+39-0941.327734 abbonati@ambientediritto.it
Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Danno erariale, Pubblica amministrazione Numero: 258 | Data di udienza: 7 Luglio 2020

PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – DANNO ERARIALE – Giurisdizione della Corte dei Conti – Responsabilità contabile degli amministratori di associazioni o altri enti privati destinatari di fondi pubblici – Contributi comunitari diretti ed indiretti – Prescrizione del diritto al risarcimento del danno – Rapporto di servizio – Funzionalizzazione delle risorse pubbliche indebitamente percepite o non correttamente utilizzate.  (Massima a cura di Luca Maria Tonelli)


Provvedimento: Sentenza
Sezione:
Regione: Calabria
Città:
Data di pubblicazione: 26 Luglio 2020
Numero: 258
Data di udienza: 7 Luglio 2020
Presidente: Loreto
Estensore: Facciorusso


Premassima

PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – DANNO ERARIALE – Giurisdizione della Corte dei Conti – Responsabilità contabile degli amministratori di associazioni o altri enti privati destinatari di fondi pubblici – Contributi comunitari diretti ed indiretti – Prescrizione del diritto al risarcimento del danno – Rapporto di servizio – Funzionalizzazione delle risorse pubbliche indebitamente percepite o non correttamente utilizzate.  (Massima a cura di Luca Maria Tonelli)



Massima

CORTE DEI CONTI, SEZ. GIURISD. PER LA REGIONE CALABRIA – 26 luglio 2020, sentenza n. 258

PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – DANNO ERARIALE – Giurisdizione della Corte dei Conti – Responsabilità contabile degli amministratori di associazioni o altri enti privati destinatari di fondi pubblici – Contributi comunitari diretti ed indiretti – Prescrizione del diritto al risarcimento del danno – Rapporto di servizio – Funzionalizzazione delle risorse pubbliche indebitamente percepite o non correttamente utilizzate.

Sussiste la giurisdizione della Corte dei conti a giudicare sui c.d. contributi comunitari diretti ed indiretti, in quanto in entrambi i casi tra l’Amministrazione erogante e la persona fisica o giuridica destinataria della risorsa pubblica si instaura un rapporto di servizio di tipo funzionale o anche semplicemente un rapporto di fatto che, in tutti i casi di indebita percezione, distrazione o cattiva utilizzazione, per la natura del danno arrecato all’Ente pubblico risulta idoneo a radicare la giurisdizione contabile. Spetta alla Corte dei conti la giurisdizione in ordine alla responsabilità contabile degli amministratori di associazioni o altri enti privati destinatari di fondi pubblici, in quanto il rapporto di servizio non viene instaurato dall’Amministrazione erogante solo nei confronti della società o dell’Ente, ma anche nei confronti dei loro amministratori. Il principio dell’estensione della giurisdizione contabile anche agli amministratori e ai rappresentanti legali degli Enti privati destinatari di risorse pubbliche è stato ribadito anche dal giudice del riparto – Corte di Cassazione –, che ha valorizzato il rilievo assunto dal rapporto di servizio comunque instauratosi con l’Ente pubblico danneggiato e il correlato profilo di “funzionalizzazione” delle risorse pubbliche indebitamente percepite o non correttamente utilizzate.

Pres. Loreto, Est. Facciorusso, PM Pallone – F. G. (avv. Zicarelli)


Allegato


Titolo Completo

CORTE DEI CONTI, SEZ. GIURISD. PER LA REGIONE CALABRIA – 26 luglio 2020, sentenza n. 258

SENTENZA

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE CALABRIA

composta dai Magistrati:
Rita LORETO Presidente
Natale Longo Consigliere
Sabrina Facciorusso Referendario (relatore)

ha pronunciato la seguente

S E N T E N Z A

nel giudizio di responsabilità amministrativa iscritto al n. 22512 del registro di segreteria, promosso dal Procuratore Regionale nei confronti di GRAMISCI Franco, C.F. GRMFNC76B20D005Q, nato a Corigliano Calabro (CS) il 20.02.1976 e residente a Roma, via Pietraperzia n.47
Visti gli atti del giudizio;
Uditi, nella pubblica udienza del 7 luglio 2020, il Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale dott.ssa Federica Pallone e l’Avv. Gianluigi Zicarelli per il convenuto.

