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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Diritto urbanistico - edilizia Numero: 371 | Data di udienza: 22 Gennaio 2021

DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Regione Lombardia – Recupero immobili degradati e abbandonati – Art. 40 bis, l. reg. Lombardia n. 12 del 2005 – Violazione artt. 3, 5, 97, 114, secondo comma, 117, secondo comma, lett. p), terzo e sesto comma, e 118 Cost. – Rilevanza e non manifesta infondatezza (massima a cura di Giuseppina Lofaro)


Provvedimento: Ordinanza
Sezione: 2^
Regione: Lombardia
Città: Milano
Data di pubblicazione: 10 Febbraio 2021
Numero: 371
Data di udienza: 22 Gennaio 2021
Presidente: Caso
Estensore: De Vita


Premassima

DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Regione Lombardia – Recupero immobili degradati e abbandonati – Art. 40 bis, l. reg. Lombardia n. 12 del 2005 – Violazione artt. 3, 5, 97, 114, secondo comma, 117, secondo comma, lett. p), terzo e sesto comma, e 118 Cost. – Rilevanza e non manifesta infondatezza (massima a cura di Giuseppina Lofaro)



Massima

TAR LOMBARDIA, Milano, Sez. 2^- 10 febbraio 2021, ordinanza n. 371

DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Regione Lombardia – Recupero immobili degradati e abbandonati – Art. 40 bis, l. reg. Lombardia n. 12 del 2005 – Violazione artt. 3, 5, 97, 114, secondo comma, 117, secondo comma, lett. p), terzo e sesto comma, e 118 Cost. – Rilevanza e non manifesta infondatezza.

E’ rilevante e non manifestamente infondata, per violazione degli artt. 3, 5, 97, 114, secondo comma, 117, secondo comma, lett. p), terzo e sesto comma, e 118 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell’art. 40 bis, legge regionale Lombardia n. 12 del 2005 (inserito dall’art. 4, comma 1, lett. a), legge regionale Lombardia 26 novembre 2019, n. 18), recante “Disposizioni relative al patrimonio edilizio dismesso con criticità”, nella parte in cui ha introdotto una disciplina urbanistico-edilizia in ordine al recupero degli immobili fatiscenti ingiustificatamente rigida ed uniforme, operante a prescindere dalle decisioni comunali ed in grado di produrre un impatto sulla pianificazione locale molto incisivo e potenzialmente idoneo a stravolgere l’assetto del territorio, o di parti importanti dello stesso, in maniera del tutto disarmonica rispetto a quanto stabilito nello strumento urbanistico generale.

Pres. Caso, Est. De Vita – C. s.a.s. (avv.ti Belvedere, Peverati e Malomo) c. Comune di Milano (avv.ti Cozzi, Mandarano, Montagnani Amendolea, Pavin, Bognetti e Ferradini)


Allegato


Titolo Completo

TAR LOMBARDIA, Milano, Sez. 2^- 10 febbraio 2021, ordinanza n. 371

SENTENZA

REPUBBLICA ITALIANA

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

ORDINANZA

sul ricorso numero di registro generale 990 del 2020, proposto da

– C-Quadrat Asset Management France S.a.s., in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa dagli Avv.ti Antonio Belvedere, Matteo Peverati e Maurizio Malomo ed elettivamente domiciliata presso lo studio degli stessi in Milano, Piazza Eleonora Duse n. 3;

contro

– il Comune di Milano, in persona del Sindaco pro-tempore, rappresentato e difeso dagli Avv.ti Paola Cozzi, Antonello Mandarano, Alessandra Montagnani Amendolea, Anna Maria Pavin, Maria Lodovica Bognetti ed Elena Maria Ferradini ed elettivamente domiciliato in Milano, Via della Guastalla n. 6, presso la sede dell’Avvocatura comunale;

nei confronti

– Regione Lombardia, in persona del Presidente pro-tempore, non costituita in giudizio;

per l’annullamento

– della deliberazione del Consiglio comunale di Milano 14 ottobre 2019, n. 34, avente ad oggetto “controdeduzioni alle osservazioni e approvazione definitiva del nuovo Documento di Piano, della variante del Piano dei Servizi, comprensivo del Piano per le Attrezzature Religiose, e della variante del Piano delle Regole, costituenti il Piano di Governo del Territorio, ai sensi e per gli effetti dell’art. 13 della L.R. 11 marzo 2005 n. 12 e s.m.i.”, il cui avviso di approvazione è stato pubblicato sul B.U.R.L., Serie Avvisi e Concorsi, n. 6 del 5 febbraio 2020, con specifico riferimento all’art. 11 delle Norme di attuazione del Piano delle Regole;

– di ogni atto o provvedimento presupposto, successivo o comunque connesso e, ove occorrer possa, della deliberazione del Consiglio comunale n. 2 del 5 marzo 2019, avente ad oggetto l’adozione di detta Variante al P.G.T. del Comune di Milano;

– e per il risarcimento del danno o per il riconoscimento di un indennizzo.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Milano;

Vista l’ordinanza n. 928/2020 con cui è stata fissata l’udienza pubblica per la trattazione del merito del ricorso;

Visti tutti gli atti della causa;

Designato relatore il consigliere Antonio De Vita;

Tenutasi l’udienza in data 22 gennaio 2021 e uditi per le parti i difensori mediante collegamento da remoto in videoconferenza, ai sensi dell’art. 25 del decreto legge n. 137 del 2020, convertito in legge n. 176 del 2020, come specificato nel verbale;

FATTO

1. Con il ricorso indicato in epigrafe, la società ricorrente ha impugnato la deliberazione del Consiglio comunale di Milano 14 ottobre 2019, n. 34, avente ad oggetto “controdeduzioni alle osservazioni e approvazione definitiva del nuovo Documento di Piano, della variante del Piano dei Servizi, comprensivo del Piano per le Attrezzature Religiose, e della variante del Piano delle Regole, costituenti il Piano di Governo del Territorio, ai sensi e per gli effetti dell’art. 13 della L.R. 11 marzo 2005 n. 12 e s.m.i.”, con specifico riferimento all’art. 11 delle Norme di attuazione del Piano delle Regole.

La ricorrente è proprietaria di un immobile situato nel Comune di Milano, in Via Giacomo Medici del Vascello n. 40, avente destinazione urbanistica prevalentemente terziaria-direzionale, che è stato ricompreso tra gli “edifici abbandonati e degradati” dalla Tavola R.10 del Piano delle regole (P.d.R.) del Piano di governo del territorio (P.G.T.) e assoggettato alla disciplina dell’art. 11 delle relative Norme di attuazione (N.d.A.).

Assumendo la lesività di tale disposizione, in quanto fortemente limitativa del diritto di proprietà sia per la previsione di un termine assai stringente per l’avvio dei lavori di recupero del fabbricato individuato come abbandonato e degradato, sia per le notevoli ripercussioni in caso di inadempienza, la ricorrente ne ha chiesto l’annullamento.

