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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Procedimento amministrativo Numero: 347 | Data di udienza: 20 Novembre 2020

PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO – Commissari – Atti assunti nell’esercizio delle funzioni delegate – Imputazione degli atti amministrativi – Presidenza del Consiglio dei Ministri – Annullamento del provvedimento – Art. 21 nonies l. n. 241/1990 – Termine di diciotto mesi – Decorrenza – Adozione del provvedimento – Irrilevanza della Fase integrativa dell’efficacia – Annullamento dell’aggiudicazione – Atto sospensivamente condizionato.


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 1^
Regione: Abruzzo
Città: Pescara
Data di pubblicazione: 3 Dicembre 2020
Numero: 347
Data di udienza: 20 Novembre 2020
Presidente: Passoni
Estensore: Balloriani


Premassima

PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO – Commissari – Atti assunti nell’esercizio delle funzioni delegate – Imputazione degli atti amministrativi – Presidenza del Consiglio dei Ministri – Annullamento del provvedimento – Art. 21 nonies l. n. 241/1990 – Termine di diciotto mesi – Decorrenza – Adozione del provvedimento – Irrilevanza della Fase integrativa dell’efficacia – Annullamento dell’aggiudicazione – Atto sospensivamente condizionato.



Massima

TAR ABRUZZO, Pescara, Sez. 1^ – 3 dicembre 2020, n. 347

PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO – Commissari – Atti assunti nell’esercizio delle funzioni delegate – Imputazione degli atti amministrativi – Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Gli atti assunti nell’esercizio delle funzioni delegate ai Commissari sono, in quanto tali, riferibili alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, autorità che esercita nei confronti del Commissario delegato un’attività di supervisione e di indirizzo (Tar Lazio sentenza 8595 del 2012; Tar Lazio sentenza 30424 del 2010; Consiglio di Stato sentenza 2576 del 2004). Dunque, espressioni dirette ad evidenziare l’estraneità del Dipartimento della protezione civile della Presidenza del Consiglio dei Ministri ai rapporti contrattuali scaturiti dalle ordinanze, possono eventualmente incidere solo sul conferimento al Commissario di una soggettività giuridica patrimoniale (come centro autonomo di imputazione dei rapporti giuridici patrimoniali), ma non sulla imputazione degli atti amministrativi, non essendo il Commissario centro autonomo di imputazione degli effetti finali di diritto pubblico, quale soggetto appunto delegato.

PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO – Annullamento del provvedimento – Art. 21 nonies l. n. 241/1990 – Termine di diciotto mesi – Decorrenza – Adozione del provvedimento – Irrilevanza della Fase integrativa dell’efficacia – Annullamento dell’aggiudicazione – Atto sospensivamente condizionato.

L’art. 21 nonies della legge 241 del 1990 si esprime in termini di “adozione” del provvedimento, e non considera la fase integrativa dell’efficacia: il termine di 18 mesi decorre pertanto dal momento dell’adozione. Il suddetto termine di decadenza è applicabile anche all’annullamento dell’aggiudicazione definitiva, essendo l’ultimo atto della sequenza autoritativa su cui può incidere il contrarius actus. E’ appena il caso di aggiungere che l’articolo 21 nonies della legge 241 del 1990 menziona i provvedimenti attributivi di vantaggi economici come categoria astratta e non si richiede che tali vantaggi siano stati effettivamente e definitivamente acquisiti nel patrimonio del beneficiario. Anche sotto il profilo della ratio, del resto, ciò che tale termine di decadenza preserva è proprio il contemperamento tra interesse pubblico e affidamento del destinatario dell’atto illegittimo, e, come noto, pur con l’adozione di un atto sospensivamente condizionato, sorge comunque un’aspettativa qualificata, la quale è proprio il prototipo della posizione di vantaggio già presente nel patrimonio del destinatario e che riceve tutela immediata principalmente sul piano dell’affidamento (cfr., in diritto civile, Cassazione, s.u., sentenza 18450 del 2005).

Pres. Passoni, Est. Balloriani – D. nv (avv.ti Cancrini e Vagnucci) c. Ministero dell’Ambiente e Tutela del Mare e altro (avv. Stato)


Allegato


Titolo Completo

TAR ABRUZZO, Pescara, Sez. 1^ - 3 dicembre 2020, n. 347

SENTENZA

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per l’ Abruzzo

sezione staccata di Pescara (Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 281 del 2020, proposto da
Dec-Deme Environmental Contractors Nv, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Arturo Cancrini, Francesco Vagnucci, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Arturo Cancrini in Roma, p.zza San Bernardo 101;

contro

Ministero dell’Ambiente e Tutela del Mare, Consiglio Superiore Lavori Pubblici-Roma, provveditorato interregionale opere pubbliche per il Lazio e L’Abruzzo, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliata ex lege in L’Aquila, Complesso Monumentale San Domenico;

nei confronti

Regione Abruzzo, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Stefania Valeri, Marianna Cerasoli, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

sul ricorso numero di registro generale 293 del 2020, proposto da
Comune di Bussi Sul Tirino, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Annamaria Bello, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Ministero Ambiente, Tutela del Territorio e del Mare, Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti non costituiti in giudizio;

nei confronti

Regione Abruzzo, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Stefania Valeri, Marianna Cerasoli, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dip. Prot. Civile, Provincia di Pescara, Asl Pescara non costituiti in giudizio;
Arta Abruzzo, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Francesco Carli, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Dec-Deme Environmental Contractors Nv, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Arturo Cancrini, Francesco Vagnucci, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Arturo Cancrini in Roma, p.zza San Bernardo 101;
Edison S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Andreina Degli Esposti, Augusto La Morgia, Wladimir Francesco Troise Mangoni, Riccardo Villata, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Augusto La Morgia in Pescara, viale Pindaro n. 27;
Solvay Specialty Polymers Italy S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Giuseppe Lo Pinto, Fabio Cintioli, Matteo Allena, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Giulio Cerceo in Pescara, v.le G. D’Annunzio n. 142;

sul ricorso numero di registro generale 321 del 2020, proposto da
Regione Abruzzo, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Stefania Valeri, Marianna Cerasoli, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Ministero Ambiente Tutela del Territorio, Consiglio Superiore Lavori Pubblici-Roma, Presidenza del Consiglio dei Ministri-Dipartimento Protezione Civile, Ministero delle Infrastrutture e Trasporti, Provveditorato Interregionale Opere Pubbliche Lazio Abruzzo Molise e Sardegna-L’Aquila, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Distrettuale, domiciliata ex lege in L’Aquila, Complesso Monumentale San Domenico;

nei confronti

Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento Protezione Civile, Provincia di Pescara, Agenzia Regionale per la Tutela dell’Ambiente dell’Abruzzo – A.R.T.A. Abruzzo, Azienda Sanitaria Locale di Pescara – Asl Pescara non costituiti in giudizio;
Comune di Bussi Sul Tirino, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Annamaria Bello, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Dec-Deme Environmental Contractors Nv, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Arturo Cancrini, Francesco Vagnucci, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Arturo Cancrini in Roma, p.zza San Bernardo 101;
Edison S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Andreina Degli Esposti, Augusto La Morgia, Wladimir Francesco Troise Mangoni, Riccardo Villata, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Augusto La Morgia in Pescara, viale Pindaro n. 27;
Solvay Specialty Polymers Italy S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Giuseppe Lo Pinto, Fabio Cintioli, Matteo Allena, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Giulio Cerceo in Pescara, v.le G. D’Annunzio n. 142;

per l’annullamento

quanto al ricorso n. 281 del 2020:

– del Decreto del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare n. 72 del 17.6.2020, recante “annullamento di ufficio ed in via di autotutela del provvedimento di aggiudicazione definitiva prot. n. 0002713 del 7 febbraio 2018, nonché di tutti gli atti di gara antecedenti, presupposti e connessi, ivi compreso il bando del 18 dicembre 2015 mediante procedura aperta ex art. 53, comma 2, lett. c), D.lgs. 12 aprile 2006 n.163, avente ad oggetto la “Progettazione esecutiva ed esecuzione dei lavori, previa acquisizione del progetto definitivo in sede di offerta sulla base del progetto preliminare”, per l’intervento di bonifica relativo alle “aree esterne Solvay” del Sito di Interesse Nazionale di “Bussi sul Tirino””, e della relativa nota di comunicazione prot. n. 45920 trasmessa via pec in pari data all’odierna ricorrente;

– ove occorra, per quanto di ragione, della nota prot. n. 35892 del 18.5.2018 del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, avente per oggetto “Comunicazione di avvio procedimento, ai sensi degli articoli 7, 8, della Legge 241/90, per l’annullamento d’ufficio ed in via di autotutela del provvedimento di aggiudicazione definitiva prot. n. 0002713 del 7 febbraio 2018, e di tutti gli atti di gara antecedenti, presupposti e connessi, ivi compreso il bando del 18 dicembre 2015 mediante procedura aperta ex art. 53, comma 2, lett. c), D. Lgs. n. 163/2006, avente ad oggetto la “Progettazione esecutiva ed esecuzione dei lavori, previa acquisizione del progetto definitivo in sede di offerta sulla base del progetto preliminare”, per gli interventi di bonifica relativi al Sito di Interesse Nazionale “Bussi sul Tirino”;

– di tutti gli altri atti presupposti, connessi e conseguenti, ancorché attualmente non conosciuti

con conseguente

declaratoria di inefficacia

del contratto eventualmente nelle more stipulato con un ipotetico soggetto illegittimamente individuato quale nuovo aggiudicatario della nuova procedura eventualmente indetta

per la condanna

dell’Amministrazione intimata a risarcire il danno cagionato alla ricorrente in forma specifica, mediante sua permanenza nell’aggiudicazione della commessa oggetto di affidamento e subentro, ex art. 122 c.p.a., nell’esecuzione del contratto eventualmente stipulato con un ipotetico soggetto illegittimamente individuato quale nuovo aggiudicatario della nuova procedura eventualmente indetta, ovvero in subordine, ove il risarcimento in forma specifica non fosse possibile per fatto non imputabile al ricorrente, per equivalente nella misura che sarà quantificata in corso di causa, eventualmente anche a titolo di responsabilità precontrattuale..

quanto al ricorso n. 293 del 2020:

per l’annullamento

previa adozione di idonea misura cautelare del decreto del Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare DD n. 72 del 17.06.2020 trasmesso in data 25.06.2020 (prot. 48820) di annullamento di ufficio ed in via autotutela del provvedimento di aggiudicazione definitiva prot. n. 0002713 del 07.02.2018, nonche’ di tutti gli atti di gara antecedenti, presupposti e connessi, ivi compreso il bando del 18.12.2015.

quanto al ricorso n. 321 del 2020:

per l’annullamento, previa adozione di idonee misure cautelari

– del decreto del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare DD n. 72 del 17.06.2020, trasmesso alla Regione Abruzzo in data 25.06.2020 (prot. 48820 MATTM) di annullamento di ufficio ed in via di autotutela del provvedimento di aggiudicazione definitiva prot. n. 0002713 del 7 febbraio 2018, nonché di tutti gli atti di gara antecedenti, presupposti e connessi, ivi compreso il bando del 18 dicembre 2015 mediante procedura aperta ex art. 53, comma 2 lett. c) del D. Lgs. 12 aprile 2006 n. 163 avente ad oggetto la “Progettazione esecutiva ed esecuzione dei lavori, previa acquisizione del progetto definitivo in sede di offerta sulla base del progetto preliminare” per l’intervento di bonifica relativo alle “aree esterne Solvay” del Sito di Interesse Nazionale di “Bussi sul Tirino” e degli atti connessi presupposti e consequenziali..

