ACQUA – INQUINAMENTO IDRICO – Acque – Tribunali regionali delle acque – Controversie assoggettate – Cause risarcitorie – Riparto di competenza tra giudice ordinario e giudice specializzato – Criteri – Fattispecie in tema di danni derivanti da incendio – Comportamenti sostanziati in una mera inazione o in incuria – Giudizi di risarcimento del danno – Tribunale Regionale delle Acque pubbliche – DIRITTO PROCESSUALE CIVILE – Criterio di riparto della competenza rispetto al giudice non specializzato – Individuazione – Contrasti giurisprudenziali.
Provvedimento: Ordinanza Interlocutoria
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 28 Luglio 2023
Numero: 23018
Data di udienza: 12 Luglio 2023
Presidente: FRASCA
Estensore: IANNELLO
Premassima
ACQUA – INQUINAMENTO IDRICO – Acque – Tribunali regionali delle acque – Controversie assoggettate – Cause risarcitorie – Riparto di competenza tra giudice ordinario e giudice specializzato – Criteri – Fattispecie in tema di danni derivanti da incendio – Comportamenti sostanziati in una mera inazione o in incuria – Giudizi di risarcimento del danno – Tribunale Regionale delle Acque pubbliche – DIRITTO PROCESSUALE CIVILE – Criterio di riparto della competenza rispetto al giudice non specializzato – Individuazione – Contrasti giurisprudenziali.
Massima
CORTE DI CASSAZIONE CIVILE Sez. 3^, 28/07/2023 (Ud. 12/07/2023), Ordinanza Interlocutoria n.23018
ACQUA – INQUINAMENTO IDRICO – Acque – Tribunali regionali delle acque – Controversie assoggettate – Cause risarcitorie – Riparto di competenza tra giudice ordinario e giudice specializzato – Criteri – Fattispecie in tema di danni derivanti da incendio – Comportamenti sostanziati in una mera inazione o in incuria – Giudizi di risarcimento del danno – Tribunale Regionale delle Acque pubbliche – DIRITTO PROCESSUALE CIVILE – Criterio di riparto della competenza rispetto al giudice non specializzato – Individuazione – Contrasti giurisprudenziali.
In tema di domanda di risarcimento dei danni subiti dal proprio fondo a causa dell’incendio propagatosi da un canale di proprietà e gestito da un consorzio di bonifica, ha disposto, ai sensi dell’art. 374, comma 2, c.p.c., la trasmissione del ricorso al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite della questione relativa alla corretta interpretazione dell’art. 140, lett. e), del r.d. 11 dicembre 1933, n. 1775, sulla quale esiste un contrasto che, fermo l’ossequio formale all’insegnamento già espresso da Cass. S.U. n. 1066 del 2006, si incentra sull’individuazione della competenza rispetto a quelle situazioni nelle quali la derivazione delle conseguenze dannose sia ricondotta a mera incuria colpevole, od a comportamenti omissivi della pubblica amministrazione, che non implichino scelte discrezionali, neppure implicite, nella gestione delle acque, ovvero potendosi postulare una lettura della richiamata disposizione attributiva della competenza in senso ampio, che non si fondi sul criterio di imputazione della responsabilità. (Massima a cura del CED)
(rimette il ricorso al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite della risoluzione del contrasto di cui in motivazione sentenza del 16/12/2021 – TRIBUNALE DI FOGGIA n. 2958/2021) Pres. FRASCA, Rel. IANNELLO, Ric. Giannatempo c. Consorzio per la Bonifica della Capitanata
Allegato
Titolo Completo
CORTE DI CASSAZIONE CIVILE Sez. 3^, 28/07/2023 (Ud. 12/07/2023), Ordinanza Interlocutoria n.23018SENTENZA
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Oggetto:
Acque – Tribunali regionali delle acque – Controversie assoggettate – Cause risarcitorie –
Riparto di competenza tra giudice ordinario e giudice specializzato – Criteri –
Fattispecie in tema di danni derivanti da incendio
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
omissis
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA INTERLOCUTORIA
sul ricorso iscritto al n. 1558/2022 R.G. proposto da:
Giannatempo xxx, rappresentato e difeso dall’Avv. Michele Allamprese, con domicilio eletto in Roma, via Giuseppe Mangli, n. 29, presso lo studio dell’Avv. Stefano Mastronardi;
– ricorrente –
CONTRO
Consorzio per la Bonifica della Capitanata, rappresentato e difeso dagli Avv.ti Egle Frascella e Aristide Guerrasio;
– controricorrente –
avverso la sentenza del Tribunale di Foggia n. 2958/2021, depositata il 16 dicembre 2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12 luglio 2023 dal Consigliere Emilio Iannello.
FATTI DI CAUSA
1. Xxx Giannatempo convenne in giudizio, innanzi al Giudice di pace di Cerignola, il Consorzio per la Bonifica della Capitanata chiedendone la condanna al risarcimento dei danni derivati al suo fondo agricolo a seguito di un incendio propagatosi da un canale di proprietà dell’ente.
Disattese le preliminari eccezioni del convenuto, tra cui quella di incompetenza per materia, il giudice adito accolse la domanda e condannò il Consorzio al pagamento della somma di € 2.547,00, oltre accessori e spese.
2. In accoglimento del gravame interposto dall’ente, il Tribunale di Foggia, con sentenza n. 2958/2021, depositata il 16 dicembre 2021, ha dichiarato competente a conoscere della domanda il Tribunale Regionale delle Acque Pubbliche di Napoli; ha conseguentemente condannato l’appellato alla restituzione delle somme ricevute in esecuzione della sentenza di primo grado oltre che al pagamento delle spese del grado.
3. Avverso tale decisione xxx Giannatempo ha proposto ricorso per cassazione con unico mezzo, con il quale ha denunciato, con riferimento all’art. 360, comma primo, nn. 2 e 3, cod. proc. civ., violazione dell’art. 140 del r.d. n. 1755 del 1933 per avere il giudice d’appello erroneamente ritenuto sussistere la competenza del Tribunale regionale delle acque pubbliche di Napoli.
Vi ha resistito il Consorzio depositando controricorso.
4. Fissata la trattazione, avanti l’allora esistente Sesta Sezione, Sottosezione 3, per l’adunanza camerale del 27 settembre 2022 (in vista della quale il ricorrente aveva depositato memoria), all’esito della stessa questa Corte, con ordinanza interlocutoria n. 33710 del 16/11/2022, dato atto della possibilità, nella specie, secondo il consolidato orientamento ivi richiamato, di convertire il ricorso per cassazione in regolamento necessario di competenza, ha a tal fine disposto il rinvio della causa a nuovo ruolo onde dar corso agli adempimenti processuali previsti, in relazione alle istanze di regolamento di competenza, dall’art. 380-ter cod. proc. civ. (nel testo, s’intende, allora vigente).
5. La trattazione è stata successivamente fissata per la odierna adunanza camerale ai sensi dell’art. 380-bis.1 cod. proc. civ..
Il Pubblico Ministero ha depositato conclusioni con le quali ha chiesto il rigetto del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. A fondamento della propria decisione il Tribunale di Foggia ha, in punto di fatto, rilevato che «l’appellato ha agito per ottenere un risarcimento dei danni provocati ai fondi di cui è proprietario da un incendio derivato da un canale (asseritamente) gestito dall’appellante, opera non correttamente manutenuta e pulita, tanto da risultare ingombre di vegetali che hanno consentito al fuoco di propagarsi».
