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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Sicurezza sul lavoro, 231 Numero: 38470 | Data di udienza: 7 Settembre 2023

SICUREZZA SUL LAVORO – Cantiere – Infortunio sul lavoro (omicidio colposo) – Responsabilità o corresponsabilità del lavoratore nell’infortunio – Dovere di sicurezza – Controllo (o colpa) sull’organizzazione – Responsabilità del datore di lavoro – Responsabilità del Capocantiere – Responsabile del servizio di protezione e prevenzione – Accertamento della responsabilità – 231 – Responsabilità degli enti derivante da reati colposi di evento in violazione della normativa antinfortunistica – Modelli di organizzazione di gestione idonei a prevenire reati – Soggetti in posizione apicale – Fattispecie punibili a titolo di colpa – Criteri di imputazione oggettiva – Interesse o vantaggio – Art. 6 D. Lgs. n.231/2001 – Fattispecie: inosservanza, pur non sistematica, delle misure precauzionali prescritte.


Provvedimento: SENTENZA
Sezione: 4^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 21 Settembre 2023
Numero: 38470
Data di udienza: 7 Settembre 2023
Presidente: PICCIALLI
Estensore: FERRANTI


Premassima

SICUREZZA SUL LAVORO – Cantiere – Infortunio sul lavoro (omicidio colposo) – Responsabilità o corresponsabilità del lavoratore nell’infortunio – Dovere di sicurezza – Controllo (o colpa) sull’organizzazione – Responsabilità del datore di lavoro – Responsabilità del Capocantiere – Responsabile del servizio di protezione e prevenzione – Accertamento della responsabilità – 231 – Responsabilità degli enti derivante da reati colposi di evento in violazione della normativa antinfortunistica – Modelli di organizzazione di gestione idonei a prevenire reati – Soggetti in posizione apicale – Fattispecie punibili a titolo di colpa – Criteri di imputazione oggettiva – Interesse o vantaggio – Art. 6 D. Lgs. n.231/2001 – Fattispecie: inosservanza, pur non sistematica, delle misure precauzionali prescritte.



Massima

CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 4^, 21 settembre 2023 (Ud. 07/09/2023), Sentenza n. 38470

 

 

SICUREZZA SUL LAVORO – Cantiere – Infortunio sul lavoro (omicidio colposo) – Responsabilità o corresponsabilità del lavoratore nell’infortunio – Dovere di sicurezza – Controllo o colpa sull’organizzazione – Norme prevenzionistiche – Responsabilità del datore di lavoro – Responsabilità del Capocantiere – Responsabile del servizio di protezione e prevenzione – Accertamento della responsabilità.

 

Si deve escludere la responsabilità, o anche solo di corresponsabilità, del lavoratore per l’infortunio quando il sistema della sicurezza approntato dal datore di lavoro presenti evidenti criticità. Le disposizioni antinfortunistiche perseguono, infatti, il fine di tutelare il lavoratore anche dagli infortuni derivanti da sua colpa, onde l’area di rischio da gestire include il rispetto della normativa prevenzionale che si impone ai lavoratori, dovendo il datore di lavoro dominare ed evitare l’instaurarsi, da parte degli stessi destinatari delle direttive di sicurezza, di prassi di lavoro non corrette e per tale ragione foriere di pericoli. All’uopo, per l’accertamento della responsabilità degli enti per i reati commessi dai soggetti in posizione apicale va rilevata la omessa preventiva adozione del modello organizzativo da parte della società. Il fondamento della responsabilità dell’ente è costituito, pertanto, dalla “colpa di organizzazione”, essendo tale deficit organizzativo quello che consente l’imputazione all’ente dell’illecito penale. In materia di prova, grava sull’accusa l’onere di dimostrare l’esistenza dell’illecito penale in capo alla persona fisica inserita nella compagine organizzativa della società e che abbia agito nell’interesse di questa. Tale accertata responsabilità si estende, poi, dall’individuo all’ente collettivo, nel senso che vanno individuati precisi canali che colleghino teleologicamente l’azione dell’uno all’interesse dell’altro e, quindi, gli elementi indicativi della colpa di organizzazione dell’ente, che rendono autonoma la responsabilità di quest’ultimo.

