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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Beni culturali ed ambientali Numero: 299 | Data di udienza: 15 Dicembre 2022

BENI CULTURALI – AMBIENTALI – Condono edilizio – In caso di vincolo sopravvenuto – Sufficiente il parere di compatibilità non di conformità (Massima a cura di Giulia Milo)


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 6^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 10 Gennaio 2023
Numero: 299
Data di udienza: 15 Dicembre 2022
Presidente: Volpe
Estensore: Cordì


Premassima

BENI CULTURALI – AMBIENTALI – Condono edilizio – In caso di vincolo sopravvenuto – Sufficiente il parere di compatibilità non di conformità (Massima a cura di Giulia Milo)



Massima

CONSIGLIO DI STATO, Sez. 6^ – 10 gennaio 2023, n. 299

BENI CULTURALI – AMBIENTALI – Condono edilizio – In caso di vincolo sopravvenuto – Sufficiente il parere di compatibilità non di conformità.

Nei procedimenti di condono ex art. 39, l. n. 724/1994, in caso di vincoli sopravvenuti all’edificazione delle opere, l’Autorità preposta deve esprimere non una valutazione di “conformità” delle opere alle predette previsioni, trattandosi di un vincolo non esistente al momento della loro realizzazione, bensì un parere di “compatibilità” dell’intervento edilizio abusivo. Difatti, quando le previsioni di tutela sono sopraggiunte alla realizzazione dell’intervento edilizio, la valutazione non potrebbe compiersi come se l’intervento fosse ancora da realizzare, e ciò è tanto più vero nei casi in cui le previsioni di tutela successivamente sopraggiunte ad integrare la disciplina dell’area risultano del tutto incompatibili con la tipologia dell’intervento già realizzato. In definitiva, il vincolo sopravvenuto non può considerarsi una condizione ex se preclusiva e insuperabile alla condCONSIGLIO DI STATO, Sez. 6^ – 10 gennaio 2023, n. 299onabilità degli edifici già realizzati, dovendo l’Amministrazione valutare se vi sia compatibilità tra le esigenze poste a base del vincolo e la permanenza in loco del manufatto abusivo.

(Riforma TAR Lazio, Roma, n. 2563 /2018) – Pres. Volpe, Est. Cordì – R.I. (avv.ti Abbate e Romano) c. Roma Capitale (avv. Montanaro) e Ministero della Cultura e altri (Avv. Stato)


Allegato


Titolo Completo

CONSIGLIO DI STATO, Sez. 6^ - 10 gennaio 2023, n. 299

SENTENZA

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8271 del 2018, proposto da
Roberta Iannuzzi, rappresentata e difesa dagli avvocati Carlo Abbate e Sabrina Romano, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

– Roma Capitale, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Cristina Montanaro, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
– Ministero della Cultura, in persona del Ministro pro tempore, Soprintendenza Speciale Archeologia, Belle Arti e Paesaggio di Roma, in persona del Soprintendente pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliati ex lege presso l’Avvocatura Generale dello Stato, i cui uffici sono ubicati in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

nei confronti

Riccardo Piccirilli, non costituito in giudizio;

per la riforma:

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda) n. 02563/2018, resa tra le parti.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Roma Capitale, del Ministero della Cultura e della Soprintendenza Speciale Archeologia, Belle Arti e Paesaggio di Roma;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 15 dicembre 2022 il Consigliere Lorenzo Cordì e udito, per parte appellante, l’avvocato Sabrina Romano;

Lette le conclusioni rassegnate dalle parti;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. In data 1.3.1995 la sig.ra Roberta Iannuzzi (quale titolare, congiuntamente al proprio nucleo familiare, di un ristorante ubicato in Roma, via della Villa di Livia, n. 104) presentava istanza di condono ex L. n. 724/1995 per alcune opere realizzate in tale immobile, consistenti nella realizzazione di bagni, disimpegni e di un terrazzo di mq 179, adibito all’esercizio all’aperto dell’attività di ristorazione. L’immobile interessato da tali opere è ubicato in adiacenza alla collina su cui sorge il complesso archeologico della Villa di Livia che, all’epoca della presentazione dell’istanza, era soggetto al vincolo di cui al D.M. 23.10.1984

2. La Soprintendenza Archeologica di Roma esprimeva parere negativo con nota acquisita la protocollo comunale in data 19.2.2001 (n. 20133), alla quale faceva seguito la determina di Roma Capitale n. 49/2002 con cui l’Amministrazione respingeva l’istanza di condono.

