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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Diritto processuale penale, Rifiuti Numero: 37113 | Data di udienza: 14 Giugno 2023

RIFIUTI – Ecoreati – Concorso formale tra traffico illecito di rifiuti e illecita gestione di rifiuti – Gestione dei rifiuti senza autorizzazioni (o con autorizzazioni illegittime o scadute) o violando le prescrizioni e/o i limiti delle autorizzazione – Art. 256 d.lgs. 152/2006 – Art. 452-quaterdecies c.p. – Attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti – Natura di reato abituale – Comportamenti non occasionali finalizzati al conseguimento di un ingiusto profitto – Requisito dell’ingiusto profitto – Confisca obbligatoria – Confisca in forma societaria (estensione a tutto il patrimonio aziendale e a tutto il capitale sociale) – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Ricorso per cassazione – Genericità o aspecificità del ricorso – Pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla corte di merito – Rilettura degli elementi di fatto – C.d. autosufficienza del ricorso – Circostanze attenuanti generiche – Concessione o esclusione – Principio della meritevolezza dell’adeguamento della pena – Valutazione della pericolosità della condotta – Fattispecie – Sospensione condizionale della pena – Obbligo del giudice di motivare e condanna oggettivamente ostativa.


Provvedimento: SENTENZA
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 12 Settembre 2023
Numero: 37113
Data di udienza: 14 Giugno 2023
Presidente: RAMACCI
Estensore: REYNAUD


Premassima

RIFIUTI – Ecoreati – Concorso formale tra traffico illecito di rifiuti e illecita gestione di rifiuti – Gestione dei rifiuti senza autorizzazioni (o con autorizzazioni illegittime o scadute) o violando le prescrizioni e/o i limiti delle autorizzazione – Art. 256 d.lgs. 152/2006 – Art. 452-quaterdecies c.p. – Attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti – Natura di reato abituale – Comportamenti non occasionali finalizzati al conseguimento di un ingiusto profitto – Requisito dell’ingiusto profitto – Confisca obbligatoria – Confisca in forma societaria (estensione a tutto il patrimonio aziendale e a tutto il capitale sociale) – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Ricorso per cassazione – Genericità o aspecificità del ricorso – Pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla corte di merito – Rilettura degli elementi di fatto – C.d. autosufficienza del ricorso – Circostanze attenuanti generiche – Concessione o esclusione – Principio della meritevolezza dell’adeguamento della pena – Valutazione della pericolosità della condotta – Fattispecie – Sospensione condizionale della pena – Obbligo del giudice di motivare e condanna oggettivamente ostativa.



Massima

CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^, 12 settembre 2023, (Ud. 14/06/2023), Sentenza n. 37113

 

 

RIFIUTI – Ecoreati – Concorso formale tra traffico illecito di rifiuti e illecita gestione di rifiuti – Gestione dei rifiuti senza autorizzazioni (o con autorizzazioni illegittime o scadute) o violando le prescrizioni e/o i limiti delle autorizzazione – Art. 256 d.lgs. 152/2006 – Art. 452-quaterdecies c.p..

Sussiste concorso formale e non rapporto di specialità, tra il delitto di attività organizzata per il traffico illecito di rifiuti, previsto dall’art. 452-quaterdecies cod. pen., e la contravvenzione di gestione di rifiuti non autorizzata, di cui all’art. 256 d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, nel caso in cui ricorrano, in concreto, sia gli elementi sostanziali del primo, ossia l’allestimento di mezzi e di attività continuative organizzate, che l’elemento formale della seconda, quale la mancanza di autorizzazione. Nel caso di specie, la sentenza ha correttamente ritenuto la sussistenza di entrambe le fattispecie, non essendovi dubbi che il fatto ricostruito sia riconducibile anche alla fattispecie delittuosa, tanto per il capo A), quanto per il capo B). Ed invero, che l’art. 260, comma 1, d.lgs. 152/2006, oggi trasfuso nell’art. 452 quaterdecies cod. pen., contempla un reato abituale (già previsto, del resto, dall’art. 53-bis, d.lgs. n. 22 del 1997, come introdotto dalla legge 23 marzo 2001, n. 93) che punisce chi, al fine di conseguire un ingiusto profitto, allestisce una organizzazione di traffico di rifiuti, volta a gestire continuativamente, in modo illegale, ingenti quantitativi di rifiuti. Tale gestione dei rifiuti deve concretizzarsi in una pluralità di operazioni con allestimento di mezzi ed attività continuative organizzate, ovvero attività di intermediazione e commercio e tale attività deve essere “abusiva”, ossia effettuata senza le autorizzazioni necessarie (ovvero con autorizzazioni illegittime o scadute) o violando le prescrizioni e/o i limiti delle autorizzazione stesse (ad esempio, la condotta avente per oggetto una tipologia di rifiuti non rientranti nel titolo abilitativo, ed anche tutte quelle attività che, per le modalità concrete con cui sono esplicate, risultano totalmente difformi da quanto autorizzato, sì da non essere più giuridicamente riconducibili al titolo abilitativo rilasciato dalla competente Autorità amministrativa. Quindi il delitto in esame sanziona comportamenti non occasionali di soggetti che, al fine di conseguire un ingiusto profitto, fanno della illecita gestione dei rifiuti la loro redditizia, anche se non esclusiva, attività, per cui per perfezionare il reato è necessaria una, seppure rudimentale, organizzazione professionale (mezzi e capitali) che sia in grado di gestire ingenti quantitativi di rifiuti in modo continuativo, ossia con pluralità di operazioni condotte in continuità temporale, operazioni che vanno valutate in modo globale (pluralità delle azioni, che è elemento costitutivo del fatto, unica violazione di legge, perciò il reato è abituale dal momento che per il suo perfezionamento è necessaria le realizzazione di più comportamenti della stessa specie).