Con un primo ordine di censure è stata dedotta la violazione della normativa sul procedimento amministrativo, poiché la ricorrente non sarebbe stata coinvolta direttamente nello specifico procedimento culminato con l’inserimento del complesso immobiliare di sua proprietà tra gli “edifici abbandonati e degradati”, come imposto invece dallo stesso art. 11 delle N.d.A. e dall’art. 40 bis della legge regionale n. 12 del 2005, non essendo surrogabile tale adempimento con la partecipazione avvenuta nel procedimento di formazione e approvazione dello strumento urbanistico.

Con la seconda censura è stata dedotta la violazione dell’art. 23 della Costituzione, poiché la disposizione impugnata non avrebbe alcun fondamento legale, non essendo attribuita al Consiglio comunale alcuna competenza provvedimentale-sanzionatoria in ambito urbanistico-edilizio; difatti, soltanto il Sindaco potrebbe adottare ordinanze contingibili e urgenti volte a risolvere “emergenze sanitarie o di igiene pubblica a carattere esclusivamente locale”, con particolare riferimento “all’urgente necessità di interventi volti a superare situazioni di grave incuria o degrado del territorio, dell’ambiente e del patrimonio culturale o di pregiudizio del decoro e della vivibilità urbana”, mentre farebbe capo alla dirigenza, nell’ambito dell’attività, avente natura gestoria, di vigilanza urbanistico-edilizia nel territorio comunale, l’adozione degli ordinari provvedimenti repressivi.

Con la terza doglianza la ricorrente ha dedotto l’illegittima introduzione di una fattispecie ablatoria non prevista dall’ordinamento, altresì effettuata in assenza dei presupposti procedurali e sostanziali per poterla porre in essere (mancato avviso di avvio del procedimento espropriativo, assenza della previa dichiarazione di pubblica utilità, mancata previsione di un indennizzo, ecc.).

Con il quarto motivo di ricorso si è dedotto il difetto di istruttoria e di motivazione, in quanto non sarebbe stata dimostrata la situazione di degrado dell’immobile di proprietà della ricorrente, né l’insalubrità o il pericolo per la sicurezza urbana dello stesso, e nemmeno sarebbe rinvenibile negli atti impugnati una congrua motivazione a supporto della scelta comunale.

Con il quinto motivo la ricorrente ha eccepito l’incongruità, in quanto eccessivamente ristretto, del termine di diciotto mesi dalla prima individuazione dell’immobile abbandonato e degradato per avviare i lavori di recupero dello stesso, unitamente all’illogicità della previsione che assegna all’Amministrazione comunale il potere di procedere d’ufficio alla demolizione forzata in caso di mancato inizio dei lavori entro il predetto termine, oppure di rilasciare, insindacabilmente, il titolo abilitativo per l’effettuazione di interventi di risanamento conservativo.

Con il sesto motivo di ricorso la ricorrente ha dedotto la violazione dell’art. 40 bis della legge regionale n. 12 del 2005, introdotto con la legge regionale n. 18 del 2019, in quanto l’art. 11 delle N.d.A. del P.d.R. si porrebbe in contrasto con tale disposizione regionale (sovraordinata) sopravvenuta (i) che fissa in tre anni il termine entro cui presentare richiesta del titolo edilizio per avviare i lavori di ripristino dell’immobile degradato, (ii) che riconosce un incremento dei diritti edificatori pari al 20%, con un premio eventuale di un ulteriore 5% al ricorrere di determinati presupposti, e (iii) che esenta, di regola, dall’eventuale obbligo di reperimento di aree per servizi e attrezzature pubbliche e di interesse pubblico o generale.

Con l’ultimo motivo di ricorso sono state dedotte l’irragionevolezza e la contraddittorietà del divieto di modificare la destinazione d’uso in presenza di interventi di conservazione degli edifici esistenti (consentiti fino al risanamento conservativo), sebbene l’art. 8 delle N.d.A. del Piano delle Regole stabilisca che “il mutamento di destinazione d’uso senza opere edilizie è sempre ammesso” e l’art. 51, comma 1, della legge regionale n. 12 del 2005 ammetta in maniera molto ampia la modifica della destinazione d’uso nell’ambito del tessuto urbanizzato.

Si è costituito in giudizio il Comune di Milano, che ha chiesto il rigetto del ricorso; con separata memoria, la difesa comunale ha controdedotto alle censure proposte dalla ricorrente e, in via subordinata, ha eccepito l’illegittimità costituzionale dell’art. 40 bis della legge regionale n. 12 del 2005 per violazione degli artt. 3, 5, 97, 117, secondo comma, lettera p), 117, primo e terzo comma, 118, primo e secondo comma, della Costituzione, ritenendo: i) violata la competenza esclusiva statale sulle funzioni fondamentali dei Comuni; ii) usurpata la funzione pianificatoria comunale in materia urbanistica; iii) violato l’art. 3 bis del D.P.R. n. 380 del 2001, quale normativa di principio in materia di governo del territorio; iv) lesi i principi di imparzialità e buon andamento dell’azione amministrativa e di ragionevolezza.

Con l’ordinanza n. 928/2020 è stata fissata l’udienza pubblica per la trattazione del merito del ricorso.

In prossimità dell’udienza di merito, i difensori delle parti hanno depositato memorie e documentazione a sostegno delle rispettive posizioni.

All’udienza del 22 gennaio 2021, uditi i difensori delle parti mediante collegamento da remoto in videoconferenza, ai sensi dell’art. 25 del decreto legge n. 137 del 2020, convertito in legge n. 176 del 2020, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. In via preliminare, deve essere modificato l’ordine di trattazione dei motivi di ricorso, poiché la sesta censura, in ragione del suo carattere assorbente, deve essere trattata prioritariamente rispetto alle altre: infatti, laddove si dovesse giungere alla conclusione che l’art. 40 bis della legge regionale della Lombardia n. 12 del 2005 (inserito dall’art. 4, comma 1, lett. a), legge reg. 26 novembre 2019, n. 18) abbia l’identico perimetro applicativo dell’art. 11 delle N.d.A. del P.d.R., quest’ultima disposizione dovrebbe essere annullata, poiché, in ossequio al principio di gerarchia delle fonti normative, una disposizione di natura regolamentare, qual è una norma del Piano delle regole (cfr., Consiglio di Stato, V, 16 aprile 2013, n. 2094; T.A.R. Lombardia, Milano, II, 22 maggio 2020, n. 914), non può porsi in contrasto con una prescrizione contenuta in una legge primaria (regionale, nella specie); l’annullamento del richiamato art. 11 delle N.d.A. comunali, costituendo la “più radicale illegittimità” dedotta (Consiglio di Stato, Ad. plen., 27 aprile 2015, n. 5), soddisferebbe pienamente l’interesse della ricorrente e renderebbe del tutto superfluo l’esame delle ulteriori censure contenute nel ricorso.

2. Tuttavia, proprio con riguardo al sesto motivo di ricorso, la difesa comunale, dapprima, ha sostenuto la tesi della perfetta compatibilità dell’art. 11 delle N.d.A. con l’art. 40 bis della legge regionale n. 12 del 2005, sulla scorta di un tentativo di interpretazione della disposizione di legge in senso costituzionalmente conforme, e successivamente, in via subordinata, ne ha eccepito l’incostituzionalità per contrasto con vari precetti costituzionali, chiedendo a questo Collegio di rimettere la questione all’esame della Corte costituzionale.