In diritto, ha ritenuto confacente alla fattispecie l’orientamento espresso da alcuni arresti di questa Corte (in particolare, Cass. n. 16636 del 2019; n. 5719 del 2020) che, dichiaratamente ponendosi nel solco del principio affermato da Cass. Sez. U. n. 1066 del 2006, hanno affermato che la domanda di danni per omessa o cattiva manutenzione dei canali a cielo aperto, con il conseguente straripamento delle acque ed il danneggiamento dei fondi circostanti, costituisce un’ipotesi di competenza del tribunale regionale delle acque pubbliche; ai fini del riparto di competenza tra giudice ordinario e giudice specializzato, infatti, non è possibile distinguere tra l’ipotesi in cui nell’esecuzione dell’opera siano state violate le regole di comune prudenza e diligenza che avrebbe dovuto osservare qualsiasi proprietario o possessore del bene e l’ipotesi in cui vi sia una carenza sul piano deliberativo circa i lavori adottati (o non adottati); la presenza della colpa non può costituire criterio di riparto della competenza, poiché, versandosi in tema di risarcimento del danno, questo non può che essere colpevole; alla cognizione del giudice ordinario, quindi, competono le controversie che solo indirettamente ed occasionalmente si ricollegano alle vicende relative al governo delle acque; tanto atteso che la competenza del giudice specializzato si giustifica in presenza di comportamenti, commissivi o omissivi, che implichino apprezzamenti circa la deliberazione, la progettazione e l’attuazione di opere idrauliche o comunque scelte della P.A. dirette alla tutela di interessi generali correlati al regime delle acque pubbliche.
2. Il ricorrente deduce l’erronea applicazione di tali principi al caso di specie (e, di conseguenza, come da rubrica, la violazione dell’art. 140 r.d. n. 1755 del 1933), rimarcando che l’azione risarcitoria trae origine unicamente dall’incuria dell’ente proprietario del fondo, «al quale non si ascrive l’omessa manutenzione del canale, ma più semplicemente di non averlo tenuto pulito».
Alla base starebbe una erronea lettura (travisamento) dei fatti posti a fondamento della domanda, i quali, secondo il ricorrente, deponevano per una riconduzione della domanda all’alveo dell’art. 2051 cod. civ. e non all’ipotesi di domanda di risarcimento danni da difettosa manutenzione del canale, con conseguente straripamento delle acque e danneggiamento dei fondi, mai allegati: «il caso che occupa – si osserva in ricorso – non si ricollega affatto al “governo delle acque pubbliche” né, tantomeno, si riduce ad apprezzamenti circa la deliberazione, la progettazione e l’attuazione delle opere idrauliche o comunque scelte dalla P.A., dirette alla tutela di interessi generali correlati al regime delle acque».
3. Osserva il Collegio che il ricorso ripropone una questione che ha trovato negli ultimi anni soluzioni non univoche nella giurisprudenza di questa Corte.
A fronte di fattispecie caratterizzate dal comune denominatore della derivazione del danno di cui si chiede il risarcimento dalla omessa o difettosa manutenzione dell’opera idraulica o del corso d’acqua, si registrano invero:
a) da un lato, pronunce che, iscrivendosi nell’orientamento seguito nella specie dal giudice a quo, ne attribuiscono la competenza al T.R.A.P. ai sensi dell’art. 140 lett. e) r.d. 11 dicembre 1933, n. 1775;
b) dall’altro, pronunce che, invece, pur anch’esse richiamandosi all’arresto di Cass. Sez. U. n. 1066 del 2006, ne attribuiscono la competenza al giudice non specializzato, secondo gli ordinari criteri di valore e di territorio derogabile, sulla base di un discrimine – che il primo orientamento ritiene invece non praticabile ─ rappresentato dal derivare i danni non da scelte sia pure implicite di governo dell’opera idraulica, bensì da «mera incuria», in alcuni casi anche rimarcandosi come rilevante in tal senso l’esistenza di una concausa dell’evento dannoso.
4. Nel doveroso tentativo di illustrare più chiaramente il latente contrasto qui rilevato, converrà muovere dal testo della norma (nella parte che viene in rilievo ai fini della presente disamina), il quale è del seguente tenore: «Appartengono in primo grado alla cognizione dei tribunali delle acque pubbliche: … e) Le controversie per risarcimenti di danni dipendenti da qualunque opera eseguita dalla pubblica amministrazione e da qualunque provvedimento emesso dall’autorità amministrativa a termini dell’art. 2 del testo unico delle leggi 25 luglio 1904, n. 523, modificato con l’art. 22 della legge 13 luglio 1911, n. 744».
5. Di tale disposizione l’ormai datato arresto di Cass. Sez. U. 20/01/2006, n. 1066, ha fornito la seguente interpretazione, peraltro confermativa di indirizzo già in precedenza affermatosi: «ai sensi del r.d. 11 dicembre 1933, n. 1775, art. 140, lett. e), la ripartizione della competenza fra il giudice ordinario e il tribunale regionale delle acque pubbliche, nelle controversie aventi per oggetto il risarcimento dei danni derivanti da atti posti in essere dalla pubblica amministrazione, deve essere effettuata nel senso di attribuire alla competenza dei tribunali regionali delle acque le domande in relazione alle quali l’esistenza dei danni sia ricondotta alla esecuzione, alla manutenzione e al funzionamento dell’opera idraulica, mentre debbono essere riservate alla cognizione del giudice in sede ordinaria le controversie aventi per oggetto pretese che si ricollegano solo indirettamente e occasionalmente alle vicende relative al governo delle acque; infatti la competenza del giudice specializzato si giustifica in presenza di comportamenti, commissivi o omissivi, che implichino apprezzamenti circa la deliberazione, la progettazione e l’attuazione di opere idrauliche o comunque scelte della pubblica amministrazione dirette alla tutela di interessi generali correlati al regime delle acque pubbliche (v., da ultimo, Cass. 8 marzo 2005 n. 5045 e, in precedenza, Cass. 12 gennaio 2001 n. 385 e Cass. 1° dicembre 2000 n. 15366). Pertanto, allorché venga dedotto, come nel caso in esame in base alla prospettazione dei fatti contenuta nella domanda introduttiva del giudizio, che un’opera idraulica non sia stata tenuta in efficienza (o sia stata mal costruita), questa deduzione implica la valutazione di apprezzamenti di scelte della pubblica amministrazione in relazione alla sopra indicata tutela degli interessi generali collegati al regime delle acque pubbliche, sicché la domanda di risarcimento dei danni fondata sulla mancata deliberazione e attuazione delle necessarie opere di manutenzione deve essere devoluta alla cognizione del tribunale regionale delle acque pubbliche competente per territorio».
È da notare che, nel caso esaminato dalle Sezioni Unite:
─ si trattava di domanda risarcitoria promossa, avanti il T.R.A.P. di Firenze, da un privato nei confronti dell’Amministrazione provinciale di Lucca per i danni derivati dall’allagamento del proprio magazzino, verificatosi in occasione di forti precipitazioni atmosferiche, in conseguenza della rottura dell’argine del torrente Guappero e della tracimazione delle acque, evento addebitato dall’istante alla omessa manutenzione delle opere di bonifica;
─ il T.R.A.P., respinta l’eccezione di incompetenza funzionale sollevata dall’amministrazione resistente, aveva accolto la domanda e tale decisione era stata confermata dal T.S.A.P. che, in punto di competenza, aveva affermato che le domande dirette alla condanna delle pubbliche amministrazioni al risarcimento dei danni sono devolute alla cognizione dei tribunali regionali delle acque, chiamati a valutare le scelte discrezionali della P.A. per la tutela di interessi
generali in materia di acque pubbliche, quando i danni in questione sono conseguenza immediata e diretta della esecuzione, della manutenzione e del funzionamento di un’opera idraulica, essendo viceversa riservate al giudice ordinario quelle pretese che si ricollegano solamente in via indiretta ed occasionale alle vicende relative al governo delle acque, in caso di comportamenti materiali, commissivi o omissivi, che si esauriscono in atti meramente esecutivi.
