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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Beni culturali ed ambientali, Diritto urbanistico - edilizia Numero: 296 | Data di udienza: 1 Dicembre 2022

BENI CULTURALI ED AMBIENTALI – Abusi edilizi commessi in aree sottoposte a vincolo paesaggistico – C.d. interventi di minore – Restauro, risanamento conservativo e manutenzione straordinaria – Parere favorevole dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo – Necessità – Artt.142, 146, 181, D.Lgs. n. 42/2004 – Effetti della prosecuzione dei lavori edilizi su un immobile abusivo dopo la scadenza del termine per il condono – DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Violazioni edilizie – Cd. procedura di «fiscalizzazione» dell’abuso – Opere realizzate in zona sottoposta a vincolo paesaggistico – Presupposti e limiti – Artt. 33, 34, 44 lett. c) D.P.R. n. 380/2001 e s.m.i.


Provvedimento: SENTENZA
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 10 Gennaio 2023
Numero: 296
Data di udienza: 1 Dicembre 2022
Presidente: RAMACCI
Estensore: SEMERARO


Premassima

BENI CULTURALI ED AMBIENTALI – Abusi edilizi commessi in aree sottoposte a vincolo paesaggistico – C.d. interventi di minore – Restauro, risanamento conservativo e manutenzione straordinaria – Parere favorevole dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo – Necessità – Artt.142, 146, 181, D.Lgs. n. 42/2004 – Effetti della prosecuzione dei lavori edilizi su un immobile abusivo dopo la scadenza del termine per il condono – DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Violazioni edilizie – Cd. procedura di «fiscalizzazione» dell’abuso – Opere realizzate in zona sottoposta a vincolo paesaggistico – Presupposti e limiti – Artt. 33, 34, 44 lett. c) D.P.R. n. 380/2001 e s.m.i.



Massima

CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. 3^, 10 gennaio 2023 (Ud. 01/12/2022), Sentenza n.396

BENI CULTURALI ED AMBIENTALI – Abusi edilizi commessi in aree sottoposte a vincolo paesaggistico – C.d. interventi di minore – Restauro, risanamento conservativo e manutenzione straordinaria – Parere favorevole dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo – Necessità – Artt.142, 146, 181, D.Lgs. n. 42/2004 – Effetti della prosecuzione dei lavori edilizi su un immobile abusivo dopo la scadenza del termine per il condono.

In tema di abusi edilizi commessi in aree sottoposte a vincolo paesaggistico, il condono previsto dall’art. 32 del d.l. n. 269 del 2003 (convertito, con modificazioni, dalla legge n. 326 del 2003) è applicabile esclusivamente agli interventi di minore rilevanza indicati ai numeri 4, 5 e 6 dell’allegato 1 del citato d.l. (restauro, risanamento conservativo e manutenzione straordinaria) e previo parere favorevole dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo, mentre non sono in alcun modo suscettibili di sanatoria le opere abusive di cui ai precedenti numeri 1, 2 e 3 del medesimo allegato, anche se l’area è sottoposta a vincolo di inedificabilità relativa e gli interventi risultano conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici. Inoltre, va ribadito che se si proseguono i lavori edilizi su un immobile abusivo dopo la scadenza del termine per il condono, senza che il permesso in sanatoria sia stato rilasciato, si producono due effetti giuridici: la commissione di un ulteriore reato, trattandosi di lavori edilizi su immobile abusivo, e la non concedibilità del condono richiesto, perché la data a cui fa riferimento la legge serve a fotografare la situazione di fatto esistente su cui valutare la possibilità di rilasciare il titolo in sanatoria.

 

DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Violazioni edilizie – Cd. procedura di «fiscalizzazione» dell’abuso – Opere realizzate in zona sottoposta a vincolo paesaggistico – Presupposti e limiti – Artt. 33, 34, 44 lett. c) D.P.R. n. 380/2001 e s.m.i..