RITENUTO IN FATTO

1. Con atto di citazione depositato il 6 febbraio 2020 la Procura regionale ha richiesto la condanna del convenuto, come in epigrafe generalizzato, a risarcire in favore della Regione Calabria un danno erariale pari ad euro 74.324,000, o alla maggiore o minore somma che risulti di giustizia, oltre accessori e spese, a titolo di indebita percezione di erogazioni pubbliche da parte della “CORBEC” società cooperativa a responsabilità limitata, di cui l’odierno convenuto era legale rappresentante. La Società in parola, avente sede in Plataci (CS), località S. Elia – partita iva 01393550783 (operante nel settore delle agenzie ed agenti o procuratori per lo spettacolo e lo sport e cancellata dal registro delle imprese in data 18 dicembre 2018) nell’anno 2009 è infatti 1stata ammessa ai benefici di cui all’Avviso pubblico nr. 6986 del 04.06.2008 per la “concessione di incentivi alle imprese per l’incremento occupazionale e la formazione in azienda dei neoassunti (piccola e media imprese) di cui al POR Calabria 2000/2006 – Misura 3.2. (inserimento e reinserimento nel mercato del lavoro) e misura 3.4. (inserimento lavorativo e reinserimento di gruppi svantaggiati) nonché al POR Calabria 2007/2013 – Asse II occupabilità”.
2. Ha precisato l’organo requirente che la vertenza trae origine da un’informativa della Guardia di Finanza, Gruppo Sibari – Nucleo Operativo- tramessa alla Procura con nota prot. n. 48463/2016 del 16/02/2016, nella quale si segnalava che la società CORBEC, in persona del suo legale rappresentante GRAMISCI Franco, attraverso artifizi e raggiri, aveva rappresentato alla Regione Calabria, ente erogatore dei contributi, una situazione diversa rispetto a quella reale, atteso che non aveva rispettato il previsto mantenimento occupazionale dei lavoratori neoassunti (36 mesi), non aveva realizzato nei loro confronti il prescritto corso di formazione obbligatorio interno all’azienda, secondo i canoni previsti dall’art. 10 dell’Avviso pubblico e le norme di cui all’atto di adesione ed obbligo n. 538 del 05.02.2009, sottoscritto con la citata Regione ed, infine, non aveva proceduto a rendicontare correttamente l’attività formativa.
Più in particolare, il requirente ha rappresentato che scopo del citato avviso pubblico era quello di favorire l’incremento occupazionale, e a tal fine venivano concessi alle imprese operanti su tutto il territorio regionale incentivi economici a sostegno di nuove assunzioni di “lavoratori svantaggiati o “lavoratori diversamente abili”, con un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato e con una serie di obblighi consistenti, sinteticamente, nell’impegno a mantenere il rapporto di lavoro per almeno 36 mesi, ad avviare obbligatoriamente i neoassunti ad un percorso formativo in azienda propedeutico o successivo all’assunzione; a rendicontare adeguatamente l’attività formativa svolta.
Per l’erogazione e il mantenimento del contributo era assolutamente vietata l’assunzione di lavoratori aventi legami di parentela, affinità/coniugio entro il 1° grado tra la persona da assumere ed il titolare dell’impresa. Per quanto riguarda i tirocini formativi, il bando distingueva due tipologie: (a) tirocini formativi propedeutici all’assunzione della durata massima di quattro mesi e (b) percorsi formativi interni all’azienda con l’affiancamento di un tutor d’impresa da realizzare entro 4 mesi successivi all’assunzione.
Per il mantenimento dei contributi, ove taluno dei rapporti di lavoro fosse cessato, per le causali di cui al bando, in data anteriore allo spirare dei 36 mesi (dimissioni volontarie del lavoratore, collocamento a riposo, licenziamento per giusta causa o giustificato motivo oggettivo, licenziamenti collettivi coerenti con la legislazione vigente) le imprese beneficiarie erano tenute ad assumere nuovi lavoratori aventi medesimi requisiti a concorrenza dei 36 mesi, pena la restituzione del contributo in misura proporzionale al mancato utilizzo.
In caso di ammissione al contributo, il bando prevedeva che il soggetto beneficiario dovesse sottoscrivere un atto di adesione ed obbligo con la Regione Calabria attraverso il quale regolamentare i rapporti giuridici e finanziari (nonché i reciproci obblighi) con l’amministrazione Regionale, nonché definire le modalità e i tempi di erogazione delle agevolazioni.
La violazione delle clausole contenute nel suddetto atto costituiva causa di revoca delle agevolazioni concesse.
Entro 30 giorni dalla sottoscrizione del suddetto alto di adesione ed obbligo, pena la perdita dei benefici accordati, i beneficiari, a seconda la tipologia formativa proposta, dovevano alternativamente (a) avviare i tirocini formativi propedeutici all’assunzione ovvero (b) perfezionare le assunzioni e attivare il previsto percorso formativo interno all’azienda con affiancamento di un tutor di impresa. Nel caso di assunzione diretta del lavoratore il percorso formativo doveva essere realizzato obbligatoriamente nei 6 mesi successivi all’assunzione.
L’art. 12 del bando prevedeva, tra l’altro, che nell’ambito dell’attività di monitoraggio, i soggetti beneficiari erano tenuti annualmente a compilare un apposito modulo di monitoraggio che attestava la continuità e la conformità delle assunzioni previste.
In seguito a positiva valutazione effettuata dalla Regione Calabria, il 4.11.2008 la CORBEC veniva ammessa al finanziamento e in data 5 febbraio 2009 veniva siglato l’Atto di adesione e obbligo rep. n. 538 tra la medesima società e la Regione Calabria. Il finanziamento veniva assegnato in data 25.06.2009 con Decreto 3Dirigenziale n. 12296, il quale concedeva la somma complessiva di € 74.324,00, di cui € 54.324,00 come incentivo all’assunzione ed € 20.000,00 come incentivo alla formazione. A sua volta la somma erogata a titolo di incentivo all’assunzione si ripartiva in € 36.180,00 per incentivo all’assunzione di n. 7 lavoratori svantaggiati (rif. misura 3.2) ed € 18.144,00 per l’incentivo all’assunzione di n. 3 lavoratori disabili (rif. misura 3.4). La somma erogata a titolo di incentivo alla formazione invece era destinata in parte (€ 14.000,00) all’attività formativa post assunzione dei 7 lavoratori di cui alla misura 3.2 ed in parte (€ 6.000,00) all’attività formativa post assunzione dei 3 lavoratori di cui alla misura 3.4.
A far data dal 21.06.2010 è stato avviato un carteggio tra la Regione Calabria e la società in parola, inerente all’esito di taluni controlli effettuati dalla Regione dai quali sarebbero emerse violazioni, da parte della CORBEC, delle obbligazioni assunte in contratto inerenti alla rendicontazione delle attività di formazione, a cui la società dava riscontro in data 5.07.2010 trasmettendo la documentazione dei percorsi formativi interni all’azienda.
Con raccomandata del 2 aprile 2012 prot. 120799 la Regione Calabria effettuava nuove contestazioni in ordine all’invio della rendicontazione dell’incentivo economico ricevuto ed anticipava la volontà di revocare il finanziamento. La revoca aveva poi luogo in data 8 giugno 2016 con provvedimento della Regione Calabria prot. n. 184145/2016, che richiedeva la restituzione dell’intero contributo pari a euro 74.324,000. 3. In dettaglio la Procura contesta all’odierno convenuto le seguenti condotte (pagg. 50 e 51 dell’atto di citazione):
a) non aver comunicato alla Regione Calabria l’avvenuta interruzione del rapporto lavorativo di n. 7 dipendenti (su un totale di 10 assunzioni per le quali era stato ottenuto il contributo);
b) non aver mantenuto costante il rapporto di lavoro per almeno 36 mesi per n. 7 lavoratori;
c) non aver assunto altri lavoratori, di pari requisiti ed in sostituzione dei predetti, a concorrenza dei 36 mesi di impegno al mantenimento occupazionale;