6. Il formale ossequio al principio affermato dalle Sezioni Unite nel 2006, come si è detto, non è mai venuto meno nella giurisprudenza degli anni successivi, ma la divaricazione delle soluzioni concrete (spesso a fronte di casi assai simili) si renderà evidente sin dagli anni immediatamente successivi, concentrandosi in particolare sulla concreta individuazione dell’ipotesi, indicata come di competenza del giudice ordinario e non del giudice specializzato, in cui la pretesa possa dirsi collegata «solo indirettamente e occasionalmente alle vicende relative al governo delle acque», ossia a comportamenti che non implichino «apprezzamenti circa la deliberazione, la progettazione e l’attuazione di opere idrauliche o comunque scelte della pubblica amministrazione dirette alla tutela di interessi generali correlati al regime delle acque pubbliche».
7. Più in dettaglio il percorso della giurisprudenza successiva si snoda attraverso le seguenti principali tappe (si omette dalla rassegna che segue la citazione di alcuni precedenti, pure a volte richiamati da taluno di quelli che si andranno a considerare, in quanto la peculiarità delle fattispecie concrete in essi trattate ─ es. danni da occupazione di aree, inadempimento di obblighi contrattuali, difettosa esecuzione di opere commesse in appalto ─ li rende non direttamente rilevanti: ci si riferisce, segnatamente, alle pronunce di Cass. n. 16801 del 2006; n. 9026 del 2009; n. 16535 del 2012; n. 27392 del 2014; n. 10397 del 2016).
7.1. Cass., Sez. 1, ord. 21/02/2006, n. 3755 (in sede di regolamento di competenza avverso sentenza del tribunale ordinario che aveva declinato la propria competenza, in favore di quella del T.R.A.P., su domanda risarcitoria dell’Enel nei confronti dell’Anas per i danni derivati da lavori da questa eseguiti che avevano determinato un movimento franoso che aveva costretto l’ente attore a mettere fuori servizio prima l’uno e poi l’altro canale derivatore che
alimentavano la centrale idroelettrica di Cadarese), ha affermato la competenza del Tribunale ordinario sul rilievo che «il requisito della “dipendenza” dei danni subiti in relazione ad opere o provvedimenti della pubblica amministrazione nell’esercizio delle attribuzioni ad essa spettanti in materia di acque pubbliche (r.d. n. 1775 del 1933, art. 140, lettera e), comporta che le domande risarcitorie fondate su comportamenti materiali sono attribuite al giudice specializzato solo nel caso in cui i medesimi coinvolgano apprezzamenti circa la delibera, la progettazione e l’attuazione di opere idrauliche o, comunque, scelte dell’amministrazione per la tutela di interessi generali correlati al regime delle acque, mentre spettano al tribunale ordinario le controversie in cui si deduca la violazione delle comuni regole di prudenza e diligenza, che devono essere osservate per evitare lesioni dell’altrui diritto e non richiedono alcuna valutazione o apprezzamento tecnico, restando nell’ambito di un’attività doverosa, senza pericoli per i terzi».
7.2. Analogamente Cass., Sez. 3, ord. 11/01/2007, n. 368 (in sede di regolamento di competenza avverso sentenza del tribunale ordinario che aveva declinato la propria competenza in favore di quella del T.R.A.P. su domanda risarcitoria per i danni derivati da difettosa manutenzione di una condotta destinata alla canalizzazione delle acque meteoriche), ha affermato la competenza del tribunale ordinario sul rilievo che «secondo un indirizzo giurisprudenziale, di recente autorevolmente ribadito dalle Sezioni Unite di questa Corte, le domande di risarcimento danni proposte nei confronti della Pubblica amministrazione in base all’art. 2043 c.c. in materia di acque pubbliche (art. 140, lett. e, r.d. 11 dicembre 1933, n. 1715) sono devolute alla competenza dei Tribunali Regionali delle Acque Pubbliche solo nel caso in cui vengano coinvolti apprezzamenti circa la delibera, la progettazione e l’attuazione di opere idrauliche o, comunque, scelte dell’amministrazione per la tutela di interessi generali correlati al regime delle acque (Cass. S.U. nn. 1066 del 2006, 3755 del 2006). Sono invece riservate al giudice ordinario le domande che si ricollegano a fatti connessi solo in via meramente occasionale con le vicende relative al governo delle acque, come le controversie in cui si deduca la violazione delle comuni regole di prudenza e diligenza che, dovendo essere osservate per evitare lesioni all’altrui diritto, non richiedono valutazioni ed apprezzamenti tecnici, restando nell’ambito di una attività doverosa per evitare pericoli a terzi.
«Tanto premesso in linea generale … deve concludersi che – indipendentemente dalla natura di opera idraulica della condotta in questione – la soluzione della controversia non implica la valutazione di scelte discrezionali collegate al regime delle acque, essendo stato ascritto il danno, con la citazione introduttiva, alla mera negligenza dell’amministrazione comunale, che non soltanto aveva consentito il superamento di un prudenziale rapporto tra il volume delle acque meteoriche e le immissioni di acque luride, ma aveva omesso l’esecuzione delle doverose e normali operazioni di pulizia e manutenzione, causa ultima e determinante della fuoruscita delle acque».
7.3. La continuità di tale primo indirizzo interpretativo risulta per la prima volta interrotta da Cass., Sez. 6-3, ord. 29/07/2010, n. 17699, che – pronunciando su regolamento facoltativo di competenza avverso sentenza del tribunale ordinario che aveva accolto la domanda risarcitoria per i danni ad un immobile causati da infiltrazioni di acqua conseguente alla rottura di una tubazione idrica, ritenendo la propria competenza sul rilievo che era stata prospettata solo l’inosservanza di regole comuni di prudenza diligenza e perizia, senza involgere apprezzamenti discrezionali degli interessi generali, correlati al regime delle acque ─ ha invece dichiarato la competenza del T.R.A.P.; dopo aver per esteso richiamato l’arresto di Cass. Sez. U. n. 1066 del 2006, la S.C. ha in tale occasione evidenziato che: «allorché ─ come nella fattispecie ─ all’origine del danno oggetto della domanda risarcitoria viene prospettata la rottura dell’opera idraulica, la stessa non può che derivare da un vizio di costruzione (inteso in senso ampio e, quindi, anche come vizio di progettazione o dei materiali impiegati), o da un difetto di manutenzione, salvo che sia stata addotta l’esistenza del caso fortuito, che esclude in radice la responsabilità, ovvero di un fattore esterno determinante, ma non prevedibile, che fa scadere a mero elemento occasionale l’opera idraulica.
«Sostenere, come fa la sentenza impugnata …, che la rottura da cui sono derivati i danni è conseguenza non di difetto di manutenzione, ma di violazione delle regole di prudenza e diligenza che impongono al proprietario di intervenire tempestivamente per riparare le falle nella condotta idrica ed evitare danni a terzi, è una contraddizione in termini, poiché la mancanza di diligenza e prudenza qualifica e connota il difetto di manutenzione e quindi, lungi dall’escluderlo, lo presuppone.
