’azione per il risarcimento del danno all’immagine nei soli casi e nei modi previsti dall’articolo 7 della legge 27 marzo 2001, n. 97; ed, inoltre, con l’art. 4, comma 1, lettera g), dell’Allegato 3 (Norme transitorie e abrogazioni), ha abrogato l’art. 7 della legge n. 97 del 2001, cui tale previsione faceva rinvio nel delimitare i casi nei quali il PM contabile poteva promuovere l’azione risarcitoria.

La questione dibattuta in giurisprudenza è, dunque, se sia ancora vigente, dopo l’entrata in vigore del codice di giustizia contabile, la limitazione alla perseguibilità del danno all’immagine ai soli reati propri commessi dai pubblici ufficiali o se esso debba ritenersi ormai azionabile per tutti i delitti commessi a danno delle pubbliche amministrazioni.

La Corte costituzionale è stata investita per la prima volta della questione di costituzionalità dell’art. 51, comma 7, del codice di giustizia contabile nella parte in cui preclude l’esercizio dell’azione di responsabilità per danno all’immagine in mancanza di condanna per reato, in quanto dichiarato prescritto in sede penale.

La Consulta, con l’ordinanza del 4 luglio 2019 n. 191, ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 51, comma 7, del codice di giustizia contabile per inadeguata rappresentazione del quadro normativo da parte del giudice a quo e, tuttavia, si è soffermata su alcuni aspetti salienti della disciplina danno all’immagine della P.A.

La Consulta ha precisato, al riguardo, che l’ordinanza di rimessione del giudice a quo non ha tenuto conto delle diverse possibili interpretazioni conformi, ed in particolare non ha chiarito se il rinvio operato dall’art. 17, comma 30-ter, del D.L. n. 78 del 2009, all’art. 7 della legge n. 97 del 2001, che si riferiva ai soli delitti dei pubblici ufficiali contro la P.A., ora abrogato, sia un rinvio fisso oppure mobile e, pertanto, se sia ancora operante oppure no.

La questione ermeneutica, allo stato, resta ancora aperta, non essendosi sul punto formato un univoco orientamento giurisprudenziale.

Tuttavia, la perseguibilità del danno all’immagine di cui alla vicenda che ci occupa può senza alcun dubbio ammettersi anche alla stregua della interpretazione più restrittiva, trovandoci al cospetto di un reato c.d. proprio, qual è quello di corruzione, commesso dal convenuto nella sua qualità di pubblico ufficiale.

Ed invero alcun dubbio può nutrirsi in ordine al fatto che il convenuto omississ, nella sua qualità di appartenente all’Arma dei Carabinieri, sia stato riconosciuto colpevole, in concorso con altri, del reato di cui all’art. 319 c.p. (corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio) con sentenza n. omississ della Corte di Appello di omississ, prima sezione penale, di conferma della sentenza del Tribunale penale di omississ del omississ, “perché con più atti esecutivi di un medesimo disegno criminoso, in qualità di Pubblico Ufficiale appartenente all’Arma dei Carabinieri, riceveva da parte di omississ e omississ, per sé e/o per altri, denaro ed altre utilità per compiere atti contrari ai suoi doveri di ufficio, quali omissioni di verifiche e controlli di PG nei confronti di omississ e della omississ, nonché interventi presso il proprio Comandante per far alleggerire i controlli degli altri militari, suoi colleghi, nei confronti del omississ, ovvero interessarsi affinché altri militari suoi colleghi non relazionassero compiutamente in ordine ai contatti ed alle frequentazioni del omississ con altri pregiudicati, nel periodo in cui era agli arresti domiciliari, nonché in taluni casi fornire notizie relative all’attività di ufficio sempre con riferimento al medesimo omississ”.

Alcun dubbio può nutrirsi sulla definitività dell’accertamento penale di condanna, atteso che la sentenza della Corte d’Appello è stata pubblicata mediante deposito in cancelleria in data omississ e dunque essa è divenuta irrevocabile in data omississ, come attestato dalla stessa Corte d’Appello di omississ con pec inviata alla Procura della Corte dei conti presso la Sezione giurisdizionale Calabria in data 2 agosto 2017.

La pretesa risarcitoria per danno all’immagine deve pertanto essere accolta, sussistendo nel caso di specie un giudicato penale di condanna per reati contro la pubblica amministrazione.

