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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Diritto degli alimenti, 231 Numero: 33418 | Data di udienza: 30 Maggio 2023

DIRITTO DEGLI ALIMENTI – Responsabile HACCP per autocontrollo – Frode nell’esercizio del commercio l’applicazione sui latticini del bollo “IT” – Marcatura mendace in ordine alla provenienza del bene – Art. 6 d.lgs. n. 193/2007 – 231 – Art. 13 d.lgs. n. 231/2017.


Provvedimento: SENTENZA
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 31 Luglio 2023
Numero: 33418
Data di udienza: 30 Maggio 2023
Presidente: LIBERATI
Estensore: CORBETTA


Premassima

DIRITTO DEGLI ALIMENTI – Responsabile HACCP per autocontrollo – Frode nell’esercizio del commercio l’applicazione sui latticini del bollo “IT” – Marcatura mendace in ordine alla provenienza del bene – Art. 6 d.lgs. n. 193/2007 – 231 – Art. 13 d.lgs. n. 231/2017.



Massima

 

CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^, 31 luglio 2023 (Ud. 30/05/2023), Sentenza n.33418

 

 

DIRITTO DEGLI ALIMENTI – Responsabile HACCP per autocontrollo – Frode nell’esercizio del commercio l’applicazione sui latticini del bollo “IT” – Marcatura mendace in ordine alla provenienza del bene – Art. 6 d.lgs. n. 193/2007 – 231 – Art. 13 d.lgs. n. 231/2017.

Integra l’elemento oggettivo del delitto di frode nell’esercizio del commercio l’applicazione sui latticini del bollo “IT” riferibile ad altro produttore, in quanto tale marcatura, mendace in ordine alla provenienza del bene, lede la correttezza nei rapporti commerciali, ingannando il consumatore e, al contempo, danneggiando l’effettivo produttore.

(rigetta il ricorso avverso sentenza del 16/09/2022 della CORTE DI APPELLO DI SALERNO) Pres. LIBERATI, Rel. CORBETTA, Ric. Di Lascio


Allegato


Titolo Completo

CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^, 31/07/2023 (Ud. 30/05/2023), Sentenza n.33418

SENTENZA

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE

composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

omissis

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da Di Lascio xxx, nato a Paola il xxx;

avverso la sentenza del 16/09/2022 della CORTE DI APPELLO DI SALERNO;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere Stefano Corbetta;

letta la requisitoria redatta ai sensi dell’art. 23 d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, dal Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Mariaemanuela Guerra, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con l’impugnata sentenza, la Corte di appello di Salerno confermava la pronuncia resa dal Tribunale di Salerno e appellata dagli imputati, la quale aveva condannato xxx Di Lascio ed xxx Di Lascio alla pena ritenuta di giustizia in relazione al reato di cui agli artt. 56, 515 cod. pen., per avere – nella rispettiva qualità di amministratore unico della F.lli Di Lascio s.r.l. e di socio nonché responsabile HACCP per autocontrollo, compiuto atti idonei – diretti in modo non equivoco a mettere in commercio come genuini prodotti lattiero caseari che, per origine e provenienza, erano diversi da quelli dichiarati in etichetta, posto che i prodotti esposti per la vendita provenivano, in realtà, dalla “Fattoria San Vito Azienda Agricola di Michele Romano”, sprovvista del bollo sanitario di cui al Regolamento CE n. 853/2004.

2. Avverso l’indicata sentenza, Enrico Paolo Di Lascio, per il tramite del difensore di fiducia, propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi.

2.1. Con il primo motivo si deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen. per non avere la Corte di merito motivato in ordine alla riqualificazione del fatto ai sensi dell’illecito amministrativo di cui all’art. 6 d.lgs. n. 193 del 2007 e/o all’art. 13 d.lgs. n. 231 del 2017, posto che è contestata unicamente l’errata apposizione di un bollo sanitario, che, da solo, non avrebbe potuto ingenerare alcuna confusione sul consumatore finale, trattandosi di una mera indicazione tecnica; aggiunge il difensore che, da quanto emerge dal Regolamento CE n 853/2004, il bollo CE costituisce un’autorizzazione sanitaria, volta a consentire la libera circolazione fra i Paesi dell’UE ed extra UE di alimenti di origine animale, come peraltro affermato da Cass., Sez. 3, n. 37573 del 2021. Ad avviso del difensore, sull’etichettatura erano presenti tutte le informazioni obbligatorie prescritte dall’art. 9 Reg. UE n. 1169/11, ossia la corretta indicazione di provenienza dell’alimento con riguardo dal venditore (la F.lli Di Lascio s.r.l.), sia pure con l’aggiunta di un errato bollo CE, frutto di confusione applicativa.