 

RIFIUTI – Attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti – Natura di reato abituale – Comportamenti non occasionali finalizzati al conseguimento di un ingiusto profitto – Requisito dell’ingiusto profitto – Confisca obbligatoria – Confisca in forma societaria (estensione a tutto il patrimonio aziendale e a tutto il capitale sociale).

Il delitto di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti (già previsto dall’art. 260, d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 e oggi inserito nel codice penale all’art. 452-quaterdecies) è reato abituale, che si perfeziona attraverso la realizzazione di più comportamenti non occasionali della stessa specie, finalizzati al conseguimento di un ingiusto profitto, con la necessaria predisposizione di una, pur rudimentale, organizzazione professionale di mezzi e capitali, che sia in grado di gestire ingenti quantitativi di rifiuti in modo continuativo. Nell’analisi dell’art. 452 quaterdecies cod. pen., il requisito dell’ingiusto profitto non deriva dall’esercizio abusivo dell’attività di gestione dei rifiuti, bensì dalla condotta continuativa ed organizzata di gestione dei rifiuti finalizzata a conseguire vantaggi (risparmi di spesa e maggiori margini di guadagno) altrimenti non dovuti. Esso può consistere non soltanto in un ricavo patrimoniale, ma anche nel vantaggio conseguente dalla mera riduzione dei costi aziendali, sicché è ingiusto qualora discenda da una condotta abusiva che, oltre ad essere anticoncorrenziale, può anche essere produttiva di conseguenze negative, in termini di pericolo o di danno, per la integrità dell’ambiente, impedendo il controllo da parte dei soggetti preposti sull’intera filiera dei rifiuti. Inoltre, l’art. 452 quaterdecies, comma 5, cod. pen. prevede la confisca obbligatoria «delle cose che servirono a commettere il reato…salvo che appartengano a persone estranee al reato». In difetto di diversa specificazione, poi, la confisca della società si riferisce all’impresa costituita in forma societaria e si estende a tutto il patrimonio aziendale e a tutto il capitale sociale.

 

DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Ricorso per cassazione – Genericità o aspecificità del ricorso – Pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla corte di merito – Rilettura degli elementi di fatto – C.d. autosufficienza del ricorso.

La genericità del ricorso sussiste non solo quando i motivi risultano intrinsecamente indeterminati, ma altresì quando difettino della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato. In particolare, i motivi del ricorso per cassazione si devono considerare non specifici, ma soltanto apparenti, quando omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso, sicché è inammissibile il ricorso per cassazione quando manchi l’indicazione della correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’atto d’impugnazione, atteso che quest’ultimo non può ignorare le affermazioni del provvedimento censurato. Inoltre, alla Corte di cassazione, sono precluse la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito, così come non è sindacabile in sede di legittimità, salvo il controllo sulla congruità e logicità della motivazione, la valutazione del giudice di merito, cui spetta il giudizio sulla rilevanza e attendibilità delle fonti di prova, circa contrasti testimoniali o la scelta tra divergenti versioni e interpretazioni dei fatti. Inoltre, per adire correttamente i giudici di legittimità, la motivazione non deve risultare incompatibile con altri atti del processo indicati in modo specifico ed esaustivo dal ricorrente nei motivi del suo ricorso (c.d. autosufficienza), in termini tali da risultarne vanificata o radicalmente inficiata sotto il profilo logico. Ne deriva che il ricorso per cessazione con cui si lamenta la mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione per l’omessa valutazione di circostanze acquisite agli atti non può limitarsi, pena l’inammissibilità, ad addurre l’esistenza di atti processuali non esplicitamente presi in considerazione nella motivazione del provvedimento impugnato ovvero non correttamente od adeguatamente interpretati dal giudicante, ma deve, invece: a) identificare l’atto processuale cui fa riferimento; b) individuare l’elemento fattuale o il dato probatorio che da tale atto emerge e che risulta incompatibile con la ricostruzione svolta nella sentenza; c) dare la prova della verità dell’elemento fattuale o del dato probatorio invocato nonché della effettiva esistenza dell’atto processuale su cui tale prova si fonda; d) indicare le ragioni per cui l’atto inficia e compromette, in modo decisivo, la tenuta logica e l’intera coerenza della motivazione, introducendo profili di radicale “incompatibilità” all’interno dell’impianto argomentativo del provvedimento impugnato.

 

DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Circostanze attenuanti generiche – Concessione o esclusione – Principio della meritevolezza dell’adeguamento della pena – Valutazione della pericolosità della condotta – Fattispecie: considerevole quantitativo di rifiuti movimentato.

