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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Diritto processuale amministrativo Numero: 2692 | Data di udienza: 26 Settembre 2022

PROCESSO AMMINISTRATIVO – Notificazione viziata da nullità – Eseguita presso la sede reale dell’Amministrazione e non presso la competente Avvocatura distrettuale – Effetto interruttivo del termine di prescrizione – Presupposti – Effetto sospensivo ex art. 2945, c. 2 c.c. – Inidoneità (Massima a cura di Francesca D’Angelo)


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 1^
Regione: Sicilia
Città: Catania
Data di pubblicazione: 13 Ottobre 2022
Numero: 2692
Data di udienza: 26 Settembre 2022
Presidente: Savasta
Estensore: Savasta


Premassima

PROCESSO AMMINISTRATIVO – Notificazione viziata da nullità – Eseguita presso la sede reale dell’Amministrazione e non presso la competente Avvocatura distrettuale – Effetto interruttivo del termine di prescrizione – Presupposti – Effetto sospensivo ex art. 2945, c. 2 c.c. – Inidoneità (Massima a cura di Francesca D’Angelo)



Massima

TAR SICILIA, Catania, Sez. 1^ – 13 ottobre 2022, n. 2692

PROCESSO AMMINISTRATIVO – Notificazione viziata da nullità – Eseguita presso la sede reale dell’Amministrazione e non presso la competente Avvocatura distrettuale – Effetto interruttivo del termine di prescrizione – Presupposti – Effetto sospensivo ex art. 2945, c. 2 c.c. – Inidoneità.

La notificazione del ricorso viziata da nullità, in quanto eseguita presso la sede reale dell’amministrazione (nel caso di specie, una Gestione Stralcio – ex U.S.L.) e non già presso la competente Avvocatura distrettuale, produce un effetto interruttivo istantaneo del termine di prescrizione laddove possa essere considerata alla stregua di una richiesta scritta stragiudiziale di adempimento rivolta dal creditore al debitore. Di contro, una tale notificazione non è tuttavia idonea a determinare l’effetto sospensivo della prescrizione stabilito, sino alla definizione del giudizio, dall’art. 2945, comma 2, c.c., il quale opera solo in presenza di una regolare vocatio in ius e di una corretta instaurazione del processo, ove si osservi, peraltro, che il dominus della gestione processuale è l’Avvocatura dello Stato che, ove non conosca l’esistenza del giudizio, non può contraddire nel processo. Ne consegue che la rinnovazione della notificazione del ricorso, eventualmente disposta dal giudice amministrativo in attuazione della sentenza della Corte Costituzionale n. 148/2021 (che ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 44, comma 4, c.p.a. nella parte in cui non consente la rinnovazione della notificazione anche nel caso in cui l’esito negativo della stessa sia imputabile parte), non può ritenersi «idonea a determinare effetti interruttivi del corso della prescrizione con decorrenza retroattiva alla data della notificazione invalida» (si cfr. Cass. Civ., sez. I, 16 maggio 2013, n. 11985) e, in altri termini, non retroagisce sulle prescrizioni eventualmente già maturate. Queste ultime, ove eccepite dall’Avvocatura dello Stato in seguito alla rinnovazione della notifica, possono dunque essere accertate dal giudice amministrativo in sede di cognizione sul merito.

Pres. ed Est. Savasta – M.T. (avv. Pellicano’) c. Regione Siciliana – Assessorato Regionale della Salute (Avv. Stato) e altri (n.c.)


Allegato


Titolo Completo

TAR SICILIA, Catania, Sez. 1^ – 13 ottobre 2022, n. 2692

SENTENZA

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia

sezione staccata di Catania (Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3388 del 1998, proposto da
Merenda Tyndareo, rappresentato e difeso dall’avvocato Antonino Pellicano’, con domicilio eletto presso lo studio Salvatore Cittadino in Catania, via O.Scammacca, 23/C;

contro

Azienda Unità Sanitaria Locale n. 5 – Messina e Gestione Stralcio Az. Usl n. 5 (ex Usl n. 41) Messina, non costituite in giudizio;
Regione Siciliana – Assessorato Regionale della Salute, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Distrettuale Catania, domiciliataria ex lege in Catania, via Vecchia Ognina, 149;

per la condanna

dell’Ente convenuto al pagamento in favore dell’istante delle somme allo stesso spettanti a titolo di rivalutazione e interessi legali, calcolate sulle competenze tardivamente corrisposte al ricorrente a titolo di conguaglio dovuto a seguito di inquadramento contrattuale ex d.P.R. 384/1990, nonché gli ulteriori interessi sulla rivalutazione calcolati fino alla data della sentenza.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio della Regione Siciliana – Assessorato Regionale della Salute;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l’art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.;