 

231 – Responsabilità degli enti derivante da reati colposi di evento in violazione della normativa antinfortunistica – Modelli di organizzazione di gestione idonei a prevenire reati – Soggetti in posizione apicale – Fattispecie punibili a titolo di colpa – Criteri di imputazione oggettiva – Interesse o vantaggio – Art. 6 Dlgs. n. 231/2001 – Fattispecie: inosservanza, pur non sistematica, delle misure precauzionali prescritte.

In tema di responsabilità degli enti derivante da reati colposi di evento in violazione della normativa antinfortunistica, i criteri di imputazione oggettiva rappresentati dall’interesse e dal vantaggio, da riferire entrambi alla condotta del soggetto agente e non all’evento, ricorrono, rispettivamente, il primo, quando l’autore del reato abbia violato la normativa cautelare con il consapevole intento di conseguire un risparmio di spesa per l’ente, indipendentemente dal suo effettivo raggiungimento, e, il secondo, qualora l’autore del reato abbia violato sistematicamente le norme antinfortunistiche, ricavandone oggettivamente un qualche vantaggio per l’ente, sotto forma di risparmio di spesa o di massimizzazione della produzione, indipendentemente dalla volontà di ottenere il vantaggio stesso. Inoltre, in tema di responsabilità degli enti derivante da reati di lesioni personali colpose in violazione della disciplina antinfortunistica, il criterio di imputazione oggettiva del vantaggio di cui al D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231, art. 5 è integrato anche da un esiguo, ma oggettivamente apprezzabile, risparmio di spesa, collegato all’inosservanza, pur non sistematica, delle cautele per la prevenzione degli infortuni riguardanti un’area rilevante di rischio aziendale che può altresì consistere nella velocizzazione dell’attività d’impresa, tale da incidere sui tempi di lavorazione.

(dich. inammissibili i ricorsi avverso sentenza del 23/10/2020 – CORTE DI APPELLO DI MESSINA), Pres. PICCIALLI, Est. FERRANTI, Ric. C.R.G., I. S.r.l.


Allegato


Titolo Completo

CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 4^, 21/09/2023 (Ud. 07/09/2023), Sentenza n. 38470

SENTENZA

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE

composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

omissis

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
C.R.G., nato a (omissis);
I. SRL;

avverso la sentenza del 23/10/2020 della CORTE APPELLO di MESSINA;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. DONATELLA FERRANTI;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dr. CERONI FRANCESCA, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità di tutti i ricorsi.

E’ presente l’avvocato Cappuccio Ettore del foro di Messina, in difesa delle parti civili M.L. e I.T. il quale, come da conclusioni e nota spese depositate in udienza, conclude chiedendo la conferma della sentenza impugnata.

L’avvocato Cappuccio Ettore è presente altresì in qualità di sostituto processuale, come da delega ex art. 102 c.p.p. depositata in udienza, dell’avvocato Russo Antonia del foro di Messina difensore delle parti civili M.A., M.V., M.C. e G.F., difensore di fiducia depositata in udienza con la quale viene revocata ogni altra precedente nomina fiduciaria. L’avvocato Cappuccio riportandosi alle conclusioni e nota spese depositate chiede di dichiarare inammissibili i ricorsi presentati.

E’ presente l’avvocato Gullo Antonino D. del foro di Barcellona Pozzo di Gotto, in difesa del ricorrente C.R.G. il quale dopo aver illustrato nei dettagli i motivi di ricorso, insiste nell’accoglimento.

L’avvocato Gullo è presente altresì in qualità di sostituto processuale dell’avvocato S.E. del foro di Messina, difensore della Società I. SRL, come da delega orale che riportandosi ai motivi di ricorso, insiste nell’accoglimento.

