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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Diritto venatorio e della pesca, Fauna e Flora, Risarcimento del danno Numero: 19332 | Data di udienza: 27 Gennaio 2023

FAUNA E FLORA – Incidente automobilistico con animale selvatico (cinghiale) – Omissione di cautele – Doveri di vigilanza e di controllo sulla fauna selvatica – Enti responsabili – Obbligo di custodia da parte della P.A. – RISARCIMENTO DEL DANNO – Responsabilità per danni da ricondursi alla mala gestio della fauna selvatica – Nesso eziologico tra la condotta e l’evento lamentato e tra l’evento ed il danno – Art. 2052 c.c. DIRITTO VENATORIO – Patrimonio indisponibile dello Stato – Specie selvatiche protette ai sensi della legge n. 157/1992.


Provvedimento: ORDINANZA
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 7 Luglio 2023
Numero: 19332
Data di udienza: 27 Gennaio 2023
Presidente: SCARANO
Estensore: GIANNITI


Premassima

FAUNA E FLORA – Incidente automobilistico con animale selvatico (cinghiale) – Omissione di cautele – Doveri di vigilanza e di controllo sulla fauna selvatica – Enti responsabili – Obbligo di custodia da parte della P.A. – RISARCIMENTO DEL DANNO – Responsabilità per danni da ricondursi alla mala gestio della fauna selvatica – Nesso eziologico tra la condotta e l’evento lamentato e tra l’evento ed il danno – Art. 2052 c.c. DIRITTO VENATORIO – Patrimonio indisponibile dello Stato – Specie selvatiche protette ai sensi della legge n. 157/1992.



Massima

CORTE DI CASSAZIONE CIVILE Sez. 3^, 7 luglio 2023 (Ud. 27/01/2023), Ordinanza n. 19332

 

FAUNA E FLORA – Incidente automobilistico con animale selvatico (cinghiale) – Omissione di cautele – Doveri di vigilanza e di controllo sulla fauna selvatica – Enti responsabili – Obbligo di custodia da parte della P.A. – RISARCIMENTO DEL DANNO – Responsabilità per danni da ricondursi alla mala gestio della fauna selvatica – Nesso eziologico tra la condotta e l’evento lamentato e tra l’evento ed il danno – Art. 2052 c.c. DIRITTO VENATORIO – Patrimonio indisponibile dello Stato – Specie selvatiche protette ai sensi della legge n. 157/1992.

I danni cagionati dalla fauna selvatica sono risarcibili dalla P.A. a norma dell’art. 2052 c.c., giacché, da un lato, il criterio di imputazione della responsabilità previsto da tale disposizione si fonda non sul dovere di custodia, ma sulla proprietà o, comunque, sull’utilizzazione dell’animale e, dall’altro, le specie selvatiche protette ai sensi della legge n. 157 del 1992 rientrano nel patrimonio indisponibile dello Stato e sono affidate alla cura e alla gestione di soggetti pubblici in funzione della tutela generale dell’ambiente e dell’ecosistema. Si è al riguardo ulteriormente precisato che nell’azione di risarcimento del danno cagionato da animali selvatici a norma dell’art. 2052 c.c. la legittimazione passiva spetta in via esclusiva alla Regione, in quanto titolare della competenza normativa in materia di patrimonio faunistico, nonché delle funzioni amministrative di programmazione, di coordinamento e di controllo delle attività di tutela e gestione della fauna selvatica, anche se eventualmente svolte -per delega o in base a poteri di cui sono direttamente titolari– da altri enti; la Regione può rivalersi (anche mediante chiamata in causa nello stesso giudizio promosso dal danneggiato) nei confronti degli enti ai quali sarebbe in concreto spettata, nell’esercizio delle funzioni proprie o delegate, l’adozione delle misure che avrebbero dovuto impedire il danno. E che in materia di danni da fauna selvatica a norma dell’art. 2052 c.c. grava sul danneggiato l’onere di dimostrare il nesso eziologico tra il comportamento dell’animale e l’evento lesivo, mentre spetta alla Regione fornire la prova liberatoria del caso fortuito, dimostrando che la condotta dell’animale si è posta del tutto al di fuori della propria sfera di controllo, come causa autonoma, eccezionale, imprevedibile o, comunque, non evitabile neanche mediante l’adozione delle più adeguate e diligenti misure – concretamente esigibili in relazione alla situazione di fatto e compatibili con la funzione di protezione dell’ambiente e dell’ecosistema– di gestione e controllo del patrimonio faunistico e di cautela per i terzi.