d) non aver provveduto alla restituzione del relativo aiuto in proporzione al mancato utilizzo dei lavoratori;
e) non aver attivato il percorso formativo interno all’azienda con affiancamento di un tutor di impresa;
4f) non aver trasmesso i moduli di monitoraggio annuali attestanti la continuità e la conformità dell’assunzione, secondo le prescrizioni dettate nell’avviso pubblico e nel citato atto di adesione ed obbligo;
g) non aver provveduto a correttamente rendicontare l’attività svolta.
Dalla lettura degli atti di causa (atto di citazione e relativi allegati) emerge poi un’ulteriore violazione degli obblighi assunti dalla CORBEC, risiedente nella circostanza che tra i lavoratori neo assunti figurava anche la madre del GRAMISCI, ossia BELLUSCI Maria, nata a Plataci (CS) il 24.8.1953, in violazione del divieto (contenuto nel bando) di assumere di soggetti legati da parentela, affinità o coniugio entro il 1° grado con il titolare dell’impresa. Il rapporto di parentela tra il GRAMISCI e la BELLUSCI è inequivocabilmente provato dagli atti di causa ed è confermato dalla difesa, la quale tuttavia ha giustificato tale assunzione affermando che si era trattato di “una mera svista del Consulente del Lavoro della CORBEC” che non aveva segnalato al GRAMISCI “l’irregolarità ad assumere un parente”, ed ha comunque evidenziato che nell’Atto di Adesione e Obbligo sottoscritto con la Regione Calabria di tale vincolo non v’era menzione.
Quanto poi alla mancata attivazione dei tirocini formativi, secondo le prospettazioni difensive questi sarebbero stati svolti da tre docenti, ossia ALBANESE Michela, PINELLI Costantino e URBANO Angelo, tutti dotati di specifica competenza e in rapporti lavorativi con la società INLAVORO Spa, società di somministrazione di lavoro con sede in Verona.
Tuttavia, rileva la Procura che alcuni dei lavoratori (CRISTIANO Giovanni, DE GIOVANNI Mario Nicola) escussi a sommarie informazioni dagli operanti, affermavano di aver svolto soltanto poche giornate di corsi formativi in azienda, mentre altri (DE PAOLA Salvatore, MARKU Bardhe, FERRARI Nicola, BELLUSCI Maria, BRUNETTI Katia) dichiaravano di non aver mai svolto veri e propri corsi formativi. In particolare, poi, DE PAOLA Salvatore dichiarava che per due giorni e per circa 2 o 3 ore al giorno gli erano state date delle delucidazioni da tale PINELLI Costantino in materia di marketing e pubblicità”. Nessuno dichiarava di aver avuto un tutor di azienda.
Quanto poi ai docenti, la Procura ha documentato che, escussi in sede di sommarie informazioni:
(i) ALBANESE Michela, dichiarava di non aver svolto attività formative/tirocini e corsi nei confronti 5di dipendenti della società CORBEC e di non conoscere e di aver mai sentito parlare della società IN LAVORO S.p.A di Verona;
(ii) PINELLI Costantino, dichiarava di aver svolto dei corsi nell’anno 2009, per circa 3/4 giorni nei confronti di n. 6 dipendenti e di non conoscere di aver mai lavorato per conto della società INLAVORO S.p.A di Verona. Che per detta attività lavorativa aveva ricevuto dalla CORBEC un compenso di € 1044,00 a fronte della quale aveva emesso la relativa fattura fiscale;
(iii) URBANO Angelo, dichiarava di aver svolto dei corsi presso detta società nel mese di marzo/aprile 2009, ma non è stato in grado di riferire circa gli orari, i nominativi e numero dei partecipanti, né tanto meno ricordava con quali modalità era stato assunto dalla società ILAVORO S.p.A.
Le indagini della Guardia di Finanza (consultazioni al sistema informativo Anagrafe Tributaria e Banche dati INPS) hanno però fatto emergere che tutti e tre i soggetti (PINELLI, ALBANESE e URBANO) hanno intrattenuto rapporti di lavoro con la società INLAVORO spa per il periodo dal 17.03.2009 al 30.04.2009 (12 giorni retribuiti).
Per tutti questi motivi la Procura erariale chiede che il GRAMISCI, in quanto già legale rappresentante della società CORBEC, sia condannato alla restituzione dell’intero importo del contributo percepito, pari euro 74.324,000, o alla quella maggiore o minore somma che risulti di giustizia.
4. Il convenuto GRAMISCI, regolarmente costituitosi in giudizio, ha preliminarmente rilevato la lesione del diritto di difesa con riferimento alla indicazione degli allegati prodotti nel corpo della citazione che non corrispondono all’indice dei documenti riportato nell’atto di citazione. Circostanza, questa, che secondo i rilievi difensivi “ha creato e crea enorme confusione”.
4.1. In secondo luogo, ha eccepito l’intervenuta prescrizione, ancorando il dies a quo della prescrizione alla data del 20/10/2010 ossia dell’ultimo licenziamento avvenuto prima del periodo occupazionale previsto (pari quest’ultimo a 36 mesi), in conformità di quanto stabilito dalla Sentenza n. 84/2019 della Terza Sezione centrale di appello del 13.05.2019. A partire dal 20/10/2010, rileva la difesa, non sarebbe stato realizzato nessun atto idoneo a interrompere la prescrizione mentre l’invito a dedurre è stato notificato soltanto in data 617 settembre 2019. Da ultimo, la difesa invoca in ogni caso l’applicazione dell’art. 66 comma 2° CGC il quale ha introdotto un termine massimo (pari a sette anni) per il decorso complessivo della prescrizione, anche in presenza di atti interruttivi.
A questa eccezione, già avanzata dal convenuto in sede di deduzioni, la Procura ha obiettato che soltanto all’esito dell’approfondita attività istruttoria svolta dalla Guardia di Finanza e tramessa alla Procura il 16/02/2016 l’evento dannoso sarebbe stato disvelato nella sua completezza e, dunque, conoscibile. Afferma inoltre che l’art. 66 CGC non si applica ai fatti commessi dopo l’entrata in vigore del codice.
4.2. Quanto al contestato mancato rispetto del previsto mantenimento occupazionale dei dipendenti assunti (36 mesi), deduce la difesa che “la enunciazione “calcolata in percentuale dei costi salariali su un periodo di un anno successivo all’assunzione”, oltre a essere riferita SOLO ai “lavoratori svantaggiati”, avrebbe significato anche che l’intensità massima ammissibile si riferiva a un periodo di un anno successivo all’assunzione, ma che poteva essere spesa e riconosciuta anche nell’arco dei 36 mesi, ovvero parte anche nel secondo anno, a condizione che non si superasse l’importo stabilito calcolato in percentuale dei costi salariali sul periodo indicato, ovvero un periodo di un anno successivo all’assunzione [non vi è infatti indicazione alcuna di tempi di spesa, ma solo definizione delle intensità massime (ammissibili) e modalità di calcolo delle stesse in base alla tipologia di lavoratore considerato]”. Rileva inoltre la poco chiara formulazione del bando laddove prevedeva la dicitura “UN PERIODO di un anno successivo all’assunzione” e la difficoltà nel reperire i format di rendicontazione, non sempre presenti nel sito della Regione Calabria e talvolta ottenibili soltanto previa richiesta telefonica.
Quanto alle dimissioni anzitempo di 7 dei 10 lavoratori neoassunti, la difesa rileva che le stesse sono state dovute a un periodo di crisi attraversato dall’impresa la quale si trovava in notevole difficoltà economica e non poteva sostenere i costi delle buste paga dei neoassunti, costi che sicuramente eccedevano il contributo ricevuto. Inoltre, in fase di sottoscrizione dell’Atto di Adesione e Obbligo, la CORBEC avrebbe fatto affidamento su entrate per progetti in itinere con la Film Commission della Regione Calabria (che il convenuto prova con l’ammissione al finanziamento per la produzione di un lungometraggio) ed altre entrate da parte del mercato di riferimento.