In tema di violazioni edilizie, la cd. procedura di «fiscalizzazione» dell’abuso di cui all’art. 34, comma 2, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 trova applicazione, in via esclusiva, per gli interventi eseguiti in parziale difformità dal permesso di costruire, e non equivale ad una «sanatoria» dell’abuso edilizio, in quanto non integra una regolarizzazione dell’illecito e non autorizza il completamento delle opere realizzate. Per cui, per le opere eseguite in parziale difformità, quando la demolizione non può avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità, il dirigente dell’ufficio preposto dispone, in luogo della demolizione, una sanzione amministrativa più elevata – non è mai applicabile alle opere realizzate in zona sottoposta a vincolo paesaggistico, perché queste non possono essere mai essere ritenute «in parziale difformità», atteso che tutti gli interventi realizzati in tale zona eseguiti in difformità dal titolo abilitativo si considerano in variazione essenziale e, quindi, in difformità totale rispetto all’intervento autorizzato.

(dich. inammissibile il ricorso avverso ordinanza del 28/04/2022 della CORTE APPELLO di NAPOLI) Pres. RAMACCI, Rel. SEMERARO, Ric. Fusco


Allegato


Titolo Completo

CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. 3^, 10/01/2023 (Ud. 01/12/2022), Sentenza n.396

SENTENZA

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE

composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

omissis

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da FUSCO L. nato a AGEROLA;

avverso l’ordinanza del 28/04/2022 della CORTE APPELLO di NAPOLI;

udita la relazione svolta dal Consigliere LUCA SEMERARO;

Lette le conclusioni del PG LUIGI GIORDANO. Il Proc. Gen. conclude per l’inammissibilità del ricorso;

RITENUTO IN FATTO

1. Con l’ordinanza del 28 aprile 2022 la Corte di appello di Napoli ha rigettato l’istanza di L. Fusco di revoca dell’ordine di demolizione emesso dalla Procura Generale della Repubblica presso la Corte di appello di Napoli in esecuzione della sentenza del Tribunale di Torre Annunziata del 20 gennaio 2000, parzialmente riformata dalla Corte di appello di Napoli con la sentenza del 5 gennaio 2001, irrevocabile il 1 aprile 2001.

Da tale ordinanza risulta che L. Fusco fu condannata per la realizzazione, accertata il 27 settembre 1995, in zona vincolata, in assenza di permesso di costruire e di autorizzazione paesistica, di un locale adibito a garage e di altri due locali di 121,28 mc e 30,11 mc.

Poiché per il locale adibito a garage era stata presentata il 1 marzo 1995 istanza di condono edilizio, il sequestro preventivo fu eseguito solo sugli altri due locali per i quali il 27 marzo 1996 fu emessa l’ordinanza sindacale n. 63 di demolizione.

La condanna ha avuto ad oggetto anche le opere accertate il 25 ottobre 1996 perché l’imputata proseguì la costruzione del locale di 121,28 mc, che fu completato, con impianti e rifiniture. Si accertò, altresì, la costruzione di un locale cantina di mq. 30.16.

2. Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il difensore di L. Fusco.

2.1. Con il primo motivo si deduce la violazione degli artt. 3, comma 1, lett. d), e 10, comma 1, lett. c), d.P.R. n. 380 del 2001, nonché degli artt. 32, 27, punto d), della legge n. 326 del 2003.

Il motivo è relativo alla ritenuta non sanabilità di un locale di circa 32 mq. con tetto ad andamento spiovente in legno e tegole in argilla per il quale il 10 ottobre 2004 era stata inoltrata istanza di condono per l’ampliamento di un fabbricato esistente ad uso deposito e realizzazione di un piccolo locale destinato ad uso residenziale per 13,20 mq.

Le opere realizzate concretizzerebbero una «ristrutturazione edilizia» e non, come ritenuto Corte territoriale in base alla consulenza tecnica dell’arch. Ciro Olíviero, costruzioni ex novo per le quali non è ammesso alcun condono edilizio, se costruite in area sottoposta a vincolo paesaggistico; inoltre, la superficie oggetto di condono edilizio ai sensi della legge n. 326 del 2003 sarebbe di 8,80 mq.

Le opere oggetto dell’ordine di demolizione non sorgerebbero, infatti, in zona sottoposta a vincolo di inedificabilità assoluta, ricadendo nell’ambito della Zona 61 del P.R.G., che prevederebbe per gli immobili ricompresi nella Zona B1 la possibilità di opere di manutenzione, risanamento conservativo e parziale ristrutturazione degli edifici, nonché interventi implicanti aumenti fino al 15% della superficie di pavimento.