Visti i ricorsi e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di: Ministero dell’Ambiente e Tutela del Mare, Regione Abruzzo, Consiglio Superiore Lavori Pubblici, Provveditorato Interregionale Opere Pubbliche per il Lazio e l’Abruzzo, Regione Abruzzo, Arta Abruzzo, Dec-Deme Environmental Contractors Nv, Edison S.p.A., Solvay Specialty Polymers Italy S.p.A.,Comune di Bussi Sul Tirino, Presidenza del Consiglio dei Ministri-Dipartimento Protezione Civile e del Ministero delle Infrastrutture e Trasporti;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica telematica del giorno 20 novembre 2020 il dott. Massimiliano Balloriani e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

Premessa in fatto.

§1.

Con bando del 18.12.2015 del Commissario delegato (nominato con ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 3504 del 9.3.2006) per la realizzazione degli “interventi urgenti necessari per il superamento della situazione di emergenza socio-economico-ambientale determinatasi nell’asta fluviale del bacino del fiume Aterno” è stata pubblicata la gara per la “Progettazione esecutiva ed esecuzione dei lavori, previa acquisizione del progetto definitivo in sede di offerta sulla base del progetto preliminare” dell’intervento di bonifica relativo alle “aree esterne Solvay” del Sito di Interesse Nazionale di “Bussi sul Tirino”; successivamente, con ordinanza di protezione civile n. 365 dell’8.8.2016 (pubblicata nella G.U. 22.08.2016 n. 195), al Commissario è subentrato come Stazione appaltante il Ministero dell’Ambiente (subentrando al Commissario in via ordinaria nella gestione di tale emergenza), che con convenzione ex art. 33 del d.lgs. n. 163/2006 del 31.8.2017 ha affidato al Provveditorato interregionale per le opere pubbliche per il Lazio, l’Abruzzo e la Sardegna il supporto tecnico-specialistico e amministrativo funzionale alla gestione della procedura di gara, ivi comprese le funzioni del RUP.

Come evidenziato dalle ricorrenti, l’art. 7.5.2., lett. b), del disciplinare di gara e l’art. 13, comma 1, del capitolato speciale descrittivo e prestazionale hanno previsto che l’efficacia dell’aggiudicazione definitiva “sarebbe stata subordinata: – all’ottenimento dei pareri tecnici e amministrativi inerenti l’intervento e di ogni altro atto di assenso, comunque denominato, con riferimento al progetto definitivo offerto dall’aggiudicatario (tra cui, trattandosi di intervento interamente finanziato con risorse pubbliche di importo superiore ai 25 milioni di Euro, rientrava anche il parere obbligatorio del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici ex art. 127, comma 3, del D.Lgs. n. 163/2006), nonché alla verifica positiva di cui all’articolo 112 del medesimo D.Lgs. n. 163/2006; – alla successiva approvazione del progetto definitivo da parte del competente organo della Stazione appaltante, cui risultava altresì subordinata la stipula del contratto (art. 8.1.1 del Disciplinare) … Si prevedeva inoltre, in capo all’aggiudicatario, l’onere di “provvedere con tempestività ad adeguare il progetto definitivo alle eventuali prescrizioni imposte dalle diverse autorità competenti” (art. 7.5.2, lett. d)”.

Adottato il provvedimento di aggiudicazione definitiva con decreto del Provveditorato prot. n. 12060 del 21.3.2018, in data 11.1.2019 si è riunito il Consiglio superiore dei lavori pubblici in prima seduta per l’esame del progetto definitivo presentato dal RTI aggiundicatario (avente la ricorrente come mandataria).

Senonché in quella sede il Consiglio superiore dei lavori pubblici ha rilevato degli aspetti di criticità che ha evidenziato poi nella nota n. 605 del 24.1.2019, indirizzata al Provveditorato interregionale per le opere pubbliche.

Più in particolare, in tale nota, si illustra che il medesimo Consiglio superiore ha ricevuto una nota del 20 dicembre 2018 “in cui sono state evidenziate alcuni problematiche tecnico procedimentali che incidono sul parere da rilasciare”, e che tali “problematiche” sarebbero: – l’individuazione di Edison spa come soggetto responsabile dell’inquinamento (evidenziando in proposito che ciò potrebbe essere una rilevante ragione di interesse pubblico per revocare il provvedimento di aggiudicazione, evitando così l’esborso di una somma rilevante per la progettazione esecutiva e l’esecuzione della bonifica, dovendo poi agire in danno verso il responsabile); – il dirigente individuato quale responsabile e coordinatore delle attività di bonifica del sito non ha mai trasmesso la relazione conclusiva alla protezione civile entro il termine del 30 giugno 2018 e per di più 5 giorni dopo l’aggiudicazione della gara ha rassegnato le proprie dimissioni; – vi sarebbero delle difficoltà di ordine contabile nell’operare sul capitolo di bilancio individuato oltre il succitato termine del 30 giugno 2018.

Precisando di non poter entrare nel merito delle questioni di ordine giuridico, dunque, il Consiglio superiore dei LLPP, fatte queste premesse, evidenzia alcune considerazioni su aspetti tecnici, e in particolare “il carente grado di approfondimento del progetto definitivo soggetto a parere di questo Consesso”, segnalando che nel “bando di gara era prevista l’esecuzione di ulteriori indagini e rilievi solo a valle della presentazione del progetto definitivo” e che i progettisti del definitivo avrebbero affermato di “aver ripreso come riferimento le indagini ambientali condotte in sede di progettazione preliminare” e “nulla viene detto in merito alle successive fasi di analisi richieste dalla normativa ambientale vigente”; in sostanza, si evidenzia in tale nota, che “Nel caso di specie il piano di caratterizzazione a cui i progettisti hanno fatto riferimento è quello eseguito nel 2004 da parte della Solvay S.p.A. e al piano di indagini integrativo del 2011; da allora pare che non siano stati eseguiti ulteriori accertamenti del caso”; che, inoltre, dovendo alla caratterizzazione seguire l’analisi del rischio “sito specifica” per la determinazione delle concentrazioni soglia di rischio (CSR), e dunque degli obiettivi di bonifica, a tal fine sarebbe fondamentale la delimitazione dell’area contaminata, e sotto tale aspetto, mentre la profondità dell’area stessa è stata individuata attraverso il rilievo del primo campione libero da contaminazioni, non sarebbe chiara la modalità di individuazione della superficie planimetrica dell’area stessa; e, d’altro canto, dalla documentazione progettuale non apparirebbe neanche chiaro se sia stata fatta o meno l’analisi di rischio per verificare il superamento delle CSR al fine della redazione del progetto di bonifica; mancherebbe inoltre uno studio delle disponibilità delle discariche in prossimità del sito contaminato per lo stoccaggio dei rifiuti, incidendo peraltro tale elemento anche sull’importo finale dei lavori; per le “baie di stoccaggio” non sarebbero previste impermeabilizzazioni al suolo; da tutto ciò, sempre a parere del Consiglio superiore dei LLPP, emergerebbe “uno scarso grado di approfondimento delle condizioni iniziali che, a parere della Commissione, risulta in forte contrasto con la possibilità di redigere un progetto definitivo che sia corretto, approfondito e rispondente ai requisiti minimi della normativa tecnica vigente, soprattutto per quanto riguarda la stima delle volumetrie dei rifiuti e dei terreni che saranno interessati dall’attività di rimozione, caratterizzazione e trasporto a discarica. Tutti questi aspetti, indicati dal R.T.I. aggiudicatario dell’appalto, sono stati desunti dal progetto preliminare, non approfonditi nel progetto definitivo offerto in sede di gara e sono aspetti che hanno ripercussioni dirette sul Quadro Economico, poiché non essendovi un vero e proprio piano di caratterizzazione, non può esserci alcuna sicurezza in merito alla stima a misura”, considerato peraltro che il computo dei lavori oggetto dell’appalto è stato previsto per il 90% a misura, il che potrebbe implicare significative variazioni di prezzo nella fase esecutiva, il tutto in contrasto con l’articolo 53 del d.lgs. 163 del 2006, vigente alla data di pubblicazione del bando; per il Consiglio superiore dei LLPP tali rilievi sarebbero ostativi “all’attuale esame documentale”, e per tali ragioni ha concluso tale parere interlocutorio “riservando l’emissione del parere richiesto, a valle degli ulteriori indagini e rilievi necessari a rendere il progetto meno approssimato e quindi più coerente col livello di progettazione richiesto”.

Con nota del 16 gennaio 2020, il Ministero dell’Ambiente, presa conoscenza di tale parere interlocutorio del Consiglio superiore dei LLPP, ha invitato il Provveditorato interregionale, rammentando gli obblighi derivanti a suo carico dalla convenzione ex art. 33 d.lgs. 163 del 2006, a verificare, relazionando in merito, se l’aggiudicataria “abbia medio tempore provveduto a effettuare le ulteriore attività di caratterizzazione” in questione; se dunque su tale progetto definitivo siano stati acquisiti tutti i pareri e le autorizzazioni previsti dall’articolo 7.5.2. del disciplinare di gara; se il Consiglio superiore si sia pronunciato poi in via definitiva, dovendo in caso contrario il Ministero stesso provvedere alla revoca dell’aggiudicazione.

A tale nota ha fatto seguito la risposta del Provveditorato interregionale del 30 gennaio 2020, nella quale sostanzialmente si sottolinea che il Ministero aveva segnalato “l’inopportunità di procedere alla sottoscrizione del contratto di appalto e far effettuare l’esecuzione dei lavori di bonifica al RTI aggiudicatario” per poi agire in rivalsa verso Edison spa, una volta che questo è stato individuato come soggetto responsabile, e dunque aveva segnalato la sussistenza dei presupposti per la revoca dell’aggiudicazione; che aveva inoltre segnalato “perplessità in ordine alla possibilità di movimentare le risorse appostate sulla contabilità speciale n. 3911, che sembrerebbe non essere stata prorogata”.

Nella medesima comunicazione il Provveditorato sottolinea, altresì, che la succitata nota del 24 gennaio 2019 del Consiglio superiore dei LLPP non costituisce parere consultivo ai sensi dell’articolo 127 del d.lgs. 163 del 2006, ma un semplice resoconto del primo esame istruttorio, in cui sono state solo evidenziate carenze della progettazione definitiva esaminata.

Sulla base di tali rilievi, pertanto, il Provveditorato ha comunicato al Ministero l’”assoluta necessità” di verificare, interpellando al riguardo l’Avvocatura dello Stato, la legittimità di una sospensione della procedura di gara per “l’intervenuta indisponibilità di fondi” nonché di una “revoca dell’aggiudicazione per il sopravvenuto accertamento del soggetto responsabile della contaminazione”; e conclusivamente il medesimo Provveditorato ha sottolineato che le integrazioni progettuali richieste dal Consiglio superiore dei lavori pubblici richiederebbero più approfondite indagini a cura dell’aggiudicatario in quanto eseguibili solo dopo la presentazione della progettazione definitiva, e che, dunque, è necessario comprendere le decisioni del Ministero prima di procedere ulteriormente, poiché non si potrebbero affidare tali ulteriori indagini all’aggiudicataria senza conoscere prima la attuale disponibilità di bilancio e la volontà di annullare o meno l’aggiudicazione.

