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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Diritto urbanistico - edilizia Numero: 21039 | Data di udienza: 10 Novembre 2020

DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Reati urbanistici – Trasformazione di un pergolato esistente – Irrogazione dell’ordine di demolizione dell’opera abusiva – Sanatoria degli abusi edilizi – Permesso di costruire in sanatoria e doppia conformità – Limiti della cd. “sanatoria giurisprudenziale” o “impropria” – Artt. 32, 34, 36, 44 d.P.R. n. 380/2001 – Natura di pertinenza urbanistica – Elementi e requisiti – Giurisprudenza.


Provvedimento: SENTENZA
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 28 Maggio 2021
Numero: 21039
Data di udienza: 10 Novembre 2020
Presidente: RAMACCI
Estensore: ANDRONIO


Premassima

DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Reati urbanistici – Trasformazione di un pergolato esistente – Irrogazione dell’ordine di demolizione dell’opera abusiva – Sanatoria degli abusi edilizi – Permesso di costruire in sanatoria e doppia conformità – Limiti della cd. “sanatoria giurisprudenziale” o “impropria” – Artt. 32, 34, 36, 44 d.P.R. n. 380/2001 – Natura di pertinenza urbanistica – Elementi e requisiti – Giurisprudenza.



Massima

CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. 3^, 28 maggio 2021 (Ud. 10/11/2020), Sentenza n.21039

 

DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Reati urbanistici – Trasformazione di un pergolato esistente – Irrogazione dell’ordine di demolizione dell’opera abusiva – Sanatoria degli abusi edilizi – Permesso di costruire in sanatoria e doppia conformità – Limiti della cd. “sanatoria giurisprudenziale” o “impropria” – Artt. 32, 34, 36, 44 d.P.R. n. 380/2001.

In tema di reati urbanistici, la sanatoria degli abusi edilizi idonea ad estinguere il reato di cui all’art. 44 del d.P.R. n. 380 del 2001 e a precludere l’irrogazione dell’ordine di demolizione dell’opera abusiva può essere solo quella rispondente alle condizioni espressamente indicate dall’art. 36 del medesimo decreto, che richiede la doppia conformità delle opere alla disciplina urbanistica vigente, sia al momento della realizzazione del manufatto, sia al momento della presentazione della domanda di permesso in sanatoria, dovendo escludersi la possibilità che tali effetti possano essere attribuiti alla cd. “sanatoria giurisprudenziale” o “impropria”, che consiste nel riconoscimento della legittimità di opere originariamente abusive che, solo dopo la loro realizzazione, siano divenute conformi alle norme edilizie ovvero agli strumenti di pianificazione urbanistica.

DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Natura di pertinenza urbanistica – Elementi e requisiti – Giurisprudenza.

La natura di pertinenza urbanistica presuppone che l’opera abbia una propria individualità fisica ed una propria conformazione strutturale; che non sia parte integrante o costitutiva di altro fabbricato ma sia funzionalmente ed oggettivamente inserita al servizio dell’edificio principale, cui è legata da una relazione “di servizio”, volta a renderne più agevole e funzionale l’uso; che sia sfornita di un autonomo valore di mercato, non valutabile in termini di cubatura o comunque dotata di un volume minimo (in ogni caso non superiore al 20% di quello dell’edificio principale) tale da non consentire, in relazione anche alle caratteristiche dell’edificio principale, una sua destinazione autonoma e diversa da quella a servizio dell’immobile cui accede.

(dich. inammissibile il ricorso avverso sentenza del 10/07/2019 – CORTE D’APPELLO DI CATANZARO) Pres. RAMACCI, Rel. ANDRONIO, Ric. Loiarro


Allegato


Titolo Completo

CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. 3^, 28/05/2021 (Ud. 10/11/2020), Sentenza n.21039

SENTENZA

 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE

composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

omissis

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da Loiarro Maria, nata a Girifalco;

avverso la sentenza del 10/07/2019 della CORTE D’APPELLO DI CATANZARO;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere Alessandro Maria Andronio;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Fulvio Baldi, che ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile;

udito il difensore, avv. Juan José Di Nicco, in sostituzione dell’avv. Vincenzo Sestito.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 10 luglio 2019, la Corte d’appello di Catanzaro ha confermato la sentenza emessa dal Tribunale di Catanzaro, con la quale l’imputata era stata condannata alla pena di mesi tre di arresto ed euro 5.000,00 di ammenda, in relazione al reato di cui all’art. 44, comma 1, lettera b) , del d.P.R. n. 380 del 2001, per avere realizzato, in qualità di proprietaria, committente ed esecutrice dei lavori e in assenza del permesso di costruire, un gazebo su terrazza avente dimensione di 3,20 x 3,10 metri e altezza compresa tra 2,35 e 3 metri, mediante la trasformazione di un pergolato già esistente.