3. Osserva il Collegio come la tesi svolta in via principale dal Comune non possa condividersi. Le due regolamentazioni si riferiscono, infatti, alla medesima fattispecie dettando una disciplina in tema di immobili degradati ed abbandonati e, in particolare, regole volte ad incentivare il recupero di tali immobili. Di conseguenza, sussiste una sovrapposizione tra le due discipline che conferisce alla norma regionale il ruolo di parametro di legittimità della norma regolamentare dettata dal Comune di Milano.

Inoltre, l’impossibilità di procedere ad una interpretazione dell’art. 40 bis della legge regionale n. 12 del 2005 in modo da salvaguardare anche il disposto di cui all’art. 11 delle N.d.A. comunali risulta evidente, emergendo l’inconciliabilità delle richiamate disposizioni già da un semplice esame testuale delle stesse, poiché viene regolamentata, in maniera divergente oltre che contrastante, la medesima fattispecie, ossia la disciplina da riservare agli immobili abbandonati e degradati; difatti, (i) secondo il citato art. 11 delle N.d.A., l’arco temporale per l’avvio dei lavori di recupero degli immobili “abbandonati e degradati” è di diciotto mesi dalla loro prima individuazione, a prescindere dal momento in cui si è ottenuto il titolo abilitativo, mentre il comma 4 dell’art. 40 bis della legge regionale n. 12 del 2005 fissa in tre anni il termine entro cui presentare la richiesta di rilascio del titolo edilizio o gli atti equipollenti (s.c.i.a. o c.i.l.a.) oppure “l’istanza preliminare funzionale all’ottenimento dei medesimi titoli edilizi” per procedere al recupero; (ii) l’art. 11 delle N.d.A. non riconosce alcun incremento dei diritti edificatori, ma al massimo consente l’integrale conservazione dell’immobile o della superficie lorda (SL) esistente, mentre l’art. 40 bis, commi 5 e 6, della legge regionale attribuisce, nella fase di recupero dell’immobile, un incremento pari al 20% dei diritti edificatori o, se maggiore, della superficie lorda esistente, cui si può aggiungere un incremento di un ulteriore 5%; (iii) l’art. 11 delle N.d.A., in caso di mancato tempestivo adeguamento o di demolizione d’ufficio, attribuisce l’indice di edificabilità territoriale unico pari a 0,35 mq/mq, mentre l’art. 40 bis, commi 8 e 9, della legge regionale riconosce la superficie lorda esistente fino all’indice di edificabilità previsto dallo strumento urbanistico; (iv) l’art. 40 bis, comma 5, della legge regionale prevede l’esenzione, di regola, dall’eventuale obbligo di reperimento di aree per servizi e attrezzature pubbliche e di interesse pubblico o generale, mentre nulla è previsto dall’art. 11 delle N.d.A.

In conseguenza dell’evidenziato contrasto e della correlata recessività della normativa pianificatoria comunale rispetto a quanto stabilito dalla legge regionale, deve essere esaminata la questione, eccepita in via subordinata dalla difesa comunale, di legittimità costituzionale dell’art. 40 bis della legge regionale n. 12 del 2005: l’eventuale declaratoria di incostituzionalità della norma regionale farebbe salva la disciplina contenuta nell’art. 11 delle N.d.A., la cui applicabilità alla fattispecie oggetto di scrutinio imporrebbe l’esame delle restanti censure di ricorso, su cui indubbiamente permarrebbe l’interesse della ricorrente; in caso contrario, ossia di mancato accoglimento della questione di costituzionalità, dovrebbe pronunciarsi l’annullamento dell’art. 11 delle N.d.A., in ragione della riconducibilità della fattispecie oggetto di scrutinio allo spettro di applicazione dell’art. 40 bis della legge regionale n. 12 del 2005.

4. In ossequio al disposto di cui all’art. 23, secondo comma, della legge n. 87 del 1953, è indispensabile procedere alla verifica della rilevanza della questione di costituzionalità nel presente giudizio e della sua non manifesta infondatezza.

5. Quanto alla rilevanza della questione, come già evidenziato al precedente punto 3, si osserva che l’art. 40 bis della legge regionale n. 12 del 2005 ha ad oggetto la disciplina da applicare agli immobili abbandonati e degradati (nella cui categoria è ricompreso quello della ricorrente) e si sovrappone, determinandone in astratto l’invalidità, alla regolamentazione comunale contenuta nell’art. 11 delle N.d.A. del P.d.R. È già stato sottolineato come la (eventuale) declaratoria di incostituzionalità dell’art. 40 bis della legge regionale n. 12 del 2005 determinerebbe l’applicazione alla fattispecie oggetto di esame dell’art. 11 delle N.d.A. del P.d.R.; a tal punto lo scrutinio di questo Tribunale si concentrerebbe sul citato art. 11 e dal suo esito dipenderebbero l’accoglimento o la reiezione, totali o parziali, del gravame.

La rilevanza della questione di costituzionalità tuttavia trascende le conseguenze dirette che l’art. 40 bis della legge regionale produce sull’art. 11 delle N.d.A. Difatti, in seguito all’eventuale declaratoria di incostituzionalità del citato art. 40 bis, non può escludersi che si possa comunque procedere all’annullamento dell’art. 11 delle N.d.A. comunali in ragione della fondatezza, anche parziale, dei restanti motivi di ricorso; appare nondimeno evidente che un tale annullamento produrrebbe effetti sensibilmente diversi rispetto a quelli che scaturirebbero dalla permanente vigenza dell’art. 40 bis della legge regionale n. 12 del 2005. In tale ultimo frangente, agli immobili abbandonati e degradati – compreso quello della ricorrente – si applicherebbero le regole contenute nella disposizione regionale, mentre, in caso di declaratoria di incostituzionalità dell’art. 40 bis, l’annullamento dell’art. 11 delle N.d.A. determinerebbe l’applicazione agli immobili fatiscenti dei principi generali afferenti alla materia edilizia ed urbanistica, riconoscendo ai titolari dei diritti sugli immobili abbandonati e degradati la facoltà di scegliere se procedere o meno alla loro riqualificazione e con le tempistiche e le modalità ritenute più opportune dai predetti soggetti.