Dunque, sulla base di tale situazione istruttoria, in data 18 maggio 2020 il Ministero dell’Ambiente ha dato avviso all’aggiudicataria dell’avvio del procedimento di annullamento d’ufficio del provvedimento di aggiudicazione definitiva, motivato con la circostanza che il Consiglio superiore dei LLPP “ha rilevato un carente grado di approfondimento del progetto definitivo soggetto al parere del citato Consesso, che costituisce l’offerta tecnica del R.T.I. aggiudicatario”; che “La carenza progettuale riscontrata nell’offerta tecnica presentata dal RTI Dec Deme è tuttavia di ricondurre anche ad un carente approfondimento delle indagini ambientali – richieste dalla normativa vigente – condotte in sede di progettazione preliminare posta a base di gara” (“- non appare chiaro se sia stata condotta un’analisi di rischio dei valori di contaminazione superiori alle CSR; – manca uno studio sulla disponibilità delle discariche site in prossimità del sito contaminato, a cui dovranno essere inviati i rifiuti non pericolosi, rifiuti pericolosi ed inerti; – per le “baie di stoccaggio” su cui dovranno essere stoccati i rifiuti dopo la rimozione dal sito contaminato, non sono state previste impermeabilizzazioni del suolo, compromettendo ulteriormente la contaminazione del sottosuolo”); che, “In sintesi, è emerso uno scarso grado di approfondimento dei contenuti progettuali iniziali posti a base di gara che, a parere del Consiglio Superiore, rende impossibile redigere un progetto definitivo che sia corretto, approfondito e rispondente ai requisiti minimi della normativa tecnica vigente, soprattutto per quanto riguarda la stima delle volumetrie dei rifiuti e dei terreni che saranno interessati dall’attività di rimozione, caratterizzazione e trasporto a discarica, aspetti che hanno ripercussioni dirette sul Quadro Economico poiché, non essendovi un vero e proprio piano di caratterizzazione, non può esserci alcuna sicurezza in merito alla stima a misura prevista (al 90%) per la computazione dei lavori”.

Nelle proprie controdeduzioni l’aggiudicataria ha dedotto la tardività dell’annullamento d’ufficio rispetto al termine di cui all’articolo 21 comma 1 nonies della legge n. 241 con riferimento sia alla data di adozione del bando sia a quella dell’aggiudicazione; la mancata specificazione dell’interesse pubblico all’annullamento ulteriore rispetto al mero ripristino della legalità; che, come chiarito con la nota 5882 dell’11.08.2015 dell’ARTA Abruzzo Distretto Provinciale di Chieti, la scelta di effettuare la progettazione preliminare, rimandando solo a valle della progettazione definitiva la redazione dell’analisi di rischio sito-specifica, corrisponde alla scelta di seguire la procedura semplificata e accelerata di cui all’articolo 242 bis del d.lgs. 152 del 2006; che del resto, come avrebbe rilevato anche il Consiglio superiore dei LLPP, tutto ciò era specificato anche nel bando di gara, prevedendosi le ulteriori indagini solo a valle della progettazione definitiva, e probabilmente proprio tale incertezza sui volumi di bonifica avrebbe indotto la Stazione appaltante a optare per l’affidamento dei lavori “a misura”; che, quanto alla supposta mancanza di uno studio sulla disponibilità delle discariche in prossimità del sito, “il progetto definitivo presentato dallo scrivente RTI, e precisamente l’elaborato n. 01.05.03.00 “Piano di Gestione, Recupero e Smaltimento dei materiali di scavo” (che si allega), riporta un dettagliato studio sulla disponibilità dei siti di destinazione finale dei materiali/rifiuti derivanti dalla bonifica, individuando n. 9 potenziali siti di destinazione ed allegando anche, per ciascuno di essi, la lettera di disponibilità firmata dal rispettivo titolare. Il totale delle disponibilità raccolte in termini volumetrici è ben superiore alle necessità legate al progetto a base dell’appalto”; che, quanto alla mancata impermeabilizzazione del suolo ove insistono le baie di stoccaggio dei rifiuti, “si rileva che tale intervento può essere agevolmente eseguito (attraverso il mero inserimento in sottofondazione di un telo impermeabile in HDPE termosaldato), senza incidere particolarmente sull’economia dell’appalto (del valore di 38 milioni di euro); in sostanza, la rilevata (pretesa) “carenza” è così facilmente risolvibile da non poter essere considerata causa di annullamento di un’intera procedura d’appalto, quale che ne sia il valore”; che, in ogni caso, lo stesso parere preliminare del Consiglio superiore dei LLPP, lungi da evidenziare vizi insanabili della procedura, ha viceversa specificato che la propria valutazione definitiva sarà effettuata “a valle degli ulteriori indagini e rilievi necessari a rendere il progetto meno approssimato e quindi più coerente col livello di progettazione richiesto”.

Con provvedimento 17 giugno 2020, il Ministero dell’Ambiente ha dunque disposto l’annullamento d’ufficio del bando di gara e dell’aggiudicazione definitiva, rilevando che “la carenza progettuale riscontrata nell’offerta tecnica presentata dal R.T.I. Dec Deme è dipesa anche da un insufficiente approfondimento delle indagini ambientali – richieste dalla normativa vigente – condotte in fase di progettazione preliminare posta a base di gara”; che, in particolare, “ad avviso del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici: – non appare chiaro se sia stata condotta un’analisi di rischio dei valori di contaminazione superiori alle CSR; – manca uno studio sulla disponibilità delle discariche site in prossimità del sito contaminato, a cui dovranno essere inviati i rifiuti non pericolosi, rifiuti pericolosi ed inerti; – per le “baie di stoccaggio” su cui dovranno essere stoccati i rifiuti dopo la rimozione dal sito contaminato, non sono state previste impermeabilizzazioni del suolo, compromettendo ulteriormente la contaminazione del sottosuolo”; che, di conseguenza, “avendo il R.T.I. Dec Deme previsto l’esecuzione “a misura” di circa il 90% della computazione dei lavori, senza ulteriori accertamenti nel progetto definitivo, si sarebbe determinata una significativa variazione del prezzo dei lavori in fase esecutiva, in palese violazione dell’art. 53, comma 2, lett. c) e comma 4, del D.lgs. 12 aprile 2006 n.163”; che, quanto al rilievo della violazione del termine di cui all’articolo 21 nonies della legge n. 241 del 1990, “l’aggiudicazione definitiva di un appalto pubblico non può essere correttamente ascritta alla categoria dei “provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici” essendo, piuttosto, una determinazione con la quale la stazione appaltante individua la migliore offerta”; che in ogni caso tale termine non potrebbe decorrere prima dell’efficacia dell’aggiudicazione definitiva, subordinata, dall’articolo 7.5.2. del disciplina di gara, all’ottenimento dei pareri tecnici e atti di assenso sul progetto definitivo offerto e dunque alla successiva approvazione dello stesso da parte della Stazione appaltante; che, tale circostanza, sarebbe di fatto impedita dalla rilevata lacunosità della progettazione preliminare; che “l’art. 242 del D.lgs 3 aprile 2006 n.152 non figura tra le norme cui, ai sensi dell’art.3 dell’OPCM 6 marzo 2006, nonché ai sensi dell’art.3 dell’OPCM 4 ottobre 2007, il Commissario delegato era autorizzato a derogare, se non nei casi in cui ciò fosse assolutamente indispensabile e in ogni caso previa esplicita dichiarazione in tal senso, nonché sulla base di specifica motivazione, elementi che non si rinvengono nella documentazione progettuale posta a base di gara”; che “non merita accoglimento la tesi, avanzata dall’aggiudicataria Dec Deme, per cui il progetto posto a base di gara sarebbe conforme al disposto di cui all’art.242-bis, che contempla una procedura semplificata che non prevede il preventivo espletamento dell’Analisi di rischio, bensì l’esecuzione di interventi di bonifica del suolo con riduzione della contaminazione ad un livello uguale o inferiore ai valori di concentrazione soglia di contaminazione, in quanto l’articolata procedura di cui all’art.242-bis, caratterizzata da una propria sequenza procedimentale, non risulta essere stata seguita; tenuto conto, in ogni caso, del fatto che tale procedura è attivata dal privato su base volontaria, ma appare, di contro, non attivabile nel caso di procedure ad evidenza pubblica, finanziate dalla pubblica amministrazione, sia pure in danno del soggetto responsabile, siccome caratterizzata da maggiori costi e comportante, in ragione dell’incertezza legata alla determinazione dei volumi di bonifica, la necessità di effettuare larga parte dei lavori a “misura”, in violazione delle normativa vigente in materia, e, in particolare, dell’art.53, comma 2, lett. b), del D.lgs. 12 aprile 2006 n.162, come rilevato anche dal Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici e confermato dalla stessa aggiudicataria”; che “l’art.53, comma 2, lett. b) e comma 4, del D.lgs. 12 aprile 2006 n.163, a norma del quale, se la gara è affidata sulla base del progetto preliminare, il contratto è stipulato a corpo, non risulta tra quelli cui il Commissario delegato era autorizzato a derogare, in ogni caso motivatamente e previa dimostrazione, nella fattispecie mancante, dell’assoluta necessità di procedere in tal senso, e che il Commissario delegato non si è avvalso di deroghe alla citata norma”; che le carenze progettuali non potrebbero essere colmate senza una modifica di quella preliminare posta a base di gara, e da ciò emergerebbe l’interesse all’annullamento della gara e dell’aggiudicazione.

§2.

Con il ricorso 281 del 2020 la Dec-Deme Environmental Contractors Nv ha dunque impugnato tale provvedimento di aututela del 17 giugno 2020 del Ministero dell’Ambiente.

Nel ricorso si deduce la violazione dell’articolo 21 octies della legge n. 241 del 1990, sotto il profilo della mancanza di un interesse pubblico all’annullamento, considerato che il parere del Consiglio superiore dei LLPP aveva carattere meramente interlocutorio e comunque non conteneva un giudizio tecnico di non sanabilità delle carenze in sede di progettazione definitiva (riconoscendo viceversa che lo stesso bando di gara prevedeva indagini integrative successivamente alla presentazione del progetto definitivo); che la nota Arta 5882 dell’11.8.2015 ha chiarito che la decisione di conseguire le CSC senza analisi del rischio specifico è frutto di una precisa scelta della Stazione appaltante di seguire la procedura semplificata di cui all’art. 242-bis del Codice dell’ambiente di cui al d.lgs. n. 152/2006; che, contrariamente a quanto rilevato dal Consiglio superiore dei LL nel proprio parere preliminare, il progetto definitivo presentato dalla ricorrente, “e precisamente l’elaborato n. 01.05.03.00 “Piano di Gestione, Recupero e Smaltimento dei materiali di scavo””, contiene invece un dettagliato studio sulla disponibilità di 9 siti di destinazione finale dei rifiuti; che l’impermeabilizzazione del suolo di stoccaggio inciderebbe solo dello 0,25% sull’importo totale dell’appalto (che ammonterebbe a circa 38 milioni di euro); che dunque il provvedimento di annullamento sarebbe sproporzionato e irragionevole, non essendo giustificato sul piano tecnico, e comportando maggiori danni derivanti dal ritardo nella esecuzione delle opere di bonifica; che dalla stessa corrispondenza tra il Provveditorato e il Ministero (di cui si è dato conto al §1) ergerebbe che le Amministrazioni procedenti sono ben consapevoli del carattere meramente interlocutorio del parere del Consiglio superiore dei LLPP, peraltro reso circa ben un anno prima del susseguente atto di autotutela (e nelle more lo stesso Ministro dell’Ambiente avrebbe ciò nonostante rilasciato ampie dichiarazioni alla stampa sul celere avvio delle operazioni di bonifica); che la loro volontà di non dar corso all’aggiudicazione deriverebbe in realtà da questioni di ordine finanziario e dalla temuta difficoltà di recuperare poi le spese in danno del responsabile dell’inquinamento; che, a prescindere dalla fase di integrazione dell’efficacia, la validità dell’aggiudicazione risale al momento dell’adozione della stessa e dunque da quel momento dovrebbe decorrere il termine per agire in autotutela, tenendo presente che le rappresentate lacune della progettazione preliminari non sono riconducibili a errate rappresentazioni imputabili alla parte privata.