Afferma la difesa che nessuna di queste entrate si sarebbe poi concretizzata a causa del commissariamento della Fondazione Film Commission regionale (che la difesa prova con un articolo di giornale a firma dello stesso GRAMISCI) e in generale a causa della crisi settore della cinematografia e dell’audiovisivo (da inserirsi nel generale contesto della crisi economica mondiale iniziata nel 2008/2009). Afferma che in data 23.5.2013 la CORBEC aveva comunicato alla Regione Calabria l’impossibilità, per forza maggiore, del mantenimento del personale assunto per tutti i 36 mesi previsti a causa della crisi economica e richiesto, senza alcun riscontro, di potersi avvalere del Fondo di garanzia che la Regione Calabria aveva appositamente istituito per tali circostanze.
In conclusione, la difesa afferma che la mancata nuova assunzione di personale in sostituzione dei lavoratori cessati anteriormente ai 36 mesi non sarebbe da imputarsi a una mancata volontà in tal senso, ma a una oggettiva impossibilità per carenza di risorse economiche.
4.3. Quanto poi all’addebito inerente alla mancata attivazione di corsi obbligatori di formazione per i neo- assunti, la difesa rileva che i detti corsi hanno invece avuto luogo ad opera dei tre docenti somministrati da InLavoro Spa, una società di somministrazione di lavoro alla quale l’amministratore della CORBEC si era rivolto e che aveva fornito i docenti Angelo URBANO, Michela ALBANESE e Costantino PINELLI. Circa l’incorretta rendicontazione dell’attività formativa svolta, la difesa lamenta invece che la Regione Calabria non aveva dettato nessuna linea guida al riguardo né richiesto specifici documenti, sicché quelli che la Procura contesta come errori di rendicontazione sarebbero in realtà semplicemente dei refusi, successivamente emendati dalla società che comunque avrebbe agito in buona fede. Rileva in conclusione che per quanto riguarda la FORMAZIONE, per un contributo concesso di € 20.000,00 la Corbec aveva rendicontato un importo totale pari ad € 30.759,00 (€ 14.158,41 Macro voce A; € 5.404,48 Macro voce B e € 1.596,27 Macro voce C), quindi ben € 10.759,00 in più di quanto richiesto a rendicontazione.
4.4. Eccepisce inoltre la difesa il difetto di legittimazione del convenuto GRAMISCI, essendo la CORBEC una società cooperativa a responsabilità limitata, e pertanto degli addebiti contestati risponderebbe soltanto 8la società con il suo patrimonio. In subordine richiede, previa ammissione di CTU contabile, la rideterminazione della somma eventualmente da restituire, per avere la CORBEC effettivamente destinato le somme ricevute all’impiego per cui erano destinate.
Chiede infine che venga ammessa la prova per testi con escussione di BRUNETTI Katia, ALBANESE Michela e BELLUSCI Mariagrazia.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Preliminarmente deve essere esaminata l’eccezione della difesa inerente alla circostanza che, essendo la CORBEC una società avente responsabilità limitata, delle obbligazioni della medesima risponde unicamente la società con il suo patrimonio. Questa eccezione, contestando di fatto la legittimazione passiva del convenuto, assume priorità logica rispetto a ogni altra questione su cui questo Collegio è chiamato a pronunciarsi.
L’eccezione è infondata e va pertanto disattesa.
Le Sezioni Unite della Corte di cassazione hanno infatti in più occasioni affermato che spetta alla Corte dei conti la giurisdizione in ordine alla responsabilità contabile degli amministratori di associazioni o altri enti privati destinatari di fondi pubblici.
Più in dettaglio, l’estensione della giurisdizione contabile anche agli amministratori e ai rappresentanti legali degli enti privati destinatari di risorse pubbliche, già affermata in numerose decisioni della Corte dei conti, è stata infatti condivisa anche dal giudice del riparto (cfr. Cass. civ. Sez. Unite, 10/10/2002, n. 14473) che ha valorizzato il rilievo assunto dal rapporto di servizio comunque instauratosi con l’ente pubblico danneggiato e il correlato profilo di “funzionalizzazione” delle risorse pubbliche indebitamente percepite o non correttamente utilizzate.
Questa impostazione, pacifica in giurisprudenza, consente peraltro di evitare i rischi di vanificazione dell’azione in relazione ad eventi fallimentari o di sostanziale incapienza di tali soggetti, come peraltro è accaduto nel caso di specie ove la CORBEC è stata cancellata dal registro delle imprese il 18 dicembre 2018 9in seguito ad approvazione del bilancio finale di liquidazione con un saldo pari a zero.
2. Ancora in via preliminare deve farsi luogo all’esame dell’eccezione di prescrizione della pretesa erariale.
A questo riguardo non può farsi applicazione, nella specie, dell’art. 66 comma 2° CGC, invocato dalla difesa, che ha introdotto un limite massimo di durata della fase istruttoria, pari a sette anni dall’esordio del termine prescrizionale. Questo nuovo regime, infatti, trova applicazione soltanto per le azioni o omissioni successive all’entrata in vigore del Codice contabile (id est dal 7 ottobre 2016, ex art. 2 comma 2 delle norme transitorie), sicché non è invocabile in questa sede.
2.1. Tanto premesso, il legislatore ha disposto che nel giudizio contabile il diritto al risarcimento del danno si prescrive “in cinque anni, decorrenti dalla data in cui si è verificato il fatto dannoso, ovvero, in caso di occultamento doloso del danno, dalla data della sua scoperta”.
A fronte di questo dato testuale, il principale problema sistematicamente vagliato dalla giurisprudenza sul tema attiene al dies a quo del termine prescrizionale, che la legge fa coincidere con la “verificazione” del fatto dannoso.
Sull’individuazione del concetto di “verificazione” del fatto dannoso nella giurisprudenza contabile è stato più volte ribadito che la decorrenza della prescrizione va ancorata al perfezionamento della fattispecie dannosa, nozione che ricomprende non soltanto l’azione illecita, ma anche l’effetto lesivo della stessa, potendo essere queste due componenti coincidenti nello stesso momento o talora distanziate nel tempo, nel qual caso rileva tale secondo momento (in quanto prima di esso il Procuratore regionale non ha interesse ad agire).
Inoltre, accanto a tale indefettibile presupposto della concreta verificazione del danno, la giurisprudenza contabile richiede altresì la conoscibilità obiettiva dei lineamenti essenziali del fatto dannoso stesso da parte dell’amministrazione danneggiata (cfr., ex multis, Corte dei conti Piemonte Sez. giurisdiz., 27/07/2017, n. 65).
La prescrizione decorre dalla data della scoperta del danno soltanto per i casi di occultamento doloso, ipotesi che però non ricorre nel caso di specie.
Quanto poi alla possibilità di compiere atti interruttivi della prescrizione, la giurisprudenza contabile ha 10chiarito che l’atto di costituzione in mora valido, ai fini dell’interruzione della prescrizione, deve esprimere la volontà del titolare (l’ente pubblico danneggiato o il Procuratore regionale della Corte dei conti, entrambi legittimati attivi) di far valere il diritto connesso al supposto comportamento illecito e al conseguente danno.
Per il conseguimento dell’efficacia interruttiva della prescrizione è necessario e sufficiente che l’atto contenga l’inequivoca manifestazione di volontà del soggetto titolare del credito di ottenere l’adempimento delle relative obbligazioni, mentre non è indispensabile la quantificazione del danno, che spesso al momento della formulazione dell’atto non può compiutamente essere definito, essendo sovente soggetto a valutazioni da parte di altri organi (giudice penale, procuratore della Corte dei conti, giudice contabile e così via – v. Corte dei conti, Sez. giurisdiz. Lazio, 21 novembre 2006, n. 2348; sez. I centr., 11/11/2002, n. 393/A; sez. II centr., 1/9/2004, n. 281/A; sez. I centr., 2/3/2004, n. 74/A; sez. Lazio, 28/3/2003, n. 772; sez. Lombardia, 19/3/2004, n. 433 e 20/10/2005, n. 644).
