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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Acqua - Inquinamento idrico, Danno ambientale, Diritto processuale civile, Rifiuti, Risarcimento del danno Numero: 3077 | Data di udienza: 10 Gennaio 2023

RIFIUTI – Obblighi di bonifica e ripristino ambientale dei siti inquinati – Proprietari/gestori dei siti inquinati – Oneri reali e privilegi speciali immobiliari – ACQUA – INQUINAMENTO IDRICO – Interventi di messa in sicurezza d’emergenza [m.i.s.e.] delle falde acquifere contaminate – Principio chi inquina paga (a titolo di dolo o colpa) – Proprietario incolpevole – Riesame delle cause di inquinamento e del soggetto obbligato alla decontaminazione – Nesso causale – DANNO AMBIENTALE – Criteri di imputazione della responsabilità ambientale e civile – D.lgs. n.152/2006, (codice dell’ambiente) – RISARCIMENTO DEL DANNO – Criteri risarcitori di riparazione e di liquidazione del danno: primaria, compensativa, forma specifica o per equivalente – Danno causato da cose in custodia – Art. 2051 c.c. – Applicabilità – Esclusione – Nuova normativa – DIRITTO PROCESSUALE CIVILE – Legittimità dei provvedimenti amministrativi impugnati – Ambito del sindacato del Tribunale superiore delle acque pubbliche (TSAP) – Ricorso alle Sezioni Unite della Corte di cassazione – Artt. 143, 201 del r.d. n. 1775/1933.


Provvedimento: SENTENZA
Sezione: UNITE CIVILE
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 1 Febbraio 2023
Numero: 3077
Data di udienza: 10 Gennaio 2023
Presidente: VIRGILIO
Estensore: FERRO


Premassima

RIFIUTI – Obblighi di bonifica e ripristino ambientale dei siti inquinati – Proprietari/gestori dei siti inquinati – Oneri reali e privilegi speciali immobiliari – ACQUA – INQUINAMENTO IDRICO – Interventi di messa in sicurezza d’emergenza [m.i.s.e.] delle falde acquifere contaminate – Principio chi inquina paga (a titolo di dolo o colpa) – Proprietario incolpevole – Riesame delle cause di inquinamento e del soggetto obbligato alla decontaminazione – Nesso causale – DANNO AMBIENTALE – Criteri di imputazione della responsabilità ambientale e civile – D.lgs. n.152/2006, (codice dell’ambiente) – RISARCIMENTO DEL DANNO – Criteri risarcitori di riparazione e di liquidazione del danno: primaria, compensativa, forma specifica o per equivalente – Danno causato da cose in custodia – Art. 2051 c.c. – Applicabilità – Esclusione – Nuova normativa – DIRITTO PROCESSUALE CIVILE – Legittimità dei provvedimenti amministrativi impugnati – Ambito del sindacato del Tribunale superiore delle acque pubbliche (TSAP) – Ricorso alle Sezioni Unite della Corte di cassazione – Artt. 143, 201 del r.d. n. 1775/1933.



Massima

 

CORTE DI CASSAZIONE Sez. UNITE CIVILE, 1 febbraio 2023 (ud. 10/01/2023), Sentenza n. 3077

 

 

RIFIUTI – Obblighi di bonifica e ripristino ambientale dei siti inquinati – Proprietari/gestori dei siti inquinati – Oneri reali e privilegi speciali immobiliari – ACQUA – INQUINAMENTO IDRICO – Interventi di messa in sicurezza d’emergenza [m.i.s.e.] delle falde acquifere contaminate – Principio chi inquina paga (a titolo di dolo o colpa) – Proprietario incolpevole – Riesame delle cause di inquinamento e del soggetto obbligato alla decontaminazione – Nesso causale.

In tema di responsabilità ambientale, a carico del proprietario/gestore del sito inquinato che non abbia direttamente causato l’inquinamento, non può essere imposto l’obbligo di eseguire le misure di messa in sicurezza di emergenza (c.d. “m.i.s.e.”) e di bonifica, in quanto gli effetti in capo al proprietario incolpevole sono limitati a quanto previsto dall’art. 253 del D.lgs. n.152 del 2006 (codice dell’ambiente), mentre, in tema di oneri reali e privilegi speciali immobiliari (rimborso delle spese relative agli interventi effettuati dall’autorità competente nei limiti del valore di mercato del sito determinato dopo l’esecuzione), possedendo le misure anzidette una connotazione ripristinatoria di un danno già prodottosi che le rende non assimilabili alle misure di prevenzione che, viceversa, il proprietario del sito è obbligato ad assumere in quanto idonee a contrastare un evento recante una minaccia imminente per la salute o per l’ambiente, intesa come rischio sufficientemente probabile, secondo il canone causale civilistico, di verificazione di un danno sanitario o ambientale al fine di impedire o minimizzare tale minaccia, l’Amministrazione ha l’obbligo di effettuare le indagini volte all’identificazione del soggetto responsabile dell’evento di contaminazione che diffida a provvedere agli interventi di risanamento. Pertanto, al proprietario che non abbia causato l’inquinamento sono, altresì, inapplicabili i criteri di imputazione della responsabilità di cui agli artt. 2050 e 2051 c.c., dal momento che la disciplina definita nella parte quarta del T.U.A. per la bonifica dei siti contaminati ha carattere di specialità rispetto alle norme del codice civile, contemplando, a tale proposito, la specifica posizione del proprietario/gestore incolpevole e trovando applicazione nei confronti del responsabile dell’inquinamento (in base al principio “chi inquina paga” di cui alla Direttiva 2004/35/CE), a titolo di dolo o colpa. Ne consegue che l’obbligo di adottare le misure utili a fronteggiare la situazione di inquinamento rimane unicamente a carico di colui che di tale situazione sia stato responsabile per avervi dato colposamente o dolosamente causa, non potendosi addossare al proprietario incolpevole dell’inquinamento alcun obbligo né di bonifica, né di messa in sicurezza.

 

DANNO AMBIENTALE – Criteri di imputazione della responsabilità ambientale e civile – D.lgs. n.152/2006, (codice dell’ambiente) – RISARCIMENTO DEL DANNO – Criteri risarcitori di riparazione e di liquidazione del danno: primaria, compensativa, forma specifica o per equivalente – Danno causato da cose in custodia – Art. 2051 c.c. – Applicabilità – Esclusione – Nuova normativa.

Ai fini di individuare i criteri risarcitori, la riparazione primaria, ha lo scopo di riportare le risorse e/o i servizi naturali danneggiati alle condizioni originarie; quella complementare, ove essi non tornino alle condizioni originarie, tende a compensare il mancato ripristino completo delle risorse e/o dei servizi naturali danneggiati. Mentre, la riparazione compensativa pareggia la perdita temporanea di risorse dalla data di verificazione del danno a quella in cui la riparazione primaria non abbia prodotto un effetto completo; ma la definitiva armonizzazione della disciplina italiana rispetto a quella UE ha reso esplicito il conseguente principio per cui «non residua alcun danno ambientale economicamente quantificabile e quindi risarcibile – né in forma specifica, né a maggior ragione per equivalente – ogniqualvolta, avutasi la riduzione al pristino stato, non persista la necessità di ulteriori misure sul territorio reso oggetto dell’intervento inquinante o danneggiante, soltanto il costo (ovvero il rimborso) delle quali potrà essere oggetto di condanna nei confronti dei danneggianti. Tuttavia, misure che vanno tutte verificate alla stregua della nuova normativa, con l’importante applicazione officiosa e retroattiva ai giudizi pendenti per fatti anteriori proprio della onnicomprensività del nuovo criterio riparatore a superamento di quello per equivalente.

 

DIRITTO PROCESSUALE CIVILE – Legittimità dei provvedimenti amministrativi impugnati – Ambito del sindacato del Tribunale superiore delle acque pubbliche (TSAP) – Ricorso alle Sezioni Unite della Corte di cassazione – Artt. 143, 201 del r.d. n. 1775/1933.

L’ambito del sindacato del Tribunale superiore delle acque pubbliche, qualora sia chiamato a pronunciarsi in unico grado sulla legittimità dei provvedimenti amministrativi impugnati, è limitato all’accertamento dei vizi possibili dello svolgimento della funzione pubblica, compresi quelli denotati dalle figure sintomatiche dell’eccesso di potere; esso attiene quindi alla verifica della ragionevolezza e proporzionalità della scelta rispetto al fine e non si estende alle ragioni di merito, dovendosi arrestare dinanzi non solo alle ipotesi di scelte equivalenti ma anche a quelle meno attendibili, purché congruenti con il fine da raggiungere e con le esigenze da governare; e pur tuttavia, con riguardo alle decisioni rese, in sede di giurisdizione amministrativa, dal TSAP nelle materie di cui all’art. 143 del r.d. n. 1775 del 1933, il ricorso alle Sezioni Unite della Corte di cassazione è esperibile, oltre che per i vizi indicati dall’art. 201 del citato regio decreto (incompetenza ed eccesso di potere), per ogni violazione di legge, sostanziale e processuale, e non per soli motivi inerenti alla giurisdizione, essendo tale limitazione operante, a norma dell’art. 111 Cost., unicamente per le pronunce del Consiglio di Stato e della Corte dei conti.

(riforma sentenza TSAP 11.11.2020, n.119/2020) Pres. VIRGILIO, Rel. FERRO, Ric. Fibe spa


Allegato


Titolo Completo

CORTE DI CASSAZIONE Sez. UNITE CIVILE, 01/02/2023 (ud. 10/01/2023), Sentenza n. 3077

SENTENZA

Numero registro generale 9652/2021
Numero sezionale 1/2023
Numero di raccolta generale 3077/2023
Data pubblicazione 01/02/2023

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE UNITE CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Omissis

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

omissis

FATTI DI CAUSA

1. FIBE S.P.A. impugna la sentenza TSAP 11.11.2020, n.119/2020 che ne ha respinto la domanda di annullamento di:
a) decreto n.4557/QDV/DG/B del 6 maggio 2008 con cui il Ministero dell’Ambiente aveva adottato le determinazioni conclusive già fatte proprie il 26.3.2008 dalla conferenza di servizi e relative al sito di bonifica d’interesse nazionale ‘Litorale Domizio flegreo ed Agro aversano’ ed in particolare ove si chiedeva alla società entro 10 giorni idonei interventi di messa in sicurezza d’emergenza [m.i.s.e.] delle falde acquifere contaminate, secondo la nota della Provincia di Napoli e sulla base di risultanze tratte da campioni del sito ‘cava Giuliani’;
b) la nota n. 28168/QdV/DI/VI-VII del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare [MATTM] con cui il 16.12.2008 si chiedeva alla società di attivare subito, con riguardo alla discarica, interventi di messa in sicurezza della falda con restituzione dell’esito entro 30 giorni;
c) atto n. 31816 MATTM 9/22.12.2010 (e del Comm. Governo 2010/6270) con cui le si ingiungevano misure di prevenzione, messa in sicurezza e bonifica dei suoli e della falda delle aree del perimetro di Giugliano entro 20 giorni, a pena di interventi sostitutivi in danno ex d.lgs. n. 152/2006 con iscrizione di onere reale sull’immobile e l’accertamento del danno ambientale;