La ricorrente ha dunque richiesto, per il caso di mancato accoglimento della domanda costitutiva di annullamento, il risarcimento del danno dell’interesse positivo, e in subordine di quello negativo, relativo alle spese di progettazione e della fideiussione, ove dovessero risultare inutilmente sostenute per colpa dell’Amministrazione nella predisposizione degli atti di gara.

Il Ministero dell’Ambiente nelle proprie difese ha tra l’altro evidenziato che, essendo scaduto al 30 giugno 2018 il termine di efficacia della OPCDC 8 agosto 2016 n.365, da quella data non sarebbero più disponibili le risorse cui attingere per l’esecuzione dell’appalto e inserite nel Capitolo di contabilità speciale n. 3911; che, in seguito alla pubblicazione della sentenza del Consiglio di Stato 6 aprile 2020 n.2301, che ha confermato integralmente la sentenza del Tar Pescara 22 marzo 2019 n.86 riconoscendo la piena responsabilità di Edison S.p.A per l’inquinamento del sito in esame, lo stesso Ministero avrebbe prontamente diffidato quest’ultima a porre in essere le attività di bonifica e avrebbe ritrasferito le somme di tale capitolo di contabilità speciale al Ministero dell’Economia, dopo aver dato il preavviso di avviso del procedimento di annullamento dell’aggiudicazione, e pur avendo successivamente richiesto la riassegnazione di tali somme sempre per interventi a favore delle medesime aree; che già nella conferenza di servizi convocata per l’approvazione del progetto preliminare il Ministero aveva sollevato alcuni rilievi, sostanzialmente analoghi a quelli oggi emersi, su lacune progettuali anche sulla base di un parere Ispra, rilievi che non sarebbero stati superati ma semplicemente ignorati nella successiva conferenza di servizi del 15 giugno 2015 di approvazione del progetto preliminare, a cui non ha partecipato il Ministero e che è stata presieduta dal Commissario straordinario, nelle more divenuto su sua richiesta responsabile della procedura; che tale verbale di approvazione del progetto definitivo è stato comunque trasmesso al Ministero in data 1 luglio 2015 dallo stesso Commissario; che, ai sensi dell’allegato I punto 9 della direttiva 85/337/CEE (cd. Direttiva VIA), gli impianti di eliminazione dei rifiuti tossici e pericolosi devono essere sottoposti a valutazione di impatto ambientale, pena l’esposizione dello Stato italiano a procedura di infrazione, come avvenuto per il caso analogo del sito ex ACNA di Cengio; che pertanto il progetto definitivo proposto dalla ricorrente sarebbe, allo stato, ben lungi da essere immeditatamente attuabile, con evidente ricaduta dei tempi di bonifica; che le aree sono attualmente di proprietà del Comune di Bussi sul Tirino dal 24 maggio 2018, avendo quest’ultimo ritenuto di acquisire le aree medesime dal Solvay spa senza che fosse stato stipulato il contratto con l’aggiudicataria, in palese violazione di quanto previsto dall’accordo di programma stipulato con lo stesso Ministero il 3 maggio 2017 (art. 2 comma 4), e con la grave conseguenza che la stessa Solvay ha dunque conseguentemente cessato di porre in essere le attività di prevenzione a suo carico quale proprietaria (in particolare avrebbe spento la “barriera idraulica), con ulteriore compromissione dell’attuale situazione ambientale, salvo poi ripristinare tale attività su richiesta del Ministero, come comunicato dalla medesima Solvay il 7 luglio 2020.

Tutto ciò premesso, il Ministero rileva innanzitutto l’inammissibilità del ricorso, in quanto in esso non sarebbero state censurate tutte le motivazioni a base del provvedimento gravato, e in particolare laddove si evidenzia che “avendo il R.T.I. Dec Deme previsto l’esecuzione “a misura” di circa il 90% della computazione dei lavori, senza ulteriori accertamenti nel progetto definitivo, si sarebbe determinata una significativa variazione del prezzo dei lavori in fase esecutiva, in palese violazione dell’art. 53, comma 2, lett. c) e comma 4, del D.lgs. 12 aprile 2006 n.163”; che, nel merito, il parere del Consiglio superiore dei LL, pur interlocutorio, determinerebbe un arresto procedimentale, poiché, proprio le rilevate carenze progettuali unite alla previsione del prezzo “a misura” comporterebbero “una significativa variazione del prezzo dei lavori in fase esecutiva, in palese violazione dell’art. 53, comma 2, lett. c) e comma 4, del D.lgs. 12 aprile 2006 n.163”; che il termine di 18 mesi per l’annullamento d’ufficio ex articolo 21 nonies della legge 241 del 1990 non potrebbe decorrere con riferimento al bando (non derivando da esso nessun immediato vantaggio economico per il privato) e nemmeno all’aggiudicazione definitiva ove non ancora efficace; che, ai sensi dell’art.242 del d.lgs. n. 152/2006, comma 4, “a valle dell’elaborazione delle indagini preliminari devono essere identificati i livelli di concentrazione residua accettabili calcolati mediante analisi di rischio eseguita secondo i criteri di cui in Allegato 1, sui quali impostare gli eventuali interventi di messa in sicurezza e/o di bonifica”, e “tale norma non figura tra quelle, ai sensi dell’art.3 dell’OPCM 6 marzo 2006, nonché ai sensi dell’art.3 dell’OPCM 4 ottobre 2007, che il Commissario delegato era autorizzato a derogare, se non nei casi in cui ciò fosse assolutamente indispensabile e in ogni caso previa esplicita dichiarazione in tal senso, nonché sulla base di specifica motivazione”; e in ogni caso la procedura speciale in deroga ex articolo 242 bis cit., oltre a non essere prevista espressamente negli atti di gara, richiederebbe “il raggiungimento delle CSC, con necessità di volumi di scavo molto superiori e con difficoltà tecniche che non sempre conducono ad addivenire in tempi più rapidi al raggiungimento degli obiettivi di bonifica”.

§3.

Con il ricorso 293 del 2020, anche il Comune di Bussi sul Tirino ha impugnato il succitato provvedimento di autotutela del Ministero dell’Ambiente, evidenziando varie censure, alcune sostanzialmente sovrapponibili a quelle esposte dall’aggiudicataria, e in particolare la violazione del termine di 18 mesi per l’adozione del provvedimento di autotutela; il contrasto del provvedimento di annullamento con le conclusioni contenute nel parere preliminare del Consiglio superiore dei LLPP e con i rilievi contenuti nelle succitate comunicazioni del Provveditorato interregionale, incaricato di funzioni di responsabile del procedimento; che il parere del Consiglio superiore dei LLPP sarebbe errato nel ritenere lacunoso il progetto preliminare in quanto in esso sarebbe prevista la copertura delle aree di stoccaggio, vi sarebbe contenuta l’analisi delle discariche e sarebbe molto dettagliato in ogni sua parte; inoltre l’approvazione del progetto preliminare conterrebbe la previsione di successive indagini integrative nella fase esecutiva, come confermato dallo stesso parere dell’Arta Abruzzo 5882 del 11 agosto 2015, già citato dall’aggiudicataria anche in merito all’applicazione dell’articolo 242 bis del d.lgs. 152 del 2006, che nel caso di specie ben si giustificava essendo prevista l’integrale rimozione dei rifiuti dal sito, e dunque una bonifica più radicale in quanto basata sulle CSC invece che sulle CSR; che nello stesso decreto di indizione della gara n. 240 del 14 dicembre 2015 è stata fatta salva “ogni doverosa azione di tutela erariale a garanzia del risarcimento del danno ambientale nei confronti del responsabile dell’inquinamento e comunque ogni azione volta ad ottenere, a termini di legge, il rimborso delle spese sostenute per i suddetti interventi di bonifica”, e dunque l’individuazione di Edison come soggetto responsabile e la pendenza nei suoi confronti anche di una causa presso il Tribunale de L’Aquila per il risarcimento del danno ambientale sarebbero ragioni per procedere speditamente alla bonifica, nella consapevolezza di poter comunque recuperare quanto si andrà a spendere a tal fine, in danno della stessa responsabile; che pertanto sarebbe del tutto destituita di ragionevolezza la reale ragione che starebbe dietro la decisione di annullare la gara ossia la sopravvenuta individuazione del responsabile dell’inquinamento; che apparirebbe quantomeno contraddittoria la circostanza che con il gravato provvedimento il Ministero abbia deciso di provvedere, a distanza di circa 5 anni dalla pubblicazione del bando e 3 anni dall’aggiudicazione, all’annullamento di tali atti, quando, di contro, proprio il trascorrere di un lungo lasso di tempo e le previsioni dell’ordinanza della Protezione civile del 2016 erano state le ragioni utilizzate dalla stessa Amministrazione nelle proprie difese (di cui la ricorrente riporta uno stralcio: “Con un secondo profilo di censura Toto Holding spa lamenta che sarebbe mancata la caratterizzazione delle aree e che la progettazione preliminare sarebbe erronea per carenza di istruttoria. Tale ulteriore doglianza è manifestamente inammissibile perché priva di qualsivoglia riscontro istruttorio….”) nel ricorso 115 del 2017 intentato da una concorrente, la Toto Holding, innanzi al Tar del Lazio proprio avverso il bando in questione; che la circostanza che il Ministero abbia lasciato infruttuosamente scadere il termine del 30 giugno 2018 – previsto nella succitata ordinanza di protezione civile 365 del 2016 per relazionare in ordine all’utilizzo delle somme stanziate ed eventualmente per chiedere una proroga dello stanziamento stesso – prima di prendere la decisione di annullare la gara e dunque ritenere non necessarie tali somme evidenzierebbe un’inversione logica nell’attività procedimentale e tradirebbe una decisione preconcetta sulla volontà di non procedere oltre nella esecuzione della gara; che a pag. 6 dell’accordo di programma sottoscritto tra il Ministero dell’Ambiente, la Regione Abruzzo e il Comune di Bussi “la tempestiva esecuzione dei lavori di bonifica oggetto della Procedura di Gara è di primario interesse pubblico, in considerazione dello stato di contaminazione delle Aree nonché della volontà di promuovere eventuali accordi per la reindustrializzazione delle stesse”, e ciò manifesterebbe con ancora più forza l’insussistenza di un interesse pubblico all’annullamento della gara, peraltro in violazione della suddetta disposizione dell’accordo di programma.

Il ricorso appare correttamente e tempestivamente rinotificato via Pec al Ministero dell’Ambiente per il tramite dell’Avvocatura distrettuale de L’Aquila in data 15 settembre 2020, e purtuttavia detta Amministrazione non si è costituita.

