DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Ordine di demolizione – Inottemperanza – Sanzione – Perdita della proiprietà – Accertamento inadempimento – Provvedimento – Acquisizione – Patrimonio comunale – d.P.R. n. 380 del 2001 (Massima a cura di Giuseppina Lofaro)
Provvedimento: Sentenza
Sezione: Giurisdizionale
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 15 Settembre 2023
Numero: 569
Data di udienza: 21 Giugno 2023
Presidente: De Francisco
Estensore: Mazzamuto
Premassima
DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Ordine di demolizione – Inottemperanza – Sanzione – Perdita della proiprietà – Accertamento inadempimento – Provvedimento – Acquisizione – Patrimonio comunale – d.P.R. n. 380 del 2001 (Massima a cura di Giuseppina Lofaro)
Massima
CGA PER LA REGIONE SICILIANA, Sez. giurisdizionale, 15 settembre 2023, n. 569
DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Ordine di demolizione – Inottemperanza – Sanzione – Perdita della proiprietà – Accertamento inadempimento – Provvedimento – Acquisizione – Patrimonio comunale – d.P.R. n. 380 del 2001.
Per quel che concerne la legittimazione di avanzamento di un’istanza in sanatoria, qualora siano decorsi novanta giorni dall’ordinanza di demolizione, giova evidenziare che la sanzione della perdita della proprietà per inottemperanza all’ordine di demolizione, – anche se letteralmente inquadrata quale conseguenza “di diritto” ai sensi dell’art. 31, comma 3, del d.P.R. n. 380 del 2001 -, necessita ad ogni modo, in linea coi principi sanciti all’interno della C.e.d.u., di una fase di accertamento dell’inadempimento nonché di una fase di formale irrogazione mediante un provvedimento espresso che definisca l’oggetto dell’acquisizione al patrimonio comunale. Alla luce di quanto sin qui enucleato, non può concludersi che il mero decorso del termine di novanta giorni provochi ex se la carenza di legittimazione a presentare l’istanza di cui all’art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001.
Pres. De Francisco, Est. Mazzamuto – M. A., C. g., (avv. Marolda) c. Comune di Grotte (avv Caponnetto)
Allegato
Titolo Completo
CGA PER LA REGIONE SICILIANA, Sez. giurisdizionale, 15 settembre 2023, n. 569SENTENZA
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il CONSIGLIO DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA PER LA REGIONE SICILIANA
Sezione giurisdizionale
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 352 del 2021, proposto da Maria Aquilina, Calogero Garifi, rappresentati e difesi dall’avvocato Alberto Marolda, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Comune di Grotte, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Vincenzo Caponnetto, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
nei confronti
Crocefissa Graziella Aquilina, non costituito in giudizio;
per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia (Sezione Seconda) n. 01835/2020, resa tra le parti
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Comune di Grotte;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 21 giugno 2023 il Cons. Marco Mazzamuto e uditi per le parti gli avvocati come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Le odierne parti appellanti impugnavano in prime cure la nota prot. n. 4482 del 10 aprile 2019 avente ad oggetto “Ditta Aquilina Maria e Garifi Calogero – Fabbricato in Via Padre Vinti n. 49. Richiesta permesso edilizio in sanatoria amministrativa art. 36 comma 1 DPR 380/2001 recepito dall’art. 14 della L.R. 16/2016. Rigetto istanza”; ove occorra, l’ordinanza di demolizione n. 27 del 28 giugno 2018.
Il giudice di prime cure, con la pronuncia in epigrafe indicata, respingeva il ricorso, dichiarandolo inammissibile, in quanto al momento dell’istanza di sanatoria, il cui diniego è oggetto di impugnativa, si sarebbe già consumata l’acquisizione al patrimonio comunale e i ricorrenti sarebbero quindi rimasti privi di legittimazione al ricorso. Spese compensate.
Con l’odierno appello, si contestava in rito la pronuncia gravata e si riproponevano sostanzialmente le censure di prime cure.
Si costituiva il Comune appellato per resistere all’appello.
Le pari appellanti producevano una istanza di rimessione in termini ex art. 37 cpa e di rinnovazione della notifica ex art. 93, comma 2, cpa, in relazione alle difficoltà di notifica dell’appello alla controinteressata Sig. ra Aquilina Crocefissa Graziella (causate dal trasferimento di residenza di quest’ultima), notifica che, in seconda battuta, è andata comunque a buon fine in data 24 marzo 2021.
Nell’odierna udienza pubblica, sentite le parti come da verbale, la causa è trattenuta in decisione.