2. a tenore della sentenza del TSAP n. 119/2020:
a) a seguito di gara per l’affidamento del servizio di smaltimento con impianto di produzione di combustibile derivato da rifiuti [CDR] e di altro dedicato alla produzione con CDR di energia elettrica per la provincia di Napoli, il Commissario governativo delegato dal Min.Interno aggiudicò il servizio ad un’ATI, con capogruppo FISIA Italimpianti s.p.a. (con ordinanza 20.3.2000, n. 54), venne concluso il contratto il successivo 7 giugno 2000 e, con autorizzazione commissariale, la società FIBE s.p.a. costruì nel 2001 con gestione fino al 2003 la discarica per lo smaltimento di rifiuti solidi urbani [RSU], nel Comune di Giugliano in Campania, alla Cava Giuliani, sito di stoccaggio dei rifiuti raccolti;
b) da accertamenti nel 2003-2004 dell’ARPA regionale condotti su uno dei pozzetti (n.3) approntati per l’ispezione dello stato della falda acquifera a valle emersero il superamento dei valori-limite di plurime sostanze inquinanti e alte concentrazioni nocive, con riferimento all’invaso, contaminato da RSU e rifiuti anche speciali stoccati in superficie e peggioramento dei fattori, nel tempo, anche dei rilievi di pozzetto a monte (n.1);
c) i contratti stipulati dalla struttura commissariale, ai sensi dell’art.1 d.l. 30 novembre 2005, n. 245 (conv. nella l. 27.1.2006, n.21), vennero risolti, con mantenimento provvisorio delle imprese affidatarie del servizio fino alla consegna degli impianti ai nuovi gestori;
d) a seguito dell’accertamento di ulteriori sforamenti dei valori consentiti in acqua di falda (CSC, concentrazioni soglia di contaminazione), la provincia di Napoli il 13.3.2008 chiese a FIBE le misure di prevenzione, contestate dalla società, finché il MATTM ne dispose l’approntamento, con prescrizione di messa in sicurezza di emergenza (m.i.s.e.), per il citato sito di cava Giuliani;
e) FIBE impugnò avanti al TAR Lazio (con primo ricorso R.G. 7434/2008) la citata statuizione invocando vizi procedurali (omesso avvio del procedimento con partecipazione, in difetto di urgenza qualificata), l’estraneità alla vicenda dell’applicato art.242 d.lgs. 3.4.2006, n.152 e la erroneità delle misure assunte, la violazione anche istruttoria delle norme del citato d.lgs. n. 152 del 2006, l’estraneità del titolo ad ottemperare, essendo FIBE la proprietaria non responsabile del danno ambientale, l’omessa dovuta identificazione del responsabile della contaminazione (da comunicarsi anche al proprietario non responsabile), l’estraneità ad ogni responsabilità dovendo gli eventi ricondursi a fenomeni d’inquinamento non repentini ma diffusi in zona, l’assenza di emergenza ex art.240 co. 1 lett. m) e t) d.lgs. n. 152 del 2006;
f) FIBE impugnò poi, con motivi aggiunti, la ordinanza MATTM del 16.12.2008 con cui era prescritta la messa in sicurezza della falda e la trasmissione dei ‘risultati di caratterizzazione’ dell’area, invocando: i) che la precedente conferenza di servizi non l’aveva previsto nel piano, avendo il MATTM confuso la Cava Giuliani con altro sito gestito da FIBE nel territorio del comune di Giugliano; ii) ancora il vizio di avvio del procedimento, il difetto d’istruttoria, l’omessa identificazione del responsabile, l’omesso esame della documentazione della ricorrente a difesa, l’assenza di ogni responsabilità e comunque dell’urgenza;
g) il rigetto da parte del TAR della domanda cautelare, veniva poi riformato dal Consiglio di Stato, che con ordinanza n.3223/2009 disponeva il riesame delle cause di inquinamento e del soggetto obbligato alla decontaminazione, mentre un nuovo ordine congiunto di MATTM e commissario di governo del 9.12.2010 ingiungeva a FIBE di provvedere entro 20 giorni, a pena di esecuzione in danno ed iscrizione di onere reale sul terreno, provvedimento parimenti impugnato ancora in G.A. con altro atto avanti allo stesso TAR, prospettando: i) il limite del giudicato cautelare e il difetto di motivazione sugli atti inadempiuti; ii) la violazione della norma sulla custodia ex art.2051 c.c. non avendo più FIBE la disponibilità dell’area e l’insussistenza di ogni responsabilità aquiliana ex artt.2043, 2050 e 2051 c.c., non essendo FIBE ormai né titolare né detentrice del sito; iii) la mancanza di inadempimento colpevole e di ogni presupposto, inclusa l’urgenza; iv) l’omessa identificazione del responsabile;
h) in prosieguo, FIBE impugnò con un terzo atto anche una nuova relazione depositata dal MATTM su ordine del TAR, protestando – tra l’altro – l’erroneo utilizzo per relationem di documenti acquisiti in processo penale, il difetto di contraddittorio e di autonoma valutazione delle P.A., la compresenza in fatto di altri e risalenti fattori inquinanti;
i) il TAR alfine declinò la giurisdizione con sentenza 26.6.2012, n.5831, in favore del TSAP, avanti a cui la causa è stata riassunta;

3. la sentenza ha così ritenuto:
a) il difetto di legittimazione passiva di MISE e Min.Salute;
b) la precisazione che oggetto del giudizio riassunto era l’impugnativa del decreto MATTM 4557/QDV/DG/B del 6 maggio 2008, che approvava le prescrizioni di cui al verbale della conferenza di servizi decisoria relativa al sito ‘Litorale Domizio flegreo ed Agro aversano’ del 28 marzo precedente, inclusi i piani di caratterizzazione trasmessi dalla stessa FIBE, provvedimento ed atti contestati avanti al TAR Lazio con il ricorso 7434/2008 e come atto per motivi aggiunti ai ricorsi RG 10397/2007 e 10398/2007, a loro volta (impugnazioni) appartenenti ad un separato contenzioso, relativo ai tre siti gestiti dalla ricorrente (discarica Pontericcio, discarica Cava Giuliani e impianto produzione combustibili da CDR Pontericcio) con esito favorevole, avendo il Consiglio di Stato (pronuncia VI Sezione 29 agosto 2018, n.5076) escluso ogni responsabilità di FIBE e potendo invece la P.A. ricorrere ad altri metodologie indiziarie per individuare il probabile autore dell’inquinamento, cui connettere piano di caratterizzazione e attuazione;
c) FIBE aveva peraltro, benché non obbligata, volontariamente effettuato il piano di caratterizzazione dell’area di discarica, sia pur cautelativamente e senza acquiescenza ai provvedimenti impugnati avanti al G.A.;
d) con il ricorso principale ed i suoi motivi aggiunti, FIBE professa l’assenza di motivazione negli atti circa la contaminazione in falda e le attività d’impianto quando avviate dalla società, condividendo il TSAP le conclusioni del Consiglio di Stato pur rese su fattispecie sostanziale identica, circa il difetto di una ‘seria dimostrazione che il processo d’inquinamento dei terreni sia iniziato con l’insediamento in loco di FIBE s.p.a.’;
e) tuttavia, anche sul proprietario o detentore qualificato di un sito grava l’onere di m.i.s.e., nel contesto di prevenzione e riparazione del danno ambientale, con i limiti dell’art.240 co.1 lett. l) d.lgs. n. 152 del 2006 e dunque senza finalità sanzionatoria o ripristinatoria, così prescindendo dall’accertamento di dolo o colpa ma come misura di precauzione, conformemente al principio ‘chi inquina paga’ del diritto UE che, in tema, neppure richiede l’elemento soggettivo, ma solo esige la materiale causazione del danno o del pericolo ambientale;
f) la conclusione, secondo la ratio della direttiva 2004/35/CE, è una linea guida di responsabilità anche oggettiva (pur se non di posizione), con il richiamo al principio di ragionevole proporzionalità, per tutte le ipotesi in cui, come nel caso degli artt. 242 co.2 e 244 co. 1 d.lgs. n. 152 del 2006, l’ordinamento non faccia riferimento a dolo o colpa, nonché l’applicabilità alla fase prescrittiva e di individuazione del soggetto, secondo il criterio della viciniorità qualificata al bene colpito;
g) nella vicenda, ben dunque poteva FIBE, grazie ai pozzetti-spia in situ e la sua capacità di gestione e mitigazione dell’inquinamento, efficacemente intervenire in via cautelare ponendo in sicurezza l’impianto, costituendo la stessa attività di caratterizzazione spontanea un anticipo dell’apporto collaborativo tra privato e P.A. nella gestione della crisi ambientale;
h) gli atti impugnati, a propria volta, prescindevano da un accertamento di dolo o colpa di FIBE, così come dall’utilizzo della perizia in parallelo processo penale a carico, avendo la conferenza di servizi approvato il piano di caratterizzazione di FIBE e confermato l’urgenza di provvedere, con le prescrizioni impartite e il superamento dell’esigenza di avvio del procedimento;
i) allo stesso esito occorre giungere con riguardo all’impugnata nota ministeriale 28168/2008, la quale, sull’inerzia di FIBE, non le attribuì una responsabilità causativa dell’inquinamento, bensì l’applicabilità nel caso dei poteri sostitutivi ministeriali, secondo l’art.252 co.5 d.lgs. n. 152 del 2006 finalizzato all’agire tempestivo di soggetto e P.A. prossimi alla contaminazione, senza mutare i piani della responsabilità, nemmeno in senso oggettivo e senza impedimento, nella circostanza e per FIBE, di far constatare i dati, confutando quelli di ARPA o della Provincia;
l) nessuna violazione del giudicato cautelare sussisteva anche quanto alla nota congiunta 31816 e prot. 6270/2010 di MATTM e commissario di governo delegato con l’invito e diffida a provvedere alla m.i.s.e., stante l’inerzia di FIBE e la “evidente probabilità oggettiva della contaminazione dell’acqua di falda”, poiché il Consiglio di Stato aveva disposto la verifica delle cause dell’inquinamento e del soggetto obbligato alla decontaminazione, mentre la diffida volgeva ad accertare gli elementi inquinanti esistenti nel sito della Cava Giuliani, oggetto di intestazione proprietaria e titolarità dello smaltimento dei rifiuti, dunque e tra l’altro anche in custodia;
m) quanto, infine, all’avversato incombente istruttorio statuito verso le P.A. con ordinanza 1260/2011, ne era chiara la portata fin dalla conferenza di servizi del 28.3.2008, ciò giustificando ogni motivazione per relationem degli atti stessi, tanto più che non risultavano preclusioni ad accedere al parallelo processo penale per prelevarvi, da parte di FIBE, quanto serviva alla difesa e che il perito della Procura della Repubblica non aveva proceduto a nuovo esame dell’acqua di falda, ma solo elaborato un documento, sulle analisi di ARPA 2003-2005 e poi del 2010, dati noti a FIBE, mentre il superamento dei valori-soglia era stato condotto da ARPA, ma su Cava Giuliani ricorrevano solo i presupposti per la caratterizzazione d’urgenza ai sensi dell’art.240 d.lgs. n.152 del 2006 e non l’accertamento della responsabilità della ricorrente;