Quanto alle circostanze attenuanti generiche, va richiamato il consolidato principio secondo cui la meritevolezza dell’adeguamento della pena, in considerazione di peculiari e non codificabili connotazioni del fatto o del soggetto, non può mai essere data per presunta, ma necessita di apposita motivazione dalla quale emergano, in positivo, gli elementi che sono stati ritenuti atti a giustificare la mitigazione del trattamento sanzionatorio. Quando la relativa richiesta non specifica gli elementi e le circostanze che, sottoposte alla valutazione del giudice, possano convincerlo della fondatezza e legittimità dell’istanza, l’onere di motivazione del diniego dell’attenuante è soddisfatto con il solo richiamo alla ritenuta assenza dagli atti di elementi positivi su cui fondare il riconoscimento del beneficio. In tali casi, la motivazione della sentenza d’appello che, nel confermare il giudizio di insussistenza delle circostanze attenuanti generiche, si limiti a condividere il presupposto dell’adeguatezza della pena in concreto inflitta, può dirsi illegittima soltanto quando ometta ogni apprezzamento sulla sussistenza e rilevanza dei fattori attenuanti specificamente indicati nei motivi d’impugnazione. Nel caso di specie, la sentenza valorizza in senso negativo il considerevole quantitativo di rifiuti movimentato nel discreto lasso temporale oggetto di contestazione e attesta che nessun elemento positivo è rinvenibile in atti, tale non potendo essere ritenuto neppure il comportamento processuale dell’imputato, stante il tentativo di minimizzare la pericolosità della condotta con affermazioni riduttive e poco credibili. Premesso che l’incensuratezza non è di per sé sufficiente (art. 62 bis, ultimo comma, cod. pen.), la decisione non presta dunque il fianco a rilievi in questa sede, alla luce del principio secondo cui, in tema di circostanze attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell’art. 133 cod. pen., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell’esclusione.

 

DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Sospensione condizionale della pena – Obbligo del giudice di motivare e condanna oggettivamente ostativa.

In tema di sospensione condizionale della pena, fermo l’obbligo del giudice d’appello di motivare circa il mancato esercizio del potere-dovere di applicazione di detto beneficio in presenza delle condizioni che ne consentono il riconoscimento, l’imputato non può dolersi, con ricorso per cassazione, della sua mancata concessione, qualora non ne abbia fatto richiesta nel corso del giudizio di merito. Del resto, il generico ricorso non attesta neppure la sussistenza delle condizioni per ottenere il beneficio e dal certificato del casellario risulta una condanna oggettivamente ostativa.

(dich. inammissibili i ricorsi avverso sentenza del 23/09/2022 sentenza del 23/02/2022 della CORTE DI APPELLO DI MILANO) Pres. RAMACCI, Rel. REYNAUD, Ric. Foti ed altro


Allegato


Titolo Completo

CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^, 12/09/2023, (Ud. 14/06/2023), Sentenza n. 37113

SENTENZA

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE

composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

omissis

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da
1) Foti —, nato a Como il –/-/—-;
2) Assanelli —, nato a Treviglio il –/–/—-;

avverso la sentenza del 23/02/2022 della CORTE DI APPELLO DI MILANO;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere Gianni Filippo Reynaud;

lette le richieste scritte trasmesse dal Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Domenico Seccia, ai sensi dell’art. 23, comma 8, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, conv., con modiff., dalla I. 1.8 dicembre 2020, n. 176, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso di Foti e la declaratoria d’inammissibilità del ricorso di Assanelli;

lette le conclusioni rassegnate nella memoria contenente motivi aggiunti depositata nell’interesse del ricorrente Foti e la successiva memoria di produzione documenti.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 23 febbraio 2022, la Corte d’appello di Milano, giudicando sui gravami proposti dagli odierni ricorrenti all’esito del giudizio abbreviato, riducendo le pene inflitte ne ha confermato la penale responsabilità per il reato di traffico illecito di rifiuti loro ascritto in concorso al capo B) e, quanto a Foti, altresì di identico reato commesso in concorso con altre persone oltre che della contravvenzione di gestione di rifiuti senza autorizzazione contestati al capo A) d’imputazione.

2. Avverso la sentenza di appello, entrambi gli imputati, a mezzo dei rispettivi difensori fiduciari, hanno proposto distinti ricorsi per cassazione.

3. Con unico motivo di ricorso, Assanelli deduce il vizio di carenza e contraddittorietà della motivazione quanto alla ritenuta abitualità della sua condotta, affermata in base all’argomento – non decisivo – che egli aveva effettuato 19 trasporti illeciti di rifiuti. Si lamenta non essere stata approfondita la tesi difensiva secondo cui, resosi conto dell’incongruenza tra la destinazione cartolare e quella effettiva dei rifiuti trasportati, l’imputato aveva deciso di non effettuare più trasporti.

4. Con il primo motivo di ricorso, Foti lamenta il vizio di motivazione – anche in relazione al travisamento delle prove, con particolare riguardo all’omessa considerazione delle valutazioni espresse dal consulente tecnico di parte ed alle dichiarazioni rese dal coimputato Assanelli – in relazione a diversi aspetti ed in particolare:
– all’affermazione secondo cui soltanto Erus Service avrebbe potuto proseguire la gestione aziendale in forza dell’autorizzazione di cui era titolare prima che la stessa fosse volturata ad Erus Ambiente, laddove, invece, la prima si sarebbe dovuta occupare, come di fatto avvenuto, soltanto dell’aspetto documentale;
– all’erronea quantificazione dell’incremento dei rifiuti nel sito durante il periodo di concreta gestione di Erus Ambiente;
– all’omessa valutazione delle censure difensive circa l’inattendibilità delle dichiarazioni rese dai dipendenti;
– alla ritenuta falsità dei F.I.R.;
– all’affermazione della consapevolezza del ricorrente circa la diversa destinazione dei rifiuti caricati dal coimputato Assanelli presso la Tecnobeton;
– alla disposta confisca della somma di 300.000 e-uro, corrispondente ai ricavi fatturati dalla Erus Ambiente nel periodo di operatività, senza considerare che in quel fatturato ben potevano essere ricomprese somme derivanti da attività perfettamente lecite.