Anche nella prospettiva comunale, l’ipotesi di annullamento dell’art. 11 delle N.d.A. per violazione dell’art. 40 bis della legge regionale – ove non dichiarato incostituzionale – non lascerebbe all’Ente locale alcuno spazio per intervenire con un proprio regolamento sulla materia, se non per aspetti del tutto marginali e secondari, vista la completezza e la sostanziale autoapplicabilità della richiamata previsione regionale (“Le disposizioni di cui al presente articolo, decorsi i termini della deliberazione di cui sopra, si applicano anche agli immobili non individuati dalla medesima, per i quali il proprietario, con perizia asseverata giurata, certifichi oltre alla cessazione dell’attività, documentata anche mediante dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà a cura della proprietà o del legale rappresentante, anche uno o più degli aspetti sopra elencati, mediante prova documentale e/o fotografica”: comma 1 dell’art. 40 bis); di contro, l’eventuale declaratoria di incostituzionalità dell’art. 40 bis della legge regionale lascerebbe intatto il potere comunale di intervenire per disciplinare ex novo la materia, anche laddove fosse integralmente annullato da questo Tribunale l’art. 11 delle N.d.A.; in tal modo verrebbe, comunque, pienamente salvaguardata la potestà pianificatoria comunale.

Da tanto discende la rilevanza nel presente giudizio della questione di costituzionalità dell’art. 40 bis della legge regionale n. 12 del 2005, poiché anche in seguito alla declaratoria di illegittimità costituzionale della citata norma potrebbe determinarsi l’annullamento dell’art. 11 delle N.d.A. del P.d.R., sebbene con conseguenze molto differenti, per entrambe le parti del giudizio, rispetto a quelle scaturenti in caso di permanente vigenza dell’art. 40 bis della legge regionale n. 12 del 2005.

6. A questo punto è necessario procedere alla verifica della non manifesta infondatezza della questione di costituzionalità, che nella specie appare certamente sussistente.

L’art. 11 delle Norme di attuazione (N.d.A.) del P.d.R. ai primi tre commi stabilisce che “1. Il recupero di edifici abbandonati e degradati, che comportano pericolo per la salute e la sicurezza urbana, situazioni di degrado ambientale e sociale, costituisce attività di pubblica utilità ed interesse generale, perseguibile secondo le modalità di cui al presente articolo.

2. Le disposizioni del presente articolo si applicano a tutte le aree e gli edifici, indipendentemente dalla destinazione funzionale, individuati nella Tav. R.10, aggiornata con Determina Dirigenziale, con periodicità annuale, previa comunicazione di avvio del procedimento nei confronti degli interessati. Si considerano abbandonati gli edifici dismessi da più di 1 anno, che determinano pericolo per la sicurezza o per la salubrità o l’incolumità pubblica o disagio per il decoro e la qualità urbana o in presenza di amianto o di altri pericoli chimici per la salute. L’individuazione degli immobili di cui al presente comma sarà comunicata periodicamente alla Prefettura e alla Questura.

3. Alla proprietà degli edifici abbandonati e degradati così come individuati dalla Tav. R.10, fatti salvi eventuali procedimenti in corso ad esito favorevole, è data facoltà di presentare proposta di piano attuativo o idoneo titolo abilitativo finalizzato al recupero dell’immobile; i lavori dovranno essere avviati entro 18 mesi dalla loro prima individuazione. In alternativa è fatto obbligo di procedere con la demolizione del manufatto:

a. in caso di demolizione dell’edificio esistente su iniziativa della proprietà è riconosciuta integralmente la SL esistente. I diritti edificatori saranno annotati nel Registro delle Cessioni dei Diritti Edificatori, con possibilità di utilizzo in loco o in altre pertinenze dirette per mezzo di perequazione, secondo la normativa vigente;

b. in caso di mancata demolizione dell’edificio esistente da parte della proprietà, fatto salvo l’esercizio dei poteri sostitutivi da parte del comune finalizzati alla demolizione, è riconosciuto l’Indice di edificabilità Territoriale unico pari a 0,35 mq/mq.

Le relative spese sostenute da parte dell’Amministrazione dovranno essere rimborsate dalla proprietà o dai titolari di diritti su tali beni. Se non rimborsate tali spese saranno riscosse coattivamente secondo normativa vigente.

Di quanto sopra verrà inviata comunicazione alla proprietà, alla prefettura e alla questura.

In caso di mancata demolizione sono ammessi esclusivamente interventi di conservazione degli edifici esistenti fino al risanamento conservativo senza modifica della destinazione d’uso”.

L’art. 40 bis della legge regionale della Lombardia n. 12 del 2005 (inserito dall’art. 4, comma 1, lett. a), legge reg. 26 novembre 2019, n. 18) stabilisce: “1. I comuni, con deliberazione consiliare, anche sulla base di segnalazioni motivate e documentate, individuano entro sei mesi dall’entrata in vigore della legge regionale recante ‘Misure di semplificazione e incentivazione per la rigenerazione urbana e territoriale, nonché per il recupero del patrimonio edilizio esistente. Modifiche e integrazioni alla legge regionale 11 marzo 2005, n. 12 (Legge per il governo del territorio) e ad altre leggi regionali’ gli immobili di qualsiasi destinazione d’uso, dismessi da oltre cinque anni, che causano criticità per uno o più dei seguenti aspetti: salute, sicurezza idraulica, problemi strutturali che ne pregiudicano la sicurezza, inquinamento, degrado ambientale e urbanistico-edilizio. La disciplina del presente articolo si applica, anche senza la deliberazione di cui sopra, agli immobili già individuati dai comuni come degradati e abbandonati. Le disposizioni di cui al presente articolo, decorsi i termini della deliberazione di cui sopra, si applicano anche agli immobili non individuati dalla medesima, per i quali il proprietario, con perizia asseverata giurata, certifichi oltre alla cessazione dell’attività, documentata anche mediante dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà a cura della proprietà o del legale rappresentante, anche uno o più degli aspetti sopra elencati, mediante prova documentale e/o fotografica. I comuni aventi popolazione inferiore a 20.000 abitanti, entro sei mesi dall’entrata in vigore della legge regionale recante ‘Misure di semplificazione e incentivazione per la rigenerazione urbana e territoriale, nonché per il recupero del patrimonio edilizio esistente. Modifiche e integrazioni alla legge regionale 11 marzo 2005, n. 12 (Legge per il governo del territorio) e ad altre leggi regionali’, mediante deliberazione del consiglio comunale possono individuare gli ambiti del proprio territorio ai quali non si applicano le disposizioni di cui ai commi 5 e 10 del presente articolo, in relazione a motivate ragioni di tutela paesaggistica.

2. I comuni, prima delle deliberazioni di cui al comma 1, da aggiornare annualmente, notificano ai sensi del codice di procedura civile ai proprietari degli immobili dismessi e che causano criticità le ragioni dell’individuazione, di modo che questi, entro 30 giorni dal ricevimento di detta comunicazione, possano dimostrare, mediante prove documentali, l’assenza dei presupposti per l’inserimento.

3. Le disposizioni del presente articolo non si applicano in ogni caso:

a) agli immobili eseguiti in assenza di titolo abilitativo o in totale difformità rispetto allo stesso titolo, a esclusione di quelli per i quali siano stati rilasciati titoli edilizi in sanatoria;

b) agli immobili situati in aree soggette a vincoli di inedificabilità assoluta.