3. La sig.ra Iannuzzi impugnava al T.A.R. per il Lazio – sede di Roma i provvedimenti indicati al precedente punto deducendo: i) la violazione e falsa applicazione dell’art. 33 e delle altre norme della L. n. 47/1985, l’eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche, e, in particolare, illogicità, contraddittorietà, travisamento, errore nei fatti presupposti, sviamento di potere e violazione dell’art. 97 della Costituzione e del principio di buon andamento; ii) la violazione e falsa applicazione dell’art. 31 della L. n. 41/1985 e dell’art. 1 della L. n. 10/1977, nonché l’eccesso di potere per difetto dei presupposti e travisamento; iii) la violazione e falsa applicazione delle previsioni di cui alla L. n. 47/1985, dei principi relativi al giusto procedimento e dell’art. 97 della Costituzione, nonché l’eccesso di potere per manifesta ingiustizia, illogicità e contraddittorietà.

3.1. Si costituivano nel giudizio di primo grado Roma Capitale, il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo e la Soprintendenza Archeologica di Roma, chiedendo di respingere il ricorso.

3.2. Con sentenza n. 2563/2018 il T.A.R. per il Lazio – sede di Roma (Sezione Seconda Bis) respingeva il ricorso osservando che: i) la sig.ra Iannuzzi contestava il parere della Soprintendenza evidenziando come lo stesso non effettuasse la verifica circa l’impatto delle opere abusive sul contesto sottoposto a tutela ma formulasse solo arbitrari giudizi circa “l’ostinata attività abusiva” posta in essere; ii) tale parere, al contrario, operava una corretta valutazione della compatibilità delle opere abusive con l’importante plesso archeologico in questione, sottoposto a vincolo sin dal 1984; iii) non incideva sulla legittimità della valutazione effettuata dall’Amministrazione l’eventuale anteriorità dei lavori abusivi all’instaurazione del vincolo; iv) dai documenti in atti emergeva come gli interventi effettuati dalla sig.ra Iannuzzi e dalla sua famiglia – non interrotti neppure a seguito della presentazione dell’istanza di condono – avessero creato un vulnus gravissimo ai reperti archeologici sottoposti a tutela e fossero assolutamente incompatibili con la protezione accordata al sito, comportandone, all’evidenza, una vera e propria “messa in pericolo” poiché – come illustrato dall’Amministrazione – “in buona sostanza una parte del sito finiva per essere utilizzata per l’esercizio dell’attività di ristorazione senza essere in alcun modo protetta dagli avventori”; v) il parere doveva, quindi, ritenersi esente dai vizi denunciati in quanto il giudizio espresso era supportato “dalla circostanziata dimostrazione dei relativi elementi fattuali a sostegno e non affetto da palese irragionevolezza o macroscopici errori”; vi) la legittimità del diniego e del parere impugnati non era incisa dall’avvenuta abrogazione del vincolo (ad opera del d.l. n. 200/2008, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 9/2009), stante “il principio di irretroattività dell’azione amministrativa”.

4. La sig.ra Iannuzzi impugnava la sentenza del T.A.R. per il Lazio – sede di Roma articolando due motivi di ricorso in appello: i) con il primo motivo deduceva l’erroneità della decisione nella parte in cui riteneva il parere congruamente motivato osservando come, in realtà, la Soprintendenza omettesse di effettuare una puntuale valutazione sulla compatibilità delle opere con il contesto archeologico, limitandosi a stigmatizzare l’operato di lei e della propria famiglia; ii) con il secondo motivo deduceva l’omessa pronuncia del Giudice di primo grado in ordine al merito della censura con la quale si contestava il difetto di legittimazione alla proposizione dell’istanza, evidenziato dalla Soprintendenza archeologica di Roma. Parte appellante articolava, inoltre, istanza di concessione di misure cautelari alla quale, tuttavia, rinunciava in data 12.11.2018.

5. Si costituivano in giudizio Roma Capitale, il Ministero della Cultura e la Soprintendenza Speciale Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Roma chiedendo di respingere il ricorso in appello.

6. In vista dell’udienza pubblica del 15.12.2022 la sola parte appellante depositava documentazione (relativa alle interlocuzioni con la Soprintendenza successive al deposito della sentenza di primo grado) e memoria difensiva finale. All’udienza del 15.12.2022 la causa era trattenuta in decisione.