5. Con il secondo motivo di ricorso, Foti lamenta violazione della norma penale incriminatrice e vizio di motivazione quanto all’omessa riqualificazione della condotta illecita contestata al capo A) nella sola contravvenzione di cui all’art. 256 d.lgs. 152/2006 ed all’esclusione di rilevanza penale quanto al reato di cui al capo B). Si lamenta, in particolare, che la mancanza di autorizzazioni non costituisce requisito determinante del delitto di traffico illecito di rifiuti e che nelle vicende in esame non era ravvisabile il dolo specifico dell’ingiusto profitto.

6. Con ulteriore motivo di ricorso il suddetto imputato lamenta violazione della legge penale e vizio di motivazione quanto al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, all’eccessività della pena inflitta ed alla mancata concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena.

7. Con l’ultimo motivo, il ricorrente Foti deduce la violazione dell’art. 452 quaterdecies, comma 5, cod. proc. pen., ed il vizio di motivazione quanto alla disposta confisca della Erus Ambiente Sri. Lamentando che la Corte territoriale non aveva spiegato se la confisca si riferisse alle quote sociali, al patrimonio della società ovvero ad entrambi, si censura la statuizione sull’assorbente rilievo che non potrebbe affermarsi che la costituzione della società – in realtà preesistente e avente ad oggetto, con diversa denominazione, un servizio di gestione rifiuti e di materiali inerti – fosse preordinata al compimento di attività illecite.

8. Con memoria contenente motivi aggiunti, Foti ha inoltre dedotto l’erronea applicazione dell’art. 81 cod. pen. con riguardo all’unitario aumento a titolo di continuazione di mesi sei di reclusione praticato per i reati contestati al capo B), senza distinguere i singoli alimenti riferiti al delitto ed alla contravvenzione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso proposto da Assanelli è inammissibile per genericità e manifesta infondatezza e perché proposto per ragioni non consentite, essendosi il ricorrente limitato a riproporre i motivi sollevati con l’appello, adeguatamente e correttamente vagliati dalla Corte territoriale, senza confrontarsi realmente con le argomentazioni spese in sentenza e sollecitando anche una diversa valutazione delle prove e ricostruzione del fatto.

1.1. Ed invero, va in primo luogo osservato che la genericità del ricorso sussiste non solo quando i motivi risultano intrinsecamente indeterminati, ma altresì quando difettino della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato (Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, Sammarco, Rv. 255568). In particolare, i motivi del ricorso per cassazione – che non possono risolversi nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla corte di merito – si devono considerare non specifici, ma soltanto apparenti, quando omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso (Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, Arnone e aa., Rv. 243838), sicché è inammissibile il ricorso per cassazione quando manchi l’indicazione della correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’atto d’impugnazione, atteso che quest’ultimo non può ignorare le affermazioni del provvedimento censurato (Sez. 2, n. 11951 del 29/01/2014, Lavorato, Rv. 259425).

Alla Corte di cassazione, poi, sono precluse la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, De Vita, Rv. 235507), così come non è sindacabile in sede di legittimità, salvo il controllo sulla congruità e logicità della motivazione, la vallutazione del giudice di merito, cui spetta il giudizio sulla rilevanza e attendibilità delle fonti di prova, circa contrasti testimoniali o la scelta tra divergenti versioni e interpretazioni dei fatti (Sez. 5, n. 51604 del 19/09/2017, D’Ippedico e a., Rv. 271623; Sez. 2, n. 20806 del 05/05/2011, Tosto, Rv. 250362).

1.2. Sul piano sostanziale, osserva poi il Collegio che la sentenza impugnata ha fatto buon governo del consolidato orientamento interpretativo secondo cui il delitto di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti (già previsto dall’art. 260, d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 e oggi inserito nel codice penale all’art. 452-quaterdecies) è reato abituale, che si perfeziona attraverso la realizzazione di più comportamenti non occasionali della stessa specie, finalizzati al conseguimento di un ingiusto profitto, con la necessaria predisposizione di una, pur rudimentale, organizzazione professionale di mezzi e capitali, che sia in grado di gestire ingenti quantitativi di rifiuti in modo continuativo (Sez. 3, n. 52838 del 14/07/2016, Serrao e aa., Rv. 268920).

1.3. La sentenza impugnata, infatti, ha ben spiegato le ragioni della ritenuta abitualità della condotta di Assanelli nel traffico di rifiuti contestato al capo B) d’imputazione, consistito nello smaltire illecitamente presso siti o capannoni privi di qualsiasi autorizzazione, di fatto adibiti a discariche abusive, ingenti quantità di rifiuti speciali prelevati dalla Tecnobeton Srl – di cui il coimputato Foti era responsabile commerciale – che gestiva un impianto autorizzato di stoccaggio e trattamento di rifiuti non pericolosi.

Con motivazione non manifestamente illogica resa a giustificazione di una valutazione di merito in questa sede altrimenti non censurabile, la Corte territoriale ha valorizzato il fatto che la società di autotrasporti di cui l’imputato era legale rappresentate e socio, unitamente al fratello, aveva effettuato, in soli due mesi, ben 19 trasporti di rifiuti all’evidenza illeciti, parte materialmente compiuti dal ricorrente e parte dal di lui fratello. La tesi difensiva secondo cui l’imputato si sarebbe determinato a non effettuare altri trasporti dopo essersi accorto dell’incongruenza tra la destinazione cartolare dei rifiuti e quella effettiva è stata valutata e non illogicamente ritenuta infondata sia in relazione al numero dei trasporti (la cui singola illiceità era d’immediata evidenza posto che, appunto, gli stessi venivano effettuati non già presso gli impianti di smaltimento autorizzati indicati nei formulari, ma presso capannoni industriali vuoti e dismessi di volta in volta verbalmente indicati all’autista), sia con riguardo agli elevati guadagni che tale illecita attività di trasporto fruttava, sia in relazione al fatto che l’imputato non era estraneo ad illecite attività di questo tipo, avendo già definito con sentenza di applicazione pena un procedimento penale nei suoi confronti aperto per fatto similare.