(accoglie il ricorso avverso sentenza n. 10/2020 del TRIBUNALE di L’AQUILA) Pres. SCARANO, Rel. GIANNITI, Ric. Di Carlo c. Regione Abruzzo


Allegato


Titolo Completo

CORTE DI CASSAZIONE CIVILE Sez. 3^, 07/07/2023 (Ud. 27/01/2023), Ordinanza n. 19332

SENTENZA

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

omissis

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

sul ricorso 20831/2020 proposto da:
Di Carlo M., elettivamente domiciliato in Roma Via Bormida 1 presso lo studio dell’avvocato Riccioni Marco, rappresentato e difeso dall’avvocato Scipioni Antonella;

– ricorrente –

CONTRO

Regione Abruzzo, in persona del Presidente pro tempore, domiciliata ex lege in Roma, Via dei Portoghesi n. 12 presso l’Avvocatura Generale dello Stato da cui è rappresentata e difesa;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 10/2020 del TRIBUNALE di L’AQUILA, depositata il 30/01/2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 27/01/2023 dal Consigliere Pasquale Gianniti;

RILEVATO CHE:

1. Nel dicembre 2015 Massimo Di Carlo conveniva in giudizio la Regione Abruzzo e la Provincia di Teramo deducendo che:
– in data 12.05.2015, nel percorrere con la propria autovettura la SS n° 80, in prossimità di Montorio al Vomano bivio Cusciano, era stato investito da un cinghiale di grosse dimensioni, che aveva procurato danni al veicolo per € 1.947,28;
– sul luogo del sinistro erano intervenuti gli agenti del Corpo Forestale;
– questi ultimi avevano rilevato le tracce dell’urto con l’animale selvatico, avevano rinvenuto l’ungulato morto a bordo della strada, avevano redatto apposito verbale, con documentazione fotografica, evidenziando nella descrizione della dinamica, che la versione resa dal danneggiato era concordante con gli accertamenti svolti.

Sulla base di tali premesse, parte attorea lamentava la condotta colposa della Regione Abruzzo e/o dell’amministrazione provinciale di Teramo, chiedendo l’accertamento della responsabilità degli enti convenuti, in via solidale, concorrente e/o alternativa.

In particolare, il Di Carlo:
a) quanto alla Regione Abruzzo, deduceva che la responsabilità per danni sia da ricondursi alla mala gestio della fauna selvatica – con particolare riferimento, per quel che riguarda l’utilizzo del territorio, l’immissione ed incremento delle specie più pericolose per grandezza e violenza – per la carenza di controllo e per l’assenza di qualsiasi cautela circa la relativa presenza in luoghi troppo vicini a paesi e centri abitati, attraversati da strade pubbliche con elevata probabilità di intralcio alla circolazione stradale e conseguente pericolo per l’incolumità degli utenti;

b) quanto invece alla Provincia di Teramo, deduceva che la responsabilità risarcitoria trovi fondamento, oltre che nella funzione di gestione del territorio, anche nella titolarità della strada, teatro del sinistro, per la omissione di ogni cautela e, in particolare, per la mancata recinzione della strada, già oggetto in passato di diversi incidenti della stessa specie.

Si costituiva la Regione Abruzzo, la quale- dopo aver sostenuto che la legittimazione passiva fosse da attribuire alla Provincia di Teramo, in quanto destinataria di funzioni amministrative di interesse provinciale – eccepiva che la dimostrazione della materialità della collisione tra l’animale e l’autoveicolo e la semplice deduzione di doveri di vigilanza e di controllo sulla fauna selvatica incombenti sull’ente e del conseguente obbligo di predisporre tutte le misure idonee ad evitare danni a persone o cose non fosse sufficiente ad integrare l’imputazione della responsabilità a suo carico, essendo necessario accertare la sua condotta colposa.