2. Va anzitutto vagliata la questione di rito relativa alla notifica dell’appello.
Il Collegio ritiene che non vi sia ragione per esaminare le suddette istanze, poiché, da un lato, l’ammissibilità dell’appello – diversamente da quella del ricorso di primo grado – esige soltanto che la notifica sia intervenuta nei confronti di almeno una delle parti interessate a contraddire, e nel caso di specie, è pacifico che l’appello sia stato ritualmente notificato al Comune; d’altro lato, essendo andata a buon fine la seconda notifica alla controinteressata di prime cure (e in tempo utile per esercitare i diritti di difesa), neppure v’è dubbio che l’integrazione del contradditorio sia stata già realizzata dalla parte appellante, sicché non v’è luogo a ordinarla iussu iudicis (cfr., da ultimo, CdS, III, 19 maggio 2023, n. 4993: “l’omessa tempestiva notifica dell’appello al controinteressato non determina né la radicale inammissibilità dell’appello, né tanto meno la formazione del giudicato nei confronti del controinteressato medesimo, in quanto il contraddittorio deve intendersi legittimamente instaurato con la notifica ad almeno una delle parti interessate a contraddire, sulla scorta della espressa previsione normativa di cui all’articolo 95, comma 2, c.p.a. (cfr. Cons. Stato, sez. II, 5 ottobre 2020, n. 5864). Nella specie, infatti, l’appello è stato notificato all’Azienda Sanitaria Provinciale di Cosenza, con la conseguenza che il contraddittorio deve ritenersi legittimamente instaurato”).
3. L’appello è fondato.
3.1. La declaratoria di inammissibilità di prime cure risponde al seguente costrutto dogmatico: con il mero decorso dei termini di ottemperanza all’ordinanza di demolizione, nella specie inutilmente scaduti, si produce di diritto l’effetto traslativo della proprietà; sicché l’originario proprietario rimane ormai privo di legittimazione per attivare una istanza di sanatoria, così come, in sede processuale, rimane privo di legittimazione ad impugnare il diniego di sanatoria.
La questione esige previamente la sintetica disamina di un quadro, sia normativo, sia giurisprudenziale, alquanto tormentato.
L’origine delle difficoltà è primariamente rintracciabile nella lettera della legge.
Da un lato, ai sensi, dell’art. 31, c.3, TU edilizia, se il responsabile dell’abuso “non provvede alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi nel termine di novanta giorni dall’ingiunzione”, il bene e l’area di sedime, nonché quella necessaria, secondo le vigenti prescrizioni urbanistiche, alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive “sono acquisiti di diritto” gratuitamente al patrimonio del comune.
D’altro lato, ai sensi dell’art. 36, c.1, TU edilizia, “in caso di interventi realizzati in assenza di permesso di costruire, o in difformità da esso, ovvero in assenza di segnalazione certificata di inizio attività nelle ipotesi di cui all’articolo 23, comma 01, o in difformità da essa, fino alla scadenza dei termini di cui agli articoli 31, comma 3, 33, comma 1, 34, comma 1, e comunque fino all’irrogazione delle sanzioni amministrative, il responsabile dell’abuso, o l’attuale proprietario dell’immobile, possono ottenere il permesso in sanatoria”.
La prima previsione sembra configurare una produzione ex lege dell’effetto traslativo in ragione della sola ricorrenza dell’inottemperanza nei termini. Mentre la seconda previsione prefigura la possibilità di una sanatoria, anche oltre la scadenza di tali termini, e cioè “comunque fino all’irrogazione delle sanzioni amministrative”, lasciando quindi intendere che, oltre tali termini, vi sia un quid pluris nel cui arco temporale la sanatoria è ancora esperibile, come se la produzione dell’effetto traslativo per la sola scadenza dei termini non si sia in realtà determinata (o, quantomeno, non si sia determinata a tutti gli effetti giuridici).
Vi è anche una difficoltà di natura sistematica.
L’utilizzo di meccanismi di produzione ex lege dell’effetto, che risponde più pianamente alla logica del sistema privatistico, si adatta meno ai caratteri e ai principi del sistema giuspubblicistico, che normalmente presuppone un’attività amministrativa di cura dell’interesse pubblico e individua nell’atto amministrativo, discrezionale o vincolato che sia, il titolo costitutivo dell’effetto e il punto di attacco delle ragioni della tutela, secondo il tradizionale principio francese della décision préalable, di cui è da sempre debitore il nostro sistema di giustizia amministrativa e che oggi è stato pure codificato nel divieto per il giudice di pronunciarsi “con riferimento a poteri amministrativi non ancora esercitati” (art. 34, comma 2, cpa).
Non è privo di rilievo al riguardo il rilievo che la legge finisca pur sempre per prevedere, come necessario, lo svolgimento di un’attività amministrativa, poiché occorre un atto di “accertamento dell’inottemperanza” (art. 31, comma 4), così come occorre accertare la precisa estensione dell’”area acquisita”, atteso che essa “non può comunque essere superiore a dieci volte la complessiva superficie utile abusivamente costruita” (art. 31., comma 3).