4. La richiesta di piano attuativo, la richiesta di permesso di costruire, la segnalazione certificata di inizio attività, la comunicazione di inizio lavori asseverata o l’istanza di istruttoria preliminare funzionale all’ottenimento dei medesimi titoli edilizi devono essere presentati entro tre anni dalla notifica di cui al comma 2. La deliberazione di cui al comma 1 attesta l’interesse pubblico al recupero dell’immobile individuato, anche ai fini del perfezionamento dell’eventuale procedimento di deroga ai sensi dell’articolo 40.

5. Gli interventi sugli immobili di cui al comma 1 usufruiscono di un incremento del 20 per cento dei diritti edificatori derivanti dall’applicazione dell’indice di edificabilità massimo previsto o, se maggiore di quest’ultimo, della superficie lorda esistente e sono inoltre esentati dall’eventuale obbligo di reperimento di aree per servizi e attrezzature pubbliche e di interesse pubblico o generale, a eccezione di quelle aree da reperire all’interno dei comparti edificatori o degli immobili oggetto del presente articolo, già puntualmente individuate all’interno degli strumenti urbanistici e da quelle dovute ai sensi della pianificazione territoriale sovraordinata. A tali interventi non si applicano gli incrementi dei diritti edificatori di cui all’articolo 11, comma 5. Nei casi di demolizione l’incremento dei diritti edificatori del 20 per cento si applica per un periodo massimo di dieci anni dalla data di individuazione dell’immobile quale dismesso.

6. È riconosciuto un ulteriore incremento dell’indice di edificabilità massimo previsto dal PGT o rispetto alla superficie lorda (SL) esistente del 5 per cento per interventi che assicurino una superficie deimpermeabilizzata e destinata a verde non inferiore all’incremento di SL realizzato, nonché per interventi che conseguano una diminuzione dell’impronta al suolo pari ad almeno il 10 per cento. A tal fine possono essere utilizzate anche le superfici situate al di fuori del lotto di intervento, nonché quelle destinate a giardino pensile, cosi come regolamentate dalla norma UNI 11235/2007.

7. Se il proprietario non provvede entro il termine di cui al comma 4, non può più accedere ai benefici di cui ai commi 5 e 6 e il comune lo invita a presentare una proposta di riutilizzo, assegnando un termine da definire in ragione della complessità della situazione riscontrata, e comunque non inferiore a mesi quattro e non superiore a mesi dodici.

8. Decorso il termine di cui al comma 7 senza presentazione delle richieste o dei titoli di cui al comma 4, il comune ingiunge al proprietario la demolizione dell’edificio o degli edifici interessati o, in alternativa, i necessari interventi di recupero e/o messa in sicurezza degli immobili, da effettuarsi entro un anno. La demolizione effettuata dalla proprietà determina il diritto ad un quantitativo di diritti edificatori pari alla superficie lorda dell’edificio demolito fino all’indice di edificabilità previsto per l’area. I diritti edificatori generati dalla demolizione edilizia possono sempre essere perequati e confluiscono nel registro delle cessioni dei diritti edificatori di cui all’articolo 11, comma 4.

9. Decorso infruttuosamente il termine di cui al comma 8, il comune provvede in via sostitutiva, con obbligo di rimborso delle relative spese a carico della proprietà, cui è riconosciuta la SL esistente fino all’indice di edificabilità previsto dallo strumento urbanistico.

10. Tutti gli interventi di rigenerazione degli immobili di cui al presente articolo sono realizzati in deroga alle norme quantitative, morfologiche, sulle tipologie di intervento, sulle distanze previste dagli strumenti urbanistici comunali vigenti e adottati e ai regolamenti edilizi, fatte salve le norme statali e quelle sui requisiti igienico-sanitari.

11. Per gli immobili di proprietà degli enti pubblici, si applicano le disposizioni di cui ai commi 5 e 6 a condizione che, entro tre anni dalla individuazione di cui al comma 1, gli enti proprietari approvino il progetto di rigenerazione ovvero avviino le procedure per la messa all’asta, l’alienazione o il conferimento a un fondo.

11-bis. Gli interventi di cui al presente articolo riguardanti il patrimonio edilizio soggetto a tutela culturale e paesaggistica sono attivati previo coinvolgimento del Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo e nel rispetto delle prescrizioni di tutela previste dal piano paesaggistico regionale ai sensi del d.lgs. 42/2004” (comma aggiunto dall’art. 13, comma 1, lett. b), legge reg. 9 giugno 2020, n. 13).

Tale disposizione regionale si rivela sostanzialmente completa ed esaustiva con riguardo al trattamento giuridico da riservare agli immobili abbandonati e degradati, residuando in capo ai Comuni compiti meramente attuativi ed esecutivi, con una parziale eccezione per i Comuni aventi popolazione inferiore a 20.000 abitanti, i quali, per motivate ragioni di tutela paesaggistica, possono individuare gli ambiti del proprio territorio a cui non si applica, in caso di riqualificazione, l’incremento del 20% dei diritti edificatori e in relazione ai quali non si può derogare alle norme quantitative, morfologiche, sulle tipologie di intervento e sulle distanze.

7. L’applicazione della disposizione regionale oggetto di scrutinio comprime in maniera eccessiva – con violazione degli artt. 5, 97, 114, secondo comma, 117, secondo comma, lett. p), terzo e sesto comma, e 118 della Costituzione – la potestà pianificatoria comunale, in particolare dei Comuni che hanno più di 20.000 abitanti (come il Comune di Milano), non consentendo a siffatti Enti alcun intervento correttivo o derogatorio in grado di valorizzare, oltre alla propria autonomia pianificatoria, anche le peculiarità dei singoli territori di cui i Comuni sono la più immediata e diretta espressione.

La normativa regionale risulta particolarmente analitica sia nell’individuazione dei presupposti di operatività che nel procedimento da seguire e non si presta ad interpretazioni che salvaguardino il potere di pianificazione comunale e l’interesse ad un assetto ordinato del territorio che tale pianificazione mira a realizzare. La formulazione letterale della previsione e la puntuale regolamentazione dettata comportano, dunque, il fallimento in radice di ogni tentativo di interpretazione costituzionalmente conforme atteso che la normativa non lascia spazi per poter “adeguare” in via interpretativa il dettato di legge alla superiori previsioni costituzionali (cfr. Corte Costituzionale, sentenza n. 218 del 10 ottobre 2020, punto 2.2 del Diritto, che richiama le sentenze n. 204 e n. 95 del 2016).

Infatti, il legislatore regionale ha imposto, a regime, una disciplina urbanistico-edilizia in ordine al recupero degli immobili fatiscenti ingiustificatamente rigida e uniforme, operante a prescindere dalle decisioni comunali e in grado di produrre un impatto sulla pianificazione locale molto incisivo e potenzialmente idoneo a stravolgere l’assetto del territorio, o di parti importanti dello stesso, in maniera del tutto dissonante rispetto a quanto stabilito nello strumento urbanistico generale. A ben vedere, pur essendo rimessa ordinariamente al Consiglio comunale l’individuazione degli immobili abbandonati e degradati, è comunque consentito al proprietario di un immobile versante nelle predette condizioni, indipendentemente dall’inserimento dello stesso nell’elenco formato dal Comune, di certificare con perizia asseverata giurata, oltre alla cessazione dell’attività, anche la sussistenza dei presupposti per beneficiare del regime di favore di cui all’art. 40 bis. Il Comune quindi non ha la facoltà di selezionare, discrezionalmente, gli immobili da recuperare, in quanto l’applicazione della norma regionale, in presenza dei richiesti presupposti fattuali, ossia di immobili abbandonati e degradati, può avvenire anche su impulso del proprietario del manufatto. L’assoluta incertezza in ordine all’impatto sul territorio di una tale previsione, sia da un punto di vista quantitativo che qualitativo, impedisce al Comune una coerente programmazione in ambito urbanistico, rendendola in alcune parti, anche importanti, del tutto ineffettiva e ultronea.