Si costituiva altresì la Provincia di Teramo, la quale eccepiva a sua volta la carenza della propria legittimazione passiva e, a sostegno di detta eccezione, osservava che la normativa regionale non contiene disposizioni ovvero deleghe nei confronti delle Province in ordine all’individuazione di responsabilità per danni causati da animali selvatici, giacché le sole funzioni risarcitorie delegate dalla regione alle province (LR n° 10/2003; LR no 10/2004) hanno ad oggetto i danni provocati dalla fauna selvatica alle produzioni agricole e zootecniche, mentre nulla era previsto per i danni arrecati alla circolazione.

Il Giudice di Pace di Teramo con sentenza n° 263/2016, ha disposto l’estromissione dal giudizio della convenuta Provincia di Teramo, e, con separata ordinanza, ha disposto la prosecuzione del giudizio nei confronti della sola Regione Abruzzo; con sentenza n° 723/2016, ha quindi condannato la Regione Abruzzo al pagamento della somma di € 1.947,28, oltre accessori di legge, spese e competenze di lite, a titolo di risarcimento per i danni subiti dal veicolo di proprietà del Di Carlo.

2. Avverso detta sentenza proponeva appello la Regione Abruzzo, chiedendone la riforma. In particolare, deduceva:
a) il suo difetto di legittimazione passiva e l’errata declaratoria di sua responsabilità, in quanto solo l’ente che eserciti in concreto le funzioni di cura e protezione della fauna selvatica, nella specie la Provincia, è in grado di individuare e di prevenire le cause dei danni;
b) l’erronea valutazione delle risultanze istruttorie, non essendo stato provato né il nesso eziologico tra la condotta e l’evento lamentato e tra l’evento ed il danno né dimostrata la colpa dell’amministrazione;
c) l’erronea individuazione dei criteri di imputazione della responsabilità, non essendo la fattispecie risarcibile ai sensi dell’art. 2052 Cod. Civ. ma alla stregua del criterio generale di cui all’art. 2043 Cod. Civ.;
d) l’errata condanna al pagamento delle spese processuali.

Nella resistenza del Di Carlo, il Tribunale di L’Aquila, quale giudice di secondo grado, in riforma della sentenza di primo grado, ha rigettato la domanda originariamente proposta dal Di Carlo.

3. Avverso la sentenza del giudice di secondo grado propone ora ricorso il Di Carlo.

Resiste la Regione Abruzzo.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il Di Carlo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2052 e 2043 c.c. nonché violazione della legge n. 157/1992 nella parte in cui il Tribunale di L’Aquila ha ritenuto che (p.6): <<…la gestione della fauna incombente sulla Regione non comporta ex se che qualunque danno a vetture circolanti cagionato da essa sia addebitabile alla Regione, occorrendo la allegazione o quanto meno la specifica indicazione di una condotta omissiva efficiente sul piano della presumibile ricollegabilità del danno …>>.

Sostiene che il giudice di appello, tanto affermando, si è conformato al consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità (cfr., tra le tante, Cass. n. 7080 del 2006), in base al quale il danno cagionato dalla fauna selvatica ai veicoli in circolazione è risarcibile alla stregua dell’art. 2043 c.c., con conseguente onere per il danneggiato di dimostrare un concreto comportamento colposo ascrivibile all’ente pubblico evocato in giudizio.

Osserva che, alla base di detto orientamento, sta la considerazione che lo stato di “libertà naturale” in cui vive e si muove la fauna selvatica sia incompatibile con un qualsiasi obbligo di custodia da parte della P.A., ma che il concetto di “libertà naturale” è destinato ad entrare in crisi laddove, come nella specie, la controversia riguardi danni provocati da specie animali reintrodotte dall’uomo in un determinato ambiente.

Sostiene che, a seguito dell’entrata in vigore della legge quadro sulla caccia (la legge n. 968 del 1977), la dottrina maggioritaria ha sostenuto l’applicabilità della responsabilità di cui all’art. 2052 c.c. in capo alla P.A. per gli incidenti stradali causati da animali selvatici; e che a fondamento di tale affermazione è stato posto il c.d. principio del cuius commoda eius et incommoda, al fine di assicurare la corretta composizione degli interessi confliggenti e la realizzazione del criteri di gestione economicamente razionale del rischio.