2. Avverso la sentenza l’imputata ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione, chiedendone l’annullamento.

2.1. Con un primo motivo di doglianza, si deduce la violazione dell’art. 44 del d.P.R. n. 380 del 2001, sul rilievo che il giudice di secondo grado avrebbe erroneamente disconosciuto l’efficacia sanante prodotta dalla segnalazione certificata di inizio attività presentata in data 10 marzo 2017 sull’abuso edilizio commesso nel 2014, per difformità tra i lavori eseguiti in sanatoria e quelli da sanare, pretermettendo la valutazione dei seguenti elementi evidenziati dalla difesa con l’atto di gravame il cui esame avrebbe condotto ad una pronuncia di immediato proscioglimento dell’imputata ex art. 129 cod. proc. pen.: a) l’accertamento, da parte del competente Ufficio Tecnico Comunale, con attestazione del 4 ottobre 2017, della ricorrenza delle condizioni indicate nell’art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001 quali presupposti per la sanatoria; b) l’avvenuto pagamento, a seguito del conseguimento della Scia in sanatoria, delle sanzioni pecuniarie previste dal comma 2 della suddetta disposizione, accertato dal Responsabile dell’area tecnica del Comune di Girifalco; c) la circostanza che i lavori oggetto del provvedimento di Scia del 2017 avevano lasciato invariata la struttura portante dell’opera realizzata con la Scia del 18 dicembre 2014, rispetto alla quale si era esclusivamente provveduto alla sostituzione dei materiali di realizzazione, rendendo da un lato amovibile l’infisso; d) l’assenza di qualunque variazione essenziale del fabbricato, visto che, secondo la previsione di cui all’art. 32, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001, non possono ritenersi tali quelle che incidono sull’entità delle cubature accessorie, sui volumi tecnici e sulla distribuzione interna delle singole unità abitative; e) l’insussistenza di parziale difformità tra l’opera realizzata con Scia in sanatoria e quella oggetto della Scia del 2014, dal momento che l’art. 34, comma 2-ter, del d.P.R. n. 380 del 2001 prevede che non si ha parziale difformità del titolo abitativo in presenza di variazioni di altezza, distacchi, cubatura o superficie coperta che non eccedono per singola unità immobiliare il 2% delle misure progettuali e che, nel caso di specie, l’aumento della volumetria era inferiore al 2%; f) il parere favorevole espresso dal Responsabile dell’area tecnica in merito alla sussistenza del requisito della doppia conformità nell’attestazione del 4 ottobre 2017, nella quale sono stati altresì indicati specificamente i lavori sanati, corrispondenti a quelli indicati nella Scia in sanatoria.

2.2. Con un secondo motivo di ricorso, si lamentano vizi di motivazione della sentenza in quanto, secondo la difesa, la ritenuta difformità dell’intervento in sanatoria rispetto a quello da sanare contrasterebbe sia con la valutazione compiuta dai competenti uffici tecnici, i quali avevano accertato che i lavori oggetto della Scia del 10 marzo 2017 erano stati eseguiti in sanatoria dell’abuso edilizio commesso nel 2014, sia con le verifiche svolte dal responsabile dell’area tecnica e contenute nell’attestazione del 4 ottobre 2017, nel corso delle quali si era appurato che gli abusi commessi nel 2014 relativi alla costruzione di una tettoia sul fabbricato di proprietà della ricorrente erano stati sanati con l’ottenimento della Scia del 2017. Si richiama giurisprudenza secondo la quale non è consentito al giudice penale sindacare l’eventuale illegittimità del titolo abilitativo e si prospettano, da ultimo, le possibili conseguenze pregiudizievoli che la pronuncia impugnata produrrebbe in capo all’imputata, con particolare riguardo all’eventualità di subire la demolizione di un’opera sostanzialmente conforme ai piani urbanistici.

2.3. Con un terzo motivo di ricorso, si lamentano vizi di motivazione del provvedimento, sul rilievo che la Corte d’appello avrebbe disatteso le doglianze difensive volte evidenziare la natura di pertinenza dell’opera realizzata – come tale non necessitante il rilascio di provvedimento abilitativo – con considerazioni illogiche e in contrasto con gli atti processuali. In particolare, il rilievo secondo il quale la costruzione abusiva costituiva un’integrazione del muro in aderenza del quale era stata realizzata e aveva comportato un aumento della volumetria del fabbricato e modificazioni della sagoma per le quali era richiesto il rilascio del permesso di costruire troverebbe smentita nella documentazione fotografica allegata in atti nonché nel rapporto redatto dagli agenti di polizia.