2.2. Facendo applicazione delle suesposte coordinate ermeneutiche si può ora esaminare la questione inerente al dies a quo della prescrizione nel caso di specie.
L’orientamento finora assunto da questa Sezione per i casi analoghi è nel senso che l’esordio del termine prescrizionale coincide con la verificazione del fatto dannoso da individuarsi alla scadenza dei 36 mesi dall’assunzione dei lavoratori. Questo in quanto “la fattispecie all’esame rappresenta un caso di pregiudizio erariale a formazione complessa, caratterizzato cioè da un procedimento che vede il convergere di due distinti momenti, il primo costituito dall’erogazione dei fondi e il secondo dal termine di 36 mesi entro cui il beneficiario deve adempire agli obblighi assunti con l’atto di adesione, vale a dire il mantenimento in servizio dei dipendenti assunti per almeno 36 mesi e quello della loro formazione nei 4 mesi successivi all’assunzione. In concreto, dunque, poiché l’obbligo era quello di mantenere costante il numero dei lavoratori assunti per almeno 36 mesi, va da sé che solo alla scadenza del predetto termine il danno può ritenersi perfezionato in presenza di un inadempimento da parte del concessionario. Solo allora, si può, quindi, considerare realizzato l’evento dannoso e, con esso, anche l’insorgere del decorso della prescrizione, non ricorrendo, come già detto, alcun occultamento doloso” (cfr. Corte conti, Sezione Giurisdizionale per la Calabria, sentenze nn. 338/2016; 44/2016; 237/2017; 45/2017; 234/2015, 338/2016, 111/2017).
La difesa rileva come questo orientamento sia stato recentemente disatteso dalla sentenza n. 84/2019 della Terza Sezione centrale di appello, la quale ha affermato che “il dies a quo, ai fini del decorso della prescrizione, vada individuato alla data dell’ultimo licenziamento […]. Infatti, relativamente alla conoscibilità da parte della amministrazione danneggiata del venir meno dei requisiti per il finanziamento, emerge chiaramente dalla documentazione agli atti di causa che la Regione Calabria aveva ampi poteri ispettivi e di controllo ed avrebbe tranquillamente potuto accertare gli avvenuti licenziamenti”. Sicché, accogliendo questa impostazione, l’esordio del termine prescrizionale nel caso di specie andrebbe individuato nella data del 20/10/2010 (ultimo licenziamento avvenuto prima del periodo occupazionale previsto, ossia prima dei 36 mesi).
Il Collegio ritiene tuttavia di non condividere le conclusioni della citata sentenza di appello n. 84/2019 e di dovere invece mantenere fermo il proprio consolidato orientamento.
La pronuncia n. 84/2019 non tiene infatti conto della circostanza che non corrisponde all’id quod plerumque accidit che il soggetto erogatore del contributo attivi i propri poteri ispettivi sin dal giorno successivo all’erogazione dei finanziamenti, immediatamente e costantemente, così da individuare tempestivamente ogni possibile cessazione anticipata dei rapporti di lavoro oggetto di sussidio e far valere il proprio diritto alle restituzioni. Al contrario, è ben più ragionevole che l’Amministrazione si attivi per i dovuti controlli soltanto una volta decorso il periodo minimo richiesto dal bando (ossia 36 mesi). Cosa che, peraltro, è accaduta nel caso di specie, laddove il termine dei 36 mesi scadeva nel marzo 2012 e con raccomandata del 2 aprile 2012 Prot. 120799, la Regione Calabria effettuava contestazioni e anticipava la volontà di revocare il finanziamento concesso nell’ipotesi di inottemperanza alle richieste di integrazione della documentazione.
Detto in altri termini, sarebbe eccessivamente pregiudizievole per l’Amministrazione far decorrere il dies a quo della prescrizione dalla data dei singoli licenziamenti o anche dell’ultimo fra questi, posto che in tal modo si dovrebbe onerare l’Amministrazione di un comportamento ai limiti dell’inesigibile, ossia di un controllo pressoché quotidiano (pena il decorso della prescrizione) su ciascuno dei soggetti beneficiari di contribuzione, atteso che, ipoteticamente, ogni singolo lavoratore di ogni impresa beneficiaria potrebbe licenziarsi o essere licenziato ogni singolo giorno di durata del rapporto.
A tanto si aggiunga che la citata pronuncia n. 84/2019 della III sez. appello rimane, allo stato, un precedente isolato a fronte delle molteplici decisioni di questa Sezione, mai riformate sul punto. Infatti, a fronte delle numerose pronunce che hanno ribadito questo orientamento (ex multis: Sezione Calabria, sentenze nn. 338/2016; 44/2016; 237/2017; 45/2017; 234/2015, 338/2016, 111/2017) attualmente consta che soltanto la sent. n. 111/2017 sia stata riformata (per l’appunto dalla decisione n. 84/2019 citata dalla difesa).
2.3. Così determinato l’esordio del termine prescrizionale, si deve ritenere che lo stesso sia stato interrotto in tre occasioni da atti dell’Amministrazione regionale idonei a mettere in mora il convenuto. Si è infatti rilevato che l’atto di costituzione in mora valido ai fini dell’interruzione della prescrizione deve esprimere la volontà del titolare del credito di far valere il diritto connesso al supposto comportamento illecito (ossia il diritto alla restituzione).
Ebbene, nel caso di specie l’Amministrazione, con raccomandata del 2 aprile 2012, prot. 120799, ha effettuato contestazioni e anticipato altresì la volontà di revocare il finanziamento. Con lettera del 3 dicembre 2015 prot. 366286 la Regione Calabria ha comunicato l’avvio del procedimento di revoca del contributo e in data 8 giugno 2016 ha avuto luogo la revoca dell’intero contributo concesso, pari a euro 74.324,00.
I tre menzionati atti (oltre alla notificazione dell’invito a dedurre, avvenuta in data in data 17 settembre 2019) presentano tutte le caratteristiche richieste dalla giurisprudenza contabile al fine di esprimere la volontà del titolare del credito di far valere il diritto alla restituzione delle somme, connesso al supposto comportamento illecito, ossia alla violazione degli obblighi cui era subordinata l’erogazione del contributo.
Sicché, fissato il dies a quo della prescrizione al 2 marzo 2012, di scadenza del triennio previsto per le assunzioni, il termine di prescrizione è stato interrotto per ben 4 volte, ossia il 2 aprile 2012; il 3 dicembre 2015; l’8 giugno 2016 e il 17 settembre 2019 con la notifica dell’invito a dedurre. Ed è appena il caso di rilevare come anche accedendo alla tesi difensiva (dies a quo individuabile nella data del 20 ottobre 2010) la prescrizione non sarebbe comunque maturata, considerati i summenzionati atti interruttivi.
In conclusione, l’eccezione di prescrizione del debito erariale non merita di essere accolta.
3. Nemmeno può trovare accoglimento l’eccezione di lesione del diritto di difesa a causa della lamentata confusione generata dalla non coincidenza tra gli allegati menzionati nel corpo dell’atto di citazione con quelli di cui all’indice di deposito in calce all’atto medesimo. Questo in quanto, per sua espressa ammissione, il convenuto ha in concreto rinvenuto la documentazione a cui si riferisce l’atto di citazione. La difesa infatti ha rilevato che l’atto di citazione riporta gli stessi identici contenuti e allegati dell’invito a dedurre, ossia di un atto che il convenuto conosceva adeguatamente per esserne stato destinatario ed avere – anzi – anche replicato allo stesso. Sicché la difesa era già a conoscenza di tutti i fatti e i documenti cui la citazione si riferiva, ed è stata sicuramente in grado di difendersi, come peraltro è dimostrato dal carattere dettagliato e analitico delle difese di parte convenuta.
4. Si può ora giungere all’esame della fattispecie di danno azionata dalla Procura la cui domanda è meritevole di parziale accoglimento.
4.1. Sul piano degli elementi costitutivi della fattispecie di responsabilità erariale, in primo luogo occorre scrutinare la sussistenza del rapporto di servizio.
