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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Diritto processuale penale, Legittimazione processuale Numero: 40576 | Data di udienza: 12 Ottobre 2021

LEGITTIMAZIONE PROCESSUALE – Impugnazioni delle misure cautelari reali – Sequestro preventivo o probatorio – Aventi diritto alla restituzione del bene sequestrato – Legittimazione all’azione in giudizio – Presupposti e limiti – Sussistenza di un interesse concreto e attuale – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Ricorso per cassazione avverso un’ordinanza cautelare del tribunale del riesame – Art. 322 bis cod. pen. – Artt. 127, 257, 311, 568, 591 c.p.p.


Provvedimento: SENTENZA
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 10 Novembre 2021
Numero: 40576
Data di udienza: 12 Ottobre 2021
Presidente: SARNO
Estensore: NOVIELLO


Premassima

LEGITTIMAZIONE PROCESSUALE – Impugnazioni delle misure cautelari reali – Sequestro preventivo o probatorio – Aventi diritto alla restituzione del bene sequestrato – Legittimazione all’azione in giudizio – Presupposti e limiti – Sussistenza di un interesse concreto e attuale – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Ricorso per cassazione avverso un’ordinanza cautelare del tribunale del riesame – Art. 322 bis cod. pen. – Artt. 127, 257, 311, 568, 591 c.p.p.



Massima

CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez.3^, 10 novembre 2021 (Ud. 12/10/2021), Sentenza n.40576

 

LEGITTIMAZIONE PROCESSUALE – Impugnazioni delle misure cautelari reali – Sequestro preventivo o probatorio – Aventi diritto alla restituzione del bene sequestrato – Legittimazione all’azione in giudizio – Presupposti e limiti – Sussistenza di un interesse concreto e attuale – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Ricorso per cassazione avverso un’ordinanza cautelare del tribunale del riesame – Art. 322 bis cod. pen. – Artt. 127, 257, 311, 568, 591 c.p.p.

In tema di sequestro preventivo o probatorio, rientrano tra le persone aventi diritto alla restituzione del bene sequestrato di cui all’art. 322 bis cod. pen. non soltanto il proprietario e i titolari di un diritto reale di godimento o di garanzia sul bene stesso, ma anche il soggetto che ne abbia il possesso o la detenzione. Pertanto, nella nozione di persona che avrebbe diritto alla restituzione di cui all’art. 257 c.p.p., rientrano non solo il proprietario e coloro i quali vantano un diritto reale di godimento o di garanzia sul bene sequestrato, ma anche tutti quei soggetti che hanno un titolo, sia pure derivante da un rapporto obbligatorio, a conseguire il possesso o la detenzione del bene; pertanto chiunque possa potenzialmente trovarsi nella possibilità di chiedere ed ottenere dalla autorità giudiziaria, anche in conflitto con la volontà del proprietario, la consegna del bene, è soggetto legittimato a proporre richiesta di riesame avverso il provvedimento di sequestro penale. Tuttavia, non è, quindi, consentita un’impugnazione volta semplicemente ad ottenere l’astratta affermazione di un principio di diritto oppure ad ottenere un vantaggio di terzi, sia pure legati da particolari rapporti con l’impugnante. In altri termini, l’art. 322 cod. proc. pen. individua le categorie astrattamente legittimate all’impugnazione “reale”, mentre gli artt. 568, comma 4, e 591, comma 1, lettera a), cod. proc. pen. impongono un vaglio di ammissibilità fondato sulla verifica della concreta legittimazione in ragione della sussistenza di un interesse concreto e attuale. Va, comunque, ribadito che il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli errores in iudicando o in procedendo, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice. Infine, in tema di ricorso per cassazione avverso un’ordinanza cautelare del tribunale del riesame, devono trovare applicazione le forme previste dall’art. 127 cod. proc. pen., norma speciale rispetto a quella dell’art. 121 cod. proc. pen., in ragione del richiamo espresso contenuto nell’art. 311, comma 5, cod. proc. pen., sicchè le eventuali memorie delle parti devono essere presentate in cancelleria “fino a cinque giorni prima dell’udienza” a pena di inammissibilità.