Tali elementi probatori attesterebbero, per un verso, l’assenza di qualunque intervento di trasformazione tale da richiedere un’istanza di permesso di costruire; per altro verso, la natura di pertinenza della costruzione, finalizzata ad una più comoda fruizione del terrazzo ma insuscettibile di utilizzo autonomo e separato. A tal fine, si richiamano orientamenti giurisprudenziali secondo i quali, in materia edilizia, sono qualificabili come pertinenze le opere prive di autonoma destinazione, che esauriscano la loro destinazione d’uso nel rapporto funzionale con l’edificio principale.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile.

1.1. Il primo motivo di doglianza, incentrato sulla pretesa efficacia sanante dell’abuso edilizio commesso nel 2014 prodotta dalla Scia del marzo 2017, è manifestamente infondato.

Deve dapprima ricordarsi che, in tema di reati urbanistici, la sanatoria degli abusi edilizi idonea ad estinguere il reato di cui all’art. 44 del d.P.R. n. 380 del 2001 e a precludere l’irrogazione dell’ordine di demolizione dell’opera abusiva può essere solo quella rispondente alle condizioni espressamente indicate dall’art. 36 del medesimo decreto, che richiede la doppia conformità delle opere alla disciplina urbanistica vigente, sia al momento della realizzazione del manufatto, sia al momento della presentazione della domanda di permesso in sanatoria, dovendo escludersi la possibilità che tali effetti possano essere attribuiti alla cd. “sanatoria giurisprudenziale” o “impropria”, che consiste nel riconoscimento della legittimità di opere originariamente abusive che, solo dopo la loro realizzazione, siano divenute conformi alle norme edilizie ovvero agli strumenti di pianificazione urbanistica (ex plurimis, Sez. 3, Sentenza n. 45845 del 19/09/2019, Rv. 277265; Sez. 3, n. 7405 del 15/01/2015, Rv. 262422).

Nel caso di specie, la prospettazione del ricorrente, diretta ad affermare che una pregnante valutazione delle emergenze di causa avrebbe condotto al proscioglimento dell’imputata, mettendo in luce conformità degli interventi edilizi oggetto di Scia del 2017 all’opera realizzata nel 2014, si basa su censure, che, coinvolgendo valutazioni attinenti alla volumetria e alla conformazione dell’opera, concernono un accertamento in fatto non sindacabile in questa sede, e che risultano, comunque, del tutto prive di fondamento alla luce delle motivazioni delle sentenze di primo e secondo grado che, in quanto integralmente conformi, si saldano tra loro fino a costituire un unico e articolato complesso motivazionale, consentendo di accertare i fatti nella loro storicità. Ed invero, sebbene la contestazione contenuta nel capo di imputazione si riferisca “alla realizzazione, in assenza del permesso di costruire, di un’opera ottenuta mediante trasformazione di un pergolato già esistente”, i giudici di merito hanno rilevato – sulla base delle risultanze della relazione di indagine e delle fotografie – che, con Scia del 18 dicembre 2014, la ricorrente aveva denunciato la realizzazione di un pergolato con funzione ombreggiante, mentre nel sopralluogo eseguito in data 21 ottobre 2016, veniva constatata la presenza di un gazebo con travi in legno e copertura in coibentato, con un lato addossato alla parete principale dell’edificio e uno costituito da una parte in legno dotata di infissi esterni, aperto sugli altri due lati. Tale opera, per la sua integrazione funzionale con l’edificio principale e per il consistente aumento di aumento di volumetria che aveva determinato, costituiva un manufatto di nuova costruzione realizzabile solo previo ottenimento del permesso di costruire, non essendo la segnalazione certificata di inizio attività titolo inidoneo a legittimare siffatta tipologia di interventi edilizi.

Sulla base di tali considerazioni i giudici hanno correttamente negato l’efficacia sanante della Scia presentata in data 10 marzo 2017, riconosciuta esclusivamente in ragione della prospettata modifica della tettoia precedente tramite la sostituzione dei materiali di costruzione, perché tali interventi edilizi sono stati eseguiti su un’opera abusiva, realizzata in totale difformità dalla denuncia di Scia presentata dalla ricorrente in data 18 dicembre 2014, in luogo della quale sarebbe stato necessario il rilascio del permesso di costruire.