4. FIBE ricorre con nove motivi per la cassazione della sentenza; resistono con controricorso il Comune di Giugliano in Campania, che chiede la declaratoria di inammissibilità ovvero la reiezione del ricorso e MINISTERO DELLA TRANSIZIONE ECOLOGICA, MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO, MINISTERO DELLA SALUTE, PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI-DIPARTIMENTO DELLA PROTEZIONE CIVILE che ne chiedono la inammissibilità (per difetto della esposizione di motivi di giurisdizione), la dichiarazione di difetto di legittimazione passiva di MISE e Min.Salute, comunque la reiezione;

5. all’esito dell’adunanza camerale del 21 giugno 1022, queste Sezioni Unite, con ordinanza interlocutoria n. 20237 del 23 giugno 2022, hanno rinviato la causa a nuovo ruolo – per la trattazione in pubblica udienza – involgendo la contestazione nella vicenda del principio ‘chi inquina paga’ di cui alla Direttiva 2004/35/CE e comunque di ogni responsabilità ambientale, anche a titolo oggettivo o prescindendo da una condotta causativa del danno, in capo al proprietario/gestore richiesto di provvedere alla messa in sicurezza di emergenza, in difetto della individuazione del responsabile della potenziale contaminazione;

6. il Procuratore Generale, come anticipato nelle conclusioni scritte, ha chiesto il rigetto del ricorso di FIBE ritenendo in principalità che, sul tema e per il principio di sussidiarietà tra i due livelli, il vuoto di spazio regolatorio proprio del diritto europeo possa essere colmato dal diritto nazionale, in coerenza con il Trattato e senza conflitti con la direttiva 2004/35/CE.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Considerato che:

1. con i primi due motivi s’invoca una pluralità di violazioni del d.lgs. n. 152 del 2006 (artt.240, 242, 245, 252), oltre agli artt. 17 d.lgs. n. 22 del 1997, 15 DM 471/1999, contestando per un verso l’applicazione alla vicenda del principio ‘chi inquina paga’ e dunque ogni responsabilità in capo al proprietario/gestore di provvedere alla messa in sicurezza di emergenza (m.i.s.e.) e, dall’altro, l’erronea mancata individuazione del responsabile della potenziale contaminazione;

2. con il terzo e quarto motivo si deduce la violazione degli artt.2050 e 2051 c.c. e 240 e s. codice ambiente per errata applicazione delle norme sulla responsabilità da custodia o da posizione, essendo la seconda disciplina speciale rispetto a quella civilistica, né sussistendo alcuna presunzione di responsabilità;

3. con il quinto motivo si invoca l’omesso esame di fatto decisivo oggetto di discussione fra le parti, avendo FIBE lasciato il sito due anni prima della diffida congiunta MATT-commissario governativo del 2010;

4. con il sesto e settimo motivo si denuncia la sentenza per omessa comunicazione ex art.7 l. n. 241 del 1990 dell’avvio del procedimento culminato nell’imposizione di m.i.s.e., carenza d’istruttoria con il Ministero – MISE e difetto di motivazione, errore nell’individuazione del sito e confusione tra soggetti interessati e proprietario;

5. con l’ottavo motivo s’invoca la violazione dell’art. 2697 c.c., non avendo il TSAP valorizzato la consegna da parte di FIBE degli impianti ai commissari ad acta, circostanza desumibile da quanto prodotto;

6. con il nono motivo si deduce la violazione degli artt. 21-septies l. n. 241 del 1990, 242 codice ambiente, 133 c.p.a. e la elusione del giudicato, costituito dalla pronuncia del Consiglio di Stato che aveva con l’ordinanza n. 3223/2009 ordinato alla P.A. di verificare le cause dell’inquinamento e così accertarne il responsabile;

7. in via preliminare, va dato atto che il difetto di legittimazione passiva di MISE e Min.Salute, pronunciato dal TSAP (pag.10) non appare specificamente impugnato da FIBE, ciò rendendo superflua, per difetto d’interesse, l’eccezione reiterata in controricorso dagli enti, nella unitaria costituzione;

8. premettono inoltre queste Sezioni Unite che il ricorso va esaminato, in parziale contrarietà rispetto all’eccezione di pregiudiziale inammissibilità complessiva formulata nell’unitaria difesa dell’Avvocatura dello Stato, secondo il criterio per cui è vero che «l’ambito del sindacato del Tribunale superiore delle acque pubbliche, qualora sia chiamato a pronunciarsi in unico grado sulla legittimità dei provvedimenti amministrativi impugnati, è limitato all’accertamento dei vizi possibili dello svolgimento della funzione pubblica, compresi quelli denotati dalle figure sintomatiche dell’eccesso di potere; esso attiene quindi alla verifica della ragionevolezza e proporzionalità della scelta rispetto al fine e non si estende alle ragioni di merito, dovendosi arrestare dinanzi non solo alle ipotesi di scelte equivalenti ma anche a quelle meno attendibili, purché congruenti con il fine da raggiungere e con le esigenze da governare» (Cass. s.u. 11291/2021); e pur tuttavia, con riguardo alle decisioni rese, in sede di giurisdizione amministrativa, dal TSAP nelle materie di cui all’art. 143 del r.d. n. 1775 del 1933 «il ricorso alle Sezioni Unite della Corte di cassazione è esperibile, oltre che per i vizi indicati dall’art. 201 del citato regio decreto (incompetenza ed eccesso di potere), per ogni violazione di legge, sostanziale e processuale, e non per soli motivi inerenti alla giurisdizione, essendo tale limitazione operante, a norma dell’art. 111 Cost., unicamente per le pronunce del Consiglio di Stato e della Corte dei conti» (Cass. s.u. 7833/2020, 2155/2021, 35008/2022);

9. i primi due motivi, afferenti nel loro insieme alla più corretta individuazione degli strumenti di diritto pubblico diretti alla protezione ambientale, sono fondati; è in primo luogo non controverso, secondo l’accertamento del TSAP, che in capo a FIBE, come deciso dal giudice amministrativo in controversia analoga (Consiglio di Stato n. 5076/2018, per fattispecie praticamente identica, pag.12), non sia intervenuta la dimostrazione, ad opera delle competenti P.A., di alcuna correlazione causale tra l’attività svolta in situ e – per via di percolazione dei rifiuti trattati – la determinazione contaminativa del sottosuolo in punto di falda acquifera; è più chiara invece, in secondo luogo, l’opzione interpretativa seguita dal TSAP assumendo le misure di messa in sicurezza d’emergenza come prescrizioni del diritto domestico rientranti tra quelle cautelari, cioè in un contesto di prevenzione e riparazione anticipatoria del danno ambientale che ne ha giustificato, in sentenza, la ascrivibilità anche a chi – come FIBE – non era né imputabile colpevolmente dell’azione inquinante, né in provata assunzione di condotta causalmente determinativa dell’inquinamento stesso; il titolo che allora, in terzo luogo, ha giustificato per il TSAP la legittimità delle citate prescrizioni, pur nel formale distanziamento dalla responsabilità da posizione, è consistito in una peculiare relazione qualificata con il sito (da cui possono scaturire i danni all’ambiente, pag.13), operando decisivamente la proprietà o la detenzione qualificata; infine, in quarto luogo, tale lettura di responsabilità oggettiva è stata ritenuta, nella pronuncia, adeguata alla ragionevole proporzionalità discendente dalla Direttiva 2004/35/CE, secondo un criterio-guida rivolto alla legislazione nazionale pur non espressa né quanto alle prescrizioni né circa il soggetto destinatario delle stesse;

10. la seconda asserzione, nel richiamo ad un indirizzo interpretativo stabile in materia, denuncia in realtà un riferimento solo parziale e comunque non condivisibile, tenuto conto del formante giurisprudenziale che, progressivamente ed invece, si è venuto a sedimentare anche in senso contrario proprio nel dialogo fra la giurisprudenza nazionale, non solo amministrativa e quella europea attorno al principio chi inquina paga; per come il diritto domestico risulta intermediato dai precetti unionali (in primo luogo la Direttiva 2044/335/CE) non è infatti possibile rinvenire nello stesso codice dell’ambiente alcun obbligo diretto ed esplicito del proprietario, ove non sia autore della condotta contaminante, ad adottare interventi di messa in sicurezza di emergenza, né essi possono transitare tra le misure di precauzione o special-preventive a prescindere dall’accertamento della responsabilità e finendo così con il mutarsi, in capo al descritto soggetto, in concorrente e sostanziale obbligo di provvedere alla bonifica dell’area interessata;

11. la disciplina multilivello in tema di prevenzione e riparazione del danno ambientale procede invero, con accelerazioni adeguatrici non sempre progressive, dall’applicazione interna – oltre che dell’obiettivo-valore dello sviluppo sostenibile, basato anche su tutela e miglioramento della qualità dell’ambiente, così l’art. 3 co.3 Trattato UE – di due principi già presenti nel Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (ora art.191 TFUE) per cui la politica dell’Unione contribuisce a perseguire, tra gli altri, salvaguardia, tutela e miglioramento della qualità dell’ambiente, protezione della salute umana, utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali (co.1), così mirando a un elevato livello di tutela, tenendo conto della diversità delle situazioni nelle varie regioni dell’Unione e fondandosi sui principi della precauzione e dell’azione preventiva … della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all’ambiente, nonché sul principio “chi inquina paga” (co.2); la conseguente Direttiva 21 aprile 2004 del Parlamento europeo e del Consiglio (2004/35/CE) si è proposta di far applicare alle legislazioni nazionali la prevenzione e la riparazione del danno ambientale secondo il ripetuto principio «chi inquina paga» (artt.1 e 7, All. II), coerentemente con lo sviluppo sostenibile, sancendo che l’operatore la cui attività ha causato un danno ambientale o la minaccia imminente di tale danno sarà considerato finanziariamente responsabile in modo da indurre gli operatori ad adottare misure e a sviluppare pratiche atte a ridurre al minimo i rischi di danno ambientale (cons. 2), dunque privilegiando nettamente l’obiettivo della eliminazione in natura del danno ambientale rispetto alla prospettiva risarcitoria (per equivalente) e fissando una funzionalità altrettanto chiaramente imperniata sulla rilevanza anche giuridica delle attività professionali che presentano un rischio per la salute umana o l’ambiente (cons. 8); ne deriva così che è l’operatore che provoca un danno ambientale o è all’origine di una minaccia imminente di tale danno a dover di massima sostenere il costo delle necessarie misure di prevenzione o di riparazione, mentre il costo dell’intervento di supplenza dell’autorità competente andrebbe posto a carico dell’operatore, includendo il costo della valutazione del danno ambientale ed eventualmente della valutazione della minaccia imminente (cons. 18 e secondo la definizione dell’art.2 co.16); a sua volta, è netta la definizione dell’operatore (art.2 co.6), quale soggetto che esercita o controlla un’attività professionale o al quale sia delegato un potere economico decisivo sul funzionamento tecnico di tale attività;