(dich. inammissibili i ricorsi avverso ordinanza del 28/01/2021 del TRIBUNALE DI CATANZARO) Pres. SARNO, Rel. NOVIELLO, Ric. Mirachied altri


Allegato


Titolo Completo

CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez.3^, 10/11/2021 (Ud. 12/10/2021), Sentenza n.40576

SENTENZA

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE

composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

omissis

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
Mirachi;
Aversa;
Aversa;
Richetta;

avverso la ordinanza del 28/01/2021 del TRIBUNALE DI CATANZARO;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere Giuseppe Noviello;

lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Ciro Angelillis che ha chiesto il rigetto dei ricorsi.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 28 gennaio 2021, il tribunale di Catanzaro, adito ai sensi dell’art. 322 cod. proc. pen. rigettava le istanze di annullamento del decreto di sequestro preventivo adottato dal Gip del tribunale di Catanzaro in relazione ai reati di cui agli artt. 54 1161 cod. nav. e 633 639 bis cod. pen., proposte, tra gli altri, per quanto qui di interesse, da Mirachi, Aversa, Aversa, Richetta, e confermava il predetto decreto, relativo a porzioni di terreno e opere in muratura insistenti sulle aree sequestrate.

2. Avverso la ordinanza del tribunale di Catanzaro sopra indicata, Mirachi, Aversa, Aversa, Richetta, tramite i rispettivi difensori, hanno proposto ricorso per Cassazione, sollevando ciascuno quattro motivi di impugnazione.

3. Trattandosi di motivi pressocchè identici, è sufficiente riportare gli stessi come inerenti a tutti i quattro ricorsi proposti.

4. Con il primo motivo, si contesta il riconoscimento della demanialità marittima dell’area di interesse e che la stessa possa trarsi da dati valorizzati dall’Autorità Giudiziaria.

Si osserva, in particolare, che i dati catastali non possono fornire prova del carattere demaniale di un’area; che ulteriori dati indiziari, quali un provvedimento di esproprio del 1876, una relazione della Direzione Tecnica Governativa di Catanzaro e la planimetria ufficiale del 10.10.1877, devono essere esaminati nel loro complesso, e dimostrerebbero non la demanialità marittima delle aree interessate bensì l’appartenenza del terreno, oggetto di espropriazione, al Demanio Ferroviario; che non possa rinvenirsi a margine di una cd. “planimetria”, una ritenuta dichiarazione del Sindaco di Stalettì, il quale con essa nulla avrebbe eccepito sulla espropriazione della Società Strade Ferrate per il Mediterraneo, e che quindi la stessa non potrebbe integrare alcuna confessione stragiudiziale; che il cd. verbale di apposizione dei termini del 14 maggio 1981, per le sue modalità di redazione, prive di contraddittorio e quindi di carattere meramente unilaterale, non può essere funzionale alla determinazione, come demaniale, dell’area di interesse; la non pertinenza, ai fini della risoluzione della problematica in esame circa il carattere demaniale o meno dell’area, delle sentenze del Tar valorizzate dall’Autorità Giudiziaria; che la sentenza n. 12629 /16 della Corte di Cassazione Civile non può dispiegare i suoi effetti nei confronti di soggetti estranei alla decisione medesima, quali i ricorrenti, e che il relativo contenuto è comunque contraddittorio e confuso.

Lo stesso ingegnere governativo delle Ferrovie Calabro Sicule fornirebbe dati favorevoli alla tesi difensiva, e alfine si dovrebbe escludere che la striscia di terreno di interesse possa ricondursi al demanio necessario dello Stato, quanto, piuttosto, al patrimonio disponibile dello Stato medesimo, suscettibile anche di usucapione; che l’atto di compravendita del 2 giugno 1892 e il decreto di esproprio del 12 aprile 1893 potrebbero dimostrare la riconducibilità nella disponibilità dell’ente Ferroviario dell’area a valle del tratto ferroviario, ma non il carattere demaniale marittimo della stessa.

Nemmeno sarebbe risolutivo della problematica il verbale di delimitazione redatto il 15 marzo 1971 e approvato dalla Direzione Marittima di Reggio Calabria. Di conseguenza, esclusa per l’area di interesse la cd. demanialità marittima naturale e la demanialità marittima “storica”, come anche la demanialità marittima derivante da verbale di accertamento ex art. 32 del codice della navigazione, deve porsi tale zona al di fuori del demanio marittimo, non essendovi mai stato trasferimento della proprietà in favore dello Stato.