Tale area, nondimeno, ben può essere inferiore – come di norma accade – a detta estensione massima: sicché, appunto, quella effettivamente da acquisirsi nel singolo caso deve sempre essere discrezionalmente (e, dunque, ragionevolmente e motivatamente, nonché con conseguente sindacabilità giurisdizionale dell’esercizio di tali poteri) determinata dall’Amministrazione con propri atti. Tutto questo appare scarsamente conciliabile con un puro automatismo degli effetti, sembrando poco congruente postulare la verificazione di un effetto acquisitivo automatico immediato, ma con riguardo a una misura dell’entità dell’acquisizione destinata a essere determinata autoritativamente solo in un momento necessariamente successivo.
Queste disarmonie lasciano così all’interprete, a seconda della opzione prescelta, la sensazione di dover sacrificare l’una o l’altra parte della lettera del dettato normativo: finendosi così per privilegiare l’una o l’altra opzione secondo un apprezzamento soggettivo (e, come tale, comunque opinabile) di quale dato normativo si voglia considerare preminente rispetto all’altro.
Secondo un rigoroso e ancora vivo orientamento, cui è informata la pronuncia gravata, è il primo dei riferimenti normativi a venir privilegiato, cioè l’acquisto di diritto per il solo fatto dell’inottemperanza nei termini all’ordinanza di demolizione, con conseguente svalutazione del rilievo dell’attività procedimentale successiva e della possibilità di un’istanza sanatoria postuma. Anche di recente si è statuito che il “presupposto essenziale affinché possa configurarsi l’acquisizione gratuita è la mancata ottemperanza all’ordine di demolizione dell’immobile abusivo entro il termine di novanta giorni fissato dalla legge”; “Il diverso orientamento invocato dall’appellante (cfr. C.G.A. per la regione Sicilia, 24/12/2021, n 1075) si scontra con l’insuperabile rilievo per cui, decorso inutilmente il termine previsto per la demolizione, il manufatto abusivo è acquisito di diritto gratuitamente al patrimonio del Comune, sicché colui che presenta la domanda di accertamento in conformità non è più proprietario del bene che intende sanare, con conseguente carenza di legittimazione all’avvio dell’iter procedimentale”; “La giurisprudenza ha chiarito che l’effetto traslativo della proprietà avviene ipso iure e costituisce l’effetto automatico della mancata ottemperanza all’ingiunzione a demolire”; “deve ritenersi ininfluente la sussistenza (o meno) di atto di accertamento di inottemperanza all’ordinanza di demolizione, proprio in forza della natura automatica dell’acquisto da parte dell’amministrazione … l’atto dichiarativo dell’accertamento dell’inottemperanza è necessario ai fini dell’immissione in possesso e della trascrizione nei registri immobiliari e non è costitutivo dell’effetto acquisitivo … il verbale di accertamento dell’inottemperanza non assume portata lesiva degli interessi del privato” (CdS, VI, 9 febbraio 2023, n. 1434).
A ciò si è aggiunto un ulteriore irrigidimento sul versante della efficacia dell’ordinanza di demolizione, la cui inottemperanza costituisce il presupposto primo, sufficiente o meno che lo si ritenga, perché possa predicarsi la produzione dell’effetto traslativo.
Secondo una prima giurisprudenza, a seguito della presentazione di un’istanza di accertamento di doppia conformità, l’ordinanza di demolizione verrebbe in sostanza meno, sicché, a seguito di un eventuale rigetto dell’istanza di sanatoria, l’Amministrazione dovrebbe adottare una nuova ordinanza di demolizione. Negli anni recenti, ha preso tuttavia sempre più campo un diverso orientamento, mosso dalla preoccupazione di una strumentale reiterazione di istanze di accertamento, secondo il quale l’ordinanza di demolizione non verrebbe meno, ma ne verrebbe temporaneamente sospesa l’efficacia, sicché, a seguito dell’eventuale rigetto dell’istanza di sanatoria, tale ordinanza tornerebbe naturalmente a produrre i suoi effetti, senza bisogno di essere rinnovata (di recente, sulle due tesi, cfr. CdS, II, 20 gennaio 2023, n. 714).
Il Collegio non può fare a meno di rimarcare come il governo di tale quadro normativo, al di là dello scomposto e dunque insufficiente dato letterale, sia e debba essere ormai decisamente influenzato dai principi della CEDU e dalla correlativa necessità di recuperare maggiori margini di tutela per il cittadino, il che induce peraltro a ritrovare, rispetto all’eccentricità di affrettate formule legislative privatistiche, interpretazioni conformi ai principi del sistema pubblicistico. Anche questo Consiglio ha già avuto modo di ritenere “ineludibile un’interpretazione delle norme relative all’acquisizione al patrimonio che tenga conto dei principi enunciati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (cfr. Cons. St., sez. VI, 4 novembre 2021, n. 7380)” (CGARS, sez. giur., 25 marzo 2022, n. 373, e 29 luglio 2022, n. 876).