7. Procedendo ad esaminare il primo motivo di ricorso in appello il Collegio osserva come il parere della Soprintendenza si limitasse ad evidenziare quanto segue: “l’ostinata attività abusiva dei Sigg.ri Iannuzzi e Curiello, riassunta sino al 1992 nella nota che si allega […], non si è arrestata neppure dopo la parziale esecuzione dell’ordinanza di demolizione il 23.11.1993; anzi, oltre alla mancata asportazione di elementi posti in opera, si sono realizzati ulteriori manufatti […]. Tale stato di cose è aggravato dal fatto che i Sigg.ri Iannuzzi e Curiello non risulterebbero ancora proprietari dell’intero immobile, che continuano a manomettere in ogni modo, compromettendo gravemente l’integrità del complesso archeologico della Villa di Livia”.

7.1. Il parere della Soprintendenza evidenziava, quindi, come vi fosse stata un’ostinata attività abusiva da parte delle signore Iannuzzi e Curiello, testimoniata dal contenuto delle note del 1992, appositamente richiamate; inoltre, l’Amministrazione sottolineava come, nonostante le signore Iannuzzi e Curiello non fossero ancora proprietarie dell’immobile (ma mere promissarie acquirenti), avessero, comunque, continuato a manomettere l’immobile, compromettendo gravemente l’integrità del complesso archeologico.

7.2. La prima delle note del 1992 richiamate nel parere evidenziava come vi fosse stato, nel tempo, un susseguirsi di abusi nell’immobile, culminati nello smantellamento della recinzione realizzata a carico dello Stato e in una nuova occupazione dell’area, sottratta ai gestori del ristorante da un’ordinanza sindacale del 1986. Inoltre, a tali attività aveva fatto seguito il rifacimento delle coperture del ristorante, arricchite con balaustre e transenne. Dello stesso tenore la seconda nota ove si evidenziava come fossero poste in essere una serie di attività abusive con manomissione del complesso romano retrostante, intaccamento della parete rocciosa, demolizione di parte del nucleo più antico dell’edifico ed occupazione abusiva dell’area di proprietà comunale prospicente piazza Saxa Rubra. Inoltre, anche in tale nota si sottolineava come fosse stata smantellata la recinzione collocata dalla Soprintendenza intorno all’area archeologica, fossero state costruite mura per la cella frigorifera del ristorante con chiusura di gallerie antiche, fosse stata eseguita la pavimentazione e tramezzatura delle grotte romane. In ultimo, si evidenziava come gli abusi fossero proseguiti con l’apertura di due finestre sulla facciata dell’edificio e il rifacimento parziale delle coperture.

7.3. Osserva il Collegio come la trama argomentativa del parere della Soprintendenza (valutato anche alla luce delle note allegate allo stesso) non dia, effettivamente, conto delle ragioni per le quali si ritiene le opere oggetto dell’istanza di condono non compatibili con il contesto ove l’immobile risulta ubicato e, in particolare, con le esigenze di tutela dell’area archeologica limitrofa. Infatti, il parere si limita ad indicare la sussistenza di plurimi abusi e di condotte antigiuridiche delle signore Iannuzzi e Curiello senza, tuttavia, esplicitare le ragioni di non compatibilità delle opere con il contesto archeologico indicando, ove sussistente, l’incidenza delle stesse sul complesso tutelato.

7.4. Infatti, la prima proposizione del parere consiste nella mera elencazione dei plurimi abusi perpetrati ma non si concentra sulla compatibilità concreta delle specifiche opere oggetto di condono con l’area archeologica. Del pari, la seconda proposizione evidenzia, invece, come le signore Iannuzzi e Curiello continuerebbero a manomettere l’immobile compromettendo gravemente l’integrità del complesso archeologico. Tuttavia, anche tale valutazione non risulta calibrata sulle specifiche opere oggetto di condono e sulla compatibilità delle stesse con il contesto e, quindi, non affronta il tema decisivo oggetto del parere dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo.