Relatore all’udienza straordinaria di smaltimento dell’arretrato del giorno 26 settembre 2022 il dott. Pancrazio Maria Savasta;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1. Il ricorrente è un dipendente a tempo pieno presso l’Azienda Ospedaliera Papardo (ex U.S.L. n. 41) di Messina, con la qualifica di Aiuto Corresponsabile Ospedaliero.

Ha esposto che, con deliberazione del 4 luglio 1995 (n. 2717/CS – recante rettifica della deliberazione n. 3263/AS), l’Ente intimato, in applicazione del d.P.R. n. 384/1990, ha provveduto all’inquadramento e all’attribuzione del trattamento economico con decorrenza giuridica 1 gennaio 1988 e decorrenza economica 1 luglio 1988, disponendo in suo favore la liquidazione della somma di £ 7.191.962 a titolo di conguaglio.

Presupposto il carattere tardivo del pagamento corrisposto dall’Ente intimato, il ricorrente ha quindi agito per ottenere l’accertamento del proprio diritto a percepire le somme corrispondenti alla svalutazione monetaria e agli interessi legali, con la conseguente condanna dell’Ente al pagamento delle suddette somme, ivi incluse le ulteriori conseguenze ex art. 1283 c.c..

2. Con sentenza del 4 marzo 2019, n. 404 della Terza Sezione di questo Tribunale, il ricorso è stato dichiarato inammissibile in quanto non «notificato al soggetto effettivamente legittimato, cioè all’Amministrazione Regionale (cui il gravame andava notificato presso l’Avvocatura Distrettuale dello Stato) e, segnatamente, alla “gestione stralcio”, successivamente trasformata in “gestione liquidatoria”».

Con sentenza del 4 gennaio 2022, n. 9, pur condividendo le argomentazioni riferibili alla nullità della notificazione espresse nella sentenza n. 404/2019, il C.G.A.R.S. ha tuttavia accolto l’appello interposto nei confronti della stessa, disponendone l’annullamento con rinvio ai sensi dell’art. 105 c.p.a..

In particolare, secondo la detta decisione, a fronte della declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 44, co. 4, c.p.a. nella parte in cui per il rinnovo della notificazione affetta da nullità ritiene necessario che l’esito negativo dipenda da causa non imputabile al notificante (si cfr. Corte costituzionale, sentenza n. 148/2021), il giudice di primo grado non avrebbe potuto dichiarare tout court l’inammissibilità del ricorso, ma, accertata la nullità della notificazione, avrebbe dovuto piuttosto disporne la rinnovazione.

4. In data 25 marzo 2022, il ricorrente ha depositato atto di riassunzione del giudizio di primo grado, notificato in pari data alla Gestione Liquidatoria – Stralcio ex USL n. 41 Me/Nord; all’Azienda USL n. 5 di Messina – oggi ASP n. 5 di Messina, nonché alla Regione Siciliana Assessorato della Salute – Gestione Liquidatoria – Stralcio ex USL n. 41 Me/Nord.

5. Seguiva, in data 26 aprile 2022, la costituzione dell’Assessorato Regionale della Salute che, con memoria del successivo 14 luglio, ha dedotto ex adverso:

i) l’intervenuta prescrizione dei crediti vantati dal ricorrente stante l’assenza, durante il quinquennio antecedente la notifica del ricorso all’Amministrazione Regionale, di atti interruttivi della stessa;

ii) il divieto di cumulo tra interessi e rivalutazione monetaria sulle somme pretese.

6. In riscontro a tali eccezioni, con memoria del 5 agosto 2022, il ricorrente ha replicato: i) l’inammissibilità dell’eccezione di prescrizione per tardività, non essendo stata sollevata dalla resistente Regione Sicilia nel primo atto difensivo di costituzione in giudizio;

ii) l’infondatezza della stessa, in quanto la legittimazione passiva dell’Ente Regione avrebbe non già natura sostitutiva bensì concorrente con quella dell’organo di liquidazione che ha una propria ed autonoma soggettività;

iii) l’infondatezza dell’eccezione relativa al divieto di cumulo tra interessi e rivalutazione monetaria.