12. imporre al soggetto inquinatore l’obbligo di riparare il danno o, in alternativa, quello di tenere indenne la comunità territoriale che l’abbia evitato o rimosso, significa pertanto addossare – non in chiave etica ma di efficacia, come rilevato nell’analisi economica di tale sistema – le esternalità negative (conseguenti alla produzione o al commercio di beni e servizi) a carico del soggetto cui sia riferibile l’attività, evitando alterazioni di mercato (per qualità dei prodotti e livelli di concorrenza), senza oneri per la collettività ovvero costi assunti in via definitiva dall’ente pubblico; viene così scongiurato ogni scenario di alternativa monetizzazione dell’inquinamento, disincentivato dallo scaricarsi sui soli prezzi, senza altri interventi ed invece declinandosi il principio riassuntivo ‘chi inquina paga’ nella riparazione più diretta del danno ambientale (nei contesti di acque, terreno e biodiversità, i soli dell’art.2 Direttiva), ad opera dell’autore (operatore in attività classificata pericolosa o terzo imputabile ad altro titolo) o, in sua vece e con recupero dei costi, a cura dell’ente pubblico;

13. il criterio d’imputazione della responsabilità proprio della Direttiva è invero ricavabile per un verso dalla sua valorizzazione di tipo oggettivo, la più efficace a tutela dell’ambiente e tuttavia con la possibilità, permessa agli Stati membri, di mediare le esigenze dello sviluppo economico, costruendo modelli di responsabilità mista, come forme eccezionali di esonero se il danno è riconducibile ad una terza fonte e nonostante ogni misura di sicurezza o per effetto di un ordine dell’autorità (art. 8 co. 3); parimenti, rileva il principio della colpa del soggetto agente, come previsto dall’art. 8, co. 4 lett. a) e b), per il quale l’operatore può essere escluso dal sostenere i costi delle azioni di riparazione assunte secondo la Direttiva se provi che non gli sia attribuibile un comportamento doloso o colposo; per altro verso, e pertanto, ai sensi dell’art.3 e per quanto qui d’interesse, la mancata elencazione di un’attività professionale tra quelle pericolose determina che il danno o la sua minaccia implichino una responsabilità solo ai sensi di un preciso criterio d’imputazione psicologico della relativa condotta, nell’ulteriore presupposto di una prova del nesso causale tra attività svolta dall’operatore, come in premessa definito dalla Direttiva e perciò individuabile e danno ambientale;

14. il testo del d.lgs. 3 aprile 2006, n.152 (codice dell’ambiente), anche a seguito di due procedure d’infrazione comunitaria (comunicazione del 31.1.2008 e parere del 26.1.2012) volte a superare il rilievo interno ancora proprio del rimedio della riparazione pecuniaria e le ambiguità sulla responsabilità colposa, ha dunque previsto, in pressoché adesivo allineamento alla citata direttiva, le reazioni ordinamentali al danno ambientale come effettivo ripristino (riparazione primaria) o, a seguire, riparazione complementare e compensativa conformemente ai principi della precauzione, dell’azione preventiva, della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all’ambiente, nonché al principio “chi inquina paga” (art.3ter); la stessa Corte di cassazione se ne è occupata (nelle pronunce 9012 e 16806 del 2015) innanzitutto chiarendo detti criteri risarcitori; così, la riparazione primaria, ha lo scopo di riportare le risorse e/o i servizi naturali danneggiati alle condizioni originarie; quella complementare, ove essi non tornino alle condizioni originarie, tende a compensare il mancato ripristino completo delle risorse e/o dei servizi naturali danneggiati; la riparazione compensativa pareggia la perdita temporanea di risorse dalla data di verificazione del danno a quella in cui la riparazione primaria non abbia prodotto un effetto completo; ma la definitiva armonizzazione della disciplina italiana rispetto a quella UE ha reso esplicito il conseguente principio per cui «non residua alcun danno ambientale economicamente quantificabile e quindi risarcibile – né in forma specifica, né a maggior ragione per equivalente – ogniqualvolta, avutasi la riduzione al pristino stato, non persista la necessità di ulteriori misure sul territorio reso oggetto dell’intervento inquinante o danneggiante, soltanto il costo (ovvero il rimborso) delle quali potrà essere oggetto di condanna nei confronti dei danneggianti: misure che vanno ora tutte verificate alla stregua della nuova normativa», con l’importante applicazione officiosa e retroattiva ai giudizi pendenti per fatti anteriori proprio della onnicomprensività del nuovo criterio riparatore a superamento di quello per equivalente (conf. Cass. 14935/2016; così anche Cass. 8662/2017 e Cass. 5705/2013 sui criteri di liquidazione del danno);

15. per l’art.311 cod. amb. viene dunque fissata la responsabilità oggettiva di chi gerisce specifiche attività professionali elencate e quella imputabile e soggettiva (per colpa o dolo) in capo a chiunque altro cagioni un danno ambientale (co.2); l’azione di risarcimento del danno ambientale, inteso come bene pubblico di carattere unitario, costituente autonomo diritto fondamentale, diverso dalla salute, di rilievo costituzionale, oggetto di tutela da parte del giudice ordinario (Corte costituzionale 210 del 1987; 233 del 2009; 85 del 2013) diviene così un’azione di reintegrazione in forma specifica, di competenza esclusiva del Ministero dell’ambiente; a sua volta, l’art.298bis distingue, nell’applicazione del codice, danno ambientale o minaccia imminente risalenti ad una delle attività professionali (dell’all. n.5 della Parte Sesta, che include la gestione dei rifiuti) ovvero ad un’attività diversa, per la seconda richiedendo il caso di comportamento doloso o colposo (co.1 lett.b); per «operatore», poi, l’art.302 co.4, intende qualsiasi persona, fisica o giuridica, pubblica o privata, che esercita o controlla un’attività professionale avente rilevanza ambientale oppure chi comunque eserciti potere decisionale sugli aspetti tecnici e finanziari di tale attività, compresi il titolare del permesso o dell’autorizzazione a svolgere detta attività; in adesione testuale al dettato della Direttiva, l’art.308 esclude a carico dell’operatore i costi delle azioni di precauzione, prevenzione e ripristino adottate conformemente alle disposizioni di cui alla parte sesta se egli può provare che il danno ambientale o la minaccia imminente di tale danno: a) è stato causato da un terzo e si è verificato nonostante l’esistenza di misure di sicurezza astrattamente idonee; b) è conseguenza dell’osservanza di un ordine o istruzione obbligatori impartiti da una autorità pubblica, diversi da quelli impartiti a seguito di un’emissione o di un incidente imputabili all’operatore (co.4); inoltre, l’operatore non è tenuto a sostenere i costi delle azioni di cui al comma 5 intraprese conformemente alle disposizioni di cui alla parte sesta … qualora dimostri che non gli è attribuibile un comportamento doloso o colposo e che l’intervento preventivo a tutela dell’ambiente è stato causato da: a) un’emissione o un evento espressamente consentiti da un’autorizzazione conferita ai sensi delle vigenti disposizioni legislative e regolamentari recanti attuazione delle misure legislative adottate dalla Comunità europea di cui all’allegato 5 della parte sesta … applicabili alla data dell’emissione o dell’evento e in piena conformità alle condizioni ivi previste; b) un’emissione o un’attività o qualsiasi altro modo di utilizzazione di un prodotto nel corso di un’attività che l’operatore dimostri non essere stati considerati probabile causa di danno ambientale secondo lo stato delle conoscenze scientifiche e tecniche al momento del rilascio dell’emissione o dell’esecuzione dell’attività. (co.5); resta impregiudicata la responsabilità e l’obbligo risarcitorio del trasgressore interessato (co.6);

16. a queste ipotesi di esimenti (cui si aggiungono le calamità naturali, il conflitto armato) va accostato il pari valore che viene assunto dal cd. inquinamento diffuso, una circostanza che tendenzialmente elide il nesso di causalità tra attività e danno e dunque esclude l’attualità del principio ‘chi inquina paga’; già nella considerazione di CGUE del 9 marzo 2010 in C- 378/08, tuttavia, la constatazione dell’assenza nella Direttiva 2004/35/CE di un criterio univoco per accertare la catena causale fra danni e attività di plurimi operatori, aveva indotto il giudice europeo a riconoscere da un lato la discrezionalità degli Stati membri nel ricostruire la predetta relazione (da determinarsi in sede nazionale quale strumento di necessaria attuazione delle norma europea, § 55,65), eventualmente conferendo significatività alla vicinanza dell’attività dell’operatore all’area incisa ovvero alla corrispondenza tra sostanze inquinanti rinvenute e quelle del processo produttivo, anche con ricorso (così C.d.S., sez. IV, 11 marzo 2022, n. 1742) a presunzioni secondo il criterio del ‘più probabile che non’ (peraltro superabili dal soggetto inciso); e tuttavia, dall’altro lato, tale pregnanza deve pur sempre rispondere al bisogno di fissare l’obbligo di riparazione (cioè la più matura reazione ordinamentale al danno o al pericolo di danno) secondo il contributo causale comunque accertato nel produrre il pregiudizio ambientale o la relativa minaccia (§ 54,57,64), così come – in attuazione della vigenza temporale della Direttiva – occorre che l’evento o l’accidente siano successivi al 30 aprile 2007 ovvero anteriori ma non ultimati negli effetti; ne consegue che a maggior ragione va esclusa una indicazione comunitaria alla riparazione del danno – almeno e già per questa via – a carico di chi non abbia svolto l’attività professionale di operatore, bensì venga chiamato a rispondervi nella veste di titolare di diritti dominicali o addirittura, come nel caso, con nesso eziologico escluso dallo stesso giudice dell’accertata condotta, non potendo la mera enunciazione di indizi di posizione, per un’attività non classificata dallo stesso d.lgs. n. 152 del 2006 a rischio d’inquinamento, sostituire di per sé la prova del predetto necessario nesso causale;

17. proprio la cit. CGUE 9 marzo 2010 aveva già ed infatti chiaramente precisato che spetta all’autorità ricercare preventivamente l’origine dell’accertato inquinamento, disponendo «di un potere discrezionale in merito alle procedure e ai mezzi da impiegare, nonché alla durata di una ricerca siffatta» e dovendo però dimostrare «in base alle norme nazionali in materia di prova, l’esistenza di un nesso di causalità tra l’attività degli operatori cui sono dirette le misure di riparazione e l’inquinamento» (§70); parimenti, una lettura di pur intensa oggettività del principio ‘chi inquina paga’ quale voluto dal legislatore europeo, collegando i costi di riparazione ambientale all’attività produttiva inquinante, tende a svalutare altre forme relazionali meramente indirette, imperniate ad esempio sull’appropriazione dei vantaggi economici permessi al soggetto per la sua posizione non di sfruttamento dei beni e dunque con attività condotta sugli impianti, bensì di mero diritto sul sito su cui essi insistono; la nozione di operatore di cui all’art.2 co. 6 Direttiva appare invero sufficientemente chiara nel suo collegamento ad una attività, esercitata o controllata o anche alla titolarità di un potere economico però decisivo sul funzionamento tecnico dell’iniziativa;