Di tutto questo si hanno già inequivocabili indici giurisprudenziali, la cui premessa maggiore è costituita – appunto alla luce dei vincolanti principi della CEDU: la cui violazione ridonderebbe, ex art. 117 Cost., in un’esegesi incostituzionale della normativa nazionale che, proprio perché tale, non merita seguirsi – dalla necessità di farsi carico delle ineludibili conseguenze, a cominciare dalla rilevanza del profilo soggettivo, della qualificazione dell’acquisizione al patrimonio comunale nel novero delle sanzioni in senso stretto, anche con inevitabili riflessi retrospettivi sulle vicende dell’ordinanza di demolizione, che dell’atto di acquisizione costituisce un presupposto.
Natura sanzionatoria dell’acquisizione – e non meramente ripristinatoria, come nel caso dell’ordinanza di demolizione – che il Collegio pienamente condivide: sia alla luce dell’insegnamento del giudice delle leggi (C. Cost., 15 luglio 1991, n. 345: “l’acquisizione gratuita dell’area non è dunque una misura strumentale, per consentire al Comune di eseguire la demolizione, né una sanzione accessoria di questa, ma costituisce una sanzione autonoma che consegue all’inottemperanza all’ingiunzione”); sia alla luce del dato legislativo, non fosse altro perché l’acquisizione non conduce necessariamente alla demolizione (art. 31, c.5: “L’opera acquisita è demolita con ordinanza del dirigente o del responsabile del competente ufficio comunale a spese dei responsabili dell’abuso, salvo che con deliberazione consiliare non si dichiari l’esistenza di prevalenti interessi pubblici e sempre che l’opera non contrasti con rilevanti interessi urbanistici, ambientali o di rispetto dell’assetto idrogeologico”).
Le concatenazioni interpretative presentano così, rispetto al citato orientamento (che, come si è visto, si rivela rigoroso solo apparentemente, non essendo in grado di conciliare il tenore letterale delle diverse disposizioni legislative; né, soprattutto, queste ultime con i prevalenti parametri sovranazionali e costituzionali), un decisivo capovolgimento.
Anche qualora si mantenga lo schema della temporanea sospensione dell’efficacia dell’ordinanza di demolizione, si è affermato che, in caso di inottemperanza incolpevole che consegue a un sequestro penale, “il Comune, una volta acquisita notizia della cessazione del sequestro, dovrà notificare nuovamente l’ordinanza di demolizione già in precedenza adottata all’interessato, a questi concedendo un nuovo termine per l’eventuale ottemperanza” (CGARS, sez. riun., parere 13 ottobre 2020, n. 277); giungendosi fino a generalizzare siffatto schema, sicché a partire dalla “considerazione che in pendenza del sub/procedimento volto al c.d. ‘accertamento di conformità’ … la ‘temporanea inottemperanza’ all’ordinanza di demolizione (ovvero – ove il fenomeno venga analizzato sotto altro profilo – la ‘temporanea sospensione’ della sua efficacia e dunque dei termini per eseguirla), costituisca una ‘condotta’ … perfettamente giustificabile”, dunque senza colpa, si è poi affermata in termini più ampi “la ratio … di “rimettere in termini” il cittadino che si sia visto respingere la domanda di concessione in sanatoria, al fine di consentirgli di eseguire “spontaneamente” l’ordinanza di demolizione, e di evitare – così – gli effetti sanzionatori ulteriori (confisca del fabbricato e dell’area di sedime e sanzione pecuniaria)” (CGARS, sez. riun., parere 28 settembre 2022, n. 477).
Con il che, ben si comprende, si finisce in sostanza per tornare all’originaria giurisprudenza, non sussistendo un’apprezzabile differenza (se non eventualmente per i riflessi processuali) tra il notificare una nuova ordinanza e il rinotificare la vecchia ordinanza con rimessione in termini.
In ogni caso, e anche ove si volesse prescindere da quest’ultima conclusione, risulta evidente come – alla stregua di quell’interpretazione sistematica che sembra imporre all’interprete la sostituzione del preteso rigorismo con l’ineludibile coerenza sistematica dell’ordinamento nel suo complesso – il dettato dell’inciso “sono acquisiti di diritto” subisca un inevitabile depotenziamento alla luce dei prefati principi, rimanendo soltanto, ad orpello ormai di carattere più che altro formale, quella persistente affermazione del carattere dichiarativo degli atti.
In sostanza, la suddetta formula non può più essere intesa in senso meramente letterale, ma deve essere ambientata e piegata alla logica del sistema pubblicistico e del giusto procedimento sanzionatorio di matrice anche sovranazionale.
Decisiva è in tal senso la valorizzazione delle vicende successive allo spirare dei termini assegnati per demolire come naturale conseguenza appunto dell’intrinseca natura sanzionatoria dell’acquisizione.