Tuttavia, a causa della sottoposizione del territorio comunale di Agerola a vincolo paesaggistico, la Corte territoriale ha ritenuto che l’intervento edilizio realizzato non rientrasse nelle categorie di cui ai numeri 4, 5 e 6 dell’allegato 1 alla legge. n. 326 del 2003, non trovando così applicazione l’art. 3, comma 1, lett. d). d.P.R. n. 380 del 2001.

Le opere contestate sarebbero conformi all’art. 3, comma 1, lett. d), d.P.R. n. 380 del 2001; la sanabilità delle opere sarebbe riconducibile anche alla disciplina regionale: il Piano Urbanistico Territoriale della Penisola Sorrentino-Amalfitana (legge regionale n. 35 del 1987) prescrive che nelle zone territoriali di tipo B, per l’edilizia esistente si può consentire anche un incremento della superficie utile, nel rispetto delle norme tecniche fino ad un massimo del 15%.

L’art. 32, comma 27, punto d), della legge 326 del 2003 prevede la sussistenza di quattro requisiti al fine di ritenere un intervento edilizio non sanabile: la sussistenza di vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela di interessi idrogeologici, dei beni ambientali e paesistici, nonché dei parchi e delle aree protette nazionali, regionali e provinciali; l’anteriorità dell’imposizione del vincolo rispetto al compimento dell’abuso; la difformità alle prescrizioni urbanistiche di opere di non «minore rilevanza»; la mancanza del parere favorevole dell’autorità preposta al vincolo.

La possibilità di implementazione di superficie utile di pavimento non può escludere una variazione, sia pur contenuta, di sagoma, volumi, prospetto e sedime.

Tenuto conto delle circolari ministeriali in materia, della giurisprudenza e della nota prot. 7944 del 11 agosto 2021 del Consiglio dei Lavori Pubblici, l’opera oggetto dell’ordine di demolizione rientrerebbe nelle previsioni dell’art. 10, comma 1, lett. c), d.P.R. n. 380 del 2001, trattandosi di intervento di ristrutturazione edilizia, che comporta un organismo edilizio differente dal precedente con un aumento della volumetria complessiva nei limiti del 15% previsto per la Zona B1 dal piano urbanistico territoriale, così come da quello comunale; l’intervento sarebbe, altresì, conforme all’art. 3, comma 1, lett. d), d.P.R. n. 380 del 2001.

Inoltre, sussistendo la c.d. doppia conformità, l’opera sarebbe sanabile anche in base la legislazione sovracomunale e comunale.

La Corte di appello avrebbe dovuto qualificare l’intervento come ristrutturazione edilizia a norma degli artt. 3, comma 1, lett. d), e 10, comma 1, lett. c), d.P.R. n. 380 del 2001 e non come nuova costruzione.

2.2. Con il secondo motivo si deduce la nullità dell’ordinanza per violazione degli artt. 146 e 167 d.lgs. n. 42 del 2004, nonché dell’art. 32 della legge n. 47 del 1985.

La Corte territoriale di Napoli avrebbe erroneamente dichiarato l’illegittimità del provvedimento, ritenendo che il rilascio del titolo abilitativo edilizio in sanatoria per opere eseguite su immobili sottoposti a vincolo fosse necessariamente subordinato al parere della Sovrintendenza e che qualora questo non fosse stato espressamente formulato nel termine di 180 giorni, sarebbe maturato il silenzio rifiuto ai sensi dell’art. 32 della legge 47 del 1985.

L’evoluzione normativa e giurisprudenziale in materia di autorizzazione paesaggistica ha comportato la progressiva applicazione della procedura ordinaria ex art. 146 d.lgs. n. 42 del 2004, con conseguente applicazione del silenzio
assenso, in caso di inerzia dell’autorità preposta alla tutela del vincolo, così come avviene anche nel diverso procedimento di sanatoria paesaggistica ex art. 167 d.lgs. n. 42 del 2004.