Anche ove si giungesse a ritenere per l’area in esame la proprietà ferroviaria in luogo di quella comunale, la stessa dovrebbe ritenersi ormai usucapita dai privati, trattandosi di un bene mai al servizio del funzionamento della linea ferroviaria, così da essere avulso dal demanio accidentale e soggetto a possibile usucapione.

5. Con il secondo motivo deducono l’assenza dell’elemento soggettivo del reato di cui all’art. 54 1161 cod. nav., avendo i ricorrenti agito nella convinzione di abitare sul suolo comunale sia perché in ciò confortati dalla destinazione del sito – evidenziata dalle opere di urbanizzaizone esistenti – sia alla luce delle autorizzazioni comunali sia in ragione delle pronunce giurisdizionali deliberate per i medesimi fatti di reato e conclusesi in senso pienamente favorevole.

6. Con il terzo motivo rappresentano l’insussistenza del reato di cui agli artt. 633 639 bis c.p., atteso che l’invasione sarebbe stata compiuta con la realizzazione dei manufatti negli anni ’60 e non da eredi o acquirenti quali i ricorrenti. Mancherebbe inoltre, l’elemento soggettivo del reato, perché i vari titoli amministrativi rilasciati dal comune di Stalettì (quali sanatorie e permessi di costruire), assieme alle pronunzie giurisdizionali favorevoli escludono il dolo.

7. Con il quarto motivo, si contesta il periculum in mora e si osserva che diversamente da quanto sostenuto dal tribunale con motivazione apparente, l’aggravio del carico urbanistico non può conseguire al mero decorso del tempo. Mancherebbe inoltre, ogni condotta ulteriore dei prevenuti rispetto a quella originaria di edificazione, così da escludersi che gli stessi siano sul punto di intraprendere un’ulteriore attività illecita. Mancherebbe inoltre, ogni analitica motivazione relativa ad ogni singola costruzione oggetto del provvedimento ablativo e non emergerebbe alcuna funzione di cautela.

Inoltre, difetterebbe una necessaria tensione finalistica del sequestro rispetto ad un provvedimento definitivo.

Si aggiunge che il tribunale si sarebbe limitato a sostenere l’assenza di legittimazione ad agire dei ricorrenti e si contesta che i provvedimenti giurisdizionali civili citati nella ordinanza impugnata possano estendersi ai medesimi.

8. In data 11.10.2021 è stata presentata memoria nell’interesse di Mirachi, con relativo allegato, con la quale ribadite le ragioni già illustrate in ricorso si insiste per l’annullamento del provvedimento impugnato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Deve premettersi che la memoria depositata risulta tardiva, alla luce della disposizione per cui, in tema di ricorso per cassazione avverso un’ordinanza cautelare del tribunale del riesame, devono trovare applicazione le forme previste dall’art. 127 cod. proc. pen., norma speciale rispetto a quella dell’art. 121 cod. proc. pen., in ragione del richiamo espresso contenuto nell’art. 311, comma 5, cod. proc. pen., sicchè le eventuali memorie delle parti devono essere presentate in cancelleria “fino a cinque giorni prima dell’udienza” a pena di inammissibilità. (Sez. 2 – , n. 12680 del 06/12/2018 (dep. 21/03/2019) Rv. 276325 – 01).

2. I ricorsi sono inammissibili.

Innanzitutto per carenza di interesse in capo ai ricorrenti. Va premesso che la giurisprudenza della Suprema Corte ha statuito un principio di diritto, valevole in relazione al sequestro sia preventivo che probatorio, secondo il quale rientrano tra le persone aventi diritto alla restituzione del bene sequestrato di cui all’art. 322 bis cod. pen. non soltanto il proprietario e i titolari di un diritto reale di godimento o di garanzia sul bene stesso, ma anche il soggetto che ne abbia il possesso o la detenzione (cfr. in motivazione Sez. 3, Sentenza n. 26196 del 22/04/2010 Rv. 247693 – 01).

Nella motivazione della medesima sentenza si è precisato che “nella nozione di persona che avrebbe diritto alla restituzione di cui all’art. 257 c.p.p., rientrano non solo il proprietario e coloro i quali vantano un diritto reale di godimento o di garanzia sul bene sequestrato, ma anche tutti quei soggetti che hanno un titolo, sia pure derivante da un rapporto obbligatorio, a conseguire il possesso o la detenzione del bene; pertanto chiunque possa potenzialmente trovarsi nella possibilità di chiedere ed ottenere dalla autorità giudiziaria, anche in conflitto con la volontà del proprietario, la consegna del bene, è soggetto legittimato a proporre richiesta di riesame avverso il provvedimento di sequestro penale”.