7.5. Come chiarito dalla giurisprudenza della Sezione, in caso di vincoli sopravvenuti all’edificazione delle opere, l’Autorità preposta deve esprimere non una valutazione di “conformità” delle opere alle predette previsioni, trattandosi di un vincolo non esistente al momento della loro realizzazione, bensì un parere di “compatibilità” dell’intervento edilizio abusivo (Consiglio di Stato, sez. VI, 30 settembre 2015, n. 4564; Id., Sez. VI, 23 dicembre 2019, n. 8704; Id., Sez. VI, 17 ottobre 2022, n. 8787). Difatti, quando le previsioni di tutela sono sopraggiunte alla realizzazione dell’intervento edilizio, la valutazione non potrebbe compiersi come se l’intervento fosse ancora da realizzare, e ciò è tanto più vero nei casi in cui le previsioni di tutela successivamente sopraggiunte ad integrare la disciplina dell’area risultano del tutto incompatibili con la tipologia dell’intervento già realizzato. In definitiva, il vincolo sopravvenuto non può considerarsi una condizione ex se preclusiva e insuperabile alla condonabilità degli edifici già realizzati, dovendo l’Amministrazione valutare se vi sia compatibilità tra le esigenze poste a base del vincolo e la permanenza in loco del manufatto abusivo (Consiglio di Stato, Sez. VI, 4 febbraio 2021, n. 1041). Si tratta, inoltre, di valutazioni sindacabili in sede giurisdizionale soltanto per difetto di motivazione, illogicità manifesta ovvero errore di fatto conclamato (cfr.: Consiglio di Stato, Sez. VI, 28 dicembre 2015, n. 5844; Id., 28 ottobre 2015, n. 4925; Id., 4 giugno 2015, n. 2751). Nel caso di specie, tale difetto di motivazione sussiste atteso che, alla luce della disamina compiuta, il parere non svolge il necessario giudizio di compatibilità, omettendo l’effettiva disamina della consistenza dei manufatti oggetto della richiesta di sanatoria, della specifica situazione dei luoghi nei quali ricadono e delle ragioni di reale incompatibilità delle opere con il contesto vincolato, che costituiscono, invece, gli aspetti sui quali la Soprintendenza si sarebbe dovuta soffermare (e sui quali, inoltre, dovrà soffermarsi in sede di riedizione del parere).

7.6. Il primo motivo di ricorso in appello è, pertanto fondato.

8. Deve, invece, ritenersi infondato il secondo motivo di ricorso in appello.

8.1. Il segmento del parere della Soprintendenza contestato dalle appellanti recita testualmente: “Tale stato di cose è aggravato dal fatto che i Sigg.ri Iannuzzi e Curiello non risulterebbero ancora proprietari dell’intero immobile, che continuano a manomettere in ogni modo, compromettendo gravemente l’integrità del complesso archeologico della Villa di Livia”. Ora, la circostanza relativa alla non titolarità del diritto di proprietà dell’immobile non costituisce una ragione diversa e autonoma di rigetto dell’istanza di condono. Si tratta, invece, di una mera osservazione fatta per incidens dalla Soprintendenza che, tuttavia, non viene posta ad ulteriore fondamento del diniego, incentrato sulla sola persistente attività abusiva delle signore Iannuzzi e Curiello. Risulta, quindi, condivisibile in parte qua la statuizione del Giudice di primo grado nella parte in cui evidenzia l’inconferenza delle doglianze svolte “in relazione al rilievo che sarebbe stato erroneamente attribuito al fatto che l’istanza di condono provenisse da soggetti ancora non interamente proprietari dell’immobile”; “circostanza che, vista la radicale inconciliabilità degli interventi abusivi con le ragioni di tutela dell’area, pur se opportunamente rilevata, non appare comunque essere stata posta dall’Amministrazione a fondamento del diniego di condono”.

9. In definitiva il ricorso in appello deve essere accolto nei sensi e nei limiti sin qui indicati; conseguentemente, in parziale riforma della sentenza appellata, devono essere annullati i provvedimenti impugnati.

10. Le spese di lite del doppio grado di giudizio possono essere eccezionalmente compensate in considerazione delle ragioni poste a fondamento dell’annullamento dei provvedimenti impugnati e della necessità di un nuovo esame dell’istanza da parte della Soprintendenza che, pertanto, non comporta l’immediata attribuzione da parte della presente decisione del bene della vita al quale l’appellante anela.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei sensi e nei limiti indicati in motivazione, e, per l’effetto, in parziale riforma della sentenza appellata, accoglie il ricorso introduttivo del giudizio e annulla i provvedimenti impugnati. Compensa tra le parti costituite le spese di lite del doppio grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 15 dicembre 2022 con l’intervento dei magistrati:

Carmine Volpe, Presidente

Oreste Mario Caputo, Consigliere

Giordano Lamberti, Consigliere

Lorenzo Cordi’, Consigliere, Estensore

Thomas Mathà, Consigliere

L’ESTENSORE
Lorenzo Cordi’
 
IL PRESIDENTE
Carmine Volpe

IL SEGRETARIO

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