2. Elementi costitutivi dell’illecito.

Il danno appartiene all’immagine alla categoria della del pubblica c.d. amministrazione danno erariale non patrimoniale, inteso come grave perdita di prestigio a seguito del nocumento all’immagine e alla personalità pubblica dello Stato derivante dall’azione delittuosa di un suo dipendente.

Bene giuridico tutelato è pertanto, in primo luogo, il diritto all’immagine del soggetto pubblico, come proiezione verso l’esterno della propria personalità, anche giuridica, nella lettura necessariamente aperta dell’art. 2 della Costituzione.

In secondo luogo, oggetto di tutela sono il prestigio e l’efficienza della pubblica amministrazione di cui all’art. 97 Cost., nonché la fiducia che i consociati stessi ripongono verso la sua azione, irreparabilmente compromessa dalla condotta contra legem dei propri dipendenti nell’esercizio delle loro funzioni, di guisa che il ristoro del danno, certo nell’an, non può che avvenire per equivalente economico, in misura equitativa, idonea a risarcire – sia pure per via indiretta – i valori costituzionali compromessi dalla condotta dell’agente.

Quanto all’elemento costitutivo dell’illecito in discorso, esso è rappresentato essenzialmente dalla condotta accertata con sentenza penale irrevocabile di condanna.

In ordine al clamore mediatico della notizia (documentata in atti attraverso articoli di stampa tratti dal web), si ritiene di regola che la risonanza mediatica e la amplificazione del fatto operata dai mass-media, non integri la lesione del bene tutelato, indicandone semplicemente la dimensione, giusta anche la considerazione che la diffusione mediatica della notizia non può non minare la fiducia dei cittadini nei confronti dell’istituzione (Corte dei conti, Sez. Liguria, n. 72/2016; Sez. Calabria, n. 104/2018; Sez. Sicilia, n. 640/2016; Sez. Emilia-Romagna, n. 209/2018; Sez. Lombardia, n. 171/2016; Sez. I d’appello, n. 272/2018).

Allo stesso modo, la sussistenza dei fatti addebitati al omississ e la loro riconducibilità al medesimo risultano ampiamente provati nel presente giudizio.

La Procura attrice ha, infatti, prodotto in giudizio le due sentenze penali di condanna in cui sono riportati ampi stralci di trascrizioni di conversazioni telefoniche oggetto di intercettazione tra il convenuto e i suoi complici, che provano ulteriormente i fatti contestati, a prescindere dalla valenza del giudicato penale nel presente giudizio, ai sensi dell’art. 651 c.p..

Ne consegue che non può essere revocato in dubbio che il convenuto, in violazione dei doveri di servizio connessi alla qualità, rivestita all’epoca dei fatti, di Carabiniere in servizio presso il Nucleo Operativo Radiomobile del Reparto provinciale di omississ, nelle date puntualmente riportate nell’atto di citazione, abbia in più occasioni intrattenuto rapporti illeciti con un soggetto pregiudicato, nel periodo in cui era agli arresti domiciliari, al quale ha insistentemente rivolto richieste di denaro, anche di esigua entità, con l’impegno da parte del omississ diretto a favorire tale soggetto, dapprima evitandogli i controlli da parte delle forze dell’ordine e, in una fase successiva, allorché questi era detenuto, al fine di evitare che vi fosse una relazione negativa su di lui, che avrebbe pregiudicato l’ottenimento di benefici penitenziari.

Peraltro, la Procura ha anche dimostrato che la notizia ha avuto risonanza nella stampa locale, sicché non v’è dubbio che l’opinione pubblica sia venuta a conoscenza del fatto lesivo della reputazione dell’amministrazione. Risulta allora evidente il vulnus che il Comando provinciale dei Carabinieri di omississ ha dovuto subire al proprio decoro ed alla propria credibilità, sia esterna che interna (di fronte, cioè, alla comunità amministrata e agli altri militari), quale conseguenza delle menzionate condotte illecite.

L’esauriente compendio probatorio prodotto dalla Procura consente di affermare che le condotte illecite serbate dal omississ rivestono sicuramente natura dolosa, siccome all’evidenza tenute con la coscienza e volontà non soltanto di violare gli obblighi di servizio, ma anche dell’evento di danno erariale, conseguenza della propria condotta illecita.

In altri termini, il danno all’immagine si atteggia quale “danno pubblico” in quanto lesione del buon andamento della P.A., la quale perde, con la condotta illecita dei suoi dipendenti, credibilità ed affidabilità all’interno ed all’esterno della propria organizzazione, ingenerando la convinzione che i comportamenti patologici posti in essere dai propri appartenenti siano un connotato usuale dell’azione dell’Amministrazione (tra le tante, Corte conti, Sez. Lombardia, nn.95/11, 284/08 e 540/08).