Aggiunge che questa Corte, partendo da tale ordine di considerazioni, ha di recente rimeditato il fondamento giuridico della responsabilità per i danni causati da animali appartenenti a specie protette di proprietà pubblica e che il nostro ordinamento, agli artt. 2050 e ss c.c. prevede una serie di ipotesi caratterizzate dall’inversione dell’onere della prova; e, in particolare, con sentenza n. 7969 del 20 aprile 2020, ha osservato che il criterio di imputazione della responsabilità di cui all’art. 2052 c.c. non si fonda sulla custodia, ma sulla stessa proprietà dell’animale e/o comunque sulla sua utilizzazione da parte dell’uomo.

Auspica che questa Corte voglia dare continuità a tale ultimo orientamento, riconducendola materia dei danni provocati dalla fauna selvatica nell’alveo dell’art. 2052 c.c.

2. Il motivo è fondato.

Questa Sezione, consapevolmente e argomentatamente rimeditando e superando il precedente orientamento, è pervenuta ad affermare il principio per cui i danni cagionati dalla fauna selvatica sono risarcibili dalla P.A. a norma dell’art. 2052 c.c., giacché, da un lato, il criterio di imputazione della responsabilità previsto da tale disposizione si fonda non sul dovere di custodia, ma sulla proprietà o, comunque, sull’utilizzazione dell’animale e, dall’altro, le specie selvatiche protette ai sensi della legge n. 157 del 1992 rientrano nel patrimonio indisponibile dello Stato e sono affidate alla cura e alla gestione di soggetti pubblici in funzione della tutela generale dell’ambiente e dell’ecosistema (v. Cass. n. 7969 del 2020. Conformemente v. altresì Cass. n. 12113 del 2020; Cass. n. 13848 del 2020, Cass. n. 16414 del 2021 e Cass. n. 22271 del 2021).

Si è al riguardo ulteriormente precisato che nell’azione di risarcimento del danno cagionato da animali selvatici a norma dell’art. 2052 c.c. la legittimazione passiva spetta in via esclusiva alla Regione, in quanto titolare della competenza normativa in materia di patrimonio faunistico, nonché delle funzioni amministrative di programmazione, di coordinamento e di controllo delle attività di tutela e gestione della fauna selvatica, anche se eventualmente svolte -per delega o in base a poteri di cui sono direttamente titolari– da altri enti; la Regione può rivalersi (anche mediante chiamata in causa nello stesso giudizio promosso dal danneggiato) nei confronti degli enti ai quali sarebbe in concreto spettata, nell’esercizio delle funzioni proprie o delegate, l’adozione delle misure che avrebbero dovuto impedire il danno. E che in materia di danni da fauna selvatica a norma dell’art. 2052 c.c. grava sul danneggiato l’onere di dimostrare il nesso eziologico tra il comportamento dell’animale e l’evento lesivo, mentre spetta alla Regione fornire la prova liberatoria del caso fortuito, dimostrando che la condotta dell’animale si è posta del tutto al di fuori della propria sfera di controllo, come causa autonoma, eccezionale, imprevedibile o, comunque, non evitabile neanche mediante l’adozione delle più adeguate e diligenti misure – concretamente esigibili in relazione alla situazione di fatto e compatibili con la funzione di protezione dell’ambiente e dell’ecosistema– di gestione e controllo del patrimonio faunistico e di cautela per i terzi.

Orbene, i suindicati principi sono stati disattesi dal giudice di appello nell’impugnata sentenza, in particolare là dove ha affermato:
<< … la gestione della fauna incombente sulla Regione non comporta ex se che qualunque danno a vetture circolanti cagionato da essa sia addebitabile alla Regione occorrendo la allegazione o quanto meno la specifica indicazione di una condotta omissiva efficiente sul piano della presumibile ricollegabilità del danno … >>.

3. Dell’impugnata sentenza, assorbito il secondo motivo (con il quale il ricorrente denuncia violazione dell’art. 342 c.p.c.), si impone pertanto la cassazione in relazione, con rinvio al Tribunale di L’Aquila, in diversa composizione, perché proceda a nuovo esame alla luce dei suindicati disattesi principi.

Al giudice di rinvio è demandato anche il compito di liquidare le spese del presente giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo nei termini di cui in motivazione e, assorbito il secondo motivo, cassa in relazione la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, al Tribunale di L’Aquila, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Terza Sezione

 
 

 

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