La fattispecie in esame integra un’ipotesi di danno alla Regione Calabria in materia di contributi comunitari cd. indiretti.
Più in dettaglio, secondo la giurisprudenza della Corte dei conti e quella della Corte di Cassazione sono contributi comunitari indiretti quelli disciplinati dall’art. 53 ter del Regolamento finanziario comunitario, caratterizzati dalla circostanza che essi entrano nel bilancio dell’amministrazione nazionale (statale, regionale o locale) per poi essere attribuiti ai vari aspiranti attraverso apposite procedure, a differenza dei contributi cd. diretti, che invece non entrano neppure temporaneamente nel bilancio delle amministrazioni nazionali ma sono gestiti in toto, a partire dal bando e fino al momento dell’erogazione, dalla stessa Commissione UE ai sensi dell’art. 53 del Regolamento europeo citato.
Nell’uno e nell’altro caso è ormai pacifica la giurisdizione della Corte dei conti. Più nel dettaglio, circoscrivendo l’esame alla materia in oggetto (ossia i contributi indiretti), la giurisdizione 14della Corte dei conti è stata per la prima volta riconosciuta dalla giurisprudenza del giudice contabile e successivamente confermata anche dalle Sezioni unite della Corte di cassazione (sent. nn. 20701/2013 e 26935/2013) avente ad oggetto un danno derivante da una serie di truffe finalizzate ad incamerare contributi comunitari. Le Sezioni unite hanno chiarito che tra l’amministrazione erogante e la persona fisica o giuridica destinataria della risorsa pubblica si instaura un rapporto di servizio di tipo funzionale o anche semplicemente un rapporto di fatto che, in tutti i casi di indebita percezione, distrazione o cattiva utilizzazione per la natura del danno arrecato all’ente pubblico risulta idoneo a radicare la giurisdizione della Corte dei conti. Detto rapporto e la conseguente giurisdizione contabile si estendono (come peraltro già rilevato supra) anche alle persone fisiche che abbiano diretto o rappresentato o amministrato quelle giuridiche beneficiarie dei finanziamenti comunitari, comunque incidendo sulla realizzazione del programma imposto dalla PA: soprattutto in conseguenza della legge n. 20/1994, che ha escluso la necessità dell’appartenenza dell’agente responsabile all’amministrazione o all’EP danneggiato, rendendo applicabile l’azione suddetta pur nel caso di danno (cd. obliquo) nei confronti di amministrazione diversa dall’ente di appartenenza. Il baricentro viene, dunque, spostato dalla qualità del soggetto e da quella dell’atto di investitura – che ben possono essere “privati” – all’evento dannoso prodotto, nonché alla natura del danno e degli scopi perseguiti.
4.2. Venendo al merito, la domanda della Procura attrice può trovare accoglimento solo in parte.
4.2.1. La cessazione anticipata del rapporto di lavoro per sette dei dieci dipendenti è pacificamente emersa dall’istruttoria ed è stata ammessa dal convenuto, che ha giustificato la mancata assunzione di nuovi lavoratori in sostituzione dei precedenti sotto due distinti aspetti: (i) la situazione di crisi economica in cui versava la società e, in generale, l’intero settore economico cui essa afferiva; (ii) la poco chiara formulazione del bando. Entrambe le circostanze invocate dalla difesa, ove provate, rileverebbero semmai sul piano dell’elemento soggettivo (e in quella sede saranno esaminate), non elidendo la sussistenza della condotta illecita. Ad ogni modo, relativamente al profilo sub (ii) si può sin d’ora rilevare come l’obbligo di sostituzione dei lavoratori a concorrenza dei 36 mesi fosse chiaramente stabilito alla pagina 15 dell’Avviso pubblico (Sezione “Obblighi del beneficiario”) e testualmente trascritto alla pagina 4 dell’Atto di adesione ed obbligo, sicché 15nessun dubbio poteva nutrirsi al riguardo.
4.2.2. Parimenti emerge per tabulas la violazione dell’obbligo della CORBEC di assumere parenti o affini. Come già rilevato, il rapporto di parentela tra il GRAMISCI e la BELLUSCI è inequivocabilmente provato ed è stato anzi confermato dalla difesa, la quale tuttavia ha giustificato tale assunzione affermando che si era trattato di una mera svista del consulente del lavoro della società, il quale non aveva segnalato al GRAMISCI il divieto di assunzione, ed ha comunque evidenziato che nell’Atto di Adesione e Obbligo sottoscritto con la Regione Calabria di tale vincolo non v’era menzione.
Ebbene, quanto al primo argomento difensivo, la svista del consulente evidentemente non solleva il GRAMISCI dalla responsabilità per aver violato l’obbligo in parola, atteso che l’aver richiesto la consulenza di un professionista non esimeva il convento dall’obbligo di conoscere il divieto contenuto nell’Avviso pubblico, rilevando semmai la “svista” del professionista unicamente sul piano dei rapporti interni tra questi e il cliente.
Parimenti, a nulla vale obiettare che il divieto di assunzione di parenti non fosse menzionato nell’accordo sottoscritto con la Regione ma soltanto nel bando, atteso che, come è noto, in qualsivoglia procedura concorsuale il bando è lex specialis del procedimento e – ove non impugnato – vincola con forza di legge i partecipanti alla selezione.
4.2.3. Non può invece trovare accoglimento la prospettazione attorea circa la mancata attivazione dei tirocini formativi. Le indagini della Guardia di Finanza hanno nei fatti confermato la tesi difensiva secondo cui detti corsi sarebbero stati tenuti dai docenti PINELLI, ALBANESE e URBANO, riguardo ai quali è infatti emerso che hanno intrattenuto rapporti di lavoro con la società INLAVORO spa per il periodo in cui il convenuto sostiene di avere espletato i corsi medesimi, con ciò confermando la prospettazione dei fatti fornita dalla difesa. Le stesse dichiarazioni assunte in sede di indagini da alcuni dei lavoratori coinvolti – peraltro neppure tutti escussi dai militari operanti – hanno confermato che una qualche attività formativa vi è sicuramente stata e, in ogni caso, attesa la modesta qualifica professionale rivestita da molti dei lavoratori medesimi (addetti a mansioni di mera manovalanza o addetti alle pulizie degli uffici e in alcuni casi privi anche del titolo di studio della licenza media) non appare equo esigere una formazione eccessivamente analitica che contemplasse proiezione di slides e somministrazione di dispense.
Deve pertanto ritenersi che l’obbligo di formazione sia stato assolto dalla società CORBEC.
4.2.3. Neanche può condividersi la contestazione inerente alla incorretta rendicontazione dell’attività formativa svolta, perché la difesa ha puntualmente giustificato i fatti, rilevando che i format per la rendicontazione non erano sempre reperibili nel portale della Regione e dimostrando che in qualche caso si era trattato di meri refusi emendati in seguito a interlocuzioni con l’Amministrazione.
5. Non altrettanto può dirsi con riferimento alla fase assunzionale, per la quale ritiene questo Collegio che il GRAMISCI, per la parte in cui ha violato gli obblighi a cui era tenuto, sia inequivocabilmente incorso in colpa grave.
5.1. L’aver attraversato un periodo di crisi economica non esime infatti il beneficiario del contributo dal rispettare gli impegni intrapresi.
La difesa ha lamentato che il sussidio erogato, non coprendo per intero i costi del lavoro, non è bastato ad assolvere gli oneri economici per l’intero periodo occupazionale. Tuttavia, questo aspetto è insito nella natura della quasi totalità dei contributi economici volti a sovvenzionare l’attività privata, i quali sono per l’appunto dei “contributi” e non un rimborso della totalità delle spese che l’imprenditore è chiamato a sostenere. In altri termini, il sussidio è di regola un aiuto economico che normalmente ambisce a coprire una parte percentuale di una spesa e non già la totalità, sicché è evidente che chi richiede il sussidio deve essere consapevole ex ante del dovere di farsi carico della spesa per la parte non coperta dal contributo (cosa che nel caso di specie era evidente, atteso l’ammontare del contributo).