2. Per analoghe ragioni è inammissibile pure il primo motivo del ricorso di Foti, posto che anche questi si limita a riproporre le medesime censure già adeguatamente e correttamente analizzate e disattese con duplice decisione di merito conforme, sorretta da motivazione non manifestamente illogica.

2.1. In particolare, con ricostruzione del fatto in questa sede non censurabile, la sentenza impugnata afferma la sussistenza della penale responsabilità di Foti per i reati di cui ai capi A) e B), richiamando plurime, e convergenti, fonti di prova con le quali il ricorrente neppure integralmente si confronta. Le censure – come detto, riproduttive dei motivi di appello – deducono il travisamento della prova lamentando che la Corte territoriale non abbia condiviso le spiegazioni date sui punti oggetto di addebito dal consulente tecnico della difesa, che abbia ritenuto attendibili le dichiarazioni testimoniali rese da dipendenti rancorosi, che abbia male interpretato le dichiarazioni rese dal coimputato Assanelli. Ciò posto, osserva il Collegio come il ricorrente all’evidenza fraintenda le caratteristiche dell’evocato vizio di travisamento della prova, che non ricorre quando – come nella specie invece sostanzialmente sostenuto – il giudice valuti il contenuto della prova in modo ritenuto non corretto, ma quando nella motivazione si fa uso di un’informazione rilevante che non esiste nel processo, o quando si omette la valutazione di una prova decisiva (Sez. 2, n. 27929 del 12/06/2019, Borriello, Rv. 276567; Sez. 2, n. 47035 del 03/30/2013, Giugliano, Rv. 257499).

Il vizio, peraltro, deve risultare dal testo del provvedimento impugnato o da altri atti del processo specificamente indicati dal ricorrente, ed è ravvisabile ed efficace solo se l’errore accertato sia idoneo a disarticolare l’intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa dell’elemento frainteso o ignorato, fermi restando il limite del “devolutum” in caso di cosiddetta “doppia conforme” e l’intangibilità della valutazione nel merito del risultato probatorio (Sez. 5, del 02/07/2019, S., Rv. 277758; Sez. 6, n. 5146 del 16/01/2014, D& Gaudio e a., Rv. 258774). Quanto al primo dei cennati profili, il relativo apprezzamento va effettuato considerando che la sentenza deve essere coerente e logica rispetto agli elementi di prova in essa rappresentati ed alla conseguente valutazione effettuata dal giudice di merito, che si presta a censura soltanto se, appunto, manifestamente contrastante e incompatibile con i principi della logica. Sotto il secondo profilo, la motivazione non deve risultare incompatibile con altri atti del processo indicati in modo specifico ed esaustivo dal ricorrente nei motivi del suo ricorso (c.d. autosufficienza), in termini tali da risultarne vanificata o radicalmente inficiata sotto il profilo logico (cfr. Sez. 2, n. 38800 del 01/10/2008, Gagliardo e a., Rv. 241449). Ne deriva che il ricorso per cessazione con cui si lamenta la mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione per l’omessa valutazione di circostanze acquisite agli atti non può limitarsi, pena l’inammissibilità, ad addurre l’esistenza di atti processuali non esplicitamente presi in considerazione nella motivazione del provvedimento impugnato ovvero non correttamente od adeguatamente interpretati dal giudicante, ma deve, invece: a) identificare l’atto processuale cui fa riferimento; b) individuare l’elemento fattuale o il dato probatorio che da tale atto emerge e che risulta incompatibile con la ricostruzione svolta nella sentenza; c) dare la prova della verità dell’elemento fattuale o del dato probatorio invocato nonché della effettiva esistenza dell’atto processuale su cui tale prova si fonda; d) indicare le ragioni per cui l’atto inficia e compromette, in modo decisivo, la tenuta logica e l’intera coerenza della motivazione, introducendo profili di radicale “incompatibilità” all’interno dell’impianto argomentativo del provvedimento impugnato (Sez. 3, n. 2039 del 02/02/2018, dep. 2019, Papini, Rv. 274816; Sez. 6, n. 45036 del 02/12/2010, Damiano, Rv. 249035).

Il ricorrente non ha assolto in alcun modo ai richiamati oneri.