Quanto più tali vicende si procedimentalizzano e si arricchiscono doverosamente di contenuti e di esiti differenziati, tanto più ci si allontana da quella servente funzione dichiarativa e ci si avvicina invece alla produzione provvedimentale dell’effetto.
Questo Consiglio ha avuto così modo di statuire che “il mero trascorrere dei 90 giorni non conclude il procedimento amministrativo volto a tutelare l’integrità del territorio violata dalla costruzione abusiva. La necessità di individuare e rispettare tutte le fasi ulteriori del procedimento risponde ai principi più volte ribaditi anche in sede multilivello di certezza dei rapporti giuridici, di corretto agire della pubblica amministrazione alla stregua del principio di “buona amministrazione” che è di diretta applicazione nel nostro ordinamento … La pubblica amministrazione deve pertanto accertare l’ottemperanza, che deve essere ritualmente notificata all’interessato … In questo interstizio tra il decorso dei 90 giorni e l’adozione degli ulteriori provvedimenti si radica la previsione di chiusura dell’art. 36 del testo unico dell’edilizia dovendosi ritenere questa la sola interpretazione che possa rendere conciliabili le due disposizioni. La celere definizione del procedimento di reintegra del territorio violato impedisce la proposizione dell’istanza di sanatoria, il suo dilatarsi nel tempo consente al cittadino di proporre la verifica della doppia legittimità delle opere abusive” (CGARS, sez. giur., 24 dicembre 2021, n. 1075); è “conforme, pertanto, ai principi nazionali e multilivello il rafforzarsi un orientamento giurisprudenziale che àncora gli effetti compiuti dell’acquisizione gratuita al rispetto delle fasi procedimentali che l’articolo 31 del testo unico sull’edilizia disciplina. Non sarebbe conforme ai principi sopra richiamati una lettura dell’articolo che finisse per considerare legittima l’applicazione di una sanzione amministrativa particolarmente afflittiva prescindendo dal suo accertamento oltre che dalla sua formale irrogazione”; sicché “è conforme, pertanto, ai principi nazionali e multilivello il rafforzarsi di un orientamento giurisprudenziale che àncora gli effetti compiuti dell’acquisizione gratuita al rispetto delle fasi procedimentali che l’articolo 31 del testo unico sull’edilizia disciplina” (CGARS, sez. giur., 25 marzo 2022, n. 373); “l’art. 31 del d.P.R. n. 380/2001, laddove prevede che in caso di omessa demolizione il bene abusivamente realizzato e l’area di sedime «sono acquisiti di diritto gratuitamente al patrimonio del comune» deve essere, pertanto, interpretato alla stregua dei detti principi nazionali e multilivello”; “La scansione procedimentale prevista dal citato art. 31 è, dunque, costituita: i) dal provvedimento di ingiunzione a demolire, con il quale viene assegnato il termine di novanta giorni per adempiere spontaneamente alla demolizione ed evitare le ulteriori conseguenze pregiudizievoli; ii) dall’accertamento della inottemperanza all’ordine di demolizione tramite un verbale che accerti la mancata riduzione in pristino; iii) dall’atto di acquisizione al patrimonio comunale, che costituisce il titolo per l’immissione in possesso e per la trascrizione gratuita dell’acquisto della proprietà in capo al Comune”; “Può, pertanto, ragionevolmente concludersi che l’effetto traslativo della proprietà a favore del Comune, secondo la sequenza procedimentale prevista dall’art. 31 del d.P.R. n. 380/2001, avviene solo a seguito del provvedimento di accertamento dell’inottemperanza alla ingiunzione a demolire.” (CGARS, sez. riun., parere 16 febbraio 2023, n. 81).
Precedenti non meno significativi sono ravvisabili anche nella giurisprudenza del Consiglio di Stato, pur se a volte con graduazioni diverse (cfr. CdS, IV, 14 aprile 2023, n. 3800), ma sempre complessivamente riconducibili a questo stesso indirizzo (v., ad es., sul rilievo del profilo soggettivo e sul diritto al contradditorio, CdS, VI, 9 agosto 2022, n. 7023, e 13 giugno 2023, n. 5770; sulla necessità di un atto formale di accertamento, cfr. CdS, VII, 3 aprile 2023, n. 341).