Premessi tali dati, va anche osservato come, a differenza di quanto accade per il sequestro probatorio – in relazione al quale può essere affermato l’interesse dell’indagato, che pure non rivendichi la proprietà o un diritto di godimento sulla cosa sequestrata, a impugnare il provvedimento, in quanto l’eventuale annullamento è funzionale ad impedire che della cosa in sequestro si faccia una utilizzazione probatoria a suo carico -, nel caso del sequestro preventivo, che non ha finalità probatorie ma solo cautelari, per proporre impugnazione l’indagato o imputato deve reclamare una relazione con la cosa che sostenga la sua pretesa alla cessazione del vincolo (Sez. 1, n. 5039 del 18 ‘settembre 1997; Sez. 3, n. 10977 del 27 gennaio 2010).

Non è, quindi, consentita un’impugnazione volta semplicemente ad ottenere l’astratta affermazione di un principio di diritto oppure ad ottenere un vantaggio di terzi, sia pure legati da particolari rapporti con l’impugnante (Sez. 1, n. 15998 del 28/02/2014 Rv. 259601 – 01).

In altri termini, la legittimazione astratta alla proposizione del riesame reale è attribuita dall’art. 322 cod. proc. pen. all’imputato, alla persona alla quale le cose sono state sequestrate ed a quella che avrebbe diritto alla loro restituzione. Però, oltre alla legittimazione, deve sussistere l’interesse all’impugnazione, previsto dalle norme di carattere generale del libro IX sulle impugnazioni e nel Titolo I sulle «disposizioni generali», quale requisito necessario per tutte le impugnazioni, anche quelle cautelari.

Nel caso della legittimazione al riesame reale vengono in rilievo non soltanto le norme “settoriali” poste nell’ambito della disciplina delle impugnazioni dei sequestri preventivi – gli artt. 322 e 322-bis cod. proc. pen. – ma altresì le norme generali in materia di impugnazione (in particolare gli artt. 568, comma 4, e 591, comma 1, lettera a), cod. proc. pen.). Tali norme generali non possono ritenersi derogate dalle norme in tema di impugnazioni delle misure cautelari reali, che, indicando tre categorie di “legittimati” (“l’imputato…, la persona alla quale le cose sono state sequestrate e quella che avrebbe diritto alla loro restituzione…”), individua il genus di persone che avrebbero astratto interesse alla proposizione del riesame o dell’appello, trattandosi di categorie alternative – come evincibile dall’uso della congiunzione “e” – e non necessariamente sovrapponibili; le norme sulle impugnazioni in generale, invece, disciplinano il diverso profilo dell’ammissibilità, postulando la necessità di un concreto interesse all’impugnazione, in assenza del quale l’impugnazione va dichiarata inammissibile.

In altri termini, l’art. 322 cod. proc. pen. individua le categorie astrattamente legittimate all’impugnazione “reale”, mentre gli artt. 568, comma 4, e 591, comma 1, lettera a), cod. proc. pen. impongono un vaglio di ammissibilità fondato sulla verifica della concreta legittimazione in ragione della sussistenza di un interesse concreto e attuale.

Ebbene, nel caso dell’impugnazione del sequestro preventivo è proprio la morfologia delle misure cautelari reali – che impongono un vincolo giuridico sul bene – a rendere indispensabile l’effetto di restituzione quale connotato essenziale ed imprescindibile dell’interesse ad impugnare (Sez. 3, n. 9947 del 20/01/2016).

Deve inoltre sottolinearsi e ribadirsi che la sussistenza dell’interesse ad impugnare non può presumersi dalla legittimazione ad impugnare. È infatti onere di chi impugna dedurre la sussistenza dell’interesse ad impugnare, ai sensi degli artt. 568, comma 4, e 581 comma 1, lettera d), cod. proc. pen. Nei procedimenti cautelari reali la sussistenza dell’interesse è strettamente collegata alla richiesta di restituzione del bene, sicché è onere di chi impugna indicare, a pena di inammissibilità, oltre all’avvenuta esecuzione del sequestro, le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che sostengono la sua relazione con la cosa sottoposta a sequestro, relazione che consentirebbe la restituzione del bene a chi impugna (Sez. 3 – n. 16352 del 11/01/2021 Rv. 281098 – 01).