2.2. Per contro, la sentenza impugnata:
– del tutto correttamente afferma l’illiceità dell’attività di gestione rifiuti di fatto pacificamente svolta da Erus Ambiente, essendo evidente che nelle more del perfezionamento della voltura dell’autorizzazione rilasciata a Erus Service soltanto quest’ultima – e non anche la prima – era autorizzata allo svolgimento dell’attività;
– attesta, in ogni caso, la grave e ripetuta violazione delle prescrizioni fissate in quell’autorizzazione, realizzata – attraverso plurime falsità nella compilazione dei F.I.R., di cui la sentenza dà non illogicamente conto – con l’acquisizione di ingenti quantitativi di rifiuti (notevolmente superiori al limite previsto), parte dei quali avevano caratteristiche diverse da quelli consentiti ed erano classificati con codici non corretti, con lo stoccaggio incontrollato degli stessi senza effettuare, se non in termini molto limitati, attività di cernita, così accumulando rifiuti non recuperabili senza avviarli a smaltimento in discarica e, anzi, in parte destinandoli, con codici errati, alla Tecnobeton, che a sua volta provvedeva ad illecitamente smaltirli secondo le modalità di cui più oltre si dirà;
– dando così conto delle ragioni per cui non erano condivisibili i rilievi svolti dal consulente tecnico di parte – le cui valutazioni circa le quantità dei rifiuti imputabili alla gestione di Erus Ambiente costituiscono, peraltro, valutazione di merito in questa sede comunque non scrutinabile – fonda detto accertamento non solo sulle chiarissime dichiarazioni testimoniali rese da numerosi testimoni, che si riscontrano a vicenda e che sono state implicitamente ritenute attendibili, ma anche su significative conversazioni telefoniche intercettate, che le confermano, neppure citate in ricorso, oltre che sugli accertamenti oggettivi effettuati dai Carabinieri del N.O.E.;
– quanto al capo B), afferma del tutto logicamente la consapevolezza del ricorrente circa l’illecita destinazione dei rifiuti della Tecnobeton non soltanto in base alle dichiarazioni rese in interrogatorio dal coimputato Assanelli – inequivocabili quanto al dolo del correo, posto che, secondo l’accertamento del giudice di merito, il dichiarante riceveva verbalmente dalla Tecnobeton le indicazioni sul luogo di destinazione dei rifiuti – ma anche in base alla più complessiva ricostruzione del fatto circa l’intento del i ricorrente Foti di massimizzare gli illeciti profitti conseguiti acquisendo illecitamente ingenti quantitativi di rifiuti presso lo stabilimento di Origgio gestito dalla Erus Ambiente Srl per poi, del pari illecitamente, trasferirli in parte presso la Tecnobeton e quindi smaltirli senza sostenere i dovuti costi;
– non illogicamente è stata confermata la confisca dell’ingiusto profitto quale indicato nel capo A) d’imputazione e pari all’intero fatturato della illecita gestione della Erus Ambiente nel periodo considerato, sull’incensurabile presupposto che, in relazione alla ricostruzione della vicenda ed all’assenza di autorizzazione, tutte le attività da essa svolte presso il sito di Origgio costituivano illecito traffico di rifiuti.

3. Il secondo motivo del ricorso proposto da Foti è inammissibile per manifesta infondatezza e per genericità.

3.1. Va premesso – e neppure il ricorrente lo contesta – che sussiste concorso formale, e non rapporto di specialità, tra il delitto di attività organizzata per il traffico illecito di rifiuti, previsto dall’art. 452-quaterdecies cod. pen., e la contravvenzione di gestione di rifiuti non autorizzata, di cui all’art. 256 d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, nel caso in cui ricorrano, in concreto, sia gli elementi sostanziali del primo, ossia l’allestimento di mezzi e di attività continuative organizzate, che l’elemento formale della seconda, quale la mancanza di autorizzazione (Sez. 3, n. 39076 del 03/12/2021, Bosina, Rv. 283765). Nel caso di specie, la sentenza ha correttamente ritenuto la sussistenza di entrambe le fattispecie, non essendovi dubbi che il fatto ricostruito sia riconducibile anche alla fattispecie delittuosa, tanto per il capo A), quanto per il capo B). Ed invero, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, di cui lo stesso ricorrente mostra di essere ben a conoscenza – e vale la pena qui richiamare la motivazione della sentenza Sez. 3, n. 44449 del 15/10/2013, Ghidoli, citata pure in ricorso e confermata dalla successiva giurisprudenza (si veda Sez. 3, n. 21030 del 10/03/2015, Furfaro) – l’art. 260, comma 1, d.lgs. 152/2006, oggi trasfuso nell’art. 452 quaterdecies cod. pen., contempla un reato abituale (già previsto, del resto, dall’art. 53-bis, d.lgs. n. 22 del 1997, come introdotto dalla legge 23 marzo 2001, n. 93) che punisce chi, al fine di conseguire un ingiusto profitto, allestisce una organizzazione di traffico di rifiuti, volta a gestire continuativamente, in modo illegale, ingenti quantitativi di rifiuti. Tale gestione dei rifiuti deve concretizzarsi in una pluralità di operazioni con allestimento di mezzi ed attività continuative organizzate, ovvero attività di intermediazione e commercio (cfr. Sez. 3, n. 40827 del 6/10/2005, Carretta, Rv. 232348) e tale attività deve essere “abusiva”, ossia effettuata senza le autorizzazioni necessarie (ovvero con autorizzazioni illegittime o scadute) o violando le prescrizioni e/o i limiti delle autorizzazione stesse (ad esempio, la condotta avente per oggetto una tipologia di rifiuti non rientranti nel titolo abilitativo, ed anche tutte quelle attività che, per le modalità concrete con cui sono esplicate, risultano totalmente difformi da quanto autorizzato, sì da non essere più giuridicamente riconducibili al titolo abilitativo rilasciato dalla competente Autorità amministrativa: cfr. Sez. 3, n. 40828 del 6/10/2005, Fradella, Rv. 232350). Quindi il delitto in esame sanziona comportamenti non occasionali di soggetti che, al fine di conseguire un ingiusto profitto, fanno della illecita gestione dei rifiuti la loro redditizia, anche se non esclusiva, attività, per cui per perfezionare il reato è necessaria una, seppure rudimentale, organizzazione professionale (mezzi e capitali) che sia in grado di gestire ingenti quantitativi di rifiuti in modo continuativo„ ossia con pluralità di operazioni condotte in continuità temporale, operazioni che vanno valutate in modo globale: alla pluralità delle azioni, che è elemento costitutivo del fatto, corrisponde una unica violazione di legge, e perciò il reato è abituale dal momento che per il suo perfezionamento è necessaria le realizzazione di più comportamenti della stessa specie (cfr. Sez. 3, n. 46705 del 3/11/2009, Caserta, Rv. 245605, confermata anche da Sez. 3, n. 29619 dell’8/7/2010, Leorati, Rv. 248145).