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Messina, in parziale riforma della sentenza pronunciata il 1.03.2019 dal Tribunale di Messina ha assolto C.D., per non aver commesso il fatto, ha confermato la condanna di C.R.G. alla pena di anni due e mesi otto di reclusione e della società I. s.r.l. alla sanzione pecuniaria di 350 quote del valore di 500 Euro ciascuna, oltre alle statuizioni civili, previa riduzione della provvisionale ad Euro 10.000,00 in favore di ciascuna delle parti costituite.

2. Il reato contestato attiene all’omicidio colposo causato il 4.05.2012 per colpa, in violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, dell’operaio M.C., non regolarmente assunto dalla I. s.r.l., con mansioni di manovale che cadeva da un lucernario dove erano state collocate tavole in legno, dove era salito per procedere a lavori di intonacatura del muro prospiciente il pozzo luce e che, a causa del cedimento di uno dei pannelli in plexigas, era precipitato da un’altezza di 13,80 metri, riportando gravissime lesioni che lo conducevano a morte immediata. Si contestava in particolare a C.R.G., capocantiere e responsabile del servizio di protezione e prevenzione in ordine ai lavori svolti presso il cantiere in (omissis), e amministratore unico di fatto che, nonostante nel POS fosse stato previsto il rischio di caduta, non erano state adottate le misure precauzionali prescritte: nella specie le tavole di calpestio non erano bloccate, non vi era un parapetto oltre ad assorbitori di energia, né dispositivi anticadute e imbracature.

3.La sentenza impugnata assolveva C.D. in quanto evidenziava che dall’istruttoria dibattimentale era emerso che quest’ultimo, studente universitario, rivestiva solo la carica formale di amministratore della società, costituita dal padre C.R.G., (fol 6) che si occupava in modo esclusivo del cantiere anche in quanto espressamente delegato.

4. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione C.R.G. deducendo i seguenti motivi:

4.1.Con il primo motivo deduce il travisamento della prova in specie delle dichiarazioni rese dall’operaio G. e delle altre testimonianze rese in dibattimento attinenti sia alla dotazione dei caschi e delle cinture, quali misure di sicurezza, che alla ricostruzione dell’evento in quanto il M. non era caduto per il cedimento delle tavole che non avevano retto il suo peso ma per aver contravvenuto agli ordini ricevuti secondo cui doveva solo limitarsi ad assistere l’operaio G., porgendogli il necessario dal terrazzo. Il M. invece era salito di sua iniziativa sul lucernario, contravvenendo agli ordini impartiti dal C.R. che aveva rispettato le prescrizioni del POS elaborato dall’Ing. B..

4.2.Con il secondo motivo lamenta violazione di legge per non aver riconosciuto l’attenuante del risarcimento del danno prevista dall’art. 62 c.p., n. 6 in considerazione delle somme erogate dall’Inail, che ha agito in sede di rivalsa nei confronti della I. s.r.l..

5.Ha proposto ricorso la I. srl per violazione di legge e vizio di motivazione in quanto la sentenza impugnata non ha motivato con riferimento al vantaggio o al risparmio di spesa perseguito dalla società.

6. Il Procuratore Generale ha presentato requisitoria scritta da valere come memoria in cui ha chiesto dichiararsi la inammissibilità dei ricorsi.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso di C.R.G. è inammissibile sotto diversi profili.

1.1. Va ribadito che la dedotta interruzione del nesso di condizionamento, a causa del comportamento imprudente dei lavoratori, quale causa sopravvenuta, da sola sufficiente a determinare l’evento, non risponde ai principi giuridici enucleati dalla dottrina e dalla giurisprudenza (Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn, in motivazione; Sez. 4, n. 33329 del 05/05/2015, Sorrentino, Rv.264365; Sez. 4, n. 49821 del 23/11/2012, Lovison, Rv. 254094), per i quali va considerata interruttiva del nesso di condizionamento la condotta del lavoratore che si collochi in qualche guisa al di fuori dell’area di rischio definita dalla lavorazione in corso. Tale comportamento è “interruttivo” non perché “eccezionale” ma perché eccentrico rispetto al rischio lavorativo che il garante è chiamato a governare.