Si è costituita, in tale giudizio evocata, invece, tra gli altri, anche Edison, limitandosi tuttavia a sottolineare la propria estraneità alla specifica materia del contendere, sul rilievo che l’accertamento della propria responsabilità non sarebbe stato comunque definitivamente accertato così come non sarebbe stato accertato l’avvenuto inquinamento di cui si discute (“Né tale estraneità è messa in discussione dall’eventuale (ancora inesistente) accertamento definitivo della pretesa responsabilità di Edison medesima per il supposto (ed indimostrato, come nota il Cons. sup. LL.PP.) inquinamento (tale non è infatti la presenza di discariche di rifiuti autorizzate), profilo del tutto estraneo alla legittimità/illegittimità dell’atto assunto in autotutela dal Ministero”).

Si è costituita anche l’Arta Abruzzo, esponendo varie deduzioni a sostegno delle tesi della ricorrente, e in particolare che appare destituita di fondamento la tesi del Ministero sulla decorrenza del termine di 18 mesi di decadenza dal potere di annullamento atteso che l’articolo 21 nonies della legge n. 241 del 1990 fa decorrere tale termine dal momento “dell’adozione del provvedimento” oggetto di autotutela e attributivo di vantaggi economici e dunque non dalla sua efficacia; che manca nel provvedimento impugnato una valutazione dell’interesse pubblico nel senso di una espressa comparazione tra il mantenimento o l’annullamento dell’atto; che tale valutazione sarebbe tanto più necessaria in quanto la sollecita bonifica incide nel caso di specie su interessi fondamentali che, per quanto recentemente statuito dalla Corte Costituzionale, prevalgono su ragioni finanziarie e di bilancio.

§4.

Con ricorso n. 321 del 2020, il medesimo provvedimento di annullamento dell’aggiudicazione definitiva è stato impugnato anche dalla Regione Abruzzo, la quale espone di avere legittimazione ad agire – oltre che come ente esponenziale di interessi della collettività e perciò anche parte attiva della causa risarcitoria intentata insieme al Ministero dell’Ambiente avverso Edison innanzi al Tribunale ordinario de L’Aquila per il risarcimento del danno ambientale – in quanto parte contrattuale dell’Accordo di Programma stipulato il 7.05.2017 con il Comune di Bussi sul Tirino e il Ministero dell’Ambiente, e avente a oggetto le azioni finalizzate alla tempestiva esecuzione dei lavori di bonifica (e il quale a pag. 6 ha previso, come già illustrato, che “la tempestiva esecuzione dei lavori di bonifica oggetto della Procedura di Gara è di primario interesse pubblico, in considerazione dello stato di contaminazione delle Aree nonché della volontà di promuovere eventuali accordi per la reindustrializzazione delle stesse”); che nel medesimo accordo è stato poi previsto, oltre al trasferimento delle aree da Solvay al Comune di Bussi a un prezzo simbolico di un euro e dopo l’aggiudicazione definitiva, che la Regione Abruzzo avrebbe concorso al costo delle operazioni di bonifica per la parte non coperta dagli stanziamenti statali, cosi come poi avvenuto con delibera 159 del 2017 per la somma di 1,5 milioni di euro in favore del Ministero dell’Ambiente; che il rilievo e l’attualità di tale interesse appaiono provati anche da uno studio epidemiologico dell’Istituto Superiore di Sanità, che ha accertato un eccesso per diverse malattie nel SIN di Bussi suggerendo conseguentemente “di procedere rapidamente alle opere di messa in sicurezza e bonifica ambientale previsti dalla legge, nonché a tutti quegli interventi volti alla riduzione delle esposizioni anche potenziali a contaminanti da parte delle popolazioni”.

Nel proprio ricorso anche la Regione espone varie censure, alcune delle quali sovrapponibili a quelle dedotte dagli altri due ricorrenti, e in particolare che sarebbe stato violato il termine di 18 mesi per procedere in autotutela o comunque, in difetto, la previsione residuale di un termine ragionevole; che sarebbe stato del tutto inadempiuto l’onere motivazionale del provvedimento di autotutela, con particolare riferimento alla cura dell’interesse pubblico, che nel caso di specie sarebbe indubitabilmente quello alla tutela della salute e dell’ambiente, e dunque quello di procedere alle integrazioni progettuali e alla esecuzione delle opere di bonifica, essendo ormai trascorsi ben 13 anni dalla scoperta del gravissimo inquinamento del sito, peraltro in mancanza di una parere negativo definitivo del Consiglio superiore dei LLPP; che la scelta del Commissario delegato di adottare la procedura semplificata di cui all’articolo 242 bis del d.lgs. mirava proprio ad accelerare i tempi della bonifica e a renderla più radicale con l’allontanamento completo dei rifiuti; che il parere reso dal Consiglio superiore dei LLPP sarebbe infatti tutt’altro che definitivo e inoltre non comporterebbe alcun arresto procedimentale; che non sussisterebbero comunque le criticità progettuali citate nel summenzionato parere, atteso peraltro che la progettazione preliminare o studio di fattibilità posti a base di gara sarebbero altresì conformi ai requisiti dettati dall’art. 23, comma 6 del d.lgs. 50/2016; che, inoltre, nella Conferenza di servizi del 6 febbraio 2015, in risposta alle varie osservazioni formulate dagli enti partecipanti, si è sottolineato che “…. un approccio corretto in fase di stima preliminare delle volumetrie da scavare, la verifica sulle reali profondità di scavo e l’estensione areale andrà implementata in campo in funzione dello stato effettivo di contaminazione delle matrici ambientali … ”; che a ciò si devono aggiungere anche le valutazioni dell’Arta Abruzzo di cui alla succitata nota del 11.08.2015, sicché quella di prevedere una integrazione progettuale in fase esecutiva sarebbe una precisa scelta delle Amministrazioni legata proprio alla incertezza nella determinazione dei volumi di bonifica; che, quanto alla omissione dell’analisi di rischio sito-specifica, appare sufficiente rilevare che l’O.P.C.M. n. 3614 del 4 ottobre 2007 ha consentito al Commissario delegato di derogare tra gli altri all’articolo 242 del d.lgs. 152 del 2006, dunque nel caso di specie la gara risulta espletata ai sensi dell’articolo 242 bis, imponendo come soglia da rispettare quella delle Concentrazioni Soglia di Contaminazione (CSC) e non già le Concentrazioni Soglia di Rischio (CSR).

Nella propria memoria di costituzione per le Amministrazioni resistenti, l’Avvocatura dello Stato ha eccepito il difetto di legittimazione passiva della Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Considerazioni in diritto

§5.

Tutti i ricorsi in epigrafe vengono riuniti ai fini della decisione, stante l’evidente connessione oggettiva e soggettiva.

Preliminarmente, il Collegio rileva la legittimazione attiva della Regione Abruzzo e del Comune di Bussi, non solo quali enti esponenziali della comunità locale (in relazione a un atto incidente sui tempi e modi della bonifica e dunque destinato ad avere un rilevante effetto sull’ambiente nell’ambito territoriale di riferimento, cfr. Consiglio di Stato sentenza 719 del 2016), ma anche quali parti del rapporto costituito con l’accordo di programma stipulato in data 7.05.2017.

Tale atto negoziale – intervenuto tra Solvay spa, allora proprietaria delle aree in esame, il Ministero dell’Ambiente, la Regione Abruzzo e il Comune di Bussi sul Tirino – è stato infatti stipulato proprio “al fine di garantire il completamento della Procedura di Gara” in esame.

Inoltre, in base all’articolo 4 comma 3 di esso, la Regione si è obbligata a coprire “ogni ulteriore spesa derivante dalla Procedura di Gara nonché dall’esecuzione e del collaudo dei servizi e lavori oggetto di aggiudicazione”, e non appare contestato, come dedotto dalla Regione in giudizio, che vi abbia poi provveduto, trasferendo al Ministero dell’Ambienta a tal fine la somma di euro 1,5 milioni di euro.

Sempre in via preliminare, si rileva la legittimazione passiva della Presidenza del Consiglio dei Ministri, contestata dalla difesa erariale, atteso che, come si chiarirà meglio nel prosieguo, con il provvedimento impugnato è stato comunque annullato anche il bando di gara adottato dal Commissario, quale soggetto delegato proprio dal dipartimento di protezione civile della Presidenza del Consiglio dei Ministri.

E come noto, secondo la giurisprudenza, gli atti assunti nell’esercizio delle funzioni delegate ai Commissari sono, in quanto tali, riferibili alla stessa Presidenza del Consiglio dei Ministri, autorità che esercita nei confronti del Commissario delegato stesso un’attività di supervisione e di indirizzo (Tar Lazio sentenza 8595 del 2012; Tar Lazio sentenza 30424 del 2010; Consiglio di Stato sentenza 2576 del 2004).

Dunque, a parere del Collegio, l’espressione contenuta all’articolo 7 comma 1 dell’OPCM 3504 del 2016, evidenziata dall’Avvocatura dello Stato (“Il Dipartimento della protezione civile della Presidenza del Consiglio dei Ministri è estraneo ad ogni rapporto contrattuale scaturito dalla applicazione della presente ordinanza”), così come quella analoga contenuta nell’articolo 5 comma 1 dell’OPCM 3614 del 2007, alla luce del rapporto di delega e dunque della riferibilità alla Presidenza del Consiglio dei Ministri degli atti compiuti dal Commissario delegato, può riferirsi solo alla segregazione patrimoniale del “fondo finalizzato”, come accade anche per i soggetti attuatori; circostanza che, valutato quanto dedotto dall’Avvocatura dello Stato nella propria memoria difensiva (che ha infatti potuto citare a tal fine citare solo giurisprudenza ordinaria), incide solo sul conferimento al Commissario di una soggettività giuridica patrimoniale (come centro autonomo di imputazione dei rapporti giuridici patrimoniali in conseguenza appunto della segregazione del cd. “fondo finalizzato” e dunque dell’autonomia patrimoniale sebbene non perfetta), ma non ovviamente sulla imputazione degli atti amministrativi, non essendo il Commissario centro autonomo di imputazione degli effetti finali di diritto pubblico, quale soggetto appunto delegato, come affermato del resto dalla richiamata giurisprudenza.

Tale rilievo, peraltro, come si esaminerà più diffusamente nel merito, incide anche sul piano sostanziale, avendo in ultima analisi, e per le ragioni appena esposte, il Ministero dell’Ambiente annullato anche un bando comunque riferibile alla Presidenza del Consiglio dei Ministri e dalla medesima quantomeno implicitamente ratificato con successive ordinanze.

Passando dunque all’esame del merito, innanzitutto appare fondato il vizio della violazione del termine di 18 mesi di cui all’articolo 21 nonies della legge 241 del 1990, atteso che, per espressa previsione di legge, esso decorre dall’adozione dell’atto e non dalla sua efficacia.

Difatti tale norma si esprime in termini di “adozione” del provvedimento, e non considera dunque la fase integrativa dell’efficacia.

Peraltro, la giurisprudenza ha già affermato l’applicabilità del suddetto termine di decadenza anche all’annullamento dell’aggiudicazione definitiva, sia perché essa è l’ultimo atto della sequenza autoritativa su cui può appunto incidere il contrarius actus sia allorché, come a maggior ragione nel caso di specie, la pubblica amministrazione abbia atteso il superamento di tale lasso di tempo ben potendo conoscere i vizi che a suo dire l’affliggerebbero (cfr. Tar Milano sentenza 1637 del 2018).