18. per quanto detto, e richiamando nella sua interezza l’art.191 co. 2 TFUE, una lettura coordinata del principio ‘chi inquina paga’ ne esige la declinazione integrata con quelli di precauzione e dell’azione preventiva, nonché della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all’ambiente, potendo così fungere il primo non solo da criterio selettivo della responsabilità, ma anche – come invocato in dottrina – quale limite alla discrezionalità dei pubblici poteri, tutte le volte in cui si intenda limitare attività potenzialmente inquinanti e al fine di tutelare l’ambiente; la conseguente affermazione di un equilibrio che giustifichi in modo proporzionale la stessa limitazione della libertà economica, in ragione degli obiettivi non altrimenti perseguibili, oltre a giustificare procedimenti a base partecipativa dei soggetti incisi dai provvedimenti dell’autorità pubblica e a porne le ragioni di una necessaria motivazione, interferisce pertanto sul perimetro di discrezionalità applicativa che, nella materia, la stessa Direttiva altresì consente agli Stati membri;

19. come chiarito dalla Corte Giustizia nella successiva, e parimenti fondamentale, sentenza 4 marzo 2015 (in C-534/13 (MATTM c. Fipa Group s.r.l.), la citata Direttiva «non osta a una normativa nazionale … la quale, nell’ipotesi in cui sia impossibile individuare il responsabile della contaminazione di un sito o ottenere da quest’ultimo le misure di riparazione, non consente all’autorità competente di imporre l’esecuzione delle misure di prevenzione e di riparazione al proprietario di tale sito, non responsabile della contaminazione, il quale è tenuto soltanto al rimborso delle spese relative agli interventi effettuati dall’autorità competente nel limite del valore di mercato del sito, determinato dopo l’esecuzione di tali interventi» (così poi ancora CGUE ordinanza 6 ottobre 2015, in C-592/13); accogliendo l’articolazione interrogativa del Procuratore Generale, va valutato allora quale sia lo spazio d’intervento del diritto nazionale che, salvaguardato espressamente dal giudice unionale ove sia scelta una soglia bassa di reattività verso il proprietario non responsabile dell’inquinamento, ospiti invece, ed all’opposto, una legislazione più restrittiva, secondo l’opzione esplicitamente consentita dall’art.16 Direttiva; la norma infatti ha cura di precisare che non preclude agli Stati membri di mantenere o adottare disposizioni più severe in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale, comprese l’individuazione di altre attività da assoggettare agli obblighi di prevenzione e di riparazione previsti dalla presente direttiva e l’individuazione di altri soggetti responsabili;

20. si tratta tuttavia di una clausola di salvaguardia, ispirata al principio di correlazione “chi inquina paga” e che deriva dalla traslazione dell’art.191, co. 2, TFUE, per il quale la politica dell’Unione in materia ambientale mira a un livello elevato di protezione e però si limita a definire gli obiettivi generali, mentre l’art. 192 TFUE affida al Parlamento europeo e al Consiglio dell’Unione europea, che deliberano secondo la procedura legislativa ordinaria, il compito di decidere le azioni da avviare al fine del raggiungimento di detti obiettivi (così, proprio CGUE C-534/13, § 39-40); la stessa citata pronuncia, peraltro, precisa per un verso che i privati non possono sottrarsi all’applicazione di una normativa nazionale impositiva di oneri ambientali se non sia applicabile nessuna normativa dell’Unione adottata in base all’art. 192 TFUE, così come lo stesso art.191 co.2 nemmeno può però, per altro verso, essere invocato dalle «autorità competenti in materia ambientale per imporre misure di prevenzione e riparazione in assenza di un fondamento giuridico nazionale» (§ 41);

21. se dunque il presupposto di tale assetto è che il principio “chi inquina paga” può trovare applicazione nelle controversie domestiche nei limiti in cui è attuato dalla Direttiva, cioè l’atto adottato dagli organi deliberanti dell’Unione, va considerato che tale operatività presuppone il confronto con alcune circostanze storiche che però, nella specie di causa, ne escludono l’integrale assunzione; infatti, ratione temporis, l’esito è di esclusione applicativa stando alla stessa CGUE in C-534/13 per la quale «dall’articolo 17, primo e secondo trattino … letto in combinato disposto con il suo considerando 30, risulta che tale direttiva si applica unicamente al danno causato da un’emissione, un evento o un incidente verificatosi il 30 aprile 2007 o dopo tale data quando tale danno derivi vuoi da attività svolte in tale data o successivamente ad essa, vuoi da attività svolte precedentemente a tale data ma non terminate prima di essa» (§ 44); questo primo fattore appare contraddetto dall’accertamento, non specificamente contestato in giudizio, per cui FIBE è rimasta nel sito di discarica dal 2001 con gestione sino al 2003, poi detenendolo a titolo provvisorio, per effetto della risoluzione contrattuale ai sensi dell’art.1 d.l. n. 245 del 2005 «fino alla consegna degli impianti ai nuovi gestori» (pag.5);

22. si può altresì aggiungere che, per quanto l’art.193 TFUE consenta che I provvedimenti di protezione adottati in virtù dell’articolo 192 non impediscono ai singoli Stati membri di mantenere e di prendere provvedimenti per una protezione ancora maggiore… compatibili con i trattati …. notificati alla Commissione, nemmeno il riepilogo dei principi dell’art.192, co. 2, anch’esso aperto alla ricognizione di misure efficaci, sia sul piano territoriale che temporale, giustifica quella parte della sentenza impugnata che assume direttamente da tali norme ispiratrici e quale primario il valore della responsabilità ambientale in termini anche oggettivi ed in capo a soggetto proprietario non autore della condotta inquinante; quei principi, per come posti, esigono piuttosto che gli interventi delle P.A., di prevenzione ed immediata misura, trovino diretta ed esaustiva coerenza in un’interpretazione appunto diretta e derogatoria del codice nazionale in materia, cioè «un fondamento giuridico nazionale» (CGUE C-534/13, §41); la ragionevole proporzionalità di cui discorre la sentenza TSAP (pag.13), al di fuori di condizionalità per colpa o dolo del fatto causativo e di finalità sanzionatorie, manifesta infatti un incerto e poco chiaro richiamo valoriale alla responsabilità ambientale oggettiva che sarebbe in generale configurata dalla Direttiva 2004/35/CE; si tratta tuttavia di una semplificazione ermeneutica, tradendo la pronuncia impugnata il diverso precetto concessivo posto dalla Direttiva e per il quale, come visto, sono perseguibili disposizioni più severe, ma per attività e soggetti ivi configurati, pur avendo allora di mira il legislatore nazionale l’effettività del risultato protettivo ambientale, da perseguire, specie se in situazione d’urgenza;

23. è infatti già dubbio che la citata relazione con il diritto nazionale (secondo la rubrica dell’art.16 Direttiva) consenta de plano che la prevenzione e la riparazione del danno ambientale, in caso di estensione della responsabilità eventualmente scelta da uno Stato membro, trascini con sé per le fattispecie nazionali così individuate gli stessi principi della Direttiva o non implichi, piuttosto e soltanto, essa non ostacolando regimi più gravi, la possibilità per gli ordinamenti di mere discipline aggiuntive a quelle di necessaria armonizzazione, sempre allo scopo di realizzare un quadro più efficace di prevenzione e riparazione del danno ambientale e però nel rispetto del principio ‘chi inquina paga’ (secondo l’art.1, richiamato nel testo dal perimetro concessivo dell’art.16); non casualmente la disposizione relazionale, a titolo di esempio chiaro per comprendere il punto di caduta della normazione più severa consentita, enuncia la possibile fissazione di altre attività da assoggettare agli obblighi di prevenzione e di riparazione, locuzione che, per quanto priva dell’aggettivazione professionale di cui agli artt.2 co.7 e 3 co. 1 lett. a) e b), confligge con una nozione statica di rapporto con l’area da parte del soggetto che, essendone solo proprietario e non esercente iniziativa alcuna, difficilmente rientra nell’ipotizzato perimetro estensivo lasciato agli Stati membri dall’art. 16; parimenti, il principio ‘chi inquina paga’ condiziona altresì la eventuale individuazione di altri soggetti responsabili, cui ancora la disposizione rimanda, ove manchi una connessione dinamica con la produzione del danno ambientale, per la cui prevenzione e riparazione non appare invocabile un legame più immateriale e non anche dispositivo rispetto all’attività esercitata o esercitabile sull’area interessata;

24. in sequenza, va pertanto chiarito se l’interpretazione dell’assetto normativo italiano, al fine conseguente alla progressiva armonizzazione con la Direttiva 2004/35/CE e in sé considerata sia di per sé idonea, per elementi istituzionali originari ed aggiuntivi rispetto al diritto UE, a giustificare una responsabilità del proprietario in quanto tale; allo stato, il confronto va reso rispetto alla giurisprudenza sia civile che amministrativa la quale tuttavia ha spesso escluso, dal diritto ambientale italiano, la sussistenza in via automatica, a titolo di responsabilità oggettiva per fatto altrui, di una responsabilità del proprietario dell’area inquinata e da bonificare, se non si dimostri che questi abbia provocato o contribuito a provocare il danno ambientale; in particolare, con le pronunce n. 21 del 2013 (dell’Adunanza Plenaria) e Sez. VI del 5 ottobre 2016, n. 4099 e 4119, il Consiglio di Stato ha precisato che il Ministero non può imporre al proprietario di un’area contaminata (non responsabile dell’inquinamento) l’obbligo di eseguire le misure di messa in sicurezza di emergenza (m.i.s.e.) e di bonifica, in quanto gli effetti a carico del proprietario incolpevole restano limitati a quanto previsto dall’art. 253 cod. amb. in tema di oneri reali e privilegi speciali immobiliari (rimborso delle spese relative agli interventi effettuati dall’autorità competente nei limiti del valore di mercato del sito determinato dopo l’esecuzione); il proprietario, in tale quadro, è tenuto soltanto ad adottare le misure di prevenzione idonee a contrastare un evento che abbia creato una minaccia imminente per la salute o per l’ambiente intesa come rischio sufficientemente probabile, secondo il canone causale civilistico, di verificazione di un danno sanitario o ambientale al fine di impedire o minimizzare tale minaccia; a sua volta, infatti, l’Amministrazione ha l’obbligo di effettuare le indagini volte all’identificazione del soggetto responsabile dell’evento di contaminazione che diffida a provvedere agli interventi di risanamento (art. 244), così che al soggetto estraneo alla contaminazione viene soltanto richiesto l’assolvimento di uno specifico obbligo di comunicazione quando riscontri la presenza (attuale o potenziale) di contaminazione (art. 245, co. 2), mentre l’obbligo di facere rispetto agli interventi di messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale è limitato all’adozione delle misure di prevenzione che sono funzionali al contrasto nell’immediato del potenziale verificarsi di un danno sotto il profilo ambientale e sanitario (art. 245, co. 1); quando né il responsabile né altro soggetto interessato intervengono, le opere sono eseguite d’ufficio dall’amministrazione competente in loro danno (art. 250), mentre – come anticipato – al proprietario incolpevole (come per altro soggetto interessato non responsabile della contaminazione) viene comunque riconosciuta la facoltà di eseguire volontariamente gli interventi di bonifica (art. 245, co. 1) al fine di limitare le conseguenze patrimoniali che derivano dall’imposizione degli oneri reali sul bene immobile contaminato (‘pesi’ iscritti ai registri immobiliari, dopo l’approvazione del progetto di bonifica, indicati nel certificato di destinazione urbanistica ex art. 253, co. 1, così che il bene circola come proprietà in tali termini gravata e proprio la previsione di un onere reale qualifica l’obbligazione del soggetto come un solvere più che un facere) e del privilegio speciale immobiliare per le spese sostenute (art. 253, co. 2), che altrimenti graverebbero sul fondo quando gli interventi sono eseguiti in danno (art. 250); il proprietario incolpevole risponde, in ogni caso, nei limiti del valore di mercato dell’area bonificata, per come risultante dagli interventi (art. 253, co. 4), in forza di specifico provvedimento in cui l’amministrazione giustifichi l’impossibilità di accertare l’identità del soggetto responsabile ovvero l’impossibilità di esercitare azioni di rivalsa nei confronti di tale soggetto o comunque la loro infruttuosità (art. 253, co. 3);