«Conseguentemente la natura dell’attività di manutenzione delle condotte idriche pubbliche non esclude la competenza del tribunale regionale delle acque pubbliche, anche se il comportamento è qualificabile come tenuto in violazione della comune prudenza e diligenza, atteso che anche tali comportamenti, commissivi o omissivi, implicano in ogni caso apprezzamenti circa le scelte della p.a. dirette alla tutela di interessi generali correlati al regime delle acque pubbliche» (enfasi aggiunta).
Nella parte relativa al “Ritenuto in diritto”, si legge poi nell’ordinanza: «il Collegio condivide i motivi in fatto e diritto esposti nella relazione, per cui sussiste sempre la competenza del tribunale regionale delle acque allorché il danno deriva dal modo di essere dell’opera idraulica o per come è stata costruita o per come è stata mantenuta (e quindi anche non mantenuta, per effetto di comportamento omissivo ed inerte della p.a.), contrariamente a quanto sostenuto dalla giurisprudenza citata dalla sentenza impugnata (Cass. 11 gennaio 2007, n. 368; Cass. 21 febbraio 2006, n. 3755, ed altre precedenti); … la presenza della colpa (e cioè della violazione delle regole di prudenza e diligenza come sostenuto dalla sentenza impugnata nonché dalle decisioni di legittimità di riferimento) non può costituire un criterio di riparto della competenza, poiché, versandosi in tema di risarcimento del danno, questo non può
che essere colpevole (salvo che non si adducano ipotesi di responsabilità oggettiva, nel qual caso si prescinde da valutazioni sulla prudenza e diligenza)»
7.4. Tale diversa linea interpretativa è pedissequamente seguita negli anni immediatamente successivi da:
– Cass., Sez. 3, ord. 15/04/2011, n. 8722, che ─ in sede di regolamento ─ ha dichiarato la competenza del tribunale ordinario in relazione a domanda di risarcimento dei danni subiti in conseguenza dello straripamento di acque fluviali, che aveva comportato il riversarsi di un enorme quantitativo di detriti e di acqua nel giardino circostante il caseggiato di proprietà dell’istante per «carenza di manutenzione e di gestione del territorio» ed «assoluta mancanza di ogni opera di manutenzione, sia ordinaria che straordinaria, nella gestione dei corsi d’acqua e del patrimonio comunque sottoposto al controllo dell’ente proprietario convenuto»;
– Cass., Sez. 6-3, ord. 11/01/2012, n. 172, che ─ ancora in sede di regolamento di competenza ─ in relazione a domanda di risarcimento danni per omessa o cattiva manutenzione di canali a “cielo aperto”, con il conseguente straripamento delle acque ed il danneggiamento dei fondi circostanti, ha dichiarato la competenza del tribunale ordinario (pur richiamando tra i precedenti conformi, erroneamente, quello di Cass. n. 368 del 2007, riconducibile invece, come visto, all’opposto orientamento).
7.5. Sembra invece tornare ad una lettura più restrittiva della norma attributiva della competenza del T.R.A.P. la successiva ordinanza di Cass., Sez. 6-2, 22/02/2012, n. 2656, che ─ in sede di regolamento di competenza d’ufficio sollevato dal T.R.A.P. di Napoli su domanda negatoria servitutis di condotta di acqua pubblica sul fondo privato dell’attore e di condanna dell’ente territoriale convenuto al risarcimento dei danni conseguenti alla rottura del manufatto ─ si è così espressa: «Ai fini della discriminazione tra la competenza dell’autorità giudiziaria in sede ordinaria e quella dei tribunali regionali delle acque pubbliche, occorre aver riguardo all’oggetto della controversia, la quale rientra nella competenza del giudice specializzato solo quando involga questioni sulla demanialità delle acque pubbliche o sul contenuto o i limiti di una concessione di utenza, o sul diritto nei confronti dell’amministrazione alla derivazione o alla utilizzazione delle acque, o che incida comunque, direttamente o indirettamente, sugli interessi pubblici connessi al regime delle acque. Rientrano, invece, nella competenza degli organi ordinari dell’autorità giudiziaria le controversie tra privati che ─ pur ricollegandosi al presupposto della sussistenza, a favore di una o di entrambe le parti contendenti, di una concessione di acqua pubblica ─ non investano la legittimità o la portata di quest’ultima e non tocchino, quindi, l’interesse della P.A., ma riflettano esclusivamente le modalità di attuazione e di esercizio dei diritti di uso delle acque, da osservarsi nei rapporti interni tra le parti, nonché gli obblighi reciproci che ne derivano, di modo che non sia necessaria un’indagine sul contenuto e sui limiti della concessione al fine di individuarne la portata e gli effetti e di stabilire se essa abbia o meno l’attitudine ad incidere, modificandoli, su rapporti preesistenti tra le parti. «Con particolare riferimento, poi, alle azioni risarcitorie, la competenza del tribunale regionale delle acque pubbliche si profila solo quando i danni dipendano da qualunque opera eseguita dalla P.A., e cioè quando la pretesa risarcitoria si fondi su di un comportamento commissivo od omissivo che coinvolga apprezzamenti tecnici circa la deliberazione, la progettazione e l’attuazione di opere idrauliche e comunque esprimano scelte dell’amministrazione per la tutela degli interessi generali correlati al regime delle acque pubbliche.
Ne consegue che deve escludersi la competenza del tribunale regionale delle acque pubbliche in ordine ad una controversia tra privati avente ad oggetto una azione negatoria servitutis di acquedotto, oltre alla richiesta risarcitoria per i danni arrecati dal preteso titolare della servitù al proprietario dell’asserito fondo servente».
7.6. L’orientamento inaugurato da Cass. n. 17699 del 2010 è invece poco tempo dopo ancora ripreso da Cass., Sez. 3, ord. 26/07/2012, n. 13357, che ─ in sede di regolamento di competenza richiesto avverso un’ordinanza di un tribunale ordinario che questa aveva declinato in favore del T.R.A.P. su domanda risarcitoria per i danni provocati dal cedimento della pavimentazione a causa di copiose infiltrazioni di acqua nel terreno di sedime ad esso sottostante, provocate dalla perdita delle condutture di acqua, correnti in adiacenza dell’immobile, in occasione di lavori di riparazione ─ ha confermato la competenza del giudice specializzato sulla scorta di ampio e diffuso richiamo dei precedenti di Cass. Sez. U. n. 1066 del 2006 e di Cass. n. 17699 del 2010, nonché di quelli successivi conformi di Cass. (ord.) n. 8722 del 2011 e Cass. (ord.) n. 172 del 2012.