Merita di essere segnalata anche una recente pronuncia che ha messo in campo il rilievo dei principi della legge n. 689/1981: “Una lettura sistematica e costituzionalmente orientata impone l’estensione applicativa dei principi fondamentali di cui agli artt. 1, 2, 3 e 4 della l. 689/1981 anche a tali tipologie di illecito, così come affermato in generale per ogni sanzione amministrativa in senso stretto … Il completo perfezionamento della fattispecie acquisitiva è subordinato all’adozione di un atto avente valore provvedimentale, ma per addivenire allo stesso vanno rispettati i passaggi procedurali a garanzia del contraddittorio e del diritto di difesa delle parti e pure per esigenze di economia, stante che l’avvenuta demolizione spontanea soddisfa pienamente le esigenze di buon governo del territorio dell’Amministrazione vigilante. Il rispetto di tali scansioni procedurali, lungi dal costituire baluardo meramente formale strumentalmente invocato per procrastinare, ovvero scongiurare, la demolizione dell’abuso, costituisce il giusto punto di incontro fra i contrapposti interessi tutelati dal legislatore, da un lato il rispetto dell’ordinato sviluppo del territorio, di cui il previo titolo edilizio costituisce garanzia primaria, dall’altro la tutela della proprietà, destinata comunque a recedere laddove il titolare non sacrifichi al suo mantenimento il doveroso ripristino spontaneo dello stato dei luoghi, sicuramente da preferire per intuibili ragioni di risparmio, anche economico. Il che poi, sotto altro concorrente profilo, conduce a non svalutare il valore del verbale del sopralluogo, in genere demandato alla Polizia municipale” cui “deve essere attribuito il valore corrispondente, mutatis mutandis, al verbale di contestazione dell’illecito ex art. 14 della l. n. 689 del 1981 … l’avvenuta adozione dell’ingiunzione a demolire non era affatto preclusiva della presentazione di ridetta istanza di sanatoria, proprio in ragione della mancata definizione del procedimento di accertamento dell’inottemperanza. Il tenore letterale dell’art. 36 del T.u.e. infatti consente di accedere all’accertamento di conformità fino allo spirare del termine per la demolizione spontanea (nella fattispecie sospeso giudizialmente fino al 3 febbraio 2021,) ovvero «comunque fino all’irrogazione delle sanzioni amministrative» (tra le quali rientrano, ovviamente, sia l’acquisizione al patrimonio indisponibile, sia la somma di danaro prevista dal comma 4 bis, che egualmente presuppongono la decorrenza di 90 giorni dalla notifica dell’ingiunzione a demolire pienamente efficace)” (CdS, II, 20 gennaio 2023, n. 714).
Rimane, invero, un punto ancora non del tutto chiarito in relazione alla sopravvenuta sanzione pecuniaria di cui all’art. 31, comma 4-bis TU edilizia.
Come si è visto, la giurisprudenza, privilegiando la dizione dell’art. 36 e i suoi corollari rispetto all’acquisto di diritto affermato dall’art. 31, sembrerebbe comunque aver trovato il punto di equilibrio nella necessità che l’effetto acquisitivo sia sancito da un formale atto di accertamento, che finisce per costituire il punto di chiusura della formula dell’art. 36 (“comunque fino all’irrogazione delle sanzioni amministrative”).
Resta da chiedersi se, ai sensi dell’art. 36, l’istanza di sanatoria, nonostante vi sia stato un atto formale di accertamento, sarebbe ancora possibile in quanto rimarrebbe pur sempre in campo la nuova sanzione pecuniaria. Ed infatti delle due l’una: o si ritiene che la formula dell’art. 36 non possa ritenersi comprensiva anche della suddetta sanzione, in quanto la previsione di quest’ultima è sopravvenuta; ove, invece e più correttamente, la si reputi comprensiva anche della nuova sanzione pecuniaria – secondo i principi di autointegrazione dell’ordinamento giuridico, in cui la sopravvenienza di ogni nuova disposizione continuamente plasma il significato esegetico di quelle preesistenti – dovrà giocoforza ritenersi che la sanzione dell’effetto acquisitivo presupponga non solo l’atto formale di accertamento, ma anche la definizione del procedimento relativo alla suddetta sanzione pecuniaria, atteso che altrimenti riemergerebbe sempre l’aporia di un soggetto non più proprietario che può ancora presentare un’istanza di sanatoria.
Ai più limitati fini della presente controversia, e alla luce delle superiori considerazioni e dell’orientamento di questo Consiglio testé richiamato, cui si intende dare continuità, è sufficiente tuttavia rilevare che, nel caso di specie, non risulta alcun formale atto di accertamento, sicché non poteva considerarsi già prodotto l’effetto traslativo, con il corollario che le odierne appellanti erano ancora legittimate a presentare istanza di sanatoria, così come ad impugnarne il diniego di fronte al giudice amministrativo.
3.2. Il ricorso di prime cure è dunque ammissibile, diversamente da quanto ritenuto dalla sentenza gravata.
Occorre pertanto scrutinarne nel merito i motivi riproposti in appello.
Il diniego di sanatoria impugnato è motivato per relationem con il richiamo al preavviso del precedente diniego del 2018: “a) Non viene dimostrata la disponibilità giuridica del terreno che si intende asservire ai fini volumetrici al fabbricato oggetto di sanatoria (particella 151 foglio 16) e ciò non essendo sufficiente la dichiarazione di possesso dell’area da oltre venti anni. Si precisa che dalla documentazione in atti risulta che il suddetto terreno è in comproprietà con altre ditte e pertanto, ove questa venisse dimostrata per la parte di Vostra pertinenza, occorre la disponibilità degli altri proprietari; b) L’area oggetto di intervento ricade in zona C/2 ove il rilascio della singola concessione deve essere preceduto dall’approvazione di un piano di lottizzazione convenzionato”.