Peraltro, l’atto di adesione e obbligo era chiarissimo nell’affermare che, a fronte di cessazioni anticipate dei rapporti di lavoro, l’impresa che non avesse provveduto alle dovute sostituzioni era tenuta a restituire il contributo (non già per l’intero bensì) unicamente per la parte corrispondente alle mensilità non lavorate. Questo significa che al manifestarsi della crisi dell’impresa e a fronte dell’annullamento dei progetti in itinere, il GRAMISCI ben avrebbe potuto notificare alla Regione l’impossibilità di fare fronte agli oneri economici 17di nuove assunzioni e restituire volontariamente in parte qua il contributo. Non aver operato secondo questo standard di comune diligenza ha fatto incorrere il GRAMISCI in evidente colpa grave.
5.2. Parimenti il GRAMISCI è incorso in grave colpa laddove ha beneficiato del sussidio per assumere la propria madre.
L’allegazione secondo cui si sarebbe trattato di una svista del consulente del lavoro, come si è visto, non esime in alcun modo il convenuto da responsabilità, rilevando detta svista semmai sul piano dei rapporti interni tra cliente e professionista.
Parimenti privo di pregio è l’argomento secondo cui il divieto di assumere parenti e affini non fosse contenuto nell’accordo ma soltanto nell’Avviso pubblico. Sul punto si è già evidenziato che nelle procedure ad evidenza pubblica le prescrizioni del bando di gara costituiscono la lex specialis della gara stessa e sono idonee a integrare l’accordo sottoscritto a valle.
L’espresso divieto contenuto nell’Avviso pubblico, di assumere dipendenti in rapporto di parentela con il titolare della ditta beneficiata, comporta che la quota di contributo spettante per l’assunzione della signora Maria BELLUSCI deve essere integralmente restituita.
6. Venendo nello specifico alla determinazione del danno concretamente arrecato all’Amministrazione, occorre prendere le mosse dall’articolo 2 dell’Atto di adesione ed obbligo sottoscritto dal GRAMISCI con la Regione, laddove (riprendendo l’art. 11 del bando) afferma che, per i casi di cessazione anticipata dei rapporti di lavoro oggetto di sussidio il beneficiario si impegnava “a restituire, nel caso di licenziamento di un neoassunto oggetto di agevolazione entro 36 mesi dalla data di assunzione, il relativo aiuto in misura proporzionale al mancato utilizzo del lavoratore” salva per l’appunto l’assunzione di un altro lavoratore avente pari requisiti e a concorrenza dei 36 mesi di impegno al mantenimento occupazionale.
Sicché l’importo del danno da corrispondere alla Regione deve considerarsi pari al quantum di sussidio riferito alle mensilità non lavorate dai dipendenti anticipatamente cessati dall’impiego.
La domanda attrice, pertanto, può essere solo parzialmente accolta.
In proposito occorre considerare, come già questa Sezione ha avuto modo di precisare (sentt. n. 241, 261, 18341, 348, 359, 307 e 358 del 2017) seguendo il conforme orientamento delle sezioni di appello (sez. I centr. n. 207 del 2017; n. 243 del 2017), che l’obbligo di incremento occupazionale assunto dalla società nei confronti della regione era frazionabile, considerata la natura della prestazione che la prima doveva rendere, cioè l’inserimento o il reinserimento, per un periodo limitato, di un predeterminato numero di soggetti svantaggiati nel mondo del lavoro. Perciò, l’interesse pubblico poteva ritenersi soddisfatto anche solo in parte, nel caso in cui solo riguardo ad una quota del periodo di mantenimento dell’impegno occupazionale fossero stati rispettati gli obblighi convenzionali con la regione. Interesse pubblico che, deve ritenersi, sia indirizzato con prevalenza a consentire l’inserimento nel mondo del lavoro di un certo numero di lavoratori svantaggiati e non tanto a garantire la permanenza in servizio per l’intero triennio dei medesimi lavoratori nominativamente individuati.
D’altra parte, come già anticipato, ciò trova conferma nell’atto di adesione e d’obbligo sottoscritto con la Regione Calabria dalla società, che prevedeva fra gli obblighi del beneficiario quello di mantenere costante il numero dei dipendenti assunti, facendo salva la possibilità di sostituire i lavoratori cessati anticipatamente per dimissioni volontarie o per licenziamento motivato da giusta causa o da giustificato motivo con altri lavoratori aventi pari requisiti, a concorrenza dei 36 mesi di impegno al mantenimento occupazionale, e prevedendo, altresì, in ipotesi di mancata sostituzione del lavoratore dimessosi o licenziato, l’obbligo del beneficiario “alla restituzione di una quota dell’aiuto ricevuto proporzionale al periodo restante al mancato utilizzo del lavoratore”.
Dal tenore letterale della convenzione, deve quindi convenirsi che l’interesse pubblico da garantire è quello di consentire l’inserimento nel mondo lavorativo di soggetti svantaggiati a prescindere da qualunque individuazione nominativa degli stessi, e ciò conferma il carattere frazionabile della finalità pubblica sottesa al finanziamento.
In ragione di quanto premesso, il Collegio ritiene di dover accogliere, quanto al danno, la prospettazione attorea non con riferimento all’ammontare dell’intero contributo, ma alla parte di esso non indirizzata a pubbliche finalità.
Tanto premesso, dall’istruttoria è emerso che la Regione ha corrisposto alla CORBEC euro 36.180,00 per l’assunzione per 36 mesi di n. 7 lavoratori di cui alla misura 3.2. (inserimento e reinserimento nel mercato del lavoro) ed euro 18.144,00 per l’assunzione per 36 mesi di n. 3 lavoratori di cui alla misura 3.4 (inserimento lavorativo e reinserimento di gruppi svantaggiati), sicché l’ammontare mensile del sussidio relativamente a ciascun lavoratore è pari a euro 143,57 per i lavoratori di cui alla misura 3.2. ed euro 168,00 per i lavoratori di cui alla misura 3.4.
Ebbene, emerge dagli atti di causa che si ascrivono alla misura 3.2. i lavoratori BELLUSCI Maria (madre del convenuto per la quale va restituito l’intero contributo percepito pari a euro 5.168,57 essendo l’assunzione vietata in radice), DE PAOLA Salvatore (per il quale va restituito l’importo di 22 mensilità non lavorate pari a euro 3.158,54), MARKU Bardhe (per la quale va restituito l’importo di 18 mensilità pari a euro 2.584,26), CRISTIANO Giovanni (per il quale va restituito l’importo di 17 mensilità pari a euro 2.440,69) e FERRARI Nicola per il quale va restituito l’importo di 17 mensilità pari a euro 2.297,12). Rientrano invece alla misura 3.4. i lavoratori BELLUSCI Rosamaria Grazia (per la quale va restituito l’importo di 26 mensilità pari a euro 4.368,00) e DE Paola Vincenzo (per il quale va restituito l’importo di 18 mensilità pari a euro 3.024,00).
I rimanenti tre lavoratori risultano invece avere prestato servizio presso la società per l’intero triennio. Ne deriva che l’ammontare del danno da risarcirsi è pari a euro 23.041,18, oltre rivalutazione monetaria secondo indici Istat dal dies di percezione a quello del deposito della presente pronunzia, nonché gli interessi legali, come da dispositivo.
6. Il quadro probatorio che è emerso dall’esposizione del requirente e della difesa appare esaustivo e, pertanto, non merita accoglimento la richiesta di assunzione di prove testimoniali avanzata dalla difesa dei convenuti. Parimenti, non merita accoglimento la richiesta di CTU per la quantificazione del danno, essendo del tutto superfluo il ricorso a detto strumento probatorio.
Le spese di giudizio sono invece compensate a causa della reciproca soccombenza.