La giurisprudenza di legittimità e’, infatti, ferma nel sostenere che non possa discutersi di responsabilità (o anche solo di corresponsabilità) del lavoratore per l’infortunio quando il sistema della sicurezza approntato dal datore di lavoro presenti delle evidenti criticità (Sez.4, n. 22044 del 2/05/2012, Goracci, n. m.; Sez.4, n. 16888,de107/02/2012,Pugliese,Rv.252373;Sez.4,n. 21511,de115/04/2010,DeVita,n m.). Le disposizioni antinfortunistiche perseguono, infatti, il fine di tutelare il lavoratore anche dagli infortuni derivanti da sua colpa, onde l’area di rischio da gestire include il rispetto della normativa prevenzionale che si impone ai lavoratori, dovendo il datore di lavoro dominare ed evitare l’instaurarsi, da parte degli stessi destinatari delle direttive di sicurezza, di prassi di lavoro non corrette e per tale ragione foriere di pericoli (Sez.4, n. 4114 del 13/01/2011, n. 4114, Galante, n. m.; Sez. F, n. 32357 del 12/08/2010, Mazzei, Rv. 2479962).

La Corte territoriale riprendendo il quadro probatorio già esaminato dal primo giudice ha evidenziato, con argomentazione logica e coerente, le condotte omissive delle doverose misure di prevenzione di protezione e sicurezza facenti capo al C.R.G. amministratore di fatto oltre che responsabile del cantiere (fol 6 e 7). In particolare ha evidenziato che proprio dalla testimonianza oculare del G. è emerso che nessuno dei due lavoratori avevano dispositivi di protezione che non avevano mai eseguito corsi sulla sicurezza e nessuna indicazione era stata loro impartita sulle precauzioni da adottare nell’esecuzione di quegli specifici lavori; le tavole del lucernario non erano state bloccate e non vi era un parapetto. Tra l’altro il Giudice di primo grado a fogl 3 mette in evidenza che dall’istruttoria dibattimentale era emerso proprio dalla testimonianza del G. che l’imputato aveva dato le disposizioni riguardanti l’apposizione delle tavole di legno sopra il lucernario per eseguire i lavori di intonacatura.

1.2. Quanto al dedotto travisamento della prova, va ribadito che postula l’esistenza di una palese e non controvertibile difformità tra i risultati obiettivamente derivanti dall’assunzione della prova e quelli che il giudice di merito ne abbia inopinatamente tratto, fermo restando il divieto di operare una diversa ricostruzione del fatto, quando si tratti di elementi privi di significato indiscutibilmente univoco, trattandosi altrimenti di un’attività valutativa che, come tale, resta imprescindibilmente riservata al potere discrezionale del giudice di merito, incensurabile se questi abbia dato esauriente e logica illustrazione delle modalità del suo esercizio. Con l’ulteriore precisazione che, comunque, in caso di “doppia conforme”, e cioè di doppia pronuncia di eguale segno, il vizio del travisamento della prova potrebbe essere dedotto con il ricorso per cassazione solo quando il ricorrente rappresenti, con specifica deduzione, che l’argomento probatorio asseritamente travisato è stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado (cfr ex plurimis Sezione IV, 19 febbraio 2015- 29 aprile 2015 n. 18073).

Nel caso di specie il tema della responsabilità è stato affrontato senza travisamenti.