La motivazione, inoltre, sarebbe contraddittoria, laddove ha ritenuto che la marcatura CE non funge da marchio di qualità o d’origine, sicché non è dato comprendere perché sia stata ritenuta la fattispecie di cui all’art. 515 cod. pen., con riferimento all’aliud pro alio circa l’origine e la provenienza. La Corte di merito non avrebbe fornito un adeguato riscontro ai motivi di appello circa l’errata qualificazione giuridica del fatto, posto che la condotta ascritta all’imputato è consistita in un mero errore di confezionamento del prodotto, dovuto a superficialità nelle operazioni di imballaggio, durante le quali si è confuso il vecchio fornitore di formaggi (la Formaggi Moscato s.n.c.) con il nuovo fornitore (l’Aziona Agricola di Michele Romano), trattandosi della stessa tipologia di merce casearia.

Rappresenta, ancora, il difensore che la motivazione sarebbe carente in punto di accertamento dell’elemento soggettivo, desunto unicamente sulla base delle funzioni svolte.

Aggiunge, infine, il difensore che la motivazione sarebbe incongrua anche nella parte in cui ha negato l’applicazione delle circostanze attenuanti generiche con il mero richiamo all’assenza di “motivi validi” per il loro riconoscimento.

2.2. Con il secondo motivo si eccepisce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. nella parte in cui la sentenza nulla ha disposto per la posizione della società F.lli Di Lascio s.r.l..

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato.

2. La materialità del fatto non è oggetto di contestazione.

Secondo quanto accertato dai giudici di merito, a seguito di una verifica effettuata presso il punto vendita del caseificio F.lli Di Lascio, sito in Capaccio, contrada Cerro, personale del nucleo Antifrodi dei carabinieri di Salerno accertò che sul banco frigo erano esposti alla vendita 37 ricotte e 140 forme di formaggio confezionati sottovuoto, i quali riportavano, oltre all’etichetta adesiva F.lli Di Lascio e all’indicazione degli ingredienti, la dicitura “prodotto confezionato da IT 15/436 CE”; a seguito di una verifica presso il sito del Ministero della salute, si appurò che il bollo IT 15/436 CE corrispondeva alla società Formaggi Moscato s.n.c. di Olivero Citra.

Dall’esame dalla documentazione contabile, emerse che i prodotti con quel bollo erano stato acquistati non dalla Formaggi Moscato s.n.c., bensì dall’Azienda Agricola di Michele Romano, che aveva un bollo CE diverso.

3. Ciò chiarito, il primo motivo appare infondato.

La Corte di merito ha ravvisato la sussistenza del delitto in esame, sul presupposto che “la marcatura CE non funge da marchio di qualità o d’origine (come quello relativo ad una determinata origine territoriale del prodotto), bensì attiene alle qualità organolettiche e nutritive, etc. di uno specifico prodotto, che è quello alimentare” (p. 4). Si tratta di una motivazione in parte errata che, ferma restando la sussistenza del reato, deve essere corretta nei termini che seguono.

4. E’ ben vero che, per costante giurisprudenza di questa Corte, integra il reato di tentativo di frode in commercio il detenere, anche presso un esercizio commerciale di distribuzione e vendita all’ingrosso, prodotti privi di marcatura “CE” o con marcatura “CE” contraffatta (Sez. 3, n. 17686 del 14/12/2018, dep. 29/04/2019, Jia, Rv. 275932; Sez. 3, n. 27704 del 21/04/2010, dep. 16/07/2010, Amato, Rv. 248133), atteso che la dicitura “CE” non identifica un marchio propriamente detto, inteso come elemento, o segno, o logo, idoneo a distinguere un manufatto da un altro, ma assolve alla diversa funzione di garantire al consumatore la conformità del prodotto su cui è apposta ai livelli di qualità e di sicurezza previsti dalla normativa dell’Unione europea (Sez. 2, n. 30026 del 25/05/2021, Islam, Rv. 281809).