3.2. Trattasi di elementi che, secondo l’accertamento dei giudici di merito, ricorrono tutte nel caso di specie, donde la manifesta infondatezza e genericità del ricorso, che non si confronta con il non illogico accertamento ricostruttivo operato in sentenza, che, al di là dell’illecita gestione di Erus Ambiente Srl, priva di autorizzazione, e del fatto che Tecnobeton fosse invece in possesso delle autorizzazioni, ha correttamente affermato la sussistenza del delitto sul rilievo che le concreta gestione dei rifiuti era totalmente difforme dall’attività autorizzata nei confronti di Erus Service Srl e della stessa Tecnobeton, sì da far emergere il requisito dell’abusività della gestione in stretta connessione con gli altri elementi tipici della fattispecie più sopra indicati (cfr. Sez. 3, n. 44449 del 15/10/2013, Ghidoli, Rv. 258326).

3.3 Quanto al profitto, con riguardo al delitto in esame questa Corte ha già chiarito che il requisito dell’ingiusto profitto non deriva dall’esercizio abusivo dell’attività di gestione dei rifiuti, bensì dalla condotta continuativa ed organizzata di gestione dei rifiuti finalizzata a conseguire vantaggi (risparmi di spesa e maggiori margini di guadagno) altrimenti non dovuti (Sez. 3, n. 35568 del 30/05/2017, Savoia, Rv. 271138). Esso può consistere non soltanto in un ricavo patrimoniale, ma anche nel vantaggio conseguente dalla mera riduzione dei costi aziendali, sicché è ingiusto qualora discenda da una condotta abusiva che, oltre ad essere anticoncorrenziale, può anche essere produttiva di conseguenze negative, in termini di pericolo o di danno, per la integrità dell’ambiente, impedendo il controllo da parte dei soggetti preposti sull’intera filiera dei rifiuti (Sez. 3, n. 16056 del 28/02/2019, Berlingieri, Rv. 275399).

Secondo il non illogico accertamento compiuto dai giudici di merito, anche queste caratteristiche risultano sussistenti nel caso di specie e le censure al proposito proposte in ricorso sono del tutto generiche.

4. Il terzo motivo del ricorso proposto da Foti è inammissibile per manifesta infondatezza e genericità.

4.1. Quanto al trattamento sanzionatorio, riducendo la pena irrogata dal primo giudice, la Corte territoriale ha dato congrua motivazione sul discostamento dal minimo edittale e ha comunque contenuto la pena in termini ben inferiori alla media edittale, sicché in tal caso non è neppure necessaria una specifica e dettagliata motivazione da parte del giudice, essendo sufficiente il richiamo al criterio di adeguatezza della pena, nel quale sono impliciti gli elementi di cui all’art. 133 cod. pen. (Sez. 4, n. 46412 del 05/11/2015, Scaramozzino, Rv. 265283; Sez. 4, n. 21294 del 20/03/2013, Serratore, Rv. 256197).

4.2. Quanto alle circostanze attenuanti generiche, va richiamato il consolidato principio secondo cui la meritevolezza dell’adeguamento della pena, in considerazione di peculiari e non codificabili connotazioni del fatto o del soggetto, non può mai essere data per presunta, ma necessita di apposita motivazione dalla quale emergano, in positivo, gli elementi che sono stati ritenuti atti a giustificare la mitigazione del trattamento sanzionatorio (Sez. 1, n. 46568 del 18/05/2017, Lamin, Rv. 271315). Quando la relativa richiesta non specifica gli elementi e le circostanze che, sottoposte alla valutazione del giudice, possano convincerlo della fondatezza e legittimità dell’istanza, l’onere di motivazione del diniego dell’attenuante è soddisfatto con il solo richiamo alla ritenuta assenza dagli atti di elementi positivi su cui fondare il riconoscimento del beneficio (Sez. 3, n. 9836 del 17/11/2015, dep. 2016, Piliero, Rv. 266460). In tali casi, la motivazione della sentenza d’appello che, nel confermare il giudizio di insussistenza delle circostanze attenuanti generiche, si limiti a condividere il presupposto dell’adeguatezza della pena in concreto inflitta, può dirsi illegittima soltanto quando ometta ogni apprezzamento sulla sussistenza e rilevanza dei fattori attenuanti specificamente indicati nei motivi d’impugnazione (Sez. 6, n. 20023 del 30/01/2014, Gligora e aa., Rv. 259762).

Nel caso di specie, la sentenza valorizza in senso negativo il considerevole quantitativo di rifiuti movimentato nel discreto lasso temporale oggetto di contestazione e attesta che nessun elemento positivo è rinvenibile in atti, tale non potendo essere ritenuto neppure il comportamento processuale dell’imputato, stante il tentativo di minimizzare la pericolosità della condotta con affermazioni riduttive e poco credibili. Premesso che l’incensuratezza non è di per sé sufficiente (art. 62 bis, ultimo comma, cod. pen.), la decisione non presta dunque il fianco a rilievi in questa sede, alla luce del principio secondo cui, in tema di circostanze attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell’art. 133 cod. pen., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell’esclusione (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. 271269; Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016, De Cotiis, Rv. 265826; Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Lule, Rv. 259899).