E’ dunque appena il caso di aggiungere che l’articolo 21 nonies della legge 241 del 1990 menziona i provvedimenti attributivi di vantaggi economici come categoria astratta e non si richiede che tali vantaggi siano stati effettivamente e definitivamente acquisiti nel patrimonio del beneficiario.

Anche sotto il profilo della ratio, del resto, ciò che tale termine di decadenza preserva è proprio il contemperamento tra interesse pubblico e affidamento del destinatario dell’atto illegittimo, e, come noto, pur con l’adozione di un atto sospensivamente condizionato, sorge comunque un’aspettativa qualificata (per il caso di aggiudicazione sottoposta alla fase di integrazione dell’efficacia, cfr. Tar Venezia sentenza 152 del 2014; Tar Brescia sentenza 79 del 2019), la quale è proprio il prototipo della posizione di vantaggio già presente nel patrimonio del destinatario e che riceve tutela immediata principalmente sul piano dell’affidamento (cfr., in diritto civile, Cassazione, s.u., sentenza 18450 del 2005, si pensi, a esempio, all’obbligo di buona fede dell’altro contraente in pendenza della condizione sospensiva).

Dunque, essendo trascorsi più di 18 mesi dall’adozione dell’aggiudicazione definitiva, il provvedimento di annullamento è tardivo.

L’accoglimento di tale censura sarebbe assorbente, purtuttavia per completezza di esposizione appare opportuno affrontare altre questioni sollevate, ovvero quelle che appaiono sia rilevanti nella conformazione della successiva attività amministrativa sia in grado di evidenziare in modo più intenso la violazione dell’articolo 21 nonies della legge 241 – sotto profili non solo connessi alla tardività del provvedimento di autotutela ma anche alla sua irragionevolezza nella valutazione dell’interesse pubblico – con conseguente evidente interesse delle ricorrenti al loro esame.

Come rilevato nella premessa in fatto, con ordinanza di protezione civile n. 365 dell’8.8.2016, al Commissario delegato è subentrato come Stazione appaltante il Ministero dell’Ambiente, sicché se quest’ultimo avesse veramente avuto la competenza spesa nel procedere all’annullamento della gara, non si comprende come non vi abbia già provveduto in tale data, avendo ammesso nelle proprie difese, come pure riferito in premessa, che il verbale della conferenza di servizi di approvazione del progetto definitivo – sul quale peraltro il Ministero aveva fatto rilievi che lo stesso in giudizio ha affermato ritenere sostanzialmente sovrapponibili a quelli poi trasposti nel provvedimento di autotutela – è stato trasmesso al Ministero stesso già in data 1 luglio 2015.

Appare così un primo palese indice di sviamento di potere nella circostanza che il Ministero resistente abbia deciso di provvedere in autotutela solo a distanza di ben 5 anni, dimostrando con tale comportamento che probabilmente non sono tali preesistenti ragioni tecniche, quelle che lo hanno poi indotto ad adottare il provvedimento di autotutela oggi impugnato.

E circostanza ancor più eccentrica e dunque a tal fine sintomatica è che – come segnalato dal Comune di Bussi sul Tirino – il Ministero, nelle proprie memorie nel ricorso 115 del 2017 innanzi al Tar Lazio (allegate dal medesimo Comune al presente giudizio) intentato dalla Toto Holding spa avverso il medesimo bando di gara oggetto della presente controversia, ha contestato la fondatezza della censura riguardante proprio la mancata caratterizzazione delle aree e la carenza di istruttoria nella progettazione preliminare (“Tale ulteriore doglianza è manifestamente inammissibile perché priva di qualsivoglia riscontro istruttorio, che era onere di Toto fornire, tenuto anche conto del lungo tempo trascorso dall’indizione della gara”).

Tale circostanza infatti dimostra che il Ministero, pur essendo consapevole già dal 2015 delle lacune progettuali oggi sottolineate, le ha anche difese in giudizio, con un comportamento del tutto contraddittorio rispetto a quanto poi deciso con il provvedimento impugnato.

Ciò finisce tra l’altro per rinforzare il sintomo dello sviamento di potere, consolidando cioè la presunzione che alla base del provvedimento impugnato non vi siano le succitate lacune progettuali, non accertate con definitività dal Consiglio superiore dei LLPP e conosciute da oltre 5 anni dal Ministero che le ha anche difese in giudizio.

Giova altresì sottolineare che il Ministero stesso, pur consapevole, come rilevato, di tali presunte lacune nella progettazione preliminare già dal 2015, in data 3 maggio 2017 ha nondimeno stipulato un accordo di programma con la Regione Abruzzo e il Comune di Bussi, che a pag. 6 prevede che “- la Procedura di Gara è attualmente pendente ed in fase di conclusione; – la tempestiva esecuzione dei lavori di bonifica oggetto della Procedura di Gara è di primario interesse pubblico, in considerazione dello stato di contaminazione delle Aree nonché della volontà di promuovere eventuali accordi per la reindustrializzazione delle stesse”.

Con la stipula di tale accordo dunque, il Ministero, conoscendo già i vizi della gara oggi in esame, ha comunque confermato espressamente la volontà di darvi corso, assumendo a tal fine reciproche obbligazioni anche con altri soggetti pubblici (Regione Abruzzo e Comune di Bussi, odierni ricorrenti).

L’annullamento oggi impugnato pertanto costituisce una palese violazione del suddetto accordo di programma, che a sua volta rappresenta una ulteriore ragione di contraddittorietà con la gravata scelta di ritenere oggi sussistente un interesse pubblico all’annullamento della gara per le medesime lacune progettuali già note al momento della stipula.

In tale accordo è disposto che “il Comune di Bussi si impegna a porre in essere le necessarie procedure per acquisire la piena disponibilità delle Aree Privati ai fini della tempestiva esecuzione degli interventi di cui alla Procedura di Gara” (articolo 3 comma 3).

E’ ben vero, come rilevato dal Ministero, che il comma 4 dell’articolo 2 ha previsto che “Il passaggio di proprietà delle Aree Solvay non potrà in alcun caso avvenire in caso di mancata aggiudicazione della Procedura di Gara nonché in caso di mancata stipula del contratto. In tal caso le Parti dichiarano sin d’ora non avere nulla a pretendere l’un l’altra in ragione del mancato verificarsi di tali presupposti”.

Tuttavia, come noto, non solo il mancato avveramento di una condizione sospensiva ma anche l’avveramento di quella risolutiva, ove imputabile a colpa di una delle parti, implica che l’evento dedotto in condizione non esplichi l’effetto condizionante previsto (rientrano infatti nell’ambito di operatività dell’art. 1359 c.c., nonostante la formulazione letterale della norma, le condizioni sospensive come le risolutive, le condizioni positive come le negative, Cassazione sentenza 2747 del 1989; sentenza 443 del 2017), e dunque ciò riporta la questione sul piano della legittimità dell’annullamento in autotutela, e pertanto, una volta accertata la sua illegittimità, essa implica anche la violazione – da parte del Ministero dell’Ambiente – dell’accordo stesso.

Il Ministero, se violando illegittimamente i termini dell’accordo non ha reso possibile la stipula del contratto di appalto, non può poi invocare il mancato avveramento di tale condizione per far valere l’inefficacia dell’accordo stesso.

Tale accordo tra l’altro implicava anche l’obbligo di adoperarsi per mantenere l’impegno delle somme stanziate per la gara (articolo 4 comma 1: “I costi della Procedura di Gara, così come identificati nel quadro economico approvato dal Decreto del Commissario Delegato n. 240 del 14.12.2015, saranno in prima istanza coperti con le risorse vincolate alle finalità di cui alla l. 10/2011 presenti sul capitolo di contabilità speciale n. 3911, attualmente ammontanti ad Euro 44.755.338,08”), a prescindere dalla successiva individuazione del responsabile dell’inquinamento (articolo 4 comma 4: “Resta ferma, da parte delle competenti amministrazioni, ogni doverosa azione nei confronti del responsabile dell’inquinamento volta ad ottenere il rimborso delle spese sostenute per i lavori di bonifica di cui alla Procedura di Gara nonché il risarcimento del danno ambientale nei termini di legge”).

Come noto, la violazione di un accordo di programma incide sulla legittimità degli atti adottati a valle in sua inosservanza, rilevabile non solo dalle Amministrazioni stipulanti (che hanno un vero e proprio diritto soggettivo al suo adempimento) ma anche da parte dei terzi incisi (che vantano a tal fine un interesse legittimo) (Consiglio di Stato sentenza 361 del 2015).

Dalla corrispondenza con il Provveditorato interregionale (che ha svolto le funzioni di RUP) citata nelle premesse in fatto (e in particolare dalla nota del 30 gennaio 2020) si desume come anche tale Amministrazione fosse propensa a ritenere la succitata nota del 24 gennaio 2019 del Consiglio superiore dei LLPP come non costituente un parere consultivo definitivo ai sensi dell’articolo 127 del d.lgs. 163 del 2006, ma un semplice resoconto del primo esame istruttorio, in cui peraltro sarebbero state evidenziate solo carenze nella progettazione definitiva da riesaminare a seguito delle necessarie integrazioni.

Inoltre con tale comunicazione il Provveditorato ha rappresentato al Ministero l’”assoluta necessità” di verificare, interpellando al riguardo l’Avvocatura dello Stato, la legittimità di una sospensione della procedura di gara per “l’intervenuta indisponibilità di fondi” nonché di una “revoca dell’aggiudicazione per il sopravvenuto accertamento del soggetto responsabile della contaminazione”.

Tuttavia, un parere in tal senso il Ministero l’aveva già richiesto, ottenendo in data 18 novembre 2019 la risposta dell’Avvocatura dello Stato, nella quale in particolare si chiarisce che, siccome dopo l’aggiudicazione definitiva è stato individuato il responsabile dell’inquinamento, la stipula del contratto “potrebbe rilevarsi pregiudizievole” non solo con riferimento alle esigenze di bonifica del sito ma anche per una eventuale estrema difficoltà nel recupero delle somme nei confronti del responsabile; e a tal fine si suggerisce di valutare la possibilità di revocare la gara proprio sul presupposto di tale sopraggiunta individuazione del responsabile, non mancando però di sottolineare i rischi di un incerto contenzioso che tale soluzione comporterebbe.

Si comprende dunque come le vere ragioni “interne”, sulle quali le Amministrazioni si interrogavano, hanno proprio riguardato principalmente la intervenuta indisponibilità dei fondi e il sopravvenuto accertamento del soggetto responsabile della contaminazione.

Dunque, a prescindere dal formale contrasto con il contenuto motivazione del provvedimento oggi impugnato, esse vanno esaminate ex professo, essendo state peraltro oggetto delle contestazioni e difese delle parti.

Quanto al primo aspetto, la circostanza che il Ministero abbia lasciato infruttuosamente scadere il termine del 30 giugno 2018 – previsto nella succitata ordinanza di protezione civile 365 del 2016 per relazionare in ordine all’utilizzo delle somme stanziate ed eventualmente per chiedere una proroga dello stanziamento stesso – prima di prendere la decisione di annullare la gara e dunque di rendere superflue tali somme, evidenzia, come sottolineato dalla difesa del Comune di Bussi sul Tirino, un vizio di inversione logica nella decisione dell’Amministrazione.