Ma non è questa la situazione accertata nel caso in esame, in cui la marcatura IT 15/436 CE identifica non l’effettivo fornitore dei prodotti caseari, ossia dall’Azienda Agricola di Michele Romano – la quale, come accertato dal Tribunale, aveva “un bollo CE diverso” – ma un fornitore precedente, ossia la Formaggi Moscato s.n.c. di Olivero Citra.

In altri termini, la circostanza, accertata dal primo giudice, che l’Azienda Agricola di Michele Romano avesse un “bollo CE diverso” induce logicamente a ritenere che tale società fosse presente nell’elenco ufficiale degli stabilimenti riconosciuti ai sensi del Reg. (CE) 853/2004, e che, quindi – proprio come la Formaggi Moscato s.n.c. di Olivero Citra – fosse autorizzata alla produzione e commercializzazione di alimenti di origine animale sul territorio dell’Unione Europea.

Del resto, il Tribunale aveva ravvisato la sussistenza del delitto in esame sul presupposto fattuale che “sui prodotti destinati alla vendita era stato apposto, con un utilizzo improprio, il bollo IT 15/436 CE della società Formaggi Moscati s.n.c. e non quello della Azienda Agricola di Michele Romano dalla quale erano stati acquistati” (p. 4 della sentenza di primo grado).

5. Si tratta quindi di verificare se l’apposizione di un bollo IT di un altro produttore integri, o meno, i presupposti del delitto di cui all’art. 515 cod. pen., che incrimina chiunque “nell’esercizio di un’attività commerciale, ovvero in uno spaccio aperto al pubblico, consegna all’acquirente una cosa mobile per un’altra, ovvero una cosa mobile, per origine, provenienza, qualità o quantità, diversa da quella dichiarata o pattuita”.

6. La risposta è affermativa.

7. Il Regolamento n. 853/2004/CE prevede, come recita l’art. 1, “norme specifiche in materia di igiene per gli alimenti di origine animale, destinate agli operatori del settore alimentare. Dette norme integrano quelle previste dal regolamento (CE) n. 852/2004”. Ai sensi dell’art. 4, comma 1, “Gli operatori del settore alimentare immettono sul mercato prodotti di origine animale fabbricati nella Comunità solo se sono stati preparati e manipolati esclusivamente in stabilimenti che: a) soddisfano i pertinenti requisiti di cui al regolamento (CE) n. 852/2004, agli allegati II e III del presente regolamento e altri pertinenti requisiti della legislazione alimentare; e b) sono registrati presso l’autorità competente o riconosciuti, qualora richiesto ai sensi del paragrafo 2”. Il comma 2 stabilisce che “gli stabilimenti che trattano i prodotti di origine animale per i quali sono previsti requisiti ai sensi dell’allegato III del presente regolamento possono operare solo se l’autorità competente li ha riconosciuti a norma del paragrafo 3 del presente articolo”, salvo talune eccezioni puntualmente previste.

L’art. 5, comma 1, stabilisce che “Gli operatori del settore alimentare immettono sul mercato un prodotto di origine animale manipolato in uno stabilimento soggetto al riconoscimento a norma dell’articolo 4, paragrafo 2, solo se questo è contrassegnato: a) da un bollo sanitario apposto ai sensi del regolamento (CE) n. 854/2004; o b) qualora tale regolamento non preveda l’applicazione di un bollo sanitario, da un marchio di identificazione apposto ai sensi dell’allegato II, sezione I, del presente regolamento”.

Il successivo comma 2 prevede che “gli operatori del settore alimentare possono applicare un marchio di identificazione a un prodotto di origine animale solo se esso è stato prodotto ai sensi del presente regolamento in stabilimenti che soddisfano i requisiti di cui all’articolo 4”.

Il legislatore ha stabilito che gli stabilimenti di produzione di alimenti di origine animale possano operare solo se, oltre ai requisiti igienico-sanitari “di base” previsti dal Regolamento CE 852/2004, rispettano anche quelli aggiuntivi fissati dal Regolamento CE 853/2004; tale scelta è determinata dalla constatazione che i prodotti di origine animale possono presentare rischi specifici per la salute dei consumatori.