Tuttavia pure nel caso in cui il Comune abbia già individuato gli immobili da recuperare – come nella fattispecie oggetto del presente contenzioso – si deve segnalare che il riconoscimento generalizzato e automatico di un indice edificatorio premiale di rilevante portata (da un minimo del 20% ad un massimo del 25%), accompagnato dall’esenzione dall’eventuale obbligo di reperimento degli standard, assume ugualmente un rilievo significativo sia in quanto la norma regionale si applica anche agli immobili già individuati come abbandonati e degradati dal Comune prima della sua entrata in vigore, sia perché gli interventi di recupero vengono ritenuti ininfluenti ai fini della quantificazione del carico urbanistico, senza alcuna considerazione per ciò che ne consegue.

L’applicazione dell’art. 40 bis anche agli immobili già individuati come abbandonati e degradati dal Comune prima della sua entrata in vigore – oltre che a quelli segnalati dai privati interessati – rappresenta una violazione della potestà pianificatoria comunale poiché impone, in via non temporanea, un regime urbanistico-edilizio che prescinde – o addirittura si discosta – dalle scelte comunali sottese all’individuazione degli immobili fatiscenti o alla loro non inclusione nell’elenco. Venendo al caso di specie, il Comune di Milano ha ricompreso l’immobile della ricorrente nell’elenco di quelli abbandonati e degradati (all. 3 del Comune) con l’obiettivo di consentirne il recupero a condizioni – indicate nell’art. 11 delle N.d.A. – e con un impatto sensibilmente diversi rispetto a quelli previsti nell’art. 40 bis. La legge regionale si sovrappone, tuttavia, alla decisione comunale perseguendo obiettivi ulteriori e, in parte, confliggenti con quelli dell’Ente territoriale.

8. La lesione della potestà pianificatoria comunale appare evidente e soprattutto il sacrificio delle prerogative comunali così determinatosi risulta non proporzionato, con violazione del principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 della Costituzione, all’obiettivo perseguito dalla legge regionale, pur meritorio nelle sue finalità, di favorire il recupero degli immobili abbandonati e degradati. L’applicazione dell’art. 40 bis anche agli immobili fatiscenti individuati prima della sua introduzione – come pure a quelli segnalati direttamente dai privati – stravolge la pianificazione territoriale del Comune, il quale aveva elaborato e introdotto un regime speciale per il recupero dei citati immobili, proprio tenendo in considerazione l’impatto degli interventi di riqualificazione sul tessuto urbano esistente. Difatti, un conto è riqualificare un immobile, conservandone la medesima consistenza (oppure demolirlo, consentendo il recupero della sola superficie lorda esistente: art. 11 delle N.d.A.), un altro conto è riconoscere a titolo di beneficio un indice edificatorio aggiuntivo, oscillante tra il 20% e il 25%, cui si accompagna l’esenzione dall’eventuale obbligo di reperimento degli standard. Tale ultima disciplina determina un considerevole impatto sull’assetto pianificatorio in relazione a molteplici aspetti: l’aumento del peso insediativo dell’immobile recuperato non risulta bilanciato dal contestuale reperimento degli standard urbanistici e dalla realizzazione delle opere di urbanizzazione, cui consegue altresì il mancato rispetto dell’indice edificatorio comunale e delle prescrizioni regionali sulla riduzione del consumo di suolo. L’art. 40 bis, comma 5, esonera, seppure con alcune eccezioni, dall’obbligo di individuare aree per servizi e attrezzature pubbliche e di interesse pubblico o generale, non garantendo un corretto rapporto tra il carico urbanistico gravante sulla zona interessata dall’intervento di riqualificazione e le corrispondenti dotazioni pubbliche, disattendendo in tal modo i principi che presiedono ad una corretta attività pianificatoria. Ciò risulta in violazione anche della normativa statale (D.M. n. 1444 del 1968) che si pone quale principio in materia di governo del territorio (art. 117, terzo comma, della Costituzione), in relazione al livello minimo di standard che devono essere garantiti sul territorio comunale.

9. La norma appare altresì irragionevole – con violazione dell’art. 3 della Costituzione, sotto altro profilo – nella parte in cui non si rapporta ai principi contenuti in altre norme della stessa legge regionale n. 12 del 2005 (in specie quelli riferiti alla riduzione del consumo di suolo: cfr. art. 1, comma 3 bis, e art. 19, comma 2, lett. b-bis) e della legge regionale n. 31 del 2014 (“Disposizioni per la riduzione del consumo di suolo e la riqualificazione del suolo degradato”), poiché la riduzione del consumo di suolo rappresenta un obiettivo prioritario e qualificante della pianificazione territoriale regionale, orientata ad un modello di sviluppo territoriale sostenibile (proprio con riferimento alla Regione Lombardia, cfr. Corte costituzionale, sentenza n. 179 del 16 luglio 2019, punto 12.1 del Diritto); sebbene l’attività di riqualificazione e recupero di immobili abbandonati e degradati rientri nell’attività di rigenerazione urbana, la stessa non può porsi come indifferente rispetto agli obiettivi di limitazione del consumo del suolo libero, che altrimenti risulterebbero del tutto recessivi rispetto a quelli di recupero del patrimonio edilizio esistente dismesso e non utilizzabile. Il mancato bilanciamento e contemperamento tra i due obiettivi rende irragionevole e contraddittoria la normativa regionale sulla riqualificazione degli immobili degradati dismessi. La Corte costituzionale ha già avuto modo di evidenziare, con riguardo all’art. 5, comma 4, della citata legge regionale n. 31 del 2014 (contenente, in origine, un divieto di ius variandi in relazione ai contenuti edificatori del documento di piano per un tempo indefinito), una intrinseca contraddittorietà nella “rigidità insita nella norma censurata (…) tale da incidere in modo non proporzionato sull’autonomia dell’ente locale, non solo perché impedisce la rivalutazione delle esigenze urbanistiche in precedenza espresse (…), ma soprattutto perché, al tempo stesso, la preclude quando questa sia rivolta alla protezione degli stessi interessi generali sottostanti alle finalità di fondo della legge regionale e quindi coerenti con queste” (Corte costituzionale, sentenza n. 179 del 16 luglio 2019, punto 12.6 del Diritto).