Con l’ulteriore precisazione che il sopravvenuto asservimento ai fini volumetrici di un nuovo lotto non soddisfa il presupposto della “doppia” conformità.
In ordine al punto a), gli appellanti lamentano in sintesi che gli stessi sono comunque legittimati a presentare l’istanza di sanatoria, che il Comune non poteva ingerirsi in questioni civilistiche e che comunque essi avrebbero usucapito, con effetto retroattivo all’inizio del possesso, il sedime in questione, sicché la doppia conformità sarebbe ravvisabile.
In ordine al punto b), gli appellanti lamentano in sintesi di avere presentato le proprie osservazioni, a seguito del preavviso di diniego, con le quali eccepivano lo stato di completa ed adeguata urbanizzazione della zona in cui ricade l’immobile oggetto di sanatoria, senza che l’Amministrazione muovesse contestazioni sul punto, in violazione degli obblighi imposti dalla normativa sul procedimento amministrativo. In giudizio tale assunto veniva altresì corroborato da una perizia giurata di parte.
3.3. Entrambi i motivi di appello sono fondati nei termini che seguono.
In ordine al punto a), assorbente, anche rispetto alla questione del necessario assenso o meno dei presunti comproprietari, è l’argomento che l’Amministrazione non potesse nel caso di specie ingerirsi sulle questioni civilistiche attinenti alla titolarità dominicale.
Il Collegio è consapevole che l’innesto di elementi civilistici nelle fattispecie pubblicistiche determina una zona ibrida di non sempre facile governo. Ma non per questo la giurisprudenza ha mancato, in materia di legittimazione all’acquisizione di titoli edilizi, di individuare un fondamentale criterio orientativo: l’Amministrazione non può infatti statuire su profili civilistici “che non appaiono per nulla pacifici o, comunque, che non sono di immediata evidenza” (CdS, VI, 17 settembre 2021, n. 6345).
Di fronte ad un’immediata evidenza di segno negativo l’Amministrazione potrà quindi provvedere di per ciò solo al diniego, mentre, ove invece di segno positivo, potrà, superando senz’altro il punto, passare al vaglio degli altri presupposti della sanatoria.
Quando invece la questione rimane incerta o controversa, emerge il divieto per l’Amministrazione di ingerirsi in un approfondimento dei profili civilistici e, anche in tal caso, si potrà passare al vaglio degli altri presupposti della sanatoria: in dubio pro petitor. E senza che con ciò si determini alcun irrimediabile pregiudizio per altri soggetti, atteso che, in ogni caso, l’eventuale rilascio del titolo abilitativo avviene sempre fatti salvi i diritti dei terzi, tutelabili di fronte al giudice ordinario (da ult., CGARS, sez. giur., 5 giugno 2023, n. 392; nonché CGARS, sez. giur., 21 agosto 2023, n. 535)
E’ bene tuttavia precisare che la questione (civilistica) non può essere resa controversa da argomenti meramente pretestuosi e privi di una qualche percepibile consistenza. Così, anche l’istante, di fronte a serie contestazioni in suo sfavore, dovrà a sua volta “fornire elementi seri a fondamento del suo diritto” (di recente CdS, VI, 18 maggio 2022 n. 3936) o che siano quantomeno idonei a rimettere in dubbio le sorti della querelle civilistica.
L’Amministrazione ha nel caso de quo acquisito seri elementi dai quali risulterebbe la comproprietà mortis causa di una pluralità di eredi e ritenuto priva di rilievo in senso contrario una mera dichiarazione di possesso ultraventennale da parte degli istanti.