25. a tale assetto, come detto, si è pervenuti in forza della citata progressiva armonizzazione legislativa e, poi, all’esito di una serrata dialettica tra la giurisprudenza amministrativa e quella comunitaria in ordine alla portata del principio ‘chi inquina paga’; nel frattempo, la disciplina domestica si è arricchita di fattispecie d’intervento, variamente dettagliate dalle norme tecniche di corredo e ricostruite nelle sedi giudiziali, per le quali – in questa causa – anche il Procuratore Generale, con riguardo alle m.i.s.e., ha chiesto ridefinirsi un ambito di compatibilità ovvero inclusione nel più vasto genus delle misure preventive o precauzionali a dispetto di una opposta appartenenza, evocata dalla ricorrente e semmai, a quelle di riparazione (per la Direttiva) o già di ripristino (per il codice ambientale); nella prima opzione, la misura, per il suo connotato oggettivo emergenziale, s’imporrebbe in termini di attuazione immediata anche a carico del proprietario incolpevole, tenuto ad adottarla e così a contribuire a prevenire il pregiudizio, evitando la sopportazione solo successiva dell’onere di rimborso delle spese del ripristino ambientale officioso, laddove tale gravame andrebbe a conformare il bene, secondo un vincolo sulla proprietà tanto più coerente oggi con l’emersione costituzionale esplicita dell’ambiente come valore tutelato (art.9 Cost.) e limite di svolgimento e indirizzo dell’iniziativa economica (art.41 Cost.); a questa stregua, cui presta adesione -per quanto sintetica- la sentenza impugnata, le norme contemplanti il proprietario, come gli artt.245 e 244 cod. amb., dovrebbero essere rilette come un coinvolgimento per un verso doveroso (di ogni comunicazione alla P.A. del superamento attuale o altamente possibile delle CSC, le concentrazioni di soglia di contaminazione) per l’attuazione, senza distinzione, di tutte le misure di prevenzione (stante il richiamo all’art.242) e, per altro, pienamente partecipativo all’intero iter dell’intervento preventivo (così trovando spiegazione la notifica, appunto anche al proprietario, della m.i.s.e. imposta al responsabile autore materiale);

26. va innanzitutto osservato, per il contesto di lettura residua da affrontare, che il d.lgs. n.152 del 2006, attuando gli obblighi di risultato stabiliti dalla Direttiva 2004/35/CE, realizza comunque una legge speciale, tendenzialmente regolativa delle fattispecie di responsabilità per danni all’ambiente ed invero lo stesso art.298bis co.1, come visto e così fissando un principio generale, ha riguardo ad una nozione di attività e, poi, rinvia al sistema della prevenzione e del ripristino ambientale (titolo II parte Sesta), anche per qualsiasi minaccia imminente di danno grave, nonché alla nozione di operatore (con invarianza soggettiva anche per il titolo III, intestato al risarcimento del danno ambientale); si tratta dunque di quelle due nozioni che, già prima facie, impongono uno scrutinio degli adempimenti ipoteticamente gravanti sul proprietario incolpevole che non può focalizzarsi, come pur suggerito nella requisitoria, sulla mera portata sostanziale di una misura d’intervento, la cui astratta applicabilità a qualunque soggetto, proprio perché attività pratica, appare dallo stesso codice in realtà chiaramente intermediata di necessità dalla previsione soggettiva che, nei testi citati ed almeno, correla l’operatore ad una determinata iniziativa economica/attività sull’area, così imputando in modo diverso la compromissione delle matrici ambientali; questa seconda tesi, cui le Sezioni Unite prestano qui adesione, emerge nella sua maggiore plausibilità proprio dall’adeguamento graduale della giurisprudenza amministrativa a quella comunitaria, agevolando la prima e da oltre un decennio, nonostante oscillazioni, la ricognizione di un formante che, selettivamente, si dà carico di non despecializzare le molte e distinte fattispecie del codice ambientale; in tal modo, viene evitato che una riqualificazione oggettiva nei termini della sola funzionalità di una qualunque misura volta a fronteggiare il danno ambientale imminente o attuale traghetti, nella disciplina italiana, una nozione così lata di responsabilità incolpevole e di posizione da svuotare il margine identitario del più sicuro raccordo tra azione contaminante e riparazione alla base del principio per cui ‘solo chi inquina paga’;

27. a tale regola comunque deve prestare ossequio anche una disciplina domestica più severa e che però non intenda dilatare senza confini il precetto, così come solennemente l’apertura del titolo V (bonifica di siti contaminati) afferma in esordio all’art.239; così che il testo del successivo art.245 (incluso nel titolo), nel dettare gli obblighi di intervento e di notifica da parte dei soggetti non responsabili della potenziale contaminazione per un verso fa salvi gli obblighi del responsabile della potenziale contaminazione di cui all’art.242, mentre, quanto al proprietario o il gestore dell’area che rilevi il superamento o il pericolo concreto e attuale del superamento della concentrazione soglia di contaminazione (CSC), prescrive in via primaria un ben diverso obbligo di 1) comunicazione alla regione, alla provincia ed al comune territorialmente competenti e poi di 2) attuare le misure di prevenzione secondo la procedura di cui all’articolo 242; per il primo obbligo, il codice è coerente con la considerazione istruttoria e notiziale che deve curare l’autorità competente secondo l’art.6 co. 4 Direttiva, avendo a mente le persone sul cui terreno si dovrebbero effettuare le misure di riparazione; per il secondo obbligo, si tratta di un rinvio, in realtà, ad un sistema organizzativo (procedure operative ed amministrative) contemplanti innanzitutto e quale soggetto destinatario diretto il ben diverso responsabile dell’inquinamento, tenuto in modo più stringente e sempre, ai sensi dell’art.242, e già nelle prime 24 ore, alle misure necessarie di prevenzione e poi in prosieguo ad altri interventi; il richiamo è dunque ad una procedura (dettata primariamente per altra tipologia soggettiva) ed esso non innova, quanto al proprietario incolpevole, le misure che potrebbero essergli imposte, perché viene mantenuta per questi la formula delle misure di prevenzione; l’art. 245, così precisato ed in secondo luogo, non vanifica la analitica distinzione – valevole proprio ai fini dell’applicazione dell’intero titolo V – ospitata, quanto alle varie misure, dal precedente art.240, che definisce le misure di prevenzione (lett. i), riparazione (lett. l), messa in sicurezza d’emergenza (lett. m) e poi operativa (lett. n) e permanente (lett. o);

28. in particolare, la m.i.s.e. si definisce come ogni intervento immediato o a breve termine, da mettere in opera nelle condizioni di emergenza di cui alla lettera t) in caso di eventi di contaminazione repentini di qualsiasi natura, atto a contenere la diffusione delle sorgenti primarie di contaminazione, impedirne il contatto con altre matrici presenti nel sito e a rimuoverle, in attesa di eventuali ulteriori interventi di bonifica o di messa in sicurezza operativa o permanente (lett. m), art.240 co.1 cod. amb.); a sua volta la anteriore lettera i) ancora dell’art. 240 definisce invece le misure di prevenzione come le iniziative per contrastare un evento, un atto o un’omissione che ha creato una minaccia imminente per la salute o per l’ambiente, intesa come rischio sufficientemente probabile che si verifichi un danno sotto il profilo sanitario o ambientale in un futuro prossimo, al fine di impedire o minimizzare il realizzarsi di tale minaccia; inoltre, con riguardo allo stato di conservazione di una specie, anche l’art.302 co.8 cod. amb., nel riprendere più da vicino la nozione di misure di prevenzione dell’art.2 co.10 Direttiva, le ridefinisce come quelle prese per reagire a un evento, un atto o un’omissione che ha creato una minaccia imminente di danno ambientale, al fine di impedire o minimizzare tale danno; la non assimilabilità delle m.i.s.e. alle misure di prevenzione, nonostante anche le prime possano materialmente assolvere ad una finalità di contenimento del danno ambientale, sembra allora e con evidenza correlarsi al fatto che solo le seconde – significativamente all’inizio dell’elenco delle iniziative perseguibili – implicano un danno ancora non presente, su tale senso convergendo le formule della minaccia imminente, il rischio sufficientemente probabile, lo scenario di un futuro prossimo, insieme alle nozioni di impedimento al realizzarsi della minaccia;