4.3. Quanto, da ultimo, alla sospensione condizionale della pena, dal riepilogo dei motivi di appello non risulta che l’appellante avesse richiesto anche quel beneficio, unitamente alla riduzione del trattamento sanzionatorio nel minimo edittale, né lo stesso era stato richiesto in primo grado, stando alle conclusioni trascritte nella medesima sentenza. L’imputato non ha contestato le attestazioni risultanti dalle due sentenze, né ha specificamente allegato di aver nel giudizio di merito richiesto la concessione del beneficio. Neppure dal verbale di udienza che riporta le conclusioni rese nel giudizio di appello, benché il Procuratore generale avesse richiesto la riduzione della pena al di sotto del limite di anni due di reclusione, risulta che il difensore avesse invocato la sospensione condizionale.

Vale, dunque, il principio secondo cui, in tema di sospensione condizionale della pena, fermo l’obbligo del giudice d’appello di motivare circa il mancato esercizio del potere-dovere di applicazione di detto beneficio in presenza delle condizioni che ne consentono il riconoscimento, l’imputato non può dolersi, con ricorso per cassazione, della sua mancata concessione, qualora non ne abbia fatto richiesta nel corso del giudizio di merito (Sez. U, n n. 22533 del 25/10/2018, dep. 2019, Salerno, Rv. 275376). Del resto, il generico ricorso non attesta neppure la sussistenza delle condizioni per ottenere il beneficio e dal certificato del casellario risulta una condanna oggettivamente ostativa.

5. L’ultimo motivo del ricorso proposto da Foti è inammissibile per manifesta infondatezza e, in radice, per difetto d’interesse.

5.1. Quanto al primo profilo, con riguardo al reato di cui al capo A), la sentenza attesta che lo stesso è stato commesso sfruttando l’organizzazione della Erus Ambiente Srl – secondo l’imputazione, all’epoca amministrata dalla sorella dell’imputato e di fatto gestita dal loro padre – e l’art. 452 quaterdecies, comma 5, cod. pen. prevede, per quanto qui interessa, la confisca obbligatoria «delle cose che servirono a commettere il reato…salvo che appartengano a persone estranee al reato» di traffico illecito di rifiuti.

In difetto di diversa specificazione, poi, la confisca della società si riferisce all’impresa costituita in forma societaria e si estende a tutto il patrimonio aziendale e a tutto il capitale sociale (cfr. Sez. 5, n. 32017 del 08/03/2019, Roma, Rv. 277099).

5.2. In ogni caso, va rilevato che il ricorso rimanda all’allegata visura camerale, dalla quale risulta che il ricorrente non è socio di Erus Ambiente Srl (e l’imputato lo precisava già nell’appello) né amministratore, sicché – in difetto, peraltro, di contraria allegazione – non è ravvisabile un concreto interesse che sul punto giustifichi l’impugnazione, posto che, in difetto dell’allegazione di uno specifico interesse concreto ed attuale, è inammissibile il ricorso per cassazione proposto dall’imputato che si dolga della illegittimità della confisca disposta su beni appartenenti a terzi (cfr. Sez. 3, n. 372 del 09/10/2019, dep. 2020, Acampora, Rv. 278274).

6. Venendo, infine, al motivo aggiunto, con cui Foti si duole degli aumenti praticati a titolo di continuazione – producendo, anche con successiva memoria, nuovi documenti – ne è evidente l’inammissibilità.

6.1. Con riguardo alla censura sull’aumento di pena fissato a titolo di continuazione, basti osservare che si tratta di punto non fatto oggetto d’impugnazione con il ricorso principale, comunque di per sé inammissibile. Ed invero, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, per un verso i motivi nuovi proposti a sostegno dell’impugnazione devono avere ad oggetto, a pena di inammissibilità, i capi o i punti della decisione impugnata già investiti dall’atto di impugnazione originario (Sez. 2, n. 17693 del 17/01/2018, Corbelli, Rv. 27282; Sez. 2, n. 53630 del 17/11/2016, Braidic, Rv. 268980; Sez. 6, n. 27325 del 20/05/2008, D’Antino, Rv. 240367), per altro verso, ai sensi dell’art. 585, comma 4, ult., parte, cod. proc. pen., ritenuta, per quanto sopra detto, l’inammissibilità dei motivi proposti con il ricorso, tale conseguenza processuale si estende ai motivi nuovi (cfr., di recente, Sez. 5, n. 8439 del 24/01/2020, L., Rv. 278387).

6.2. Quanto ai documenti, è noto che nel giudizio di legittimità possono essere prodotti esclusivamente i documenti che l’interessato non sia stato in grado di esibire nei precedenti gradi di giudizio, sempre che essi non costituiscano nuova prova e non comportino un’attività di apprezzamento circa la loro validità formale e la loro efficacia nel contesto delle prove già raccolte e valutate dai giudici di merito (Sez. 2, n. 42052 del 19/06/2019, Moretti Cuseri Anton, Rv. 277609; Sez. 3, n. 5722 del 07/01/2016, Sanvitale, Rv. 266390), condizioni, queste ultime, che nella specie non ricorrono, sollecitando il ricorrente un accertamento fattuale.

7. Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi, tenuto conto della sentenza Corte cost. 13 giugno 2000, n. 186 e rilevato che nella presente fattispecie non sussistono elementi per ritenere che la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., oltre all’onere del pagamento delle spese del procedimento anche quello del versamento in favore della cassa delle ammende della somma equitativamente fissata in euro 3.000,00 per ciascun ricorrente.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.

Così deciso il 14 giugno 2023.

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