Alla luce del tenore letterale dell’art. 182 d.lgs. n. 42 del 2004, non solo sarebbe inoppugnabile la legittimità del titolo edilizio, rilasciato previa verifica della doppia conformità e del rilascio dell’autorizzazione paesaggistica del 12 gennaio 2021, ma, alla luce della giurisprudenza in materia, sarebbe infondata la tesi secondo cui dovrebbe trovare applicazione la procedura aggravata ex art. 167 d.lgs. n. 42 del 2004. Anche in materia di condono edilizio dovrebbe trovare applicazione l’art. 146 d.lgs. n. 42 del 2004, che vede la Soprintendenza ricoprire un ruolo di amministrazione attiva, sia pure insieme alla Regione o, in caso di subdelega, al Comune.

2.3. Con il terzo motivo si deduce la nullità dell’ordinanza per violazione degli artt. 10-bis, 17-bis e 21-noníes della legge n. 241 del 1990.

La Corte territoriale avrebbe errato nel valutare come determinante il preavviso di parere negativo sulla compatibilità paesaggistica reso dalla Soprintendenza, con cui l’intervento edilizio realizzato dall’imputata veniva considerato tale da alterare gli elementi del paesaggio così come individuati dal P.U.T., producendo una diminuzione della qualità paesaggistica del sito protetto.

2.4. Con il quarto motivo si deduce l’omessa motivazione in relazione agli artt. 33, comma 2, e 34, comma 3, d.P.R. n. 380 del 2001. La Corte territoriale avrebbe omesso di motivare in relazione al diniego della possibilità di sostituire la sanzione della demolizione con la sanzione pecuniaria, possibilità prevista dalla legge qualora l’intervento ripristinatorio determini un grave pregiudizio per la parte eseguita in conformità. Tale motivazione sarebbe stata necessaria anche perché le perizie dimostrano che la demolizione delle opere inglobate nel manufatto principale, determinerebbero senza alcun dubbio un pregiudizio per l’intera struttura e per la sua fruibilità.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è manifestamente infondato.

1.1. Va preliminarmente rilevato che l’incidente di esecuzione si fondava su una descrizione delle opere (cfr. la prima pagina dell’istanza) diverse da quelle indicate nell’ordinanza impugnata quali oggetto della condanna e del conseguente ordine di demolizione.

L’istanza si fondava sulla presentazione dell’istanza di condono ai sensi della legge 226 del 2003 presso il comune di Agerola per le opere indicate, ritenute eseguite quale ristrutturazione edilizia.

Si invocava, poi, la compatibilità con lo strumento urbanistico e, ritenute le opere di ristrutturazione, l’applicazione dell’art. 33 d.P.R. n. 380 del 2001.

1.2. Orbene, in base alla consulenza tecnica fatta eseguire dal Procuratore generale, la Corte di appello ha rilevato che le opere oggetto dell’ordine di demolizione, dopo quella spontanea eseguita su un piccolo locale di 13 mq., sono costituite da una nuova volumetria di 32 mq., di una cantina di 30 mq. ricavata al piano interrato sottostante al locale di 32 mq., e realizzato in ampliamento di un locale adibito a garage (che secondo quanto riportato nella prima parte dell’ordinanza sarebbe stato abusivamente realizzato).

La Corte di appello ha ritenuto che l’ordine di demolizione debba essere confermato perché il permesso di costruire in sanatoria sarebbe stato illegittimamente concesso: è stato richiesto limitatamente al locale di mq. 32, dal comune di Agerola, quale condono ai sensi del d.l. n.269 del 2003, convertito con modificazioni dalla legge n. 326 del 2003.

1.3. La decisione della Corte di appello è del tutto corretta perché le opere realizzate, anche in tempi diversi, costituiscono indubbiamente una nuova costruzione, articolata in più nuove volumetrie, come prima indicato, e non opere di ristrutturazione edilizia.

La sussistenza del vincolo è stata accertata in via definitiva anche con la sentenza di condanna passata in giudicato.