7. All’udienza straordinaria del 26 settembre 2022, tenutasi da remoto, la causa veniva trattenuta in decisione.

DIRITTO

Va preliminarmente scrutinata l’assorbente eccezione di prescrizione formulata dall’Amministrazione Regionale.

Va premesso che parte ricorrente ha provveduto a effettuare autonomamente la notifica disposta con la decisione n. 9/2022 del Giudice di seconde cure e che avrebbe dovuto curare questo Tribunale, sicché la causa, essendo già stato assolto il disposto incombente processuale, può essere trattata nel merito, non essendo necessaria, in quanto intervenuta, la fase di rinnovo della notificazione del ricorso di primo grado alla gestione liquidatoria-stralcio presso la competente Avvocatura distrettuale.

Ciò preliminarmente precisato, va anzitutto disattesa l’eccezione, formulata dal ricorrente nella memoria di replica del 5 agosto 2022, di tardività dell’eccezione.

Invero, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, il processo amministrativo non contempla le preclusioni processuali di cui all’art. 167 c.p.c.; l’eccezione di prescrizione può essere pertanto proposta anche dopo la scadenza del termine di costituzione in giudizio delle amministrazioni intimate in primo grado (si cfr., inter alia, Consiglio di Stato, sez. IV, 28 giugno 2018, n. 3977; Id., 8 febbraio 2016, n. 488, ove è affermato che l’eccezione può essere sollevata anche con la memoria conclusiva del giudizio e persino nel corso dell’udienza di discussione del ricorso; T.A.R. Catania, sez. II, 27 marzo 2013, n. 898).

Ciò premesso, nell’esaminare l’eccezione di prescrizione e la replica articolata dal ricorrente, va precisato che non è in discussione se il Responsabile dell’Ufficio Stralcio per l’ex USL n. 41 Messina possa ritenersi titolare della legittimazione sostanziale e processuale per i rapporti creditori e debitori delle soppresse USL, in quanto, come chiarito dalla Corte di legittimità (cfr. S.S.U.U., 20 giugno 2012, n. 10135) «la legittimazione sostanziale (e processuale) concernente i rapporti creditori e debitori conseguenti alla soppressione delle USL spett [a] comunque alle Regioni; nonchè in alternativa (anche) alle gestioni stralcio – che prolungano la soggettività degli enti soppressi durante a fase liquidatoria – almeno fino a quando le stesse non siano definitivamente e formalmente chiuse con apposito provvedimento. Non senza ribadire quanto già evidenziato nella decisione 4647/2002, che tale ultima legittimazione risponde soltanto a criteri amministrativo – contabili, intesi ad assicurare la distinzione delle passività già gravanti sugli enti soppressi rispetto alla corrente gestione economa degli enti successori; sicché anche sotto questo profilo non ne è predicabile il carattere esclusivo».

Piuttosto, la questione rilevante è se possa riconoscersi efficacia interruttiva della prescrizione alla notifica effettuata presso la sede reale della Gestione Stralcio e non presso la competente Avvocatura distrettuale, essendo tale gestione parte organica della Regione.

Va ulteriormente premesso che non giova la notifica effettuata presso la sede dell’Usl del ricorso originario, posto che, come rammentato dalla decisione del CGA del 4 gennaio 2022, n. 9, che ha restituito il contenzioso ex art. 105 c.p.a. a questo Tribunale, «a seguito della costituzione delle così dette “gestioni-stralcio”, e poi delle “gestioni liquidatorie”, si è distinta, mediante un espediente contabile, l’attività di accertamento delle obbligazioni degli enti soppressi da quella relativa alle aziende di nuova istituzione; le regioni hanno attribuito le funzioni di commissari liquidatori ai direttori generali delle Asl, i quali, tra l’altro, amministrano e liquidano le situazioni debitorie delle Usl esistenti alla data di subentro delle nuove aziende. Fino a quando non si disporrà con un provvedimento specifico l’estinzione delle gestioni liquidatorie, già gestioni-stralcio, la legittimazione processuale spetta soltanto ad esse, perché, pur essendo prive di personalità giuridica e agendo nell’interesse e per conto dell’ente regionale, hanno un’autonomia funzionale, amministrativa e contabile e una propria capacità processuale, sia pure limitata alla gestione».