29. la m.i.s.e., invece, appare giustificata all’altezza di condizioni di emergenza (ex lett. t), cioè con eventi verificatisi e dunque necessità di interventi) tali da imporre, finalisticamente, il contrasto ad eventi di contaminazione repentini, dunque con pregiudizio ambientale in itinere, per il quale la misura volge al contenimento, a limitare la diffusione delle relative sorgenti, ad impedire contatti con altre matrici contaminative del sito, in attesa di bonifica o messa in sicurezza di là da venire ma di cui la m.i.s.e. stessa mostra di essere già una prima parte; né può essere accolta l’assimilazione della m.i.s.e. alla più ampia categoria della prevenzione, secondo lo sbrigativo inciso di pag. 13 della sentenza o anche in base alla più argomentata tesi sostenuta dal Procuratore Generale (pag.10 memoria), sul presupposto di un’identica funzionalità strumentale rispetto al danno ambientale, poiché tale tratto, da un canto, non spiega la cesura concettuale rispetto alla riparazione (lett. l) art.240 codice) e alle varie misure di messa in sicurezza (lett. m), n) e o) art.cit.) che paiono accomunate dal presupposto di un fenomeno di danno già iniziato e non solo temuto; d’altro canto, la circostanza per cui la condizione di emergenza (lett.t) imponga una strutturazione provvisoria della misura denuncia, anch’essa, non solo un’ontologica distinzione rispetto ai presupposti di un’azione preventiva (per sua natura anteriore al danno-fenomeno) ma nemmeno può dirsi ‘strumentale ad interventi successivi’, tant’è che la citata lett. m) espressamente li ipotizza siccome eventuali ulteriori interventi di bonifica o di messa in sicurezza operativa o permanente, con ciò ammettendo che una pronta ed efficace m.i.s.e. possa avere pertanto assunto ben ipotizzabile piena portata bonificatrice; in questo senso, non va ragionevolmente escluso, stando alla sequenza progressivamente grave delle misure di cui all’art.240 cod. amb., che già una m.i.s.e. di successo, a danno in corso, esaurisca l’intervento come operazione necessaria e anche definitiva, connotandosi allora anche la immediatezza su piano diverso rispetto alla prevenzione; la descritta esigenza classificatoria e distintiva risulta invero e semmai acuita e non scoraggiata, per quanto complessa, dalla proliferazione denominativa degli istituti regolati ulteriormente dallo stesso cod. amb. che ora prevede, tra gli Allegati al Titolo V della parte Quarta (2000) Allegato 3 – Criteri generali per la selezione e l’esecuzione degli interventi di bonifica e ripristino ambientale, di messa in sicurezza (d’urgenza, operativa o permanente), nonché per l’individuazione delle migliori tecniche d’intervento a costi sopportabili, la figura della messa in sicurezza d’urgenza (non contemplata all’art.240) e ne descrive gli interventi siccome mirati a rimuovere le fonti inquinanti primarie e secondarie, ad evitare la diffusione dei contaminanti dal sito verso zone non inquinate e matrici ambientali adiacenti, ad impedire il contatto diretto della popolazione con la contaminazione presente;

30. orbene, al di là dei limiti di armonizzazione della disciplina sulla bonifica dei siti contaminati con quella sul danno ambientale e della incertezza propria di un’indubbia proliferazione degli interventi, tecnici e di prescrizione amministrativa, sono enucleabili taluni elementi tipizzanti e distintivi; tra essi, l’immediatezza (entro 24 ore) e l’entità molto limitata (per complessità tecnica e onere economico) degli interventi di prevenzione, che anche il proprietario incolpevole deve porre in atto, in presenza di una minaccia imminente di danno ambientale, ancora non verificato (per la ristrettezza temporale confliggente con un’analisi scientifica esaustiva), ma che risulta come evidenza immediatamente riconoscibile, nonché ed invece la tempestività della m.i.s.e., quale intervento progressivamente necessario ed urgente che solo il responsabile della contaminazione deve realizzare, in caso di potenziale o accertato superamento delle CSC nell’ambito della disciplina sulla bonifica, in attesa delle ulteriori attività (caratterizzazione, eventuale bonifica/messa in sicurezza operativa e ripristino ambientale), previste dalle procedure contenute nella parte IV del codice dell’ambiente;

31. coerentemente con tali premesse, parte della giurisprudenza amministrativa – in adesione a dottrina maggioritaria – ha sovente escluso un coinvolgimento coattivo del proprietario, per il fenomeno di inquinamento non ascrivibile alla sua sfera, dalle attività di rimozione, prevenzione e messa in sicurezza di emergenza (Consiglio di Stato, VI, 7 novembre 2016, n. 4647; 9 febbraio 2016, n.550; 10 settembre 2015, n.4225); in precedenza, in molte occasioni le amministrazioni – specie nei contesti di difficoltà di istruttoria completa e adeguata verifica sull’origine della contaminazione, con la impossibilità di selezione certa del responsabile dell’inquinamento – per non dover far fronte ai costi, anche ingenti, del risanamento ambientale, hanno esteso gli obblighi esigibili dal proprietario incolpevole, imponendogli l’esecuzione degli interventi di messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale ed una parte delle pronunce dei giudici amministrativi aveva asseverato tale estensione; si trattava invero di contrasti, culminati nella sottoposizione, da parte dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato e nel corso del 2013, di due rinvii pregiudiziali alla Corte di giustizia (13 novembre, n.25 e 25 settembre, n.21) interrogata sulla ostatività o meno dei principi dell’Unione Europea in materia ambientale ad una normativa, come ricostruita, che – in caso di accertata contaminazione del sito e impossibilità di individuare il soggetto responsabile ovvero ottenere da quest’ultimo l’esecuzione degli interventi di riparazione – non consenta alla P.A. di imporre l’esecuzione delle misure di sicurezza d’emergenza e di bonifica al proprietario non responsabile, prevedendo, a suo carico, solo una responsabilità patrimoniale limitata al valore del sito dopo l’esecuzione degli interventi di bonifica; è all’esito di questa complessa elaborazione che la CGUE (nella cit. pronuncia 4 marzo 2015 in C-534/13, resa su ordinanza C.d.S. 8 luglio 2013), ha chiarito che la Direttiva 2004/35/CE deve essere interpretata nel senso che non osta a una normativa nazionale … la quale, nell’ipotesi in cui sia impossibile individuare il responsabile della contaminazione di un sito o ottenere da quest’ultimo le misure di riparazione, non consente all’autorità competente di imporre l’esecuzione delle misure di prevenzione e di riparazione al proprietario di tale sito, non responsabile della contaminazione, il quale è tenuto soltanto al rimborso delle spese relative agli interventi effettuati dall’autorità competente nel limite del valore di mercato del sito, determinato dopo l’esecuzione di tali interventi; la rimessione è evidentemente avvenuta nella ostensione di un indirizzo, poi ripreso dai precedenti sopra segnalati ed altri anteriori e poi di autoconformazione (C.d.S., sez. VI, 18 novembre 2011, n. 2376; C.d.S., sez. V, 16 giugno 2009, n. 3885; C.d.S., sez. II, 30 aprile 2012, parere n. 2038; e poi C.d.S., sez. V, 7 giugno 2017, n. 2724; con aperture C.d.S., sez. V, 8 marzo 2017, n. 1089; C.d.S., sez. VI, 7 novembre 2016 n. 4647; C.d.S., sez. VI, 5 ottobre 2016, n. 4099; C.d.S., sez. V, 30 luglio 2015, n. 3756), di continuità rispetto alla «unica interpretazione compatibile con il tenore letterale delle disposizioni in esame» (Ad. plen., 13 novembre 2013, n. 25; C.d.S., Ad. plen., 25 settembre 2013, n. 21);

32. la descritta ricostruzione dell’istituto, a sua volta, appare recepita in altra più recente giurisprudenza amministrativa, per quanto non univoca, come precisato nella pronuncia del Cons. Stato, Sez. VI, 4 agosto 2021, n. 5742 per la quale l’Amministrazione non può imporre al proprietario di un’area inquinata, che non sia anche l’autore dell’inquinamento, l’obbligo di realizzare le misure di messa in sicurezza di emergenza e bonifica, di cui all’art. 240, co. 1, lett. m) e p), cod. amb., in quanto gli effetti a carico del proprietario incolpevole restano limitati a quanto espressamente previsto dall’art. 253, in tema di oneri reali e privilegio speciale immobiliare, tale essendo la netta distinzione tra la figura del responsabile dell’inquinamento e quella del proprietario del sito, che non abbia causato o concorso a causare la contaminazione; così che, come ancora ribadito, il proprietario ‘non responsabile’ dell’inquinamento è tenuto, ai sensi dell’art. 245, co. 2, ad adottare le misure di prevenzione di cui all’art. 240, co. 1, lett. i), ma non le misure di messa in sicurezza d’emergenza e bonifica di cui alle lett. m) e p) (per Cons. Stato, Sez. V, 29 dicembre 2021, n. 8702); altre pronunce, tuttavia, pur generalmente negando che a carico del proprietario incolpevole possano essere addossati oneri di bonifica (stante la rispettiva natura sanzionatoria), ammettono, con il richiamo al principio di precauzione, l’inerenza anche delle misure di messa in sicurezza d’emergenza tra quelle preventive, potenzialmente gravanti sul proprietario o detentore del sito da cui possano scaturire i danni all’ambiente solo perché egli è tale senza necessità di accertarne il dolo o la colpa (Cons. Stato, Sez. IV, 12 luglio 2022, n. 5863 e 5864; Cons. Stato, Sez. IV, 2 maggio 2022, n. 3426); viene al contempo ribadito che il vigente quadro normativo nazionale non ammette peraltro un criterio di imputazione basato sulla responsabilità di posizione a carico del proprietario incolpevole, restando escluse ipotesi di responsabilità svincolata persino da un contributo causale alla determinazione del danno (Cons. Stato, Sez. V, 7 marzo 2022, n. 1630);

33. per parte sua, questa Corte, applicando la Direttiva 2004/35/CE ed i suoi principi derivati nel cod. amb., in una vicenda afferente ai compiti attribuibili al titolare di una concessione di derivazione di acque ad uso irriguo, ha ritenuto – in sede di analogo scrutinio di una pronuncia del TSAP – che legittimamente rientrano in un’attività di prevenzione quelle, con i correlativi costi, di monitoraggio della qualità delle acque e le operazioni di sospensione della captazione, ove sia rilevato un superamento della CSC, ma va escluso che allo stesso soggetto, «in quanto sicuramente non responsabile del potenziale inquinamento, possa prescriversi, come invece fatto … nel provvedimento impugnato, di adottare tecniche di rimozione dei fattori inquinanti»; ciò laddove esse, «in quanto implicanti misure di riparazione primaria, debbono far carico unicamente al responsabile della contaminazione, ove individuato, in forza del principio “chi inquina paga”» (Cass. s.u. 25039/2021);

34. ai fini di causa, rilevano conseguentemente le ulteriori affermazioni della cit. CGUE 4 marzo 2015: a) uno dei presupposti essenziali per l’applicazione del regime di responsabilità istituito dalla Direttiva è l’individuazione di un operatore che possa essere qualificato come responsabile (§49); b) spetta in linea di principio all’operatore all’origine del danno ambientale prendere l’iniziativa di proporre misure di riparazione che egli reputi adeguate alla situazione ed è al medesimo che l’autorità competente può imporre di adottare le misure necessarie (§50), soggetto che l’autorità ha l’obbligo di individuare (§51); c) censendo le attività diverse da quelle professionali (ai sensi dell’art.2 co. 6 e 7) l’obbligo dell’autorità competente di accertare un nesso causale si applica, come nel regime di responsabilità ambientale oggettiva degli operatori, anche per la responsabilità ambientale soggettiva da dolo o colpa dell’operatore di cui all’articolo 3, paragrafo 1, lettera b) (§55-56), mentre se non può essere dimostrato alcun nesso causale tra il danno ambientale e l’attività dell’operatore, tale situazione rientra nell’ambito dell’ordinamento giuridico nazionale (§59); d) l’art. 16 della Direttiva prevede, conformemente all’art. 193 TFUE, la facoltà per gli Stati membri di mantenere e adottare disposizioni più severe in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale, compresa, in particolare, l’individuazione di altri soggetti responsabili, ma a condizione che tali misure siano compatibili con i Trattati (§61);