Il Giudice di primo grado a fol 3 nella ricostruzione della dinamica dell’infortunio, ripresa a fol 6 nella sentenza impugnata, afferma che il G. insieme al M. avrebbe dovuto applicare quel giorno l’intonaco sul muro prospiciente il pozzo luce del condominio, pozzo precedentemente realizzato da loro stessi, per il quale avevano preparato l’impasto necessario. Il pozzo era coperto da un telaio di ferro con applicati pannelli in plexigas allo scopo di proteggerlo dalle acque piovane e far passare la luce; su detta copertura erano state poste, senza alcun blocco, delle tavole di legno che avrebbero dovuto sostenere il muratore che doveva applicare l’intonaco e ciò secondo le direttive impartite da C.R.; mentre il G. si era allontanato per recuperare degli attrezzi si voltò e vide il M., che tra l’altro era suo nipote, che stava precipitando ed era rimasto appeso con le mani, tentò di aiutarlo ma non ci fu niente da fare.
Il sopralluogo aveva evidenziato con chiarezza che M.C. era precipitato sfondando i pannelli in plexigas sottostanti le tavole che erano state apposte in modo posticcio senza essere bloccate, senza che vi fosse un parapetto né la dotazione di dispositivi anticaduta.

1.3. Quanto alla pretesa applicazione all’attenuante del risarcimento del danno va richiamato il principio affermato da questa Corte, Sez. 4 n. 6144 del 28/11/2017 Ud. (dep. 08/02/2018) Rv. 271969 – 01, secondo cui ai fini del riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 6, in caso di risarcimento effettuato da parte di un soggetto diverso dall’imputato, non è sufficiente che tale soggetto abbia con l’imputato, ovvero con i suoi coobbligati solidali, rapporti contrattuali o personali che ne giustifichino l’intervento, ma è necessario che l’imputato manifesti una concreta e tempestiva volontà riparatoria, che abbia contribuito all’adempimento. (Fattispecie di lesioni colpose da incidente stradale in cui la Corte ha ritenuto immune da censure la sentenza che aveva escluso l’attenuante in questione, pur essendo intervenuto l’integrale risarcimento del danno ad opera della compagnia assicuratrice del veicolo alla cui guida si era posto l’imputato, ritenendo che le sollecitazioni operate dal suo difensore non fossero sufficienti a dimostrare che l’imputato avesse avuto conoscenza dell’intervento dell’assicuratore e manifestato la volontà di farlo proprio). E inoltre l’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 6 non è configurabile in caso di erogazione di somme da parte dell’INAIL, perché tale prestazione non ha carattere risarcitorio ma indennitario.(Sez. 4, n. 45806 del 27/06/2017 Ud. (dep. 05/10/2017) Rv. 271023 – 01). Va infine evidenziato che la Corte di appello ha tenuto conto comunque dell’erogazione dal parte dell’Inail e ha ridotto la provvisionale di 30.000,00 Euro applicata dal Giudice di primo grado ad Euro 10.000,00.

2. Il ricorso della I. s.r.l. è inammissibile in quanto del tutto generico e aspecifico.

La Corte territoriale ha affermato che C.R. amministratore di fatto, che come tale impartiva le direttive, assumeva i dipendenti, provvedeva alla esecuzione delle opere commissionate, oltre ad essere formalmente capo cantiere e responsabile del servizio di protezione e prevenzione e il figlio, studente universitario era mero prestanome, ha omesso la previsione e la realizzazione di un modello organizzativo di sicurezza e ha agito a vantaggio della società consentendo così un risparmio di spesa.

Deve ribadirsi che la responsabilità degli enti per i reati commessi dai “soggetti in posizione apicale” è stata costruita dal legislatore secondo un meccanismo peculiare. Stabilisce l’art. 6, infatti, che “l’ente non risponde se prova che… l’organo dirigente ha adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del fatto, modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi”.