Consegue che la legittimazione processuale appartiene alle gestioni stralcio e/o alla Regione, ma non già alle disciolte UUSSLL, sicché la loro intimazione può dirsi tamquam non esset.

Ulteriore conseguenza è che non esiste una legittima notifica rivolta a un coobbligato in solido, di guisa che non può essere neanche condiviso il riferimento che parte ricorrente assume all’art. 1310 c.c..

Ciò posto, l’art. 2943 del c.c. stabilisce al primo comma che la prescrizione è interrotta dalla notificazione dell’atto con il quale si inizia un giudizio – di cognizione, conservativo o esecutivo – ovvero dalla domanda proposta nel corso di un giudizio.

L’art. 2945 del c.c. disciplina poi gli effetti e la durata dell’interruzione, stabilendo che «1. Per effetto della interruzione s’inizia un nuovo periodo di prescrizione. 2. Se l’interruzione è avvenuta mediante uno degli atti indicati dai primi due commi dell’articolo 2943, la prescrizione non corre fino al momento in cui passa in giudicato la sentenza che definisce il giudizio [324 c.p.c.]. 3. Se il processo si estingue [306 c.p.c.], rimane fermo l’effetto interruttivo e il nuovo periodo di prescrizione comincia dalla data dell’atto interruttivo».

Con riferimento alla questione rilevante nell’odierna controversia, ossia se alla notificazione viziata da nullità possa essere ugualmente riconosciuta efficacia interruttiva della prescrizione, il Collegio non ignora l’esistenza di alcuni risalenti (e isolati) orientamenti della Suprema Corte di Cassazione che riconoscono l’effetto interruttivo protratto (ai sensi dell’art. 2945, comma 2, c.c.) all’atto di citazione affetto da nullità anche nell’ipotesi in cui il giudizio si concluda con una sentenza dichiarativa della nullità della notificazione (sentenza 23 maggio 1997 n. 4630, seguita dalla sentenza del 28 novembre 2001, n. 15075).

Al riguardo, ritiene tuttavia condivisibili le puntuali argomentazioni sviluppate dalla Corte di Legittimità, Prima Sezione Civile nella sentenza n. 11985 del 16 maggio 2013, secondo cui «15. Tra le ragioni per le quali una sentenza definisce il giudizio con una pronuncia non di merito occorre, in effetti, operare una distinzione fondamentale, tra quelle che attengono alla regolare instaurazione del contraddittorio delle parti del rapporto soggetto a prescrizione, e tutte le altre ragioni di rito. E’ vero che alla regola dettata dall’art. 2945, c.p.c., comma 2 è prevista la sola eccezione costituita dall’estinzione del giudizio (art. 2945, comma 3): ma la regola verte soltanto sugli effetti sospensivi che conseguono all’interruzione della prescrizione a norma dell’art. 2943, e presuppone tale interruzione.

Se si ha riguardo, invece, all’interruzione istantanea provocata dallo stesso atto, che è a monte, si deve constatare che l’art. 2943 non offre indicazioni diverse da quelle che si ricavano dai principi generali. L’unico caso speciale contemplato dalla citata disposizione, che non esclude l’interruzione, è quello dell’incompetenza del giudice.

L’ampliamento di questa ipotesi a tutte le altre che portano ad una definizione del processo con una pronuncia di rito è del tutto ragionevole e condivisibile, sin quando non contrasti con il principio per il quale la prescrizione è interrotta da un atto di esercizio del diritto che sia stato portato regolarmente a conoscenza dell’obbligato.

Sarebbe invece in violazione delle regole desumibili dallo stesso art. 2943 c.c. assumere che un effetto interruttivo della prescrizione sia ricollegabile anche alla notificazione dell’atto introduttivo che sia affetta da nullità, tale da impedire l’instaurazione del contraddittorio, sol perchè questa nullità potrebbe essere successivamente sanata, e indipendentemente dal fatto che poi la sanatoria vi sia stata.

16. L’incidenza dell’istituto della sanatoria della nullità processuali, e specificamente della nullità della notificazione dell’atto introduttivo, sulla disciplina degli effetti interruttivi della prescrizione deve essere pertanto contemperata con il principio, chiaramente desumibile dall’art. 2943 c.c., del carattere recettizio dell’atto interruttivo.