10. Inoltre viene lesa anche la funzione amministrativa comunale in ambito urbanistico, in quanto l’art. 40 bis, quale norma che opera a regime, contiene una disciplina puntuale e specifica con riguardo agli interventi di recupero del patrimonio edilizio dismesso presenti nel territorio comunale, che non lascia alcuno spazio di intervento significativo all’attività pianificatoria comunale, pure qualificata quale funzione fondamentale ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lett. p), della Costituzione; difatti, la previsione di premi volumetrici in misura fissa e prestabilita, accompagnata da ulteriori importanti deroghe alla disciplina urbanistica-edilizia, quali l’esenzione dall’obbligo di conferimento dello standard e dal rispetto delle norme quantitative, morfologiche, sulle tipologie di intervento e delle distanze previste dallo strumento urbanistico locale, non soltanto impedisce al Comune qualsiasi possibilità di autonoma scelta in sede di pianificazione generale, ma è potenzialmente idonea a stravolgerla in ampi settori, alterando i rapporti tra il carico urbanistico e le dotazioni pubbliche e private. Ciò assume un maggiore rilievo in un Comune, qual è Milano, in cui è stato introdotto il principio dell’indifferenza funzionale, ossia una libertà di scelta delle funzioni da insediare in tutti i tessuti urbani senza alcuna esclusione e senza una distinzione ed un rapporto percentuale predefinito.

Tali considerazioni trovano riscontro anche nella recente giurisprudenza della Corte costituzionale, che ha ricordato come ‘nell’attuazione del nuovo Titolo V della Costituzione, il punto di sintesi è stato fissato dal legislatore statale tramite la disposizione per cui «sono funzioni fondamentali dei Comuni, ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione: […] d) la pianificazione urbanistica ed edilizia di ambito comunale nonché la partecipazione alla pianificazione territoriale di livello sovracomunale», ma «[f]erme restando le funzioni di programmazione e di coordinamento delle regioni, loro spettanti nelle materie di cui all’articolo 117, commi terzo e quarto, della Costituzione, e le funzioni esercitate ai sensi dell’articolo 118 della Costituzione» (art. 14, comma 27, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, recante «Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica», convertito, con modificazioni, nella legge 30 luglio 2010, n. 122, come sostituito dall’art. 19, comma 1, lettera a), del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, recante «Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario», convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 135). Il “sistema della pianificazione”, che assegna in modo preminente ai Comuni, quali enti locali più vicini al territorio, la valutazione generale degli interessi coinvolti nell’attività urbanistica ed edilizia, non assurge, dunque, a principio così assoluto e stringente da impedire alla legge regionale – fonte normativa primaria, sovraordinata agli strumenti urbanistici locali – di prevedere interventi in deroga [che tuttavia devono essere] quantitativamente, qualitativamente e temporalmente circoscritti (sentenze n. 245 del 2018 e n. 46 del 2014)’ (Corte costituzionale, sentenza n. 119 del 23 giugno 2020, punto 7.1 del Diritto).

Quindi, sebbene non possa escludersi a priori e in via astratta la legittimità dell’intervento del legislatore regionale, è necessario che quest’ultimo persegua esigenze generali che possano ragionevolmente giustificare disposizioni limitative delle funzioni già assegnate agli Enti locali, anche nel rispetto del principio di sussidiarietà verticale, sancito nell’art. 118 della Costituzione: ‘si deve verificare nell’ambito della funzione pianificatoria riconosciuta come funzione fondamentale dei Comuni, «quanto la legge regionale toglie all’autonomia comunale e quanto di questa residua, in nome di quali interessi sovracomunali attua questa sottrazione, quali compensazioni procedurali essa prevede e per quale periodo temporale la dispone», inteso che «[i]l giudizio di proporzionalità deve perciò svolgersi, dapprima, in astratto sulla legittimità dello scopo perseguito dal legislatore regionale e quindi in concreto con riguardo alla necessità, alla adeguatezza e al corretto bilanciamento degli interessi coinvolti» (sentenza n. 179 del 2019). Proprio tale giudizio, così dinamicamente inteso, consente di verificare se, per effetto di una normativa regionale rientrante nella materia del governo del territorio, come quella sub iudice, non venga menomato il nucleo delle funzioni fondamentali attribuite ai Comuni all’interno del “sistema della pianificazione”, così da salvaguardarne la portata anche rispetto al principio autonomistico ricavabile dall’art. 5 Cost.’ (Corte costituzionale, sentenza n. 119 del 23 giugno 2020, punto 7.1 del Diritto).

Nella specie, nessuna “riserva di tutela” è stata riconosciuta al Comune, consentendogli di sottrarsi, per an o per quomodo, all’applicazione della normativa derogatoria oggetto di scrutinio, e neppure è stato previsto il ricorso ad una fase di cooperazione finalizzata al coordinamento degli strumenti di pianificazione incidenti sul governo del territorio. In tal senso appare pertinente il riferimento al precedente della Corte costituzionale sulla legge regionale del Veneto relativa al Piano casa, in cui si è affermato “che, nel consentire interventi in deroga agli strumenti urbanistici o ai regolamenti locali, il legislatore regionale veneto, in attuazione dell’intesa sancita tra Stato, Regioni ed enti locali in sede di Conferenza unificata il 1° aprile 2009, ha compiuto una ponderazione degli interessi pubblici coinvolti, attraverso sia la limitazione dell’entità degli interventi ammessi, sia l’esclusione di alcune componenti del patrimonio edilizio dall’ambito di operatività della legge regionale censurata e delle disposizioni di deroga. E ciò ha fatto consentendo, altresì, ai Comuni, nella sua prima applicazione, di sottrarre i propri strumenti urbanistici e i propri regolamenti all’operatività delle deroghe ammesse dalla medesima legge regionale” (Corte costituzionale, sentenza n. 119 del 23 giugno 2020, punto 7.2 del Diritto).

Del resto, il modus procedendi da ultimo richiamato è stato seguito dalla stessa Regione Lombardia, che attraverso l’art. 5, comma 6, della legge regionale n. 12 del 2009 (Piano casa) – sul punto ripreso dall’art. 3, comma 4, della legge regionale n. 4 del 2012 (Nuovo Piano casa) – ha previsto che “entro il termine perentorio del 15 ottobre 2009 i comuni, con motivata deliberazione, possono individuare parti del proprio territorio nelle quali le disposizioni indicate nell’articolo 6 non trovano applicazione, in ragione delle speciali peculiarità storiche, paesaggistico-ambientali ed urbanistiche delle medesime, compresa l’eventuale salvaguardia delle cortine edilizie esistenti, nonché fornire prescrizioni circa le modalità di applicazione della presente legge con riferimento alla necessità di reperimento di spazi per parcheggi pertinenziali e a verde”.

Ugualmente, la salvaguardia delle prerogative pianificatorie comunali è riscontrabile altresì nella normativa regionale in materia di recupero ai fini abitativi dei sottotetti esistenti – artt. 63-65 della legge regionale della Lombardia n. 12 del 2005 – dove si prevede la possibilità per il Comune di escludere dall’applicazione sul proprio territorio del regime ivi contemplato [art. 65 – “Ambiti di esclusione – “1. Le disposizioni del presente capo non si applicano negli ambiti territoriali per i quali i comuni, con motivata deliberazione del Consiglio comunale, ne abbiano disposta l’esclusione, in applicazione dell’articolo 1, comma 7, della legge regionale 15 luglio 1996, n. 15 (Recupero ai fini abitativi dei sottotetti esistenti).