Soffermandosi poi, dubitativamente, sul precedente di Cass. (ord.) n. 2656 del 2012 ha osservato che «come parrebbe dalla parte finale della massima la decisione sembrerebbe aver lasciato spazio alla possibile individuazione di azioni risarcitorie di competenza del tribunale ordinario quando il danno non derivi da “un comportamento commissivo od omissivo che coinvolga apprezzamenti tecnici circa la deliberazione, la progettazione e l’attuazione di opere idrauliche e comunque esprimano scelte dell’amministrazione per la tutela degli interessi generali correlati al regime delle acque pubbliche”. Sembrerebbe, cioè, avere configurato la competenza ordinaria se ci si trovi di fronte a comportamenti che non siano espressione di scelte a tutela di interessi generali. «Senonché … se il riferimento alle scelte a tutela di interesse generale dovesse voler alludere che per configurarsi la competenza del tribunale delle acque sia necessario che il comportamento della P.A. sia sostenuto da una qualche attività provvedimentale, mentre se tale attività non vi sia dovrebbe essere competente il tribunale ordinario, si dovrebbe rilevare che trattasi di esegesi della competenza non rispondente a Cass. sez. un. n. 1066 del 2006. Ma lo si osserva solo in via ipotetica, non sembrando sicura l’attribuzione di simile significato al … precedente in discorso. «Quanto osservato evidenzia anche perché sia inconferente l’argomentazione che i ricorrenti hanno posto a sostegno della loro istanza di regolamento, la quale sostanzialmente muove dall’idea sbagliata (ma un tempo presente nella giurisprudenza della Corte) che leggeva la competenza del tribunale delle acque come supponente l’esercizio da parte della P.A. preposta alla tutela e gestione delle acque di un’attività provvedimentale e solo ad essa e non alla attività materiale o all’inerzia manutentiva e custodiale ricollegava la competenza per i danni. In tal modo proponendo un criterio di riparto non solo incerto (data l’esistenza di situazioni di confine fra l’una e l’altra ipotesi e la difficoltà di distinguere fra esse) ma contrario alla logica stessa della giurisdizione specializzata e alla stessa genericità della previsione della competenza».
L’ordinanza, dunque, si conclude con la riaffermazione del principio di diritto secondo cui, «ai sensi del r.d. n. 1775 del 1933, art. 140, lett. e), la ripartizione della competenza fra il giudice ordinario e il tribunale regionale delle acque pubbliche, nelle controversie aventi per oggetto il risarcimento dei danni derivanti da atti o comportamenti posti in essere dalla P.A., deve essere effettuata nel senso di attribuire alla competenza dei tribunali regionali delle acque le domande in relazione alle quali l’esistenza dei danni sia ricondotta alla manutenzione e al funzionamento dell’opera idraulica, anche se fatta eseguire tramite terzi, mentre debbono essere riservate alla cognizione del giudice in sede ordinaria le controversie aventi per oggetto pretese che si ricollegano solo indirettamente e occasionalmente alle vicende relative al governo delle acque. La competenza del giudice specializzato nei sensi indicati si giustifica perché detta attività implica o suppone apprezzamenti e scelte della P.A. dirette alla tutela di interessi generali correlati al regime delle acque pubbliche e ciò anche se il comportamento della P.A. sia qualificabile come tenuto in violazione della comune prudenza e diligenza, atteso che anche tali comportamenti, commissivi o omissivi, implicano in ogni caso apprezzamenti circa le scelte della p.a. dirette alla tutela di interessi generali correlati al regime delle acque pubbliche e considerato che la presenza della colpa non può costituire un criterio di riparto della competenza, poiché, versandosi in tema di risarcimento del danno, questo non può che essere colpevole (salvo che non si adducano ipotesi di responsabilità oggettiva, nel qual caso si prescinde da valutazioni sulla prudenza e diligenza)».
7.7. Dopo tale pronuncia si registrano ben quattro arresti che tornano ad attribuire rilievo discretivo all’essere la condotta commissiva od omissiva espressione di mera negligenza piuttosto che di apprezzamento discrezionale della P.A.. 7.7.1. Così, per prima, Cass., Sez. 3, sent. 18/05/2015, n. 10128 – pronunciando su ricorso per cassazione con cui si censurava la sentenza resa in sede di rinvio dalla Corte d’appello di Lecce che aveva implicitamente ritenuto la competenza del tribunale ordinario su domanda risarcitoria proposta nei confronti dell’Acquedotto Pugliese per i danni arrecati ad una fabbrica da gravi perdite d’acqua dalle tubazioni dell’Ente ─ ha rigettato la doglianza del ricorrente sulla base delle seguenti considerazioni:
«La norma del T.U. n. 1775 del 1933, art. 140, lett. e), dispone che appartengono in primo grado alla cognizione del Tribunale delle acque pubbliche le controversie per risarcimento dei danni che siano dipendenti “da qualunque opera eseguita dalla pubblica amministrazione, o da qualunque provvedimento emesso dall’autorità amministrativa” ai sensi del T.U. 25 luglio 1904, n. 523, art. 2 e successive modificazioni.
«La norma fa riferimento al risarcimento dei danni conseguenti a specifici atti o provvedimenti della p.a. e ─ letta ed applicata nel contesto complessivo dell’art. 140 e delle fattispecie da esso contemplate ─ la competenza dei Tribunali specializzati va affermata nei casi in cui vengano in questione i poteri di governo delle acque, nell’interesse generale della collettività (ove si discuta della demanialità delle acque (art. 140, lett. a); dei limiti, dell’alveo e delle sponde dei corsi o bacini (lett. b); dei diritti alle derivazioni e utilizzazioni di acque pubbliche (lett. c); delle occupazioni di fondi per l’esecuzione di opere idrauliche e della determinazione dei relativi indennizzi (lett. d), e così via.
«Il T.U. 25 luglio 1904, n. 523, art. 2, richiamato dall’art. 140, parimenti riguarda il potere della pubblica amministrazione di statuire e provvedere sulle opere di qualunque natura, attinenti al buon regime delle acque pubbliche, alla difesa e conservazione delle sponde dei corsi d’acqua, e simili, alle eventuali decisioni sulla modifica, cessazione o distruzione delle opere in essere.
«I danni in relazione ai quali sussiste la competenza dei Tribunali delle acque sono quelli collegati o conseguenti ai suddetti atti e comportamenti; quindi ad azioni od omissioni rilevanti quali atti della pubblica amministrazione suscettibili di impugnazione, pur se di fatto non impugnati.
«I danni conseguiti alla mera inazione od incuria, quindi a comportamenti di fatto, magari non consapevoli e non oggetto di scelta, quali quelli provocati dal deterioramento di strutture idrauliche, tubazioni, ecc., dovute alla vetustà o all’obsolescenza tecnica, imputabili all’ente esclusivamente in virtù della sua posizione di custode di quelle strutture, non debbono necessariamente essere fatti valere davanti al Tribunale delle acque, ma ben possono essere esaminati e decisi dal giudice ordinario.
«Trattasi infatti di danni non collegati a scelte di governo delle acque e del territorio, ma di fattispecie che in nulla si differenziano, quanto ai criteri di imputazione della responsabilità e di accertamento dei danni, dai casi di responsabilità per custodia ai sensi dell’art. 2051 c.c. e non richiedono modalità o criteri di giudizio diversi da quelle conseguenti alle azioni per danni che potrebbero essere proposte nei confronti di un qualunque soggetto privato, in relazione ad opere idrauliche da lui eseguite ed a lui appartenenti.
«Nella specie non si tratta di responsabilità conseguente alla consapevole decisione di omettere un determinato intervento manutentivo; ma di mera incuria di fatto o deterioramento dei materiali utilizzati per la costruzione (le CTU hanno ravvisato l’inidoneità delle tubazioni in ghisa, a suo tempo utilizzate per l’impianto, a reggere al peso soprastante oltre un certo periodo di tempo, donde l’apertura di fessurazioni, da cui si sono prodotte le perdite d’acqua).
«Né vale osservare che anche l’omissione degli interventi di manutenzione necessari costituisce comportamento rilevante come gestione del bene.
«La proposizione è tautologica e nega il problema anziché risolverlo.
«Un conto è che la situazione che ha provocato il danno abbia costituito oggetto di valutazione da parte della p.a. e di una decisione di non intervenire, poi rivelatasi sbagliata; o dell’omessa adozione di misure che la legge imponeva di adottare (per esempio, quanto a tempi e modi di sostituzione delle tubature, al loro controllo periodico, e così via).