Su questo punto, come si è premesso, l’insegnamento consolidato della corte (anche successivo alla sentenza ripetutamente richiamata n. 4630/1997, e a quella successiva conforme 28 novembre 2001 n. 15075) è espresso dal principio che la rinnovazione della notificazione nulla di un atto di citazione a giudizio (disposta ed eseguita a mente del disposto dell’art. 291 c.p.c.) non può ritenersi idonea a determinare effetti interruttivi del corso della prescrizione con decorrenza retroattiva alla data della notificazione invalida, avendo la norma civilistica (nel sancire espressamente che la prescrizione è interrotta dalla notificazione dell’atto introduttivo del giudizio) stabilito un’innegabile connessione tra effetto interruttivo e natura recettizia dell’atto, con la conseguenza che la mancata introduzione, nella sfera giuridica del destinatario, dell’atto di notifica nullo non consentirà in alcun modo a quest’ultimo di risultare funzionale alla produzione dell’effetto retroattivo citato, a nulla rilevando la disposizione di cui all’art. 291 c.p.c., comma 1, la quale, stabilendo che “la rinnovazione della citazione nulla impedisce ogni decadenza”, non ha inteso riferirsi all’istituto della prescrizione (da ultimo, Cass. 7 luglio 2006 n. 15489)».

Tale principio di diritto, peraltro, risulta richiamato da successive pronunce della Cassazione Civile (sez. lav., sentenza dell’11 agosto 2020, n. 16872; sez. VI, sentenza del 27 marzo 2017, n. 7847; sez. I, 29 novembre 2013, n. 26804).

In altri termini, occorre distinguere l’effetto interruttivo istantaneo, dal quale riprende il decorso del termine, che (cfr. Cassazione civile sez. III, 8 gennaio 2020, n. 124) si realizza con «l’atto di citazione, notificato pacificamente a tutti gli attuali contraddittori, (che) aveva i requisiti necessari e sufficienti per poter valere quale atto di costituzione in mora e, quindi, quale atto interruttivo della prescrizione, ai sensi dell’art. 2943 c.c., comma 4 (Cass. n. 03616 del 7 agosto 1989 Rv. n. 463565-01)», dall’atto interruttivo che, altresì, sospende il decorso del termine sino alla definizione del giudizio, non ricollegabile all’«atto di citazione, pur se invalido come domanda giudiziale, inidoneo cioè a produrre effetti processuali, (che) può tuttavia valere come atto di Costituzione in mora, ed avere perciò l’efficacia interruttiva della prescrizione, qualora, per il suo specifico contenuto e per i risultati cui è rivolto, possa essere considerato come richiesta scritta stragiudiziale di adempimento rivolta dal creditore al debitore».

L’atto notificato alla parte personalmente, quindi, assume un valore certamente interruttivo, ma non processuale, ove, per altro, si osservi che il dominus della gestione processuale è l’Avvocatura dello Stato, che, ove non conosca, come nel caso di specie, l’esistenza del giudizio, non può contraddire nel processo, che, quindi, non può dirsi essersi correttamente instaurato.

Per tale ragione, ad avviso del Collegio, l’effetto sospensivo stabilito dall’art. 2945, comma 2, c.c. non può operare in assenza di una regolare vocatio in ius, sia pur sanabile e, come nel caso di specie, sanata, mancando, sino alla corretta instaurazione del rapporto processuale, il contraddittorio e la conoscenza, prima ancora, della stessa esistenza del processo.

Nel caso di specie, l’atto introduttivo del giudizio, quindi, è stato validamente notificato al debitore (id est, la “Gestione stralcio” poi divenuta “Liquidatoria”, istituita presso l’Amministrazione Regionale) soltanto in data 25 marzo 2022, in seno alla riassunzione del ricorso introduttivo del giudizio.

Ne consegue che il credito vantato, maturato tra il 18 gennaio 1991 (id est, decorsi trenta giorni dalla pubblicazione del regolamento d.P.R. n. 384/1990 in Gazzetta Ufficiale, come previsto dagli articoli 5 e 75 dello stesso) e il successivo 4 luglio 1995, deve ormai ritenersi prescritto sia ai sensi dell’art. 2948 c.c. (che individua in cinque anni il termine di prescrizione “degli interessi e, in generale, di tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad anno o in termini più brevi”) che ai sensi dell’art. 2946 c.c.