Il Collegio ritiene tuttavia che, oltre alla dichiarazione di possesso, di per sé sola di mera valenza labiale, sussistessero, nel caso di specie, ulteriori e seri elementi, quantomeno, ai fini di ciò che qui rileva, per non ritenere pretestuosa la prospettata usucapione e dunque per non ritenere pacifica, nell’uno o nell’altro senso, la questione della titolarità della proprietà, ove si consideri:
-che in punto di fatto, nell’area interessata sono stati realizzati plurimi abusi (dal fabbricato principale alle pertinenze) in momenti diversi e in un arco temporale di quasi un cinquantennio, così come risulta dalla stessa ordinanza di demolizione: “immobile principale e il manufatto in muratura ad una sola elevazione, nel periodo compreso fra il 1968 e il 1979 (cfr. volo SAS 1968 e 1979), mentre la consistenza volumetrica dell’immobile costituita da un piano terra e un primo piano con copertura – non avendo alcun riscontro documentale – può datarsi dal 1968 a prima del 09/2010 (cfr. prima immagine prospettica di google heart del 09/2010); tettoia con struttura in ferro zincato nel periodo compreso fra il 1999 (cfr. volo SAS 1999) e il 18/07/2011 (cfr. google heart immagine del 18/07/2011); porticato con struttura in legno lamellare in data successiva al 18/07/2011 (cfr. google heart immagine del 18/07/2011) e prima del 26/01/2016 (cfr. google heart immagine del 26/01/2016)”;
-che in punto di diritto, secondo la giurisprudenza del giudice naturale dell’istituto dell’usucapione, dalla quale non vi è ragione di discostarsi, il carattere abusivo di un bene “per mancanza di concessione edilizia non può costituire impedimento all’acquisto per usucapione, in presenza dei presupposti di cui all’art. 1158 c.c. e, cioè, del possesso ultraventennale della costruzione, con opere, quindi, visibili e permanenti, in presenza, inoltre, di un possesso continuo, non interrotto, non viziato da violenza o clandestinità” (Cass., II, 18 febbraio 2013, n. 3979); anche più di recente si è confermato “l’orientamento di questa corte (v. ad es. Cass. n. 3979 dell’18/02/2013 e n. 4240 del 22/02/2010) è nella direzione di affermare come ammissibile l’acquisto per usucapione di una servitù avente ad oggetto il mantenimento di una costruzione a distanza inferiore a quella fissata dal codice civile dai regolamenti e dagli strumenti urbanistici, anche nel caso in cui la costruzione sia abusiva, atteso che il difetto della concessione edilizia “esaurisce la sua rilevanza nell’ambito del rapporto pubblicistico, senza incidere sui requisiti del possesso ad usucapionem”” (Cass. II, 3 ottobre 2017, n. 23084); né va dimenticato che il principio tradizionale secondo il quale l’usucapione può farsi valere solo se previamente accertata in sede giurisdizionale è stato ormai da tempo abbandonato dalla giurisprudenza (già, ad es., da Cass., II, 3 febbraio 2005, n. 2161).
E’ bene tuttavia riaffermare, alla luce del summenzionato principio che fa salvi i diritti dei terzi, che l’accoglimento del presente motivo lascia del tutto impregiudicato ogni eventuale accertamento dell’autorità giudiziaria sulla controversa questione dominicale.
3.4. Anche in ordine al punto b) l’appello è fondato.
In effetti la motivazione per relationem del provvedimento impugnato si limita ad affermare sic et simpliciter che “l’area oggetto di intervento ricade in zona C/2 ove il rilascio della singola concessione deve essere preceduto dall’approvazione di un piano di lottizzazione convenzionato”, senza alcuna considerazione sullo stato di fatto della zona.
E’ vero che secondo un consolidato principio giurisprudenziale “nelle zone già urbanizzate è consentito derogare all’obbligo dello strumento attuativo … nell’ipotesi, del tutto eccezionale, che si sia già realizzata una situazione di fatto che da quegli strumenti consenta con sicurezza di prescindere, in quanto risultano oggettivamente non più necessari, essendo stato pienamente raggiunto il risultato (come adeguata dotazione di infrastrutture, primarie e secondarie previste dal piano regolatore) cui sono finalizzati”, cui si è aggiunta di recente la previsione legislativa del permesso di costruire convenzionato, ai sensi dell’art. 28-bis TUedilizia (da ult. CdS IV 30 maggio 2023 n. 5293; CGARS, sez. giur., 21 gennaio 2022 n. 106).
Ma il carattere derogatorio di siffatta ipotesi non esime l’Amministrazione, specie a fronte di osservazioni in tal senso degli interessati, dall’accertarne la ricorrenza o meno, motivando sul punto.
4. Deve infine ritenersi che con l’accoglimento dell’appello non occorra investire le sorti dell’ordinanza di demolizione, della quale si è anche chiesto l’annullamento ma appunto solo “ove occorra”, dovendo l’Amministrazione tornare sulla definizione del procedimento di sanatoria.
5. In definitiva, l’appello va accolto, con salvezza di ulteriori provvedimenti dell’Amministrazione.
La complessità della fattispecie, anche in punto di diritto, giustifica la compensazione delle spese di entrambi i gradi di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, in sede giurisdizionale, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto, in riforma della pronuncia gravata, annulla gli atti impugnati in prime cure nei termini e nei limiti di cui in motivazione, con salvezza di ulteriori provvedimenti dell’Amministrazione.
Spese di entrambi i gradi di giudizio compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Palermo nella camera di consiglio del giorno 21 giugno 2023 con l’intervento dei magistrati:
Ermanno de Francisco, Presidente
Michele Pizzi, Consigliere
Giuseppe Chinè, Consigliere
Antonino Caleca, Consigliere
Marco Mazzamuto, Consigliere, Estensore
L’ESTENSORE
Marco Mazzamuto
IL PRESIDENTE
Ermanno de Francisco
IL SEGRETARIO