Facendo applicazione dei predetti principi nel caso in esame, va osservato come appaia approssimativa e generica, se non evanescente, ogni indicazione circa la specifica relazione di fatto tra ciascuno degli attuali ricorrenti e uno specifico bene tra quelli in sequestro, che possa fondare il concreto interesse al ricorso. Nessuna specifica e puntuale indicazione per ciascun riccorrente emerge in tal senso nella ordinanza impugnata né nei rispettivi ricorsi qui proposti.

Quanto alla ordinanza impugnata, piuttosto, il tribunale del riesame ha dato atto (cfr. pag. 7 della ordinanza impugnata) della circostanza per cui taluni indagati, non meglio specificati, né tantomeno indicati nei presenti ricorsi come distinti dagli attuali ricorrenti, abbiano sostenuto di non avere “mai di fatto utilizzato le abitazioni nella disponibilità esclusiva di altri propri familiari”. Così riferendo un dato che, se inerente a taluno dei ricorrenti, sarebbe idoneo ad escludere per ciascuno di essi qualsivoglia concreto interesse al ricorso, per assenza di ogni ipotetica restituibilità al medesimo di uno specifico bene sequestrato.

Quanto ai ricorsi proposti, il solo, unico e generico riferimento alla usucapione da parte di non meglio specificati “privati” ovvero alla mera usucapibilità delle aree sequestrate è del tutto inidoneo a superare il generico quadro così emergente, circa il concreto interesse ad impugnare.

Già sotto tale aspetto, quindi, i ricorsi risultano inammissibili.

3. In ogni caso, con riferimento al primo motivo dedotto, la censura proposta mediante contestazione del riconoscimento della demanialità marittima dell’area di interesse, elaborata attraverso l’illustrazione di plurimi dati diversamente interpretati rispetto al tribunale del riesame oppure oggetto di una diversa ricostruzione fattuale o anche di una diversa considerazione della portata significativa, esula dal perimetro dei vizi deducibili in sede di ricorso inerente misure cautelari reali.

In proposito, va ribadito che il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli errores in iudicando o in procedendo, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (cfr. Sez. 2, n. 18951 del 14/03/2017 Rv. 269656 – 01; Sez. U. n. 25932 del 29/05/2008, Rv. 239692).

Si è altresì specificato che in caso di ricorso per cassazione proposto contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo esso, pur consentito solo per violazione di legge, è ammissibile quando la motivazione del provvedimento impugnato sia del tutto assente o meramente apparente, perché sprovvista dei requisiti minimi per rendere comprensibile la vicenda contestata e l'”iter” logico seguito dal giudice nel provvedimento impugnato (Sez. 6, Sentenza n. 6589 del 10/01/2013 Rv. 254893).

Nel caso in esame, a fronte di una articolata decisione fondata sulla organica illustrazione e interpretazione di plurimi elementi, i ricorrenti hanno contrapposto una diversa ricostruzione, analisi e interpretazione degli stessi ovvero di altri dati disponibili. Cosicchè, lungi dal denunziare una motivazione assente, atteso che lo sforzo profuso assume come chiaro e necessario parametro le articolate elaborazioni argomentative del tribunale, hanno sollevato critiche ad un percorso motivazionale così formulato dal collegio della cautela; critiche come tali inevitabilmente riconducibili al piano della correttezza motivazionale della decisione. Senza che, quindi, possa valere in alcun modo il richiamo formale, contenuto nell’incipit dei ricorsi, a vizi di violazione o erronea applicazione della legge.

Laddove, come noto, tali vizi presuppongono la sussistenza di dati obiettivi ed incontroversi da esaminare nella loro appurata integralità – così da escludere ogni valutazione sulla relativa ricostruzione ovvero ogni riflessione inclusiva o esclusiva di taluni dei dati esaminati dalla autorità giudiziaria, tipica delle questioni in tema di vizi motivazionali -, in modo tale da lasciare spazio solo a disquisizioni sulla corretta qualificazione giuridica dei medesimi.

Diversamente dal caso concreto.

4. Le considerazioni sopra esposte rendono pleonastico e assorbono l’esame degli ulteriori vizi dedotti.

4. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che i ricorsi debbano essere dichiarati inammissibili, con conseguente onere per i ricorrenti, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che i ricorsi siano stati presentati senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che i ricorrenti versino la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di € 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende

Così deciso in Roma, il 12 marzo 2021

 

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