Quantificazione del danno.

La Procura regionale – stante l’impossibilità di determinare con esattezza le somme e/o utilità illecitamente percepite – ha quantificato il danno in euro 20.000,00= oltre rivalutazione monetaria e interessi, sulla base dei parametri oggettivo, soggettivo e sociale recepiti dalla giurisprudenza, offrendo quale ulteriore elemento di valutazione equitativa ex art. 1226 c.c. l’emolumento stipendiale lordo mensile (euro 2.350 circa), in relazione al periodo delle indagini che hanno riguardato il omississ (dal 13 marzo al 17 giugno dell’anno 2009).

In punto di quantificazione, la richiesta della Procura regionale appare eccessiva. Poiché dall’attenta lettura dei documenti di causa non si evince la “somma di denaro o del valore patrimoniale di altra utilità illecitamente percepita dal dipendente”, che il legislatore (art. 1, comma 1 -sexies, l. n.14 20/94) individua quale criterio presuntivo per quantificare, nella misura del duplum, il risarcimento dovuto, salva prova contraria, ritiene il Collegio che si debba pertanto fare riferimento alla copiosa giurisprudenza di questa Corte (tra le tante, Corte conti, Sez. giur. Toscana, 19 settembre 2018, n. 220; id., Sez. giur Campania, n. 512/2014; id., Sez. I, n.222/A/2004; id., Sez. giur. Lazio, n. 439/03; id., Sez. giur. Lombardia, n. 284/08) la quale, al fine precipuo di evitare soluzioni arbitrarie, richiede che tale quantificazione si basi su di un’analisi in concreto delle singole fattispecie di comportamento illecito e si fondi su una serie di indicatori ragionevoli:
a) di natura oggettiva, inerenti alla natura del fatto, alle modalità di perpetrazione dell’evento pregiudizievole, alla eventuale reiterazione dello stesso, all’entità dell’eventuale arricchimento;
b) di natura soggettiva, legati al ruolo rivestito dal pubblico dipendente nell’ambito della Pubblica Amministrazione;
c) di natura sociale, legati alla negativa impressione suscitata nell’opinione pubblica locale ed anche all’interno della stessa Amministrazione, all’eventuale clamor fori e alla diffusione ed amplificazione del fatto operata dai mass-media;

Nel caso di specie, valutati i menzionati parametri, appare pertanto equo a questo Collegio porre a carico del convenuto, a titolo di condanna dell’Amministrazione per la lesione d’appartenenza, dell’immagine l’importo di euro 5.000,00 inclusa rivalutazione monetaria, oltre interessi dalla pubblicazione della presente sentenza fino ad integrale soddisfo.

Entro tali limiti la domanda attrice può trovare accoglimento.

Le spese di giudizio si ritengono compensate, attesa la parziale reciproca soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dei conti, Sezione Giurisdizionale per la Calabria, definitivamente pronunciando, in parziale accoglimento della domanda attrice, Condanna il sig. omississ al pagamento, nei confronti del Ministero della Difesa – Arma dei Carabinieri, Comando Provinciale di omississ, della somma di euro 5.000,00= inclusa rivalutazione monetaria, oltre interessi legali dal giorno della pubblicazione della sentenza odierna fino ad integrale soddisfo.

Spese di giudizio compensate.

Manda alla Segreteria per adempimenti di competenza.

Deciso in Catanzaro nella camera di consiglio del 8 luglio 2020.

f.to digitalmente – Depositata in segreteria nei modi di legge.

Catanzaro, li 27/07/2020

Il Collegio, ravvisati gli estremi per l’applicazione dell’art. 52, comma 2, del decreto legislativo del 30 giugno 2003, n. 196, come modificato dal D.lgs. n. 101 del 10/08/2018

DISPONE

che a cura della Segreteria venga apposta l’annotazione di cui al comma 3 di detto articolo 52, nei riguardi della parte privata e, se presenti, del dante causa e degli aventi causa.

In esecuzione di quanto disposto dal Collegio, ai sensi dell’art. 52 del decreto legislativo n. 196 del 30 giugno 2003, come modificato dal D. lgs. n. 101 del 10/08/2018 in caso di diffusione dovranno essere omesse le generalità e tutti gli ulteriori elementi identificativi della parte privata e, se presenti, dal dante causa e degli aventi causa.

Catanzaro, 7 agosto 2020

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