Come questo Tribunale ha già avuto modo di affermare, del resto, l’Amministrazione non può opporre validamente al privato la decadenza derivante dalla violazione a sé imputabile di termini procedimentali interni al rapporto tra Enti pubblici (Tar Pescara, sentenza 336 del 2018); così come non può utilizzare un comportamento illegittimo e inadempiente (nel caso di specie all’obbligo di chiedere la proroga dello stanziamento delle somme) per giustificare un’altra illegittimità da esso derivante (cfr. Tar Pescara sentenza 249 del 2020).

Peraltro, nel caso di specie, tale ragione – basata sulla mancata richiesta della proroga dello stanziamento – non appare neanche più sussistere, in quanto, come emerso nel corso del giudizio, dette somme sono state nuovamente richieste per gli interventi necessari sul sito di Bussi (cfr. la memoria dell’Avvocatura dello Stato nel ricorso proposto dalla Regione, in cui tra l’altro si afferma che “il MATTM ha già richiesto la riassegnazione, con destinazione vincolata all’effettuazione di interventi di bonifica e risanamento nel Sin di Bussi sul Tirino, tanto che, con nota 25 giugno 2020 prot. 48820, ha sollecitato la Regione Abruzzo, ad oggi senza ricevere cenno di riscontro alcuno, a “di voler individuare gli interventi oggetto del finanziamento, che dovranno essere prioritari rispetto ad altre eventuali azioni da realizzare nel SIN, ai fini della più efficace tutela della salute e dell’ambiente”).

Anche tale richiesta, tuttavia, contribuisce a connotare di contraddittorietà e irragionevolezza l’agire del Ministero dell’Ambiente, considerato che da un lato si ritiene di interesse pubblico annullare in via definitiva la gara anche per la mancanza di fondi (come emerso in giudizio) e dall’altro se ne richiede novamente l’assegnazione.

Quanto alla sopravvenuta individuazione del responsabile dell’inquinamento, è agevole osservare che tale questione non può in ogni caso costituire ragione di annullamento dell’aggiudicazione.

Del resto, come rilevato dalla difesa del Comune di Bussi, nello stesso decreto di indizione della gara n. 240 del 14 dicembre 2015 è stata fatta salva “ogni doverosa azione di tutela erariale a garanzia del risarcimento del danno ambientale nei confronti del responsabile dell’inquinamento e comunque ogni azione volta ad ottenere, a termini di legge, il rimborso delle spese sostenute per i suddetti interventi di bonifica”, e dunque l’individuazione di Edison come soggetto responsabile e la pendenza nei suoi confronti anche di una causa presso il Tribunale de L’Aquila per il risarcimento del danno ambientale sono già state individuate come ragioni non preclusive all’interesse pubblico a procedere speditamente alla bonifica continuando l’iter della gara.

Peraltro, non sono state provate in giudizio fondate ragioni di impedimento alla possibilità di recuperare comunque quanto si andrà a spendere a tal fine, in danno della stessa responsabile, per la parte da questa non eseguita spontaneamente.

A tal fine, proprio la stipulazione a misura e non a corpo – prevista nel disciplinare di gara (punto 2.2.3.) e legittima ex articolo 53 comma 4 del d.lgs. 163 del 2006 (vigente ratione temporis) trattandosi di opere che prevedono la rimozione con scavo del terreno – consente alla Stazione appaltante di variare il costo della prestazione in ragione della quantità effettiva della prestazione.

D’altro canto, siccome l’interesse pubblico del Ministero dovrebbe essere proprio quella di effettuare con celerità la bonifica – atteso che il pericolo di danno ambientale dovrebbe prevalere su ragioni di mero risparmio (peraltro tutt’altro che dimostrate nel caso di specie) – non appare ragionevole confidare in una maggiore celerità della bonifica effettuata da Edison spa in proprio, atteso che la medesima risulta aver peraltro presentato un ricorso in Cassazione e un ricorso per revocazione (depositati in giudizio dal Comune di Bussi) avverso la sentenza del Consiglio di Stato che ne ha confermato la responsabilità e in ambedue i casi facendo valere la presunta violazione dell’articolo 99 cpa (cioè secondo la prospettazione di Edison la Sezione semplice del Consiglio di Stato si sarebbe discostata da un principio di diritto affermato dalla Plenaria senza rimettere a questa la questione), sempre al fine di contestare l’accertamento della propria responsabilità di soggetto autore dell’inquinamento.

E, inoltre, come sottolineato dalla Regione Abruzzo nel proprio ricorso, la medesima Edison spa ha altresì presentato un ricorso al Tar Pescara anche avverso la diffida del Ministero dell’Ambiente del 27 aprile 2020, con la quale le si intima di “procedere agli interventi di caratterizzazione, messa in sicurezza, bonifica e ripristino nel Sito di interesse Nazionale di Bussi sul Tirino delle aree di cui trattasi, con facoltà di presentare un progetto di bonifica alternativo rispetto a quello già predisposto nell’ambito della espletata ma non conclusa procedura ad evidenza pubblica, entro e non oltre il termine di trenta giorni decorrente dall’avvenuta ricezione della presente”, pena l’esecuzione in danno oltre alle responsabilità penali (cfr. il doc. 10 depositato in allegato al ricorso della Regione Abruzzo).

Peraltro, dal testo di tale ricorso emerge la pendenza di un ulteriore ricorso (RG 62 del 2020), sempre innanzi al Tar Pescara, avverso un precedente atto del 18 dicembre 2019, con cui il Ministero intimava all’attuale ricorrente di comunicare entro venti giorni se intendesse procedere agli interventi di messa in sicurezza e bonifica.

E tra i motivi contenuti nel ricorso al Tar di Edison, depositato dalla Regione nel presente giudizio, v’è appunto anche quello della non definitività dell’accertamento della propria responsabilità quale soggetto inquinatore del sito in questione (“Allo stato attuale sono stati proposti due distinti ricorsi avverso detta sentenza: l’uno, presso il Consiglio di Stato, volto alla revocazione della stessa, ex art. 106, c.p.a. e 395, c.p.c.; l’altro, presso la Corte di Cassazione, per questioni attinenti alla giurisdizione, ai sensi degli artt. 360 co. 1 n. 1 e 362 c.p.c. nonché 110 c.p.a. e 111 co. 8 Cost.”).

Tali circostanze sottolineano ancor di più la contraddittorietà del comportamento del Ministero che, pochi mesi prima di decidere per l’annullamento della gara e dell’aggiudicazione, aveva prospettato alla responsabile l’esecuzione in danno (se non avesse proceduto alla bonifica eventualmente anche sulla base di un progetto alternativo a quello a base di gara), che adesso invece ritiene di interesse pubblico non proseguire più, perché troppo rischiosa, e basando tale decisione, tra l’altro, proprio in virtù della scoperta del responsabile.

Peraltro, osserva il Collegio, l’esigenza della rapidità nella conclusione dell’iter amministrativo propedeutico alla bonifica di un sito cosi dannoso per l’ambiente non pare aver caratterizzato l’operato del Ministero nella vicenda di specie, sol se si consideri il già evidenziato lasso di tempo (di circa 5 anni) tra il rilievo delle lacunosità nella progettazione preliminare (già sottolineate in sede di conferenza di servizi, come dallo stesso Ministero dedotto) e la decisione di annullare la gara e l’aggiudicazione, nonché il periodo di quasi un anno e mezzo che è trascorso tra il parere preliminare del Consiglio superiore dei LLPP e la decisione di dare avvio al procedimento di autotutela.

Quanto alla dedotta necessità della valutazione di impatto ambientale, che inciderebbe sui tempi di attuazione del progetto dell’aggiudicataria, come da quest’ultima evidenziato si tratta di necessità che riguarderebbe, stando alla tesi del Ministero, ogni progetto di bonifica sul sito in questione, sicché non distinguerebbe, sul piano dell’interesse pubblico alla celerità dell’attuazione della bonifica, la scelta di continuare a dar seguito all’aggiudicazione piuttosto che attendere la bonifica da parte di Edison spa in proprio quale responsabile dell’inquinamento, peraltro più accidentata al momento proprio per la riferita pendenza di ben due ricorsi dalla stessa proposti avverso la sentenza del Consiglio di Stato che ne ha confermato la responsabilità come autore dell’inquinamento ambientale, e di altri due ricorsi al Tar Pescara, avverso le intimazioni di procedere alla bonifica.

Quanto all’adozione della procedura di cui all’articolo 242 bis del d.lgs. 152 del 2006 nella progettazione preliminare, come rilevato dalle ricorrenti, l’art. 3 dell’O.P.C.M. n. 3614 del 4.10.2007 ha testualmente previsto che “Per il compimento delle iniziative previste dalla presente ordinanza il Commissario delegato è autorizzato … a derogare, nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento giuridico, della direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri del 22 ottobre 2004, dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario, in aggiunta a quanto previsto dall’art. 3 dell’ordinanza di protezione civile n. 3504/2006, alle seguenti disposizioni normative: … decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, articoli 100, 101,103, … 242, 243”.

Dunque, contrariamente a quanto sostenuto dal Ministero dell’Ambiente, era ben consentito al Commissario delegato di derogare alla disciplina ordinaria di cui all’articolo 242 cit. e perciò optare in via eccezionale, pur trattandosi di lavori di bonifica commissionati da una pubblica amministrazione e non eseguiti direttamente dal privato, per la procedura speciale di cui all’articolo 242 bis del d.lgs. 163 del 2006, ponendo quindi come soglia da rispettare quella delle Concentrazioni Soglia di Contaminazione CSC e non già le Concentrazioni Soglia di Rischio CSR (come noto infatti con le ordinanze di protezione civile ex articolo 5 della legge 225 del 1992 si può consentire al Commissario delegato di agire in deroga alle disposizioni di legge, purché nel rispetto dei principi dell’ordinamento giuridico e specificando le norme la cui deroga è consentita, cfr. Consiglio di Stato, sentenza 5799 del 2011).

Sul punto, inoltre, non appaiono affatto condivisibili le considerazioni della difesa erariale in ordine al maggior costo di tale procedimento di bonifica (“in ragione dei suoi maggiori costi e della sua facoltatività, si dubita fortemente che un progetto ex art.242-bis possa essere finanziato con fondi pubblici”), atteso che come recentemente statuito anche dalla Corte Costituzionale (cfr. sentenza 275 del 2016) la tutela dei diritti incomprimibili (e sui diretti rilievi sulla salute pubblica e individuale dell’attività di bonifica in esame non sono stati sollevati dubbi in giudizio, ove è stata altresì depositata dalla Regione una relazione dell’Istituto superiore di sanità che sottolinea la necessità di “procedere rapidamente alle opere di messa in sicurezza e bonifica ambientale previsti dalla legge, nonché a tutti quegli interventi volti alla riduzione delle esposizioni anche potenziali a contaminanti da parte delle popolazioni”) non è orientata da decisioni in materia di bilancio, ma è piuttosto il contrario.

Del resto, per quanto sinora sottolineato, non appare potersi giustificare l’annullamento del bando di gara e dell’aggiudicazione, come pure pretenderebbe il Ministero dell’Ambiente, sol perché il Commissario delegato non avrebbe sufficientemente motivato in merito alla deroga dell’articolo 242 in favore di una procedura modellata sulla base dell’articolo 242 bis cit.