PER QUESTI MOTIVI

La Sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la Regione Calabria, in parziale accoglimento della domanda di parte attrice

CONDANNA

GRAMISCI Franco, come sopra generalizzato, al pagamento in favore della Regione Calabria della somma di euro 23.041,18 oltre rivalutazione monetaria secondo indici Istat dal dies di percezione a quello del deposito della presente pronunzia, e oltre gli interessi legali, nella misura di legge, dalla data di pubblicazione della presente sentenza e fino al soddisfo.
Le spese di giudizio sono compensate.
Così deciso in Catanzaro, nella camera di consiglio del giorno 7 luglio 2020.

L’ESTENSORE
f.to dott.ssa Sabrina Facciorusso

IL PRESIDENTE
f.to dott.ssa Rita Loreto

Depositata in segreteria il 26/07/2020

Il Funzionario
Dott.ssa Stefania Vasapollo
(f.to digitalmente )

Iscriviti alla Newsletter GRATUITA

Ricevi gratuitamente la News Letter con le novità di AmbienteDiritto.it e QuotidianoLegale.

N.B.: se non ricevi la News Letter occorre una nuova iscrizione, il sistema elimina l'e-mail non attive o non funzionanti.

ISCRIVITI SUBITO


Iscirizione/cancellazione

Grazie, per esserti iscritto alla newsletter!