Nel caso in esame, va rilevata la omessa preventiva adozione del modello organizzativo da parte della società. Il fondamento della responsabilità dell’ente e’. costituito dalla “colpa di organizzazione”, essendo tale deficit organizzativo quello che consente la piana ed agevole imputazione all’ente dell’illecito penale. Come già precisato dalla Sezioni unite di questa Corte (Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn, Rv. 261112), grava, dunque, sull’accusa l’onere di dimostrare l’esistenza dell’illecito penale in capo alla persona fisica inserita nella compagine organizzativa della società e che abbia agito nell’interesse di questa. Tale accertata responsabilità si estende, poi, dall’individuo all’ente collettivo, nel senso che vanno individuati precisi canali che colleghino teleologicamente l’azione dell’uno all’interesse dell’altro e, quindi, gli elementi indicativi della colpa di organizzazione dell’ente, che rendono autonoma la responsabilità di quest’ultimo.

Se è vero che la commissione del reato, in altri termini, non equivale a dimostrare che il modello non sia idoneo, il modello costituisce uno degli elementi che concorre alla configurabilità o meno della colpa dell’ente, nel senso che la rimproverabilità di quest’ultimo e, di conseguenza, l’imputazione ad esso dell’illecito sono collegati all’inidoneità od all’inefficace attuazione del modello stesso, secondo una concezione normativa della colpa: in estrema sintesi, l’ente risponde in quanto non si è dato un’organizzazione adeguata, omettendo di osservare le regole cautelari che devono caratterizzarla, secondo le linee dettate dal citato art. 6. Ne consegue che il giudice di merito ha congruamente verificato basandosi su elementi di fatto concreti, raccolti in istruttoria (testimonianze sopralluoghi rilievi fotografici) la prevedibilità ed evitabilità dell’evento (fol 4 sentenza primo grado) qualora fosse stato adottato il modello “virtuoso”, riguardante le misure di sicurezza compresa la formazione e l’informazione relative al rischio di caduta dall’alto.

Vanno richiamati e condivisi i principi già affermati in materia da questa Corte secondo cui (Sez. 4 -, n. 38363 del 23/05/2018 Ud. (dep. 09/08/2018) Rv. 274320 – 01) in tema di responsabilità degli enti derivante da reati colposi di evento in violazione della normativa antinfortunistica, i criteri di imputazione oggettiva rappresentati dall’interesse e dal vantaggio, da riferire entrambi alla condotta del soggetto agente e non all’evento, ricorrono, rispettivamente, il primo, quando l’autore del reato abbia violato la normativa cautelare con il consapevole intento di conseguire un risparmio di spesa per l’ente, indipendentemente dal suo effettivo raggiungimento, e, il secondo, qualora l’autore del reato abbia violato sistematicamente le norme antinfortunistiche, ricavandone oggettivamente un qualche vantaggio per l’ente, sotto forma di risparmio di spesa o di massimizzazione della produzione, indipendentemente dalla volontà di ottenere il vantaggio stesso. Inoltre, in tema di responsabilità degli enti derivante da reati di lesioni personali colpose in violazione della disciplina antinfortunistica, si è affermato da questa Corte che il criterio di imputazione oggettiva del vantaggio di cui al D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231, art. 5 è integrato anche da un esiguo, ma oggettivamente apprezzabile, risparmio di spesa, collegato all’inosservanza, pur non sistematica, delle cautele per la prevenzione degli infortuni riguardanti un’area rilevante di rischio aziendale che può altresì consistere nella velocizzazione dell’attività d’impresa, tale da incidere sui tempi di lavorazione (Sez. 4, n. 33976 del 30/06/2022 Ud. (dep. 15/09/2022) Rv. 283556 – 01 Sez. 3 – n. 26805 del 16/03/2023 Ud. (dep. 21/06/2023) Rv. 284782 – 02).

3. Va dichiarata pertanto la inammissibilità dei ricorsi e i ricorrenti condannati ala pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende nonché in solido tra loro alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili in questo giudizio di legittimità, liquidate come indicato in dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende, nonché in solido fra loro, alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili in questo giudizio di legittimità, così liquidate Euro 3900,00 oltre accessori a favore di M.L. e I.T.; Euro 5700,00 oltre accessori a favore di M.A., M.V., M.C. e G.F..

Così deciso in Roma, il 7 settembre 2023.

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