Non v’è all’evidenza alcuna ragione di interesse pubblico per disporre l’annullamento in autotutela di un provvedimento per il mero vizio formale del difetto di motivazione, cioè per un vizio comunque emendabile (cfr. Tar Firenze sentenza 174 del 2008) in quanto non incidente su posizioni di controinteresse, e comunque non direttamente incidente sulle ragioni sostanziali del provvedimento.

Peraltro, che la procedura scelta sia quella di cui all’articolo 242 bis del d.lgs. 152 del 2006, e che dunque si sia scelto di operare la bonifica del suolo con “riduzione della contaminazione ad un livello uguale o inferiore ai valori di concentrazione soglia di contaminazione” (cfr. comma 1), escludendo l’analisi del rischio sito-specifico, appare chiaro anche dalla lettura della relazione illustrativa e tecnica del progetto preliminare, approvata nella conferenza di servizi (cfr. il punto 4.2.: “Sulla base dei risultati inerenti ai superamenti delle CSC, come descritti brevemente al paragrafo precedente, è stato possibile effettuare una stima dei quantitativi di materiale contaminato da rimuovere”).

In ogni caso, sempre a proposito della legittimità della deroga da parte del Commissario delegato della procedura ordinaria di cui all’articolo 242 del d.lgs. 152 del 2006, giova sottolineare che il provvedimento di autotutela oggi impugnato appare incidere su atti che, con la stessa ordinanza n. 365 del 2016, il capo dipartimento della protezione civile della Presidenza del Consiglio dei Ministri – dopo aver ricevuto una relazione esplicativa da parte del Presidente della Regione Abruzzo delle attività avviate dall’ex Commissario delegato sul sito in questione – ha incaricato il Ministero dell’Ambiente di continuare a porre in esecuzione, nella propria competenza ordinaria di legge.

Dunque di atti che, quantomeno sotto il profilo del rispetto dei limiti della delega al Commissario, erano già stati ratificati dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Si confermano anche sotto questo profilo, dunque, del tutto infondate le ragioni basate sulla presunta violazione dei limiti dell’ordinanza di protezione civile di nomina del Commissario, in relazione alla scelta di quest’ultimo di utilizzare il procedimento di cui all’articolo 242 bis del d.lgs. 152 del 2006, in luogo di quello ordinario di cui all’articolo 242.

Senza considerare che, trattandosi di atti adottati su delega del dipartimento di protezione civile, con ordinanza, essi restano ratione temporis a quest’ultimo imputabili, subentrando il Ministero, come disposto con l’ordinanza 365 del 2016, solo per la loro attuazione.

E’ dunque giuridicamente opinabile, anche per tale ulteriore aspetto, la stessa competenza del Ministero ad agire in autotutela su atti a sé non imputabili.

E’ evidente infatti che il Ministero, ove volesse annullare gli atti già compiuti dal Commissario e della cui attuazione è stato incaricato con ordinanza 365 del 2016 della Presidenza del Consiglio dei Ministri – che dunque li ha implicitamente ratificati (come del resto contraddittoriamente sostenuto dalla stessa Avvocatura dello Stato a pag. 5 della memoria nel ricorso 115 del 2017 innanzi al Tar del Lazio, citata e depositata in giudizio dalla difesa del Comune di Bussi sul Tirino: “Con tale sopravvenuta ordinanza di protezione civile è stata, dunque, confermata tutta l’attività già posta in essere dall’ex commissario, ivi compreso il bando del 18.12.2015, (che è stata recepita e fatta propria dall’amministrazione competente in via ordinaria). Tale ordinanza -essendo stata adottata all’esito di articolata istruttoria, come si desume dai relativi preamboli- è sussumibile nella nozione di atto confermativo a contenuto rinnovatorio, il quale, se non autonomamente impugnato – a differenza della conferma mera, qui non ravvisabile- comporta l’improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse dell’originario ricorso proposto avverso l’atto oggetto di conferma (cfr., tra le tante, Cons. Stato, sez. V, sent. 25.2.2009, n. 1115.) Nella fattispecie Toto Holding ha omesso di impugnare l’Ordinanza del Capo della Protezione Civile 8.8.2016, n. 365, pubblicata nella G.U. 22.08.2016 n. 195, nella parte in cui è stato (implicitamente, ma inequivocabilmente) confermato (anche) il bando del 18.12.2105; onde l’odierno ricorso avverso il predetto bando è improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse”) – avrebbe dovuto annullare anche tale ordinanza, potere che evidentemente esula dai suoi poteri e competenze.

Giova infine sottolineare che la stessa valutazione in fatto posta alla base del provvedimento di autotutela appare errata.

Difatti, il parere del Consiglio superiore dei LLPP, innanzitutto, non determina alcun arresto procedimentale, disponendo per espressa statuizione una integrazione istruttoria per il prosieguo della valutazione ( “Nel restituire, pertanto, il progetto definitivo indirizzato a questo Consiglio Superiore, riservando l’emissione del parere richiesto, a valle delle ulteriori indagini e rilievi necessari a rendere il progetto meno approssimato e quindi più coerente col livello di progettazione, corre l’obbligo di segnalare l’alto valore dell’interesse ambientale tutelato e l’urgenza di raggiungere l’obiettivo della bonifica del sito”, specificando altresì che i suoi rilievi sarebbero ostativi solo “all’attuale esame documentale”).

Inoltre, quanto alle singole criticità sollevate in tale parere, come rilevato dalla Regione Abruzzo nel proprio ricorso, nella Conferenza di servizi del 6 febbraio 2015, in risposta alle varie osservazioni formulate dagli enti partecipanti, si è sottolineato che “…. un approccio corretto in fase di stima preliminare delle volumetrie da scavare, la verifica sulle reali profondità di scavo e l’estensione areale andrà implementata in campo in funzione dello stato effettivo di contaminazione delle matrici ambientali … ”; e a ciò si devono aggiungere anche le valutazioni dell’Arta Abruzzo di cui alla succitata nota del 11.08.2015, in merito alla scelta di operare ex articolo 242 bis cit. (oltre alla relazione tecnico illustrativa di cui si è appena detto); sicché quella di prevedere una integrazione progettuale in fase esecutiva risulta essere una precisa scelta delle Amministrazioni legata proprio alla valutata difficolta di determinare con certezza i volumi di bonifica; con la conseguenza che tale previsione progettuale preliminare non costituisce un errore di cui il Ministero oggi si accorge, ma il frutto di una precisa scelta a seguito di una espressa istruttoria sul punto.

Del resto, nel disciplinare di gara è dato leggere coerentemente che “l’aggiudicatario deve provvedere con tempestività ad adeguare il progetto definitivo alle eventuali prescrizioni imposte dalle diverse autorità competenti, nel corso dei procedimenti di cui alla lettera …, senza che ciò comporti alcun compenso aggiuntivo a favore dello stesso aggiudicatario; se quest’ultimo non adegua il progetto definitivo entro la data perentoria assegnata dal responsabile del procedimento, non si procede alla stipula del contratto, si procede alla revoca dell’aggiudicazione definitiva;…la verifica e l’approvazione di cui alia lettera b) si estendono anche al merito del computo metrico estimativo presentato, in relazione alla completezza delle voci delle singole lavorazioni e alla congruità delle quantità delle voci stesse, adeguandole, se del caso, a quanto rilevabile dagli elaborati progettuali”.

Accertato dunque che il Commissario avesse il potere di derogare alla procedura di cui all’articolo 242 del d.lgs. 152 del 2006 e che non vi è stato un difetto di istruttoria in merito a tale scelta, non si rinvengono ragioni per provvedere in autotutela neanche in relazione a tali profili, peraltro prima di conoscere il parere definitivo del Consiglio superiore dei LLPP.

Alla luce di tali considerazioni, del resto, le stesse espressioni utilizzate dal Consiglio superiore dei LLPP non appaiono in grado di esprimere una univoca valutazione di illegittimità sulla progettazione preliminare, potendo al più rilevare la non imputabilità all’aggiudicataria delle lacune della progettazione definitiva derivanti direttamente da quelle della progettazione preliminare, rilevando appunto come l’Amministrazione abbia predisposto in senso non del tutto dettagliato il progetto preliminare; circostanza che, per quanto sinora osservato, non appare il frutto di una illegittimità o di un errore, ma di una precisa scelta di operare la bonifica con la procedura ex articolo 242 bis e dunque sulla base CSC, rendendola in tal modo, probabilmente, meno soggetta alla obsolescenza dell’analisi del rischio sito-specifico in ragione delle lungaggini procedimentali.

E’ poi appena il caso di aggiungere, sempre a tal fine, che l’interesse pubblico sotteso al provvedimento ministeriale di autotutela non può più risiedere oggi nella violazione delle norme della gara pubblica (ivi inclusa la mancata espressa menzione dell’articolo 242 bis del d.lgs. 152 del 2006, contenuta invece negli atti istruttori e in particolare nel più volte citato parere ARTA) e in ultima analisi del principio della par condicio dei concorrenti.

Si tratta infatti di una gara già conclusa e aggiudicata, oltre che di un interesse di cui il Ministero non solo non è portatore ma che ha addirittura avversato, come sopra illustrato, nella proprie difese nel ricorso 115 del 2017 proposto innanzi al Tar Lazio dalla Toto Holding spa.

Dunque, in conclusione, delle tre “criticità” che il Consiglio superiore dei LLPP avrebbe rilevato, secondo la prospettazione del Ministero dell’Ambiente (“- non appariva chiaro se fosse stata condotta un’analisi di rischio dei valori di contaminazione superiori alle CSR; – risultava mancante uno studio sulla disponibilità delle discariche site in prossimità del sito contaminato, ove inviare i rifiuti non pericolosi, i rifiuti pericolosi e gli inerti; – per le “baie di stoccaggio” destinate allo stoccaggio dei rifiuti a seguito di rimozione dal sito contaminato, non erano state previste impermeabilizzazioni del suolo, compromettendo ulteriormente la contaminazione del sottosuolo”), la prima appare superata dalle considerazioni appena svolte, mentre le altre due, poiché concernono la progettazione definitiva, devono essere risolte nel prosieguo dell’istruttoria e con il parere finale del Consiglio stesso, parere sul quale, non essendo stato ancora adottato, il Collegio non può allo stato pronunciarsi, fermo restando che dovrà tenere conto in modo motivato e circostanziato delle considerazioni della parte privata, già in parte esposte in questo giudizio, oltre che dei principi indicati nella presente sentenza.

Per tutte le suesposte considerazioni i tre ricorsi in epigrafe indicati meritano accoglimento, quanto alla domanda principale di annullamento dell’atto di autotutela.

Le spese seguono il criterio della soccombenza nei confronti del Ministero dell’Ambiente, mentre sono compensate tra le altre parti processuali.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per l’Abruzzo sezione staccata di Pescara (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sui ricorsi, come in epigrafe proposti, previa loro riunione,

li accoglie, nei sensi e per le ragioni di cui in motivazione, e per l’effetto annulla l’atto di autotutela impugnato.

Condanna il Ministero dell’Ambiente al pagamento in favore di ciascuna parte ricorrente della somma di euro 5.000 (per complessivi euro 15.000), oltre contributo unificato e accessori come per legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Pescara nella camera di consiglio del giorno 20 novembre 2020 con l’intervento dei magistrati:

Paolo Passoni, Presidente

Renata Emma Ianigro, Consigliere

Massimiliano Balloriani, Consigliere, Estensore

L’ESTENSORE
Massimiliano Balloriani

IL PRESIDENTE
Paolo Passoni

IL SEGRETARIO

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