Osserva, infine, il Collegio che, sia pur considerato l’effetto retroattivo del valore della decisione della Corte costituzionale, a fondamento della quale risposa l’annullamento da parte del CGA della sentenza di inammissibilità di questo Tribunale, in precedenza il ricorso, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza, così come avvenuto, sarebbe stato dichiarato inammissibile per difetto palese di notifica, tale da non poter giustificare neanche la scusabilità dell’errore.

Per completezza, il Collegio evidenzia come, nel caso di specie, la prescrizione dei crediti retributivi, inclusi i relativi accessori, decorra anche in costanza del rapporto di impiego pubblico.

Le pretese patrimoniali, infatti, soggiacciono al termine di prescrizione quinquennale di cui all’art. 2948, comma 4, c.c. secondo il quale “si prescrivono in cinque anni gli interessi e, ingenerale, tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad anno o in termini più brevi”.

È vero che, con sentenza 10 giugno 1966, n. 63, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della suddetta previsione, nella parte in cui consente che la prescrizione del diritto alla retribuzione decorra durante il rapporto di lavoro. Tale principio, tuttavia, è stato delimitato con le successive sentenze del 20 novembre 1969, n. 143, e 12 dicembre 1972, n. 174, ove è precisato che esso non trova applicazione in situazioni di stabilità del posto di lavoro e cioè nei rapporti di pubblico impiego ed in quelli garantiti dall’art. 1, della legge 15 luglio 1966, n. 604, e dall’art. 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300 (Statuto dei lavoratori).

Come evidenziato dal Consiglio di Stato, sez. V, 14 settembre 2012, n. 4890, «sulla base di questo orientamento si fondano numerose pronunce del Consiglio di Stato, con le quali si è affermato che “è pacifico che il principio della non decorrenza del termine di prescrizione dei crediti di lavoro durante il rapporto lavorativo è stato introdotto per i soli rapporti di diritto privato e limitatamente ai rapporti non soggetti alla cosiddetta “tutela forte” del lavoratore e non invece per i rapporti di pubblico impiego, caratterizzati da una adeguata protezione contro forme arbitrarie di licenziamento” (in tal senso C.di S., VI, 16 novembre 2000, n. 4417, e C.di S., VI, 31 luglio 2003 n. 6140, che riprendono C. di S., V, n. 159/95). Infatti “il datore di lavoro pubblico, in quanto istituzionalmente vincolato alle regole sulla discrezionalità amministrativa ed ai principi costituzionali di buon andamento e imparzialità è in condizione di operare una pressione ridotta rispetto ai propri dipendenti, anche su quelli a tempo”(C. di S., VI, n. 8 del 2001).

Pertanto “il termine di prescrizione dei crediti retributivi relativi ad un rapporto di lavoro con la P.A., per tutte le pretese riconosciute ai pubblici dipendenti che hanno natura retributiva, è quinquennale e decorre in costanza del rapporto stesso sebbene questo abbia carattere provvisorio o temporaneo, in quanto non è sostenibile, per la natura del rapporto, che il dipendente pubblico possa essere esposto a possibili ritorsioni e rappresaglie quando egli tuteli in via giudiziale i propri diritti ed interessi” (C. di S., V, 17 febbraio 2004, n. 601; C.di S., V, 10 novembre 1992 n. 1243; C.d.S. sez. VI, 31 luglio 2003 4417; C.d.S. sez. VI, 16 novembre 2000 n. 6140; così anche le sentenze del Consiglio di Stato, sezione V, depositate il 3 aprile 2007 nn. 1486, 1487, 1488, 1489, 1490, 1491, 1492, 1493, 1494, 1495, 1496, 1497, 1498, 1499, 1500, 1501, 1502, 1503, 1504)».

Alla luce delle suesposte considerazioni, il ricorso va respinto.

La complessa vicenda giustifica l’integrale compensazione delle spese.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia sezione staccata di Catania (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Catania nella camera di consiglio del giorno 26 settembre 2022 con l’intervento dei magistrati:

Pancrazio Maria Savasta, Presidente, Estensore

Giacinta Serlenga, Consigliere

Giuseppina Alessandra Sidoti, Consigliere

IL PRESIDENTE, ESTENSORE
Pancrazio Maria Savasta

IL SEGRETARIO

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