35. l’ultima asserzione, per quanto circoscritta ad una condizionalità particolarmente sintetica e però netta, espone così il monito, rivolto agli ordinamenti degli Stati membri, di non supportare innanzitutto sistemi amministrativi in cui sia direttamente la condotta delle autorità ad imporre regimi più stringenti, vale a dire misure diverse da quelle di prevenzione nei confronti del proprietario incolpevole, essendo l’eventuale previsione di spettanza del solo legislatore; se già tale indicazione soddisfa garantisticamente un requisito di tassatività della responsabilità ambientale in capo al soggetto non autore del danno, il profilo selettivo che la sostiene può agevolare, ermeneuticamente, anche l’indagine sulle norme positive che, come nel nostro ordinamento, lascino il dubbio di fattibilità dell’estensione – all’insegna dei principi di precauzione, azione preventiva e correzione in via prioritaria alla fonte, oltre che del principio ‘chi inquina paga’ – di una diversa regola attrattiva; proprio l’intima correlazione del principio da ultimo descritto (di sicura impostazione nella Direttiva) con gli altri di codificazione italiana ex artt.3ter e 301 cod.amb. e con anticipazione programmatica all’art.191 par.2 Trattato CE, che dunque non dovrebbero con esso entrare in collisione, induce – anche per questa via – a risolvere l’interrogativo evitando che l’instaurazione di obblighi più restrittivi sia perseguita, oltre che con scarsa chiarezza di fattispecie nelle rispettive misure, conducendo ad una possibile sostituzione generalizzata all’effettivo responsabile del danno del diverso soggetto-proprietario non colpevole; ne consegue che considerare le misure di messa in sicurezza di emergenza alla stregua di una sottoclasse delle misure di prevenzione espone ad un contrasto con la stessa sentenza CGUE del 4 marzo 2015 posto che tale assimilazione produrrebbe l’effetto di imporre, nella sostanza, un obbligo di riparazione di un danno già in essere a carico di un soggetto non responsabile della contaminazione che l’ha determinato;

36. osserva altresì il Collegio che, non dissimilmente, anche la Direttiva 2008/99/CE DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO del 19 novembre 2008 sulla tutela penale dell’ambiente fissa l’esigenza di sanzioni maggiormente dissuasive per le attività che danneggiano l’ambiente, le quali generalmente provocano o possono provocare un deterioramento significativo (cons. 3, art.3); si tratta di locuzione più volte ripetuta, come per il caso di qualsiasi azione che provochi il significativo deterioramento di un habitat all’interno di un sito protetto (art.3 co.1 lett. h) e risulta coerente anche quando responsabilizza le persone giuridiche per carenze nella sorveglianza o nel controllo in relazione causale con la commissione di un reato (art.6 co.2);

37. a propria volta, un quadro altrimenti vago circa l’accertamento di quali siano gli obblighi di bonifica stabiliti per legge o per ordine dei giudici e delle amministrazioni costituisce circostanza ostativa ad un corretto funzionamento circolare del sistema delle tutele ambientali, posto che esso appare oggi presidiato altresì penalmente, con l. 22 maggio 2015, n. 68 e tra i reati mediante la fattispecie di omessa bonifica; secondo l’art. 452terdecies c.p. la punizione, salvo che il fatto costituisca più grave reato, concerne la condotta di chiunque, essendovi obbligato per legge, per ordine del giudice ovvero di un’autorità pubblica, non provvede alla bonifica, al ripristino o al recupero dello stato dei luoghi; ne discende come una puntuale definizione degli obblighi da attribuire al responsabile della contaminazione e, rispettivamente, al proprietario incolpevole, agevoli il percorso ricognitivo, con le distinte responsabilità, altresì di un assetto dell’intera materia meglio e doverosamente predicibile;

38. in precedenza, e come accennato, già CGUE 9 marzo 2010, in C-378/08 (investita da TAR Sicilia, con decisione 5 giugno 2008), aveva rinviato al diritto nazionale, per le ipotesi di responsabilità ambientale non direttamente previste dalla Direttiva, aprendo alla possibile desumibilità del nesso causale (per l’inquinamento a carattere diffuso) dalla relazione fra operatore e sito, ma imponendo, con la doverosa sussistenza del requisito perché voluto dal principio ‘chi inquina paga’, la plausibilità degli indizi che diano fondamento alla presunzione, quali la vicinanza dell’impianto dell’operatore all’inquinamento accertato e la corrispondenza tra le sostanze inquinanti ritrovate e i componenti impiegati da detto operatore nell’esercizio della sua attività; con ciò, era affermata la imprescindibilità dell’accertamento del nesso causale;

39. i principi così emersi, per come qui riassunti e a loro volta, scongiurano poi il dubbio di perplessità costituzionale, pur alla stregua della novellazione degli artt.9 e 41 Cost. attuata con la legge 11 febbraio 2022, n.1; quanto al primo, non appare allo stato irragionevole il sistema distributivo della responsabilità ambientale tuttora vigente, imperniato proprio sul perseguimento della riparazione e fino alla estrema attuazione dell’intervento pubblico sostitutivo rispetto all’inerzia o non individuazione del responsabile, quest’ultimo censito in base all’attività potenzialmente contaminante o al nesso causale di altre parimenti interferenti; quanto alla seconda disposizione, la perplessità appare superabile già in ragione del dato testuale che, disciplinando i limiti – oggetto di riserva di legge – dell’iniziativa economica, contraddice un ipotizzabile immediato richiamo altresì ad una situazione soggettiva non contraddistinta da attività a quella riconducibile, posta la staticità della condizione giuridica del proprietario in quanto tale; in realtà, la riserva di legge non solo orienta ad una soluzione coerente con il precetto del giusto processo ex art. 111 co.1 Cost., ma risulta ricompresa, ai fini di causa, nella matrice legale di ogni prestazione ex art.23 Cost., oltre che nella latitudine dei limiti gravanti sulla proprietà ex art.42 Cost., concorrendo ad innalzare, con la certezza del diritto, e dunque sicurezza della medesima decisione anche amministrativa per casi uguali, la cennata prevedibilità della stessa decisione giudiziaria;

40. infine, la specialità della disciplina applicata neutralizza altresì la portata attribuita in sentenza (pag. 14) alla attività di ‘caratterizzazione’ spontanea perseguita dalla ricorrente, posto che l’erroneità del complesso ordine d’intervento impartito a FIBE, mediante gli atti unitariamente impugnati, travolge i connotati dell’inadempimento, non facendo valere la P.A. la circostanza in termini di obbligazione quanto piuttosto di ‘anticipazione di quell’apporto collaborativo tra privato e P.A. nella gestione dello stato di crisi ambientale’; si tratta di un titolo giustificativo che viene meno in ragione dell’accoglimento dei primi due motivi, apparendo erronea la richiesta di m.i.s.e. a carico di soggetto provatamente estraneo ad un nesso causale con l’inquinamento ed altresì assente una comprovata ricerca del responsabile dell’inquinamento, cui era comunque tenuta l’amministrazione;

41. il terzo e quarto motivo, per un profilo risultano assorbiti, ove la sentenza, erroneamente e come visto, ascrive al proprietario incolpevole una responsabilità oggettiva che prescinde dal nesso causale, oltre che dall’elemento soggettivo; per altro profilo, le censure sono fondate, trascurando la sentenza che l’inapplicabilità degli artt.2050-2051 c.c. – al di là della non perspicua portata argomentativa assunta dal relativo richiamo nella ratio decidendi di pag. 19 – discende direttamente dalla natura interamente speciale propria del codice dell’ambiente; si è cioè di fronte, dopo l’introduzione della Direttiva 2004/35/CE, ad un corpo normativo appositamente dedicato, come chiarito in dottrina, alla tutela dell’illecito ecologico, ormai slegato dal sistema regolativo dell’illecito civile ordinario di cui agli artt. 2043 e s. c.c., come si evince dalla minuta descrizione tanto del regime di responsabilità quanto dei soggetti responsabili — e tra essi, primariamente, gli operatori professionali — e soprattutto del perimetro di applicazione della disciplina, il quale viene escluso nei casi di fenomeni naturali di carattere eccezionale, incontrollabili o inevitabili; ne discende l’insussistenza di una comunanza operativa fra il regime di responsabilità per danno ambientale di cui alla Parte VI cod. amb. e quello per cose in custodia di cui all’art. 2051 c.c., mentre la nozione di attività pericolosa dell’art.2050 c.c. appare piuttosto trasfigurata nel codice, per altri fini, nella nozione di attività professionale di cui all’art.298bis; anche la giurisprudenza amministrativa, valorizzando i compiti di realizzo delle opere di bonifica in capo alle amministrazioni e nella prospettiva dell’attribuzione ad esse del privilegio sul fondo a carico del proprietario incolpevole, ha escluso il possibile ricorso alla responsabilità da custodia a carico di costui (Consiglio di Stato Sez. VI, 9 gennaio 2013, n. 56 e Sez. VI, 18 aprile 2011, n. 2376; con chiarezza rinviando ad una nozione di sussidiarietà, Consiglio di Stato, Sez. V, 30 luglio 2015, n.3756);

42. la Corte di cassazione, a propria volta, oltre che nella fattispecie della derivazione idrica di cui alla cit. Cass. s.u. 25039/2021, già aveva trattato la questione chiarendo che la disciplina applicabile alla vicenda (interventi diretti alla tutela dell’integrità dell’ambiente lagunare attraverso azioni di disinquinamento, bonifica e/o messa in sicurezza dei siti) pur non dovendo essere individuata in quella di cui al d.lgs. 2 aprile 2006, n. 152, priva di carattere retroattivo, ma nell’art. 17 del d.lgs. 22 aprile 1997, n.22 (vigente al momento dei fatti), era anch’essa ispirata al comune principio per cui l’obbligo di adottare le misure idonee a fronteggiare la situazione di inquinamento è a carico di colui che di essa sia responsabile per avervi dato causa (secondo la formula “chi inquina paga”); per cui anche per Cass. 17045/2018 in capo al proprietario non autore della violazione andava escluso l’obbligo di provvedere direttamente alla bonifica, diversa essendo la facoltà di intervenire volontariamente per evitare le eventuali conseguenze derivanti dai vincoli gravanti sull’area (con argomenti già in Cass. 5705/2013); stante il tenore dell’accoglimento dei motivi trattati, risultano assorbiti i restanti;

43. conclusivamente, il ricorso va accolto, con riguardo ai primi quattro motivi, restando assorbiti gli altri, con cassazione della sentenza impugnata e rinvio al TSAP, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del procedimento.

P.Q.M.

la Corte accoglie il ricorso, quanto ai primi quattro motivi, con assorbimento dei restanti, cassa e rinvia al TSAP, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del procedimento.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 10 gennaio 2023

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