«Altro conto è che il danno si sia verificato al di fuori di ogni previsione, consapevolezza o precauzione, per incuria e negligenza analoghi a quelli che potrebbero essere propri di un qualunque cittadino.
«La suddetta interpretazione dell’art. 140, lett. e), è del resto conforme alla giurisprudenza di questa Corte la quale ha più volte chiarito che “La ripartizione della competenza fra il giudice ordinario e il tribunale regionale delle acque pubbliche, nelle controversie aventi per oggetto il risarcimento dei danni derivanti da atti posti in essere dalla P.A., deve essere effettuata nel senso di attribuire alla competenza dei tribunali regionali delle acque le domande in relazione alle quali vengano coinvolti apprezzamenti circa la delibera, la progettazione e l’attuazione di opere idrauliche o, comunque, le scelte dell’amministrazione per la tutela di interessi generali correlati al regime delle acque. Spetta invece al tribunale ordinario la cognizione delle controversie che si ricolleghino solo indirettamente e occasionalmente alle vicende relative al governo delle acque, come quelle in cui si deduca la violazione delle comuni regole di prudenza e diligenza che, dovendo essere osservate per evitare lesioni all’altrui diritto, non richiedono valutazioni ed apprezzamenti tecnici, tipici delle funzioni pubbliche esercitate, ma che restano nell’ambito di un’attività doverosa per evitare pericoli a terzi” (Cass. civ. Sez. 3, 11 gennaio 2007 n. 368; conf. Cass. civ. Sez. 1, 21 febbraio 2006 n. 3755; Cass. civ. Sez. 3, 16 aprile 2009 n. 9026).
«In sintesi, la competenza del Tribunale delle acque si giustifica in presenza di comportamenti, commissivi od omissivi, che implichino apprezzamenti circa la deliberazione, la progettazione e l’attuazione di opere idrauliche o comunque scelte della P.A. dirette alla tutela di interessi generali correlati al regime delle acque pubbliche (Cass. civ. S.U. 20 gennaio 2006 n. 1066): questioni che non vengono in considerazione nel caso in esame».
7.7.2. Nel medesimo filone si inscrive, poco tempo dopo, Cass., Sez. 6-3, ord. 05/11/2015, n. 22602, che, in sede di regolamento di competenza, dichiara la competenza del tribunale ordinario a conoscere di domanda risarcitoria per i danni occorsi alle coltivazioni dei terreni degli attori a seguito di un allagamento causato da forti piogge ed alla inadeguatezza delle opere idrauliche di competenza degli enti pubblici convenuti che avrebbero dovuto consentire il deflusso delle acque; ciò fa richiamando per l’appunto la massima di Cass. n. 10128 del 2015 [secondo cui «il tribunale regionale delle acque è competente – ai sensi dell’art. 140, lett. e), del r.d. 11 dicembre 1933, n. 1775 – in merito alle controversie aventi ad oggetto il risarcimento dei danni derivanti esclusivamente da atti della P.A., e, dunque, da scelte di governo delle acque e del territorio, mentre sono devoluti alla competenza del giudice ordinario i giudizi per i danni derivanti da comportamenti, della medesima, che si siano sostanziati in una mera inazione o in incuria»].
7.7.3. Analogo criterio è applicato da Cass., Sez. 6-3, ord. 20/06/2017, n. 15284, che ─ in sede di regolamento ed in relazione a domanda di risarcimento dei danni subiti alle colture del fondo agricolo di proprietà della parte attrice a causa della esondazione del fiume Ofanto dovuta, in tesi, ad omessi interventi di manutenzione da parte dell’ente pubblico ─ ha dichiarato la competenza del tribunale ordinario sul rilievo che «secondo costante giurisprudenza di questa Corte» (inciso, questo, cui si dà concretezza attraverso la citazione di numerosi arresti in massima parte anteriori a Cass. Sez. U. n. 1066 del 2006, che non viene invece richiamata) «le domande risarcitorie, proposte a norma dell’art. 2043 c.c. nei confronti della P.A., sono devolute alla competenza dei Tribunali regionali delle acque pubbliche nelle ipotesi in cui i danni sono direttamente dipendenti dal modo di essere dell’opera idraulica, tale dovendo intendersi la opera male progettata o male costruita (…) ovvero l’opera mantenuta in efficienza in modo inidoneo ad irreggimentare il flusso idrico (…), poiché, in tali ipotesi, vi è coinvolgimento di apprezzamenti e scelte della P.A. in relazione alla tutela di interessi correlati al regime delle acque pubbliche; le dette domande sono, invece, riservate al giudice ordinario nelle ipotesi in cui si ricollegano in via indiretta ed occasionale alle vicende relative al governo delle acque, nel senso che i danni debbono imputarsi a “comportamenti materiali” della P.A. commissivi od omissivi, ascrivibili ad incuria o negligenza, od a “fatti naturali” sopravvenuti dovuti ad omessa custodia della “res”, comunque estranei ad apprezzamenti tecnici circa la deliberazione, la progettazione ed attuazione di opere idrauliche e nei quali non vengono in questione scelte discrezionali della pubblica amministrazione per la tutela di interessi generali correlati al regime delle acque pubbliche».
7.7.4. Identico criterio è poi applicato da Cass., Sez. 6-3, ord. 09/04/2018, n. 8610, ancora in sede di regolamento, con riferimento ad analoga controversia tra le stesse parti, per la quale conseguentemente altro non si fa che richiamare pedissequamente le motivazioni contenute nel precedente di Cass. n. 15284 del 2017.
7.8. Torna invece a esprimersi nei termini indicati da Cass. n. 17699 del 2010 (e poi, come detto, fatti propri da Cass. n. 8722 de 2011, n. 172 del 2012, n. 13357 del 2012), l’ordinanza di Cass., Sez. 6-3, 20/06/2019, n. 16636, che ─ in sede di regolamento di competenza ed in relazione a domanda risarcitoria proposta nei confronti del Consorzio per la Bonifica della Capitanata per i danni subiti dai fondi agricoli degli istanti a seguito dell’esondazione di due torrenti e di altri canali minori, in tesi avvenuta per l’omessa cura e manutenzione dei suddetti corsi d’acqua da parte degli enti preposti ─ ha dichiarato la competenza del T.R.A.P. di Napoli (in tal modo confermando l’ordinanza del Tribunale di Foggia), rimarcando in particolare che, come già affermato dai richiamati precedenti, «non è possibile distinguere “tra l’ipotesi in cui nell’esecuzione dell’opera siano state violate regole di comune prudenza e diligenza che avrebbero dovuto osservarsi da qualsiasi proprietario o possessore del bene e l’ipotesi in cui vi sia stata una carenza sul piano deliberativo circa i lavori adottati (o non adottati)”, in quanto “la presenza della colpa … non può costituire un criterio di riparto della competenza, poiché, versandosi in tema di risarcimento del danno, questo non può che essere colpevole (salvo che non si adducano ipotesi di responsabilità oggettiva, nel qual caso si prescinde da valutazioni sulla prudenza e diligenza)”, di modo che anche “la domanda di danni per omessa o cattiva manutenzione dei canali a ‘cielo aperto’, con il conseguente straripamento delle acque ed il danneggiamento dei fondi circostanti, costituisce un’ipotesi di competenza del tribunale regionale delle acque pubbliche, per essere riservate alla cognizione del giudice ordinario le controversie che solo indirettamente ed occasionalmente si ricollegano alle vicende relative al governo delle acque”».
7.9. Gli anni successivi registrano, infine, una perfetta alternanza di pronunce a favore dell’uno e dell’altro orientamento (due per parte).