Di conseguenza, le imprese che intendono attivare stabilimenti per la macellazione di animali, per la lavorazione delle carni, del latte o dei prodotti della pesca prima di iniziare l’attività devono ottenere il riconoscimento di tali requisiti; all’azienda viene attribuito un codice identificativo univoco (Bollo CE) e viene inserita in speciali elenchi dell’Unione Europea. Gli Stati dell’Unione Europea tengono elenchi aggiornati degli stabilimenti riconosciuti. Gli stabilimenti registrati ricevono un numero di riconoscimento dove si aggiungono codici indicanti la tipologia dei prodotti di origine animale prodotti.

Orbene, deve perciò ritenersi che il codice identificativo univoco svolge una duplice funzione, in quando esso, per un verso, mediante la sigla CE garantisce il rispetto dei pertinenti requisiti di cui al regolamento (CE) n. 852/2004, e, per altro verso, attraverso un codice alfanumerico, individua uno specifico produttore.

8. Ciò posto, si rammenta che, come affermato da una risalente decisione, i cui approdi interpretativi meritano conferma, la norma dell’art. 515 cod. pen. non tutela soltanto il compratore, ma, inserita tra i delitti contro l’industria e il commercio, intende proteggere i principi di onestà e lealtà che devono presiedere allo scambio dei beni, onde renderlo integro e sicuro con profittevoli risultati tanto per chi ne fa uso, quanto per il produttore. Essa è volta a tutelare anche l’interesse del produttore che, per il contegno ingannevole del commerciante e per la remora nelle vendite che può seguire, veda ridotta la richiesta dei beni e parallelamente la spinta alla loro produzione.

Deve inoltre richiamarsi il principio, secondo cui integra il reato di tentata frode nell’esercizio del commercio, la detenzione per la vendita di confezioni di olio extravergine di oliva, proveniente da altra azienda, con etichettarura che ne attesti la produzione ed il confezionamento presso lo stabilimento del detentore (Sez. 3, n. 37508 del 28/09/2011, Putignano, Rv. 251322; in senso conforme Sez. 3, Sentenza n. 44072 del 25/09/2014, Beltracchini, Rv. 260544; cfr. anche Sez. 3, n. 22313 del 15/02/2011, p.m. in c. Berloco, Rv. 250473, la quale ha ravvisto il tentativo di frode in commercio nella detenzione di prodotti alimentari che risultavano confezionati in uno stabilimento diverso da quello indicato sulle etichette).

9. Orbene, in applicazione dei principi appena richiamati deve ritenersi che integri l’elemento oggettivo del delitto di frode in commercio l’erronea applicazione del bollo IT, in quanto esso risulta mendace in ordine alla provenienza del bene, e, quindi, lede la correttezza nei rapporti commerciali, ingannando il consumatore e, al contempo, danneggiando l’effettivo produttore.

10. Quanto, infine, alla prova del dolo, la Corte di merito l’ha desunta, in maniera non certo implausibile sul piano logico, dal numero di etichette mendaci rinvenute nello stabilimento, ossia ben sette bobine di etichette adesive, per un totale di 14.000 etichette, il che, evidentemente, esclude la sussistenza di un mero errore, deponendo, piuttosto, per la volontarietà della condotta.

11. Inammissibile, perché generica, è la censura relativa al mancato riconoscimento delle circostanze attenuante generiche.

Invero, la Corte di merito ha negato i presupposti per una mitigazione della pena ex art. 62-bis cod. pen. non ravvisando, nel caso concreto, elementi valorizzabili a tale scopo, in ciò facendo corretta applicazione del principio secondo cui l’applicazione delle circostanze in esame non costituisce un diritto conseguente all’assenza di elementi negativi connotanti la personalità del soggetto, ma richiede elementi di segno positivo, dalla cui assenza legittimamente deriva il diniego di concessione delle stesse (Sez. 3, n. 24128 del 18/03/2021, dep. 21/06/2021, De Crescenzo, Rv. 281590).

A fronte di tale motivazione, le censure sono, come detto, generiche, non avendo il difensore indicato alcun elemento che, ove valutato, avrebbe comportato il riconoscimento delle circostanza in esame.

12. Il secondo motivo è inammissibile.

Pur prescindendo dalla mancanza di interesse a sollevare la doglianza, si osserva che la Corte di merito ha evidenziato che la sentenza emessa dal Tribunale non sia stata impugnata dal difensore della società, avv. Todini, sicché, nei confronti di quest’ultima, la sentenza di condanna è divenuta irrevocabile.

13. Per i motivi indicati, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso il 30/05/2023.

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