1.3.1. Secondo il costante orientamento della giurisprudenza (cfr. Sez. 3, n. 40676 del 20/05/2016, Armenante, Rv. 268079), in tema di abusi edilizi commessi in aree sottoposte a vincolo paesaggistico, il condono previsto dall’art. 32 del d.l. n. 269 del 2003 (convertito, con modificazioni, dalla legge n. 326 del 2003) è applicabile esclusivamente agli interventi di minore rilevanza indicati ai numeri 4, 5 e 6 dell’allegato 1 del citato d.l. (restauro, risanamento conservativo e manutenzione straordinaria) e previo parere favorevole dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo, mentre non sono in alcun modo suscettibili di sanatoria le opere abusive di cui ai precedenti numeri 1, 2 e 3 del medesimo allegato, anche se l’area è sottoposta a vincolo di inedificabilità relativa e gli interventi risultano conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici.

Tutto il ricorso è volto, invece, a dimostrare che le nuove volumetrie realizzate costituiscano opere da qualificare quale ristrutturazione edilizia.

1.3.2. Inoltre, la Corte di appello ha ritenuto inapplicabile il condono del 2003 perché risulta, in base agli accertamenti del consulente tecnico, che dopo la presentazione dell’istanza di condono la ricorrente ha proseguito i lavori edili ampliando verso nord la copertura del fabbricato e realizzando una nuova volumetria.

Tale circostanza di fatto non è neanche contestata con il ricorso per cassazione.

Va ribadito che se si proseguono i lavori edilizi su un immobile abusivo dopo la scadenza del termine per il condono, senza che il permesso in sanatoria sia stato rilasciato, si producono due effetti giuridici: la commissione di un ulteriore reato, trattandosi di lavori edilizi su immobile abusivo, e la non concedibilità del condono richiesto, perché la data a cui fa riferimento la legge serve a fotografare la situazione di fatto esistente su cui valutare la possibilità di rilasciare il titolo in sanatoria.

Dunque, il condono del 2003 è inapplicabile nel caso de quo.

1.3.3. Manifestamente infondato è il motivo laddove fa riferimento alla cd. doppia conformità, posto che l’istanza di condono fu presentata in base alla legge del 2003.

1.4. Ne consegue che le argomentazioni relative al terzo motivo sono del tutto irrilevanti, oltre a non confrontarsi con la motivazione dell’ordinanza impugnata che ha correttamente distinto la procedura prevista dall’articolo 146 del codice dei beni culturali e del paesaggio da quella più rigorosa prevista per il condono edilizio del 2003.

2. Il quarto motivo è manifestamente infondato perché contrario al costante orientamento della giurisprudenza secondo cui, la disciplina prevista dall’art. 34, comma 2, del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (cosiddetta procedura di fiscalizzazione dell’illecito edilizio) trova applicazione, in via esclusiva, per gli interventi eseguiti in parziale difformità dal permesso di costruire, e non equivale ad una «sanatoria» dell’abuso edilizio, in quanto non integra una regolarizzazione dell’illecito e non autorizza il completamento delle opere realizzate (in motivazione la Corte ha precisato che le opere abusive vengono tollerate, nello stato in cui si trovano, solo in funzione di conservazione di quelle realizzate legittimamente; così Sez. 3, n. 28747 del 11/05/2018, Pellegrino, Rv. 273291 – 01).

Va ribadito il principio espresso da Sez. 3, n. 1443 del 18/11/2019, dep. 2020, Bellocco, Rv. 277724 – 01, per cui, in tema di violazioni edilizie, la cd. procedura di «fiscalizzazione» dell’abuso di cui all’art. 34, comma 2, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 – secondo la quale, per le opere eseguite in parziale difformità, quando la demolizione non può avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità, il dirigente dell’ufficio preposto dispone, in luogo della demolizione, una sanzione amministrativa più elevata – non è mai applicabile alle opere realizzate in zona sottoposta a vincolo paesaggistico, perché queste non possono essere mai essere ritenute «in parziale difformità», atteso che tutti gli interventi realizzati in tale zona eseguiti in difformità dal titolo abilitativo si considerano in variazione essenziale e, quindi, in difformità totale rispetto all’intervento autorizzato.

3. Pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen. sicondanna la ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di euro 1000,00, determinata in via equitativa, in favore della Cassa delle Ammende, tenuto conto della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso il 01/12/2022.

 
 

 

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