7.9.1. Si comincia con l’ordinanza di Cass., Sez. 6-3, 03/03/2020, n. 4719, che ─ in sede di regolamento di competenza ed in relazione a domanda risarcitoria per i danni ascrivibili alla mancata esecuzione delle opere necessarie a scongiurare lo straripamento del fiume Taglio ─ ha dichiarato la competenza del T.R.A.P. di Venezia con motivazione pienamente sovrapponibile, anche quanto alle citazioni dei precedenti ivi richiamati, a quella di Cass. n. 16636 del 2019.
7.9.2. Si prosegue, in ordine strettamente cronologico di pubblicazione, con l’ordinanza di Cass., Sez. 6-3, 27/11/2020, n. 27207, che ─ in sede di regolamento ed in relazione a domanda risarcitoria per i danni derivati ad un locale commerciale dalla tracimazione delle acque del fiume Budello a sua volta addebitata dagli attori alla omissione di interventi di manutenzione ordinaria e dalla mancata adozione di adeguati provvedimenti ─ ha dichiarato la competenza del Tribunale di Palmi (che se ne era spogliato) sul rilievo che «non si tratta di un’opera idraulica, bensì di un vero e proprio fiume, onde quel che si imputa al Comune convenuto è una mera incuria (Cass., sez. 3, 18 maggio 2015 n. 10128, …) ed altresì una concausa dell’evento dannoso … e non, dunque, la sua unica origine».
7.9.3. Torna invece ad esprimersi in senso conforme all’opposto orientamento l’ordinanza di Cass., Sez. 6-3, 24/06/2021, n. 18197, che ─ in sede di regolamento di competenza ed in relazione a domanda di risarcimento danni ex art. 2051 c.c. subiti dai terreni agricoli condotti in affitto dall’attore in conseguenza della tracimazione delle acque del torrente Piomba, ascritta in tesi al cattivo stato di manutenzione dello stesso ─ ha dichiarato la competenza del T.R.A.P. di L’Aquila.
7.9.4. Si pronuncia infine secondo l’indirizzo più restrittivo Cass., Sez. 6-3, ord. 01/04/2022, n. 10587, che ─ in sede di regolamento ed in relazione a domanda risarcitoria per i gravi danni alla persona conseguenti al crollo di un muro di contenimento, posto a delimitazione di un fondo privato, franato a causa dell’esondazione di un torrente, a sua volta in tesi ascritta alla omissione, da parte degli enti preposti, di ogni necessario intervento di ripristino dell’alveo naturale ─ ha dichiarato la competenza del tribunale ordinario sulla base di motivazione sostanzialmente sovrapponibile a quella di Cass. n. 27207 del 2020.
8. Alla luce dell’excursus sopra esposto appare chiaro non solo che, ad onta dell’ancora recentemente declamato «consolidamento» della giurisprudenza sulla interpretazione dell’art. 140 lett. e) T.U. Acque, sussiste invece un netto contrasto quanto alla individuazione della linea di demarcazione tra la competenza del T.R.A.P. e quella del giudice non specializzato in ordine alle domande risarcitorie per danni correlabili a difettosa manutenzione di opere idrauliche o di corsi d’acqua (spesso traducentesi nella opposta soluzione di casi sostanzialmente identici), ma anche che i termini di tale contrasto possono dirsi a ben vedere già delineati a partire dagli anni immediatamente successivi alla pronuncia delle Sezioni Unite del 2006, potendo essi ricondursi, da un lato (per l’orientamento più restrittivo), alle ordinanze di Cass. n. 3755 del 2006 e n. 368 del 2007, dall’altro (per l’indirizzo più estensivo), all’ordinanza di Cass. n. 17699 del 2010, le successive ordinanze in realtà limitandosi ad arricchire le motivazioni dell’una o dell’altra a cui di volta in volta aderiscono, con rilievi di contorno che ne lasciano immutata la sostanza.
9. Ai fini del presente scrutinio interlocutorio preme evidenziare che i termini del contrasto non attingono il nucleo fondamentale della interpretazione fornita da Cass. Sez. U. n. 1066 del 2006. Entrambi gli indirizzi, infatti, non dubitano che «la competenza del giudice specializzato si giustifica in presenza di comportamenti, commissivi o omissivi, che implichino apprezzamenti circa la deliberazione, la progettazione e l’attuazione di opere idrauliche o comunque scelte della pubblica amministrazione dirette alla tutela di interessi generali correlati al regime delle acque pubbliche».
La divergenza ─ che trae origine indubbiamente anche dal non perspicuo inciso che, nell’arresto delle Sezioni Unite, fa salva la competenza del giudice ordinario per «le controversie aventi per oggetto pretese che si ricollegano solo indirettamente e occasionalmente alle vicende relative al governo delle acque» ─ si colloca piuttosto sul diverso piano della possibilità di configurare comportamenti, commissivi o omissivi, che tali apprezzamenti o tali scelte non implichino, di guisa che la qualificazione giuridica dei relativi effetti non richieda la competenza del giudice specializzato.
9.1. L’orientamento più restrittivo (inaugurato da Cass. n. 3755 del 2006) ritiene di poter individuare tale possibilità in tutti i casi «in cui si deduca la violazione delle comuni regole di prudenza e diligenza, che devono essere osservate per evitare lesioni dell’altrui diritto», per la ragione che l’osservanza di tali comuni regole configura «attività doverosa» che, come tale, non richiede «alcuna valutazione o apprezzamento tecnico». Su tale linea argomentativa si pone decisamente la sentenza n. 10128 del 2015, caratterizzandosi in particolare per correlare in termini ancora più espliciti la competenza del giudice specializzato ad un necessario sindacato di «azioni od omissioni rilevanti quali atti della pubblica amministrazione suscettibili di impugnazione, pur se di fatto non impugnati», da ciò traendo la conclusione che tale competenza non si giustifica per «i danni conseguiti alla mera inazione od incuria», in quanto «comportamenti di fatto, magari non consapevoli e non oggetto di scelta, quali quelli provocati dal deterioramento di strutture idrauliche, tubazioni, ecc., dovute alla vetustà o all’obsolescenza tecnica, imputabili all’ente esclusivamente in virtù della sua posizione di custode di quelle strutture».
9.2. Il secondo indirizzo rifiuta in radice la validità di un tale criterio di riparto, muovendo dall’opposto assunto secondo cui «anche i comportamenti, commissivi od omissivi, tenuti in violazione delle regole di comune prudenza e diligenza, implicano in ogni caso apprezzamenti circa le scelte della p.a. dirette alla tutela di interessi generali correlati al regime delle acque pubbliche», per cui «sussiste sempre la competenza del tribunale regionale delle acque allorché il danno deriva dal modo di essere dell’opera idraulica o per come è stata costruita o per come è stata mantenuta (o non mantenuta)».
Da qui l’irrilevanza della colpa ai fini del riparto di competenza, sul rilievo ─ sul quale occorrerà di qui a breve ritornare ─ che «la presenza della colpa non può costituire un criterio di riparto della competenza, poiché, versandosi in tema di risarcimento del danno, questo non può che essere colpevole (salvo che non si adducano ipotesi di responsabilità oggettiva, nel qual caso si prescinde da valutazioni sulla prudenza e diligenza)».