1-bis. Fermo restando quanto disposto dal comma 1, i comuni, con motivata deliberazione, possono ulteriormente disporre l’esclusione di parti del territorio comunale, nonché di determinate tipologie di edifici o di intervento, dall’applicazione delle disposizioni del presente capo.

1-ter. Con il medesimo provvedimento di cui al comma 1-bis, i comuni possono, altresì, individuare ambiti territoriali nei quali gli interventi di recupero ai fini abitativi dei sottotetti, se volti alla realizzazione di nuove unità immobiliari, sono, in ogni caso, subordinati all’obbligo di reperimento di spazi per parcheggi pertinenziali nella misura prevista dall’articolo 64, comma 3.

1-quater. Le determinazioni assunte nelle deliberazioni comunali di cui ai commi 1, 1-bis e 1-ter hanno efficacia non inferiore a cinque anni e comunque fino all’approvazione dei PGT ai sensi dell’articolo 26, commi 2 e 3. Il piano delle regole individua le parti del territorio comunale nonché le tipologie di edifici o di intervento escluse dall’applicazione delle disposizioni del presente capo.

1-quinquies. In sede di redazione del PGT, i volumi di sottotetto recuperati ai fini abitativi in applicazione della l.r. n. 15/1996, ovvero delle disposizioni del presente capo, sono computati ai sensi dell’articolo 10, comma 3, lettera b”].

Dai richiamati esempi emerge come, in alcuni frangenti, lo stesso legislatore regionale lombardo si è dimostrato rispettoso delle prerogative pianificatorie comunali, pur non rinunciando a disciplinare la materia del governo del territorio nell’esercizio delle proprie attribuzioni.

Diversamente, in presenza di prescrizioni di durata indefinita, in carenza di profili interlocutivi e nell’assolutezza, finanche contraddittoria con gli obiettivi posti in sede regionale, risultanti dalla disciplina contenuta nell’art. 40 bis della legge regionale n. 12 del 2005, non può ritenersi superato, “ai sensi del legittimo esercizio del principio di sussidiarietà verticale, il test di proporzionalità con riguardo all’adeguatezza e necessarietà della limitazione imposta all’autonomia comunale in merito a una funzione amministrativa che il legislatore statale ha individuato come connotato fondamentale dell’autonomia comunale” (cfr. Corte costituzionale, sentenza n. 179 del 16 luglio 2019, punto 12.7 del Diritto).

11. L’art. 40 bis sembra porsi in contrasto anche con il principio espresso dall’art. 3 bis del D.P.R. n. 380 del 2001, secondo il quale la riqualificazione di un determinato contesto può avvenire attraverso forme di compensazione incidenti sull’area interessata, tuttavia senza aumento della superficie coperta: al contrario l’art. 40 bis della legge regionale prevede un premio del 20% della superficie lorda, aumentabile fino al 25% al ricorrere di determinate condizioni. Sebbene l’art. 103, comma 1, della legge regionale n. 12 del 2005, abbia escluso una diretta applicazione nella Regione Lombardia della disciplina di dettaglio prevista, tra l’altro, dall’art. 3 bis del D.P.R. n. 380 del 2001, comunque è stata fatta salva l’applicazione dei principi contenuti nella citata disposizione statale, al cui novero certamente appartiene il divieto di consentire un aumento della superficie coperta in sede di riqualificazione di un immobile; deve ricomprendersi difatti tra i principi statali in materia di governo del territorio la previsione secondo la quale un incentivo per recuperare un bene non può spingersi fino al punto di compromettere la tutela di un altro bene, di almeno pari rango, qual è quello legato alla riduzione del consumo di suolo, peraltro fatto proprio dallo stesso legislatore regionale.

12. Infine, l’art. 40 bis della legge regionale n. 12 del 2005 appare in contrasto anche con i principi di uguaglianza e imparzialità dell’Amministrazione discendenti dagli artt. 3 e 97 della Costituzione, visto che riconosce delle premialità per la riqualificazione di immobili abbandonati e degradati (anche) in favore di soggetti che non hanno provveduto a mantenerli in buono stato e che hanno favorito l’insorgere di situazioni di degrado e pericolo, a differenza dei proprietari diligenti che hanno fatto fronte agli oneri e ai doveri conseguenti al loro diritto di proprietà, ma che proprio per questo non possono beneficiare di alcun vantaggio in caso di intervento sul proprio immobile. La norma regionale, quindi, incentiva in maniera assolutamente discriminatoria e irragionevole situazioni di abbandono e di degrado, da cui discende la possibilità di ottenere premi volumetrici e norme urbanistiche ed edificatorie più favorevoli rispetto a quelle ordinarie.

13. In conclusione, il giudizio deve essere sospeso e gli atti vanno trasmessi alla Corte Costituzionale in quanto risulta rilevante e non manifestamente infondata la questione di costituzionalità dell’art. 40 bis della legge regionale della Lombardia n. 12 del 2005 (inserito dall’art. 4, comma 1, lett. a), legge reg. 26 novembre 2019, n. 18), recante “Disposizioni relative al patrimonio edilizio dismesso con criticità”, per violazione degli artt. 3, 5, 97, 114, secondo comma, 117, secondo comma, lett. p), terzo e sesto comma, e 118 della Costituzione, secondo quanto specificato in precedenza.

14. Ogni ulteriore statuizione in rito, in merito e sulle spese resta riservata alla decisione definitiva.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Seconda), non definitivamente pronunciando:

a) dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 40 bis della legge regionale della Lombardia n. 12 del 2005 (inserito dall’art. 4, comma 1, lett. a), legge reg. 26 novembre 2019, n. 18), recante “Disposizioni relative al patrimonio edilizio dismesso con criticità”, per violazione degli artt. 3, 5, 97, 114, secondo comma, 117, secondo comma, lett. p), terzo e sesto comma, e 118 della Costituzione;

b) dispone la sospensione del presente giudizio;

c) ordina la immediata trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale;

d) ordina che, a cura della Segreteria della Sezione, la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa e al Presidente della Giunta Regionale della Lombardia e comunicata al Presidente del Consiglio Regionale della Lombardia;

e) riserva alla decisione definitiva ogni ulteriore statuizione in rito, in merito e in ordine alle spese.

Così deciso in Milano nella camera di consiglio del 22 gennaio 2021, tenutasi mediante collegamento da remoto in videoconferenza, secondo quanto disposto dall’art. 25 del decreto legge n. 137 del 2020, convertito in legge n. 176 del 2020, con l’intervento dei magistrati:

Italo Caso, Presidente

Antonio De Vita, Consigliere, Estensore

Lorenzo Cordi’, Referendario

L’ESTENSORE
Antonio De Vita

IL PRESIDENTE

Italo Caso

IL SEGRETARIO

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