1.2. Il secondo motivo di ricorso, relativo all’asserito contrasto della pronuncia con le prove documentali, è anch’esso inammissibile, risultando le doglianze formulate dal ricorrente in parte generiche e in altra parte manifestamente infondate.

Sotto il primo profilo, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso, non vengono in esso riprodotti o dettagliatamente richiamati, né la relazione dettagliata degli uffici tecnici comunali né l’attestazione del 4 ottobre 2017 redatta dal responsabile dell’area tecnica, sollecitando questa Corte ad un apprezzamento di merito precluso in sede di legittimità.

Sotto altro profilo, va ricordato che il controllo sulla motivazione operato dal giudice di legittimità resta circoscritto al solo accertamento sulla congruità e coerenza dell’apparato argomentativo e non può risolversi in una diversa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o nella scelta di nuovi e diversi criteri di giudizio in ordine alla ricostruzione e valutazione dei fatti. Nel caso di specie il giudice di secondo grado, rispondendo ad identica censura difensiva, ha già precisato che l’attestazione dell’ufficio tecnico e del responsabile, che avrebbero affermato la regolarità dell’intervento in sanatoria, si limitavano in realtà a confermare l’attuale regolarità urbanistica dell’intervento ma, in considerazione della radicale difformità dell’intervento realizzato rispetto a quello da sanare, non esplicavano alcun effetto in relazione alla responsabilità dell’imputata per la condotta posta in essere in precedenza; condotta integrante il reato ex art. 44 del d.P.R. n. 380 del 2001, perché concretizzatasi – come già ampiamente evidenziato – nella costruzione di un’opera del tutto nuova per la quale la non era sufficiente la presentazione di Scia, ma era richiesta l’acquisizione del permesso di costruire.

1.3. Il terzo motivo di ricorso, relativo alla natura di pertinenza dell’opera realizzata, non necessitante il rilascio del titolo abilitativo, è parimenti inammissibile, perché rivolto ad ottenere una rivalutazione di elementi già presi adeguatamente in considerazione dai giudici di merito.

Deve ricordarsi che è inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla corte di merito, dovendosi considerare gli stessi non specifici ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso (ex plurimis, Sez. 2, n. 42046 del 17/07/2019, Rv. 277710). Quanto al tema in esame, per costante orientamento giurisprudenziale, la natura di pertinenza urbanistica presuppone che l’opera abbia una propria individualità fisica ed una propria conformazione strutturale; che non sia parte integrante o costitutiva di altro fabbricato ma sia funzionalmente ed oggettivamente inserita al servizio dell’edificio principale, cui è legata da una relazione “di servizio”, volta a renderne più agevole e funzionale l’uso; che sia sfornita di un autonomo valore di mercato, non valutabile in termini di cubatura o comunque dotata di un volume minimo (in ogni caso non superiore al 20% di quello dell’edificio principale) tale da non consentire, in relazione anche alle caratteristiche dell’edificio principale, una sua destinazione autonoma e diversa da quella a servizio dell’immobile cui accede (ex plurimis, Sez. 3, n. 54692 del 02/10/2018, Rv. 274210; Sez. 3, n. 29252 del 05/05/2017, Rv. 270435; Sez. 3, 6 maggio 2010, n. 21351, Rv. 247628).

Nel caso di specie, entrambi i giudici di merito si sono pronunciati, con conforme e coerente valutazione, sull’aspetto relativo alla natura dell’opera costruita e, richiamando i suddetti principi giurisprudenziali, hanno escluso che la stessa potesse qualificarsi come pertinenza – come tale sottratta al rilascio del titolo abilitativo – in virtù della mancanza di una individualità fisica del manufatto, il quale costituiva un’aderenza del muro principale a ridosso del quale ero stato realizzato, nonché del mutamento della sagoma dell’edificio, e del rilevante aumento di larghezza, lunghezza e volumetria del plesso determinati dell’intervento.

2. Il ricorso, per tali motivi, deve essere dichiarato inammissibile.

Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in € 3.000,00.

P.Q.M

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso il 10/11/2020.

Si dà atto che, ai sensi dell’art. 546, comma 2, cod. proc. pen., conformemente alle indicazioni contenute nel decreto del Primo Presidente, n. 163/2020 del 23 novembre 2020 – recante “Integrazione linee guida sulla organizzazione della Corte di cassazione nella emergenza COVID-19 a seguito del d.l. n. 137 del 2020” – la presente ordinanza viene sottoscritta dal solo presidente del collegio per impedimento dell’estensore.

 

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