9.3. Nella ordinanza n. 13357 del 2012 tale impostazione viene ulteriormente sviluppata attraverso l’enucleazione dei seguenti corollari argomentativi:
– è sbagliato leggere la competenza del tribunale delle acque come supponente l’esercizio da parte della P.A. preposta alla tutela e gestione delle acque di un’attività provvedimentale e collegare solo ad essa la competenza per i danni e non alla attività materiale o all’inerzia manutentiva e custodiale;
– l’avversato criterio di riparto è:
– incerto (data l’esistenza di situazioni di confine fra l’una e l’altra ipotesi e la difficoltà di distinguere fra esse);
– contrario alla logica stessa della giurisdizione specializzata;
– contrario alla genericità della previsione della competenza.
A tal ultimo riguardo mette conto invero sottolineare che la lett. e) dell’art. 140, nell’attribuire alla competenza dei tribunali delle acque pubbliche le controversie per risarcimenti di danni «dipendenti da qualunque opera eseguita dalla pubblica amministrazione», impiega una locuzione alquanto spoglia di riferimenti, tale dunque da non imporre, sul piano letterale, una lettura restrittiva riferita ai soli atti o comportamenti riconducibili all’esercizio di un potere pubblico. Ed ancora varrà rammentare, in senso convergente, che, come già rilevato da Cass. Sez. U. 08/05/1997, n. 399 – e poi ribadito anche da Cass., Sez. 1, 10/09/2006, n. 18944 – i Tribunali regionali delle acque pubbliche non sono giudici speciali, ma organi specializzati della giurisdizione ordinaria (ed è proprio per questo che la questione relativa alla spettanza di una controversia al giudice ordinario non specializzato o al Tribunale regionale delle acque pubbliche è una questione di competenza).
Il che sta a significare che, a monte, è proprio una lettura della norma, di tipo «sistematico», condotta sul postulato della necessità di un collegamento del fatto causativo del danno con un’attività della P.A. in senso lato provvedimentale, a dover essere probabilmente rivista in favore di una lettura di tipo strettamente «esegetico» che non faccia dire alla norma più di quanto essa non dica; ciò alla luce della ragione stessa costitutiva del giudice specializzato, data dalla non risolvibile commistione, nelle controversie in materia di acque pubbliche, di profili strettamente intrecciati di natura tecnica e giuridica e, nell’ambito di questi ultimi, di questioni difficilmente distinguibili di diritto amministrativo e di diritto privato.
10. Varrà ancora rimarcare che la divergente impostazione non emerge con piena consapevolezza nei precedenti noti (sopra passati in rassegna), né tanto meno il contrasto trova in essi soddisfacente composizione.
Un primo tentativo in tal senso risulta compiuto nella già più volte citata sentenza n. 10128 del 2015, ma risulta debolmente argomentato e insoddisfacente, non avendo peraltro impedito, come visto, il successivo riaffermarsi dell’indirizzo avverso. Non è dato cogliere invero in cosa si distingua l’ipotesi del danno da «omessa adozione di misure che la legge imponeva di adottare (per esempio, quanto a tempi e modi di sostituzione delle tubature, al loro controllo periodico, e così via)» ─ ipotesi che detta sentenza annovera tra quelle devolute al T.R.A.P. ─ da quella del danno nascente da «incuria e negligenza analoghi a quelli che potrebbero essere propri di un qualunque cittadino» (ipotesi invece riservata al giudice non specializzato).
Rimane a ben vedere non superata l’obiezione di fondo, mossa già da Cass. n. 17699 del 2010, secondo cui anche «la mancanza di diligenza e prudenza qualifica e connota il difetto di manutenzione e quindi, lungi dall’escluderlo, lo presuppone». Ancor meno la detta osservazione vale a dare risposta agli argomenti addotti da Cass. n. 13357 del 2012 (su cui v. supra § 9.3) 11. Né appaiono argomenti idonei a comporre il contrasto in favore dell’indirizzo più restrittivo il riferimento all’opera idraulica come supposto elemento necessario di discrimine (v. Cass. n. 27207 del 2020) o quello all’incidenza di altre concause (v. Cass. n. 27207 del 2020; Cass. n. 10587 del 2022).
11.1. Sotto il primo profilo varrà obiettare che è opera della pubblica amministrazione anche quella diretta alla bonifica o manutenzione di corsi d’acqua demaniali, giovando anche rammentare che, nel caso deciso da Cass. Sez. U. n. 1066 del 2006, si trattava di danni verificatisi, in occasione di forti precipitazioni atmosferiche, in conseguenza della rottura dell’argine del torrente Guappero e della tracimazione delle acque, evento addebitato dall’istante alla omessa manutenzione delle opere di bonifica.
11.2. Sotto il secondo profilo non può non rilevarsi la difficoltà di far discendere dalle norme un discrimine tra ipotesi in cui il comportamento, commissivo od omissivo, della P.A. costituisca causa esclusiva del danno o invece mera concausa.
12. Alcune considerazioni vanno infine dedicate all’ipotesi in cui, a fondamento della pretesa risarcitoria, venga dedotta una responsabilità della P.A. di natura oggettiva, ex art. 2051 cod. civ.. Si tratta di ipotesi cui fanno incidentale riferimento sia l’ordinanza capostipite del più estensivo indirizzo (Cass. n. 17699 del 2010), sia, tra quelle che ad essa si conformano, le ordinanze n. 13357 del 2012 e n. 16636 del 2019. Tale inciso è posto tra parentesi al termine dell’affermazione secondo cui «… la presenza della colpa (e cioè della violazione delle regole di prudenza e diligenza come sostenuto dalla sentenza impugnata nonché dalle decisioni di legittimità di riferimento) non può costituire un criterio di riparto della competenza, poiché, versandosi in tema di risarcimento del danno, questo non può che essere colpevole (salvo che non si adducano ipotesi di responsabilità oggettiva, nel qual caso si prescinde da valutazioni sulla prudenza e diligenza)».
L’affermazione – va ricordato – è volta a contrastare l’assunto, proprio dell’opposto orientamento, secondo cui ove il danno da omessa manutenzione dell’opera sia imputato alla P.A. a titolo di colpa (ovvero di inosservanza di regole di comune prudenza e diligenza) la competenza sarebbe da attribuirsi in capo al giudice non specializzato.
La critica di tale assunto è motivata dal rilievo che il risarcimento del danno non può che essere colpevole. Il successivo inciso è volto a moderare l’assolutezza di tale ultima affermazione, ricordandosi che esistono ipotesi di responsabilità risarcitoria senza colpa, su base oggettiva. Ebbene, in tale contesto, il senso dell’inciso non sembra poter essere quello di dire che, ove venga fatta valere una responsabilità dell’ente di natura oggettiva, sussisterebbe allora la competenza del giudice di pace o del tribunale ordinario. Ciò che piuttosto emerge dalla motivazione nel suo complesso è che la responsabilità risarcitoria, abbia fondamento colposo o oggettivo, se correlata al modo di essere dell’opera idraulica, resta comunque tema di competenza del T.R.A.P..
Del resto, non si trae dalla norma elemento che giustifichi un discrimine sul piano del criterio di imputazione della responsabilità, salvo il mero collegamento di tipo materiale e naturalistico («dipendenza») dei danni dalla «opera eseguita dalla pubblica amministrazione».
13. In conclusione, reputa il Collegio che il ricorso debba essere rimesso all’esame della Prima Presidente affinché valuti l’opportunità di rimettere alle Sezioni Unite, con la cognizione del ricorso stesso, la composizione del segnalato contrasto, ai sensi dell’art. 374, comma secondo, prima ipotesi, cod. proc. civ..
P.Q.M.
La Corte rimette il ricorso alla Prima Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite della risoluzione del